MAMMELLA (lat. mamma; fr. mamelle; sp. mama; ted. Brustdrüse, Brust; ingl. breast)
Le mammelle sono ghiandole secernenti il latte, destinato alla nutrizione della prole nei primi giorni di vita. Sono organo caratteristico dei Mammiferi (v.) e la loro presenza è segnalata tra i caratteri diagnostici della classe.
Anatomia comparata. - Il primo abbozzo delle ghiandole mammarie si osserva nell'embrione in stadî giovanissimi; si presenta come un ispessimento dell'ectoderma in forma lineare, che si estende ininterrottamente sui lati del corpo, dall'abbozzo dell'arto anterioe all'abbozzo del posteriore; questo ispessimento ha ricevuto il nome di "linea lattea", quando è poco sviluppato, o di "cresta lattea", quando è maggiomente sviluppato e sollevato sull'ectoderma circostante. In uno stadio più avanzato lungo la cresta si formano ispessimenti ectodermici, che rappresentano il primo abbozzo delle ghiandole mammarie e dei capezzoli. In embrioni ancora più avanzati i tratti della cresta lattea, interposti tra gli abbozzi dei capezzoli, spariscono.
I punti della cresta dove si formano i capezzoli sono ben localizzati in ogni specie, ma variano in numero e posizione da specie a specie, onde la varia posizione dei capezzoli nelle diverse specie di Mammiferi, lungo una linea che va dall'ascella all'inguine (mammelle ascellari, pettorali, ventrali, inguinali). Lo sviluppo dei capezzoli da una linea continua spiega anche la ragione dei non rari casi di mammelle soprannumerarie (noti anche nell'uomo: polimastia); di punti della cresta lattea cioè, che avrebbero dovuto regredire, e si sono invece sviluppati in capezzoli.
Le più semplici forme di mammelle differenziate si osservano nei Marsupiali. In questi animali la pelle nell'interno del marsupio presenta un certo numero di fossette (tasche mammarie) in fondo alle quali, su di una papilla, si aprono i canali delle ghiandole mammarie. Al momento dell'allattamento questa papilla si sviluppa maggiormente e si estroflette fuori della tasca. Nei Mammiferi superiori si possono avere due condizioni. Può persistere la tasca mammaria e i suoi margini essere rilevati a costituire un "falso capezzolo" con un canale centrale (che è la tasca mammaria) in fondo al quale si aprono gli sbocchi delle ghiandole. Tali sono le mammelle dei Ruminanti. Altre volte invece si ha un sollevamento del fondo della tasca mammaria, che così sparisce, e i tubi delle ghiandole mammarie vengono ad aprirsi su una eminenza (il capezzolo vero).
Le ghiandole mammarie, così costituite, si osservano sia nei maschi sia nelle femmine, solo che nei maschi rimangono di solito rudimentali e funzionano solo nelle femmine, in relazione all'allevamento dei piccoli.
Le ghiandole mammarie sono ghiandole alveolari composte con tubi escretori ramificati e alveoli rotondeggianti. Nel processo di secrezione la parte della cellula, che guarda il lume dell'alveolo, si disgrega e le gocce di secreto, molto ricco di grasso, che la cellula aveva ammassato nel suo interno, cadono nel lume dell'alveolo per essere espulse. La parte basale della cellula, contenente il condrioma, resta invece in posto per formare nuovo secreto e rigenerare la parte della cellula andata perduta durante il processo di secrezione. Un simile tipo di secrezione dicesi apocrino.
Le mammelle, quali sono state descritte, si osservano però solo nei Mammiferi vivipari; nei Monotremi, invece, che depongono uova, le mammelle sono meno sviluppate e si presentano come due gruppi di ghiandole i cui sbocchi sono in rapporto a due ciuffi di peli. Sembra che in questi animali le ghiandole mammarie si vuotino per contrazione della loro muscolatura e che i piccoli lecchino il latte che bagna i peli.
Anatomia umana. - Nella specie umana, come in genere in tutti i Mammiferi, le mammelle sono assai più sviluppate nel sesso femminile e assumono il massimo sviluppo e la particolare importanza funzionale negli ultimi periodi della gravidanza e durante l'allattamento. Nella donna sono localizzate fra il 3° e il 6° spazio intercostale, fra la linea sternale e la linea ascellare anteriore. Nella parte centrale della mammella sporge il capezzolo; intorno a questo la zona circolare di cute più delicata, leggermente pieghettata, rosea o pigmentata, è detta areola. Alla sommità del capezzolo si aprono i dotti escretori della ghiandola detti condotti galattofori. Il numero di questi dotti varia, nella donna, da 15 a 20; alla base del capezzolo presentano una forte dilatazione o seno galattoforo. Al di sotto della cute e del tessuto cellulo-adiposo sottocutaneo si trova la ghiandola mammaria. Il tessuto cellulo-adiposo sottocutaneo forma uno strato spesso e lobato. Poiché lo spessore di questo strato è individualmente variabile, si possono avere mammelle relativamente piccole con ghiandole bene sviluppate, quando il grasso è scarso; mammelle anche molto grosse con ghiandole atrofiche, quando il grasso è abbondante.
La costituzione della ghiandola è quella lobare o lobulare. I lobi e i lobuli sono delimitati da trabecole connettivali dalle quali si staccano anche le lamelle interstiziali intralobulari. Trabecole e lamelle costituiscono lo stroma della ghiandola percorso dai vasi sanguigni che assumono un particolare sviluppo nel peripdo di attività secretiva. La fine struttura è quella di una ghiandola tubulo-alveolare composta. Gli alveoli o acini hanno per lo più un lume ampio, la loro parete è costituita da uno strato di cellule epiteliali secernenti, cubiche o prismatiche, da una lamina vitrea e da una membranella mioepiteliale. Gli alveoli sono in continuazione coi tubuli escretori rivestiti all'interno da epitelio cilindrico. I tubuli, a loro volta, confluiscono nei condotti galattofori. Le cellule secernenti elaborano una sostanza liquida, che si raccoglie in vacuoli, e gocciole di grasso; l'escrezione cellulare consiste nell'emissione, da parte delle cellule, di questi prodotti della secrezione accompagnata da parziali disgregazioni delle cellule. Il latte risulta dall'insieme dei materiali dell'escrezione cellulare che si raccoglie nei condotti e nei seni galattofori.
Fisiologia. - La ghiandola mammaria caratterizza la classe dei Mammiferi ed è deputata alla secrezione lattea. Nella femmina si sviluppa all'epoca della pubertà e subisce un processo d'iperplasia al principio della gravidanza. Verso la metà del periodo gravidico, ma specialmente verso la fine, la mammella manifesta una leggiera attività secretoria, che si traduce nella secrezione di un liquido speciale, detto colostro. Poco dopo il parto (24-48 ore) la ghiandola mammaria è atta a secernere il latte, liquido altamente nutritizio per il neonato, e che essa elabora con i principî alimentari che le pervengono dal torrente sanguigno. Sia lo sviluppo anatomico (accrescimento della ghiandola), sia lo sviluppo funzionale successivo (secrezione), durante e dopo la gravidanza sono condizionati da fattori, i cui particolari sfuggono all'osservazione dei fisiologi. È stato chiamato in causa il sistema nervoso, che senza dubbio deve intervenire nelle modificazioni della mammella durante il periodo gravidico; sennonché la ricerca anatomica di nervi secretori specifici ha portato a risultati negativi, e altrettanto può dirsi degli esperimenti fisiologici condotti da K. Eckhard, A. Röhrig, ecc. Alcuni hanno dato importanza ai nervi vasodilatatori della mammella per la spiegazione dell'attività secernente della ghiandola. È merito di H. Ribbert (1898) l'aver dimostrato che nei trapianti di ghiandole mammarie di un animale in altre parti del corpo dello stesso animale si stabilisce la secrezione lattea normale; veniva così messo in rilievo il fattore ormonico. Tuttavia è bene precisare che se il sistema nervoso, centrale e simpatico, non interviene direttamente nello sviluppo della mammella, né nello stabilirsi della secrezione, non si può escludere una sua attività regolatrice sull'accrescimento e sulla funzione della ghiandola. La dottrina ormonica offre ancor oggi non poche lacune e contraddizioni. S'è pensato che il feto elabori un ormone inibitore dell'attività mammaria, per cui la secrezione è possibile soltanto dopo il parto; ma si conoscono nella letteratura casi di allattamento da parte di maschi di tutte le specie, compreso l'uomo; vi sono pure osservazioni di secrezione lattea in femmine non fecondate e anche in vergini, nonché in donne dopo la menopausa. L'attenzione dei fisiologi s'è rivolta anche alla placenta, come organo produttore di un increto, capace di indurre nella mammella modificazioni anatomiche e funzionali; ma l'opoterapia placentare ha fallito al suo scopo, perché se facilita l'allattamento, non riesce a provocare la secrezione lattea. Di più, non solo gli estratti placentari, ma anche quelli dei più varî tessuti e di altri organi endocrini (timo, tiroide, ecc.) hanno azione galattogoga, probabilmente connessa con la vasodilatazione che gli estratti inducono nella ghiandola. P. Ancel e P. Bouin (1911) hanno osservato nelle pareti uterine della coniglia gestante elementi ghiandolari poligonali e fusiformi disseminati, all'insieme dei quali hanno dato il nome di ghiandola miometrale; questa ghiandola avrebbe importanza endocrina per lo stabilirsi della secrezione lattea. Anche le ovaie e il corpo luteo sono stati posti in discussione; in realtà non si possono negare stretti rapporti tra la funzione mammaria e quella delle ovaie, in quanto la castrazione ovarica in femmina impubere, o pubere ma non fecondata, porta in genere all'atrofia della ghiandola mammaria. Se però l'estirpazione delle ovaie avviene in un periodo della gravidanza in cui la mammella ha subito l'iperplasia connessa con la gestazione, la secrezione lattea si stabilisce regolarmente; ciò induce a credere che le ovaie stimolano soltanto lo sviluppo mammario in gravidanza, mentre inibiscono il processo di secrezione lattea. Che rapporti di interinibizione fisiologica esistano tra attività secretoria della ghiandola mammaria e funzione ovarica è dimostrato dal fatto che durante l'allattamento esiste ipofunzione delle ovaie (amenorrea, atrofia uterina fisiologica da allattamento). Il corpo luteo gravidico, nella donna, persiste fino alla metà della gravidanza, per subire poi un'involuzione, fino a scomparire col parto. S'è pensato che il corpo luteo elabori un ormone, capace, durante la prima parte della gestazione, di provocare i mutamenti anatomici che intervengono nella ghiandola mammaria; le modificazioni funzionali, invece, cioè il prepararsi della mammella a secernere il latte, sarebbero dovute alla ghiandola miometrale. Secondo un'altra teoria, l'espulsione del feto, provocando la soppressione della circolazione utero-placentare, induce un'iperemia delle ghiandole mammarie, la quale determinerebbe la secrezione lattea. Anche la stessa mammella è stata considerata come un organo a secrezione interna, nel senso che produrrebbe un increto stimolante la secrezione lattea; però mancano dati positivi per ascrivere la ghiandola mammaria tra gli organi endocrini. Finalmente, altri osservatori hanno dato importanza a supposte relazioni ormoniche tra la mammella e l'ipofisi, l'epifisi, i surreni; è nota l'azione galattogoga dell'ormone ipofisario posteriore; e pare che anche l'estratto della ghiandola pineale agisca sulla secrezione lattea. Concludendo, oggi riesce assai difficile porre in relazione con un solo organo endocrino la funzione della mammella; probabilmente sono varî gli stimoli ormonici galattogoghi che contribuiscono alle modificazioni anatomiche e fisiologiche della ghiandola mammaria durante e dopo la gravidanza.
Patologia e chirurgia. - Ricordiamo, tra le anomalie congenite, la polimastia, o presenza di mammelle soprannumerarie che, in numero vario e con diverso grado di sviluppo, si possono presentare distribuite sul tronco, lungo due linee simmetnche dirette dalla regione ascellare alla piega inguinale. Anomalia acquisita è l'ipertrofia, ossia l'abnorme accrescimento della mammella, che può raggiungere dimensioni tali (fino a 10-15 kg.) da determinare disturbi per il volume ingombrante dell'organo e dolori da stiramento, ai quali s'accompagna talora un risentimento dello stato generale (dimagrimento). L'aumento di volume, dovuto alla prevalente ipertrofia ora del tessuto ghiandolare ora del connettivo adiposo, può verificarsi uni- o bilateralmente, cominciando all'epoca della pubertà oppure in occasione di una gravidanza, con evoluzione lentamente progressiva. I disturbi possono essere tali da richiedere l'amputazione del seno, o importanti operazioni plastiche.
Le affezioni chirurgiche principali sono le infiammazioni e i tumori. Dei processi infiammatorî il più frequente e importante è la mastite puerperale che colpisce, durante il puerperio, preferibilmente le donne che allattano. Si tratta di un'infezione da germi piogeni (stafilococco, streptococco) pervenuti nel contesto della mammella per la via dei dotti galattofori o, più comunemente, lungo le vie linfatiche attraverso piccole escoriazioni (ragadi) del capezzolo, determinate dal bambino con la suzione. La malattia, che decorre con febbre più o meno elevata, brividi e risentimento dello stato generale, si comporta come un processo flemmonoso interessante uno o più lobi ghiandolari, e termina con la formazione di un ascesso o di ascessi multipli, per lo più confluenti. Per quanto riguarda la cura, finché il processo è allo stadio iniziale, può essere utilmente tentato il trattamento alla Bier (iperemia provocata mediante aspirazione in una campana di vetro applicata, a tenuta d'aria, intorno alla mammella); nello stadio flemmonoso o ascessuale si deve ricorrere alle incisioni evacuative, seguite da drenaggio. Data la genesi dell'infezione, importa prevenire la formazione delle ragadi, rafforzando la cute del capezzolo con impacchi di alcool, che devono essere iniziati già durante le ultime settimane di gravidanza e continuati durante il puerperio.
Relativamente rara è la mastite cronica che, istologicamente caratterizzata da una proliferazione connettivale con infiltrazione parvicellulare intorno ai dotti escretori e agli acini ghiandolari, determina clinicamente la comparsa di cordoni e di noduli disposti in guisa da ricordare la struttura a grappolo della ghiandola mammaria. L'affezione colpisce di preferenza donne prossime alla menopausa e decorre senza determinare disturbi, o appena un senso di tensione e dolori trafittivi irradiati all'ascella. Sono talvolta palpabili, ingrossati e dolenti, i cordoni linfatici e le linfoghiandole dell'ascella.
Una particolare varietà dell'affezione ora descritta è stata ritenuta in passato la cosiddetta mastite cronica cistica, caratterizzata dalla presenza nella mammella di numerose cisti, di dimensiom variabili da un pisello a un uovo, contenenti un liquido giallognolo o verdastro, filante. Spesso si constata anche una secrezione sieroematica dal capezzolo. La natura della forma morbosa, nota aache sotto la denominazione di "malattia cistica della mammella (P. Reclus)" è dai più considerata oggi non infiammatoria. La si trova infatti descritta col nome di cistoadenoma e, più spesso ancora, con quello di fibrosi cistica. Sta il fatto che il decorso è generalmente benigno, e le alterazioni possono regredire spontaneamente con l'involuzione dell'organo che segue alla menopausa, non di rado però la malattia ha un decorso progressivo e con una relativa frequenza è stato osservato l'insorgere di un carcinoma sul terreno di una fibrosi cistica. La cura radicale consiste, a seconda dei casi, nella enucleazione o resezione dei tratti di ghiandola ammalati o nell'amputazione dell'organo, senza svuotamento del cavo ascellare.
Accenniamo soltanto alla mastite dei neonati e alla mastite degli adolescenti. La prima trova una condizione favorevole nella tumefazione delle mammelle che normalmente si verifica nei bambini, di entrambi i sessi, durante i primi giorni di vita, e può assumere un andamento flemmonoso, con evoluzione suppurativa. La seconda si presenta, parimenti nei due sessi, all'epoca della pubertà, sotto forma di una tumefazione dolorosa della mammella (accompagnata talora da ingorgo delle ghiandole ascellari), che regredisce per solito senza passare a suppurazione, in qualche settimana: la cura consiste in impacchi caldo-umidi e bendaggi compressivi.
Sono rare le infiammazioni croniche specifiche, tra cui ricordiamo:
1. la tubercolosi primitiva (essendo i germi pervenuti alla mammella per via ematica) o, più frequentemente, secondaria, per diffusione d'un processo tubercolare da parti vicine (sterno, coste).
2. la sifilide, sia sotto forma di ulcera primaria (si tratta per lo più di nutrici infettate da lattanti eredo-luetici), sia con manifestazioni del periodo secondario (condilomi piani in corrispondenza della piega sottomammaria) o terziario (gomme).
3. l'actinomicosi, molto rara, caratterizzata dalla comparsa di noduli d'infiltrazione confluenti, alternati a focolai di rammollimento, e da una colorazione rosso-rameica della cute.
Importanza ancora maggiore dei processi infiammatorî hanno i tumori che, con criterio pratico, distingueremo in benigni e maligni. Sono benigni i tumori che nel loro sviluppo si mantengono sempre ben circoscritti, pur potendo raggiungere dimensioni anche cospicue, che non dànno luogo a diffusioni neoplastiche lungo le vie linfatiche o sanguigne e che, asportati chirurgicamente. non si riproducono. Tale è il fibroadenoma, che si presenta clinicamente sotto forma di uno o più nodi sviluppati nel contesto della ghiandola (fibrosi cistica) di dimensioni varie da un pisello a un pugno e oltre, tondeggianti a superficie liscia o grossolanamente bernoccoluta, di consistenza dura, a limiti ben definiti, non aderenti né alla cute né al piano muscolare, e quindi dotata di ampia mobilità. Alla sezione i nodi appaiono costituiti da un tessuto compatto di colorito bianco-grigiastro (connettivo fibroso) attraversato da fessure o tubuli o con cavità cistiche; all'esame microscopico, il rivestimento epiteliale appare simile a quello degli acini e dei tubuli della mammella normale. Si ritiene che questi tumori abbiano origine da residui ghiandolari embrionarî i quali a un certo momento, per ragioni ancora sconosciute, incomincerebbero a proliferare. Il fibroadenoma è curabile radicalmente con l'asportazione chirurgica del solo nodo neoplastico, conservando la mammella. La sua natura benigna non toglie che, se non operato, possa col tempo subire una trasformazione maligna: donde il precetto che anche i tumori presunti benigni della mammella vanno operati precocemente, a scopo profilattico. E poiché non è sempre possibile dai rilievi clinici stabilire o escludere che sia già in atto una degenerazione maligna, il chirurgo che ha asportato un tumore della mammella ritenuto benigno deve farne l'analisi isto-patologica per assodare se l'intervento conservatore eseguito sia sufficiente a portare la guarigione o se necessiti invece un nuovo intervento più ampio, demolitore. Nei casi in cui già clinicamente fosse dubbia la natura del tumore, deve il chirurgo, nel momento stesso dell'operazione, far eseguire la biopsia (col microtomo congelatore) su un frammento prelevato dal tumore, e il responso, ottenibile in pochi minuti, gli servirà di norma per l'ulteriore sviluppo dell'intervento.
Il tumore maligno tipico della mammella è il carcinoma, che si manifesta con la maggior frequenza tra i 40 a i 60 anni, preferibilmente in donne che hanno figliato e allattato, ma può colpire, sebbene molto più raramente, anche l'uomo. Ne ignoriamo completamente l'eziologia, come del resto per tutti i tumori, soltanto notiamo, senza poter dire quale importanza abbia la constatazione, che in un certo numero di casi dall'anamnesi risulta un pregresso trauma nel punto d'insorgenza del tumore. Questo si presenta clinicamente come un nodo duro nel contesto della mammella, a limiti non ben definiti, a superficie finemente bernoccoluta, in corrispondenza del quale la cute prende aderenze che la rendono meno facilmente sollevabile in pieghe e ne determinano un raggrinzamento caratteristico che ricorda la superficie della buccia di arancio. Altri segni peculiari sono la retrazione del capezzolo, lo stiramento della mammella verso l'alto, la limitata mobilità del tumore, per aderenze più o meno accentuate al piano muscolare, e l'ingrossamento delle linfoghiandole ascellari. Il tumore, oltreché in un punto qualunque della mammella, può prendere origine da uno di quei prolungamenti della ghiandola mammaria, che sappiamo non infrequentemente esistere in prossimità del cavo ascellare.
L'ulteriore evoluzione varia a seconda del tipo isto-patologico della neoplasia, di cui distinguiamo due tipi principali: il carcinoma midollare e lo scirro. Nel primo, istologicamente caratterizzato da una grande ricchezza di formazioni epiteliali atipiche in confronto della parte connettivale del tumore, si verifica un aumento piuttosto rapido del volume della mammella; nel secondo, in cui istologicamente gli zaffi epiteliali risultano scarsi ed esili in seno a un connettivo fibroso stipato, si verificano nella mammella piuttosto che un ingrossamento dell'organo, fenomeni di raggrinzamento e di retrazione. In stadî avanzati tanto dell'una che dell'altra forma il tumore può, dopo aver invaso la cute del torace, propagarsi secondo una larga fascia orizzontale (cancro a corazza).
Esiste altresì una rara forma di carcinoma le cui manifestazioni cliniche possono simulare un processo infiammatorio. La mammella, invece di contenere nodi neoplastici, appare modicamente aumentata di consistenza e di volume in toto e in modo uniforme, più o meno aderente al piano muscolare, e ricoperta di cute arrossata come per un eritema erisipelatoso il quale, con margini frastagliati e netti, può essere anche largamente esteso alla cute del torace. La denominazione erisipela carcinomatosa data alla forma morbosa ne compendia bene i segni clinici e il modo di evoluzione. L'arrossamento cutaneo è infatti dovuto a una fitta e diffusa infiltrazione di zaffi e nidi di cellule epiteliali neoplastiche lungo i vasi linfatici e sanguigni della cute.
Altra importante varietà di tumore epiteliale maligno della mammella è il cancro di Paget, la cui caratteristica è di incominciare con un eczema cronico dell'areola cui fa seguito, dopo un anno o due, la comparsa del tumore che, per l'aspetto clinico e l'ulteriore decorso, non diversifica dal comune cancro midollare. Mentre l'affezione è stata interpretata, in passato, come un epitelioma dell'areola sviluppatosi sul substrato di un eczema cronico, secondo più recenti ricerche il tumore prenderebbe origine dall'epitelio di rivestimento dei dotti escretori la cui proliferazione atipica, mentre in profondità dà origine al tumore mammario, determina fra gli strati cutanei dell'areola un'infiltrazione di elementi neoplastici, donde le manifestazioni iniziali simulanti l'eczema.
Qualunque ne sia la varietà, il cancro della mammella si diffonde a distanza principalmente per le vie linfatiche; perciò più o meno precocemente si può constatare l'invasione delle linfoghiandole ascellari e, più tardi, delle sopraclaveari. Più rara è la diffusione per via sanguigna, con conseguenti metastasi in organi lontani: fegato, polmoni, scheletro (con predilezione per la colonna vertebrale). Nella regione ascellare e sopraclaveare l'invasione neoplastica, propagandosi dalle ghiandole ai tessuti circostanti, come pure se dipende da recidiva dopo intervento chirurgico, arriva a costituire delle masse dure, fisse, che circondano il fascio vascolo-nervoso determinando, per ostacolo al circolo refluo, edemi, talora molto accentuati, dell'arto e, per compressione sui tronchi nervosi, dei dolori che possono divenire intollerabili. Non infrequentemente s'avvera la diffusione, lungo i linfatici della parete toracica, alla pleura, o alla mammella del lato opposto. Col crescere del tumore primitivo, e a maggior ragione ove questo, ulcerandosi, vada incontro a un disfacimento putrido, col moltiplicarsi ed estendersi delle metastasi, si manifesta un'intossicazione progressiva dell'organismo (cachessia) che porta all'esito letale.
La durata della malattia differisce notevolmente da caso a caso in rapporto con la varietà istopatologica del tumore, e quindi con la rapidità di sviluppo e il grado di tossicità del medesimo, ma verosimilmente anche in relazione con l'individuale resistenza dell'organismo all'invasione neoplastica. Si può ritenere di circa due anni la durata media; ma si dànno, particolarmente durante la gravidanza e il puerperio, casi di estrema malignità in cui, mentre il tumore invade rapidamente in modo diffuso la mammella, la cute si arrossa come per un processo infiammatorio (cosiddetta mastite carcinomatosa), e la morte sopravviene in pochi mesi. Vi sono per contro tumori a decorso lento: si tratta per lo più di cancri scirrosi, in soggetti di età avanzata.
La cura del carcinoma mammario è chirurgica e, mirando alla radicale asportazione del tumore e delle sue propaggini, consiste nell'amputazione del seno accompagnata dallo svuotamento del cavo ascellare non solo dalle linfoghiandole palpabili, ma da tutto il connettivo adiposo della regione, per rimuovere il più largamente possibile la rete dei vasi linfatici che sono o potrebbero essere già invasi da elementi neoplastici. Per la stessa ragione, insieme con la mammella si deve asportare una larga zona di cute circostante, nonché i muscoli grande e piccolo pettorale.
La röntgen- e la radiumterapia non possono, almeno finora, sostituirsi all'intervento chirurgico, e neppure il loro uso è consigliabile quale trattamento preoperatorio, come è stato da alcuni proposto, perché sembra che in tali condizioni esse potrebbero determinare la mobilitazione di elementi neoplastici e quindi favorire le metastasi e la generalizzazione del processo. Discussa è tuttora la loro efficacia come trattamento postoperatorio.
Le recidive dopo interventi chirurgici radicali si presentano per lo più entro il primo anno, con sede sia lungo la cicatrice toracica sia alla regione ascellare e sopraclaveare. Quando siano trascorsi almeno tre anni senza recidiva (evenienza che, secondo le varie statistiche, s'avvera con una frequenza dal 25 al 50% dei casi), le probabilità di guarigione duratura sono abbastanza forti, benché recidive possano verificarsi anche oltre dieci anni dopo l'intervento. La constatazione che i risultati sono tanto migliori quanto più presto ha potuto essere effettuata l'operazione mostra che il problema della cura del carcinoma mammario trova razionale soluzione nell'intervento chirurgico precoce.
Va ricordato, per ultimo, un altro tumore maligno, di origine connettivale: il sarcoma. È relativamente raro e si manifesta come una tumescenza globosa, a rapido accrescimento, che porta a tale aumento di volume della mammella quale non si osserva in genere nel cancro, da cui si distingue clinicamente anche per la minor durezza e per l'assenza di aderenze alla cute, sulla quale esiste di solito un appariscente reticolo venoso. A differenza del carcinoma, si diffonde prevalentemente per via sanguigna, onde può accadere che, anche a tumore molto sviluppato, risultino indenni le ghiandole dell'ascella. Ciò non toglie che nel trattamento chirurgico del tumore, da praticare anche qui precocemente, si debba per misura prudenziale, associare sempre alla larga amputazione della mammella lo svuotamento del cavo ascellare. La prognosi, dopo l'intervento chirurgico radicale, si presenta, per quanto riguarda l'eventualità di recidive locali, migliore che per il carcinoma.
Bibl.: N. Pende, Endocrinologia, I, Milano 1923; G. H. Roger, Traité de physiologie normale et pathologique, XI, Parigi 1927; C. Foà e N. Pende, La fisiologia e la clinica degli increti, Milano 1927.