MAMELUCCHI
Col vocabolo arabo mamālīk (plurale di mamlūk, letter. "posseduto, schiavo", del resto usato anche in tale accezione comune) si designarono quelle milizie turche e circasse d'origine servile che vennero ad acquistare pratica preponderanza in Egitto già sotto la dinastia degli Ayyūbidi, da essi poi soppiantata nel dominio anche nominale del paese, con una serie di sovrani, durata, in due distinti rami ma in assai irregolare e saltuaria continuità dinastica, dal 650 al 913 èg. (1252-1517 d. C.).
I sovrani mamelucchi furono dei capi militari, succedentisi spesso per violenta sopraffazione gli uni sugli altri, su designazione dei loro stessi compagni, con analogia ad alcuni periodi dell'impero romano. Accanto agli episodî sanguinosi e barbari di tale sistema feudale-militare, non sono da trascurare gli aspetti positivi del loro dominio, grazie a personalità di alto valore militare e politico che compaiono in quei tre secoli sul trono di Egitto: quali Qutuz, vincitore dei Mongoli ad ‛Ain Giālūt in Siria (1260) e salvatore dell'Egitto e di tutto l'Islām occidentale dall'invasione tatara, Baibars, che ritolse ai Cristiani gli ultimi possessi rimasti loru in Siria (1260-77), e Qalāwūn (1279-90), sotto il quale, e sotto il cui figlio e successore al-Ashraf, l'intera Siria fu di nuovo soggetta al dominio egiziano. L'epoca mamelucca, sotto questi e gli altri sovrani, segnò nel complesso un'assai grande floridezza commerciale, industriale e artistica per l'Egitto. La potenza dei Mamelucchi fu fiaccata dai Turchi Osmanli, che, vincitori alla battaglia di Marǵ Dābiq (1516), invasero l'Egitto, e, messo a morte l'ultimo sultano Ṭūmān Bey, annessero il paese al loro impero (1517). I Mamelucchi continuarono peraltro, anche sotto il dominio turco, a costituire un notevole elemento sociale e statale nell'organizzazione del paese, spesso in contrasto con i pascià mandati a governare da Costantinopoli. Essi formarono il nucleo della resistenza che Napoleone sgominò alle Piramidi, e furono definitivamente sterminati solo nel 1811, con la strage organizzata da Mohammed ‛Alī nella cittadella del Cairo.
Al mecenatismo dei sultani ed emiri mamelucchi è dovuto lo sviluppo d'un nuovo stile islamico in Egitto e in Siria nella seconda metà del sec. XIII, inaugurato sotto il breve regime ayyūbida. Il ristabilimento dell'ortodossia sunnita dopo il regime sciita dei Fāṭimiti si manifesta anzitutto nella preferenza degli elementi religiosi e nell'assenza quasi totale di motivi figurati nella decorazione. Le lotte contro i crociati contribuirono ad aumentare le fondazioni di opere pie che diedero lavoro a migliaia d'artigiani. D'altra parte, la resistenza efficace alla valanga mongola impedì che prevalessero quegli elementi importati dall'Estremo Oriente, allora tanto caratteristici per gli altri paesi musulmani del Levante.
Nell'architettura religiosa si notano la trasformazione della pianta delle moschee, l'accentuazione delle facciate, l'elegante articolazione dei minareti, gli stretti portali quasi sempre laterali e alti, le cupole graziose più che imponenti. In generale gli edifizî, poco variati nel loro profilo, non dànno quasi mai l'impressione d'un organismo monumentale: offrono un insieme artistico e pittoresco di particolari architettonici. Le più importanti moschee e madrasah di stile mamelucco sono al Cairo (quelle di Qalāwūn, 1284; di an-Nāṣir sulla cittadella, 1318; di al-Ḥasan, 1356-1362; di al-Mu'ayyad, 1416-19), altre notevoli in Damasco e in Aleppo. Sono numerosi i mausolei a cupola, costruiti dai sultani ed emiri mamelucchi a propria memoria, riuniti in due aree, vasti e imponenti nel deserto fuori del Cairo ("Tombe dei califfi" e "Tombe dei Mamelucchi"). A volte essi hanno forma di moschea funeraria con varî annessi (moschea di Barqūq, 1400-10; di Qā'it Bay, 1464). Nella decorazione si usavano incrostazioni di marmo nelle facciate, mosaici di pietra nei pavimenti, stucco con vetri policromi nelle finestre (qamariyyah), legno a scomparti nei soffitti. Nelle case particolari le pareti erano spesso rivestite da tavolati con nicchie per riporvi oggetti; sporti a graticci di legno graticolati (mashrabiyyah) chiudevano le finestre verso l'esterno. Più che in ogni altra epoca dell'arte islamica si moltiplicarono i doni di mobili e oggetti preziosi agli edifici religiosi, promovendo l'industria artistica: principi, generali e alti funzionarî offrivano ai santuarî da loro preferiti sontuose copie del Corano splendidamente legate, casse di legno intarsiato o di bronzo incrostato per custodire il libro santo, leggii per dispiegarlo, candelieri con iscrizioni incrostate d'argento, lampade di bronzo traforato o di vetro smaltato e dorato, queste ultime fabbricate ad Aleppo e Damasco. In ugual modo erano decorati i mobili e gli oggetti preziosi d'uso profano: arche, scrittoi, bruciaprofumi, ogni genere di vasellame metallico, vitreo e ceramico. Gli armaioli mamelucchi lavoravano corazze leggiere, elmi di forma conica con ornamenti dorati, asce piatte di elegante curva. Le fabbriche di tessuti damascati e di broccati d'oro riuscirono a eliminare a poco a poco l'importazione di sete cinesi e a soppiantarla, in parte almeno, sul mercato europeo. Pare che anche l'industria dei tappeti fosse molto sviluppata; secondo recenti indagini i cosiddetti "tappeti di Damasco" - menzionati spesso negli inventarî veneziani dei secoli XV e XVI - di lana lucida in pochi colori (rosso, verde, azzurro, talvolta anche giallo) e con minuziosi motivi vegetali in disposizione geometrica, si debbono attribuire a laboratorî del Cairo. In genere, nell'ornamentazione furono preferite le iscrizioni pie e le lodi al sultano, scritte in caratteri grandi su fondi d'arabeschi e interrotte da medaglioni con motivi vegetali o araldici. I blasoni degli emiri mamelucchi, che corrispondevano alle loro cariche auliche, sono una nota molto caratteristica in quasi tutti i prodotti d'arte dell'epoca.
Bibl.: W. Muir, Tghe mameluke or Slave Dynasty of Egypt, 1260-1517, Londra 1896; M. Sobernheim e J. H. Kramers, in Encycl. de l'Islām, III, pagine 230-36; A. Zambaur, Manuel de généal. et chronol. pour l'hist. de l'Islam, Hannover 1927, pp. 103, 105-106. - Per l'arte: U. Tarchi, L'archit. in Egitto, Torino 1922; M. S. Briggs, Mohamm. architect. in Egypt, Oxford 1924; L. Hautecoeur e G. Wiet, Les mosquées du Caire, Cairo 1932; A. L. A. Mayer, Saracenic Heraldry, Oxford 1933; Cataloghi del Museo arabo del Cairo.