Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La storia politica di Malta, nel XX secolo, è scandita da ripetuti cambiamenti costituzionali e da un’alternanza di progressi e arretramenti sulla via dell’indipendenza dalla Gran Bretagna. A periodi di autogoverno maltese seguono fasi di restaurazione coloniale, fino a quando, nel 1974, l’isola esce definitivamente dall’orbita politica della metropoli. L’indipendenza non risolve le croniche difficoltà economiche della società maltese, il cui livello di vita comincia a elevarsi soltanto alla fine del secolo.
Nel corso del XX secolo l’arcipelago di Malta (316 km2), situato nel cuore del Mediterraneo, tra la Sicilia e la Libia, passa dalla condizione di colonia britannica a quella di Stato indipendente nell’ambito del Commonwealth, per poi trasformarsi in una Repubblica pienamente sovrana, libera da ogni legame istituzionale con la corona inglese. Già all’inizio del Novecento, i rapporti tra Malta e il governo di Londra sono piuttosto conflittuali. Non bastano le concessioni politiche della Gran Bretagna, che tra il 1849 e il 1903 rinnova per ben tre volte l’ordinamento costituzionale dell’isola, assicurando un sempre più ampio coinvolgimento dell’elemento indigeno nel Consiglio legislativo, a contenere l’avanzata del nazionalismo maltese, che rivendica il riconoscimento della lingua locale come lingua ufficiale, l’aumento della presenza maltese nell’amministrazione e la fine delle disparità salariali. Il diffuso malcontento nei confronti della metropoli è accresciuto dalle difficoltà economiche che investono la società maltese dopo quattro decenni di ininterrotto sviluppo e di innalzamento delle condizioni di vita della popolazione, resi possibili, a partire dagli anni Quaranta dell’Ottocento, dalla centralità assunta dall’isola nelle attività commerciali e militari degli Inglesi nel Mediterraneo. Nei decenni a cavallo tra i due secoli, queste ultime si ridimensionano notevolmente, rivelando improvvisamente la fragilità dell’economia di Malta, che, privata delle basi della sua crescita, entra in una fase di acuta depressione. Per placare la montante ostilità dei Maltesi, esplosa violentemente e tumultuosamente a La Valletta nel giugno del 1919, la Gran Bretagna tenta ancora la strada delle riforme istituzionali, promulgando, nel 1921, una Costituzione che fonda il sistema di governo dell’isola su una diarchia, che prevede una condivisione del potere tra le autorità britanniche e i ministri maltesi, eletti dal corpo legislativo. Tuttavia, il movimento nazionalista, fomentato anche dalla propaganda antibritannica organizzata dal governo fascista italiano, si indirizza sempre più risolutamente verso l’obiettivo dell’indipendenza, radicalizzando e allargando la contestazione sociale del dominio inglese. La risposta di Londra, questa volta, consiste in una svolta autoritaria: sospesa la Costituzione, viene ripristinato il regime coloniale e Malta è ricondotta, nel 1936, sotto la piena autorità del governatore. La concessione di una nuova Costituzione, tutt’altro che gradita all’opinione pubblica, precede di pochi mesi lo scoppio della seconda guerra mondiale, che colpisce Malta, in quanto base militare inglese, con particolare durezza, provocando migliaia di morti tra i civili esposti ai bombardamenti, e pesantissimi danni materiali, riguardanti anche il patrimonio artistico.
Il ritorno alla normalità, dopo la tragedia bellica, è segnato dall’acutizzarsi dei problemi socio-economici, legati alla marginalizzazione commerciale dell’isola e alla riduzione della presenza militare inglese; donde l’abbondante flusso migratorio verso l’Australia, il Canada e l’Inghilterra (che non frena comunque la spinta demografica, che porta la popolazione maltese dai 312 mila abitanti del 1950, ai 325 mila del 1955, fino alla soglia dei 400 mila alla fine del secolo). L’aggravarsi della crisi nei primi anni Cinquanta spinge a mettere in discussione anche il nuovo statuto politico, che, dal 1947, assicura ai Maltesi ampi spazi di autogoverno. Nata dal lavoro di un’Assemblea Costituente, insediata all’indomani della guerra, la costituzione del 1947 stabilisce un Parlamento eletto a suffragio universale e un gabinetto presieduto dal primo ministro, circoscrivendo l’autorità del governatore (non più militare ma civile) ai settori della politica estera e della difesa. Nel 1956, il Partito Laburista Maltese propone un’inversione di rotta, chiamando i cittadini a un referendum per l’integrazione politica alla Gran Bretagna. La maggioranza dei votanti si esprime a favore, ma soltanto un minoranza del corpo elettorale si reca alle urne. La profonda lacerazione della società maltese determina una crisi politica di vaste proporzioni e lunga durata, che induce il governo di Londra dapprima a ristabilire il potere del governatore e poi, nel febbraio del 1959, a sospendere formalmente la Costituzione. Il ritorno alla legalità costituzionale avviene nel 1962, nel segno della vittoria elettorale del Partito Nazionalista, che subito, attraverso la propria maggioranza parlamentare, proclama l’indipendenza di Malta. Due anni dopo, ultimate le trattative con Londra, un referendum popolare sancisce la nascita del piccolo Stato, ordinato nelle forme di una monarchia parlamentare, quale membro del Commonwealth britannico. Malta resta tale fino al 1974, quando il Parlamento adotta una costituzione repubblicana, che rende elettiva la carica di capo dello Stato e affida il potere esecutivo a un Consiglio dei ministri responsabile nei confronti della Camera dei rappresentanti, cui compete la funzione legislativa. Raggiunto il traguardo politico tanto a lungo perseguito, l’élite dirigente maltese deve misurarsi con i problemi materiali di una società che, negli anni Settanta, si trova a metà strada, per reddito pro capite, tra i Paesi industrializzati e quelli sottosviluppati. Nonostante il successo nella riconversione degli impianti militari, il rilancio delle attività portuali, l’espansione dell’industria cantieristica e l’incremento del turismo, negli anni Ottanta l’economia maltese stenta a decollare e il tasso di disoccupazione rimane alto. La situazione migliora nel decennio successivo, anche per il cambiamento della congiuntura internazionale. Il governo nazionalista punta su una politica di facilitazioni fiscali e incentivi all’investimento che stimolano l’attività imprenditoriale, avviando una sostenuta crescita economica. Contemporaneamente, reimposta la politica estera del piccolo Stato, abbandonando l’orientamento filoarabo dei governi laburisti del primo decennio repubblicano e tornando a guardare a Occidente. Già membro del Consiglio d’Europa dal 1965, nel 1990 Malta chiede di aderire all’Unione Europea. Nello stesso anno, il ministro degli Esteri maltese, Guido de Marco (1931-2010), è eletto alla presidenza dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, a testimonianza dell’importanza crescente che il piccolo Stato va assumendo a livello internazionale. Alla fine del decennio, dopo una breve parentesi antieuropeista del governo laburista, Malta ripropone la propria candidatura europea e, nel dicembre 1999, partecipa alle trattative per l’allargamento dell’Unione, avviando definitivamente il proprio processo di adesione ed entrando a farne parte ufficialmente nel 2004.