Malnutrizione
Per malnutrizione si intende ogni condizione morbosa, clinicamente manifesta oppure occulta, dovuta a prolungata insufficienza, o incongruenza o eccesso, dell'apporto di alimenti (malnutrizione da carenza, da squilibrio, da eccesso), oppure a incompleta utilizzazione degli alimenti (malnutrizione da dispepsia e da malassorbimento). Sotto questa denominazione vengono inclusi i problemi di deficienza alimentare, caratteristici dei paesi in via di sviluppo, e quelli di eccesso, più diffusi nelle aree altamente industrializzate (v. alimentazione). In questo contesto assumono un particolare rilievo le problematiche relative all'iponutrizione, soprattutto per quegli aspetti patologici riscontrabili anche nelle società più sviluppate e fondamentalmente secondari a, o complicanti, una preesistente patologia.
Il corpo umano può considerarsi schematicamente suddiviso in due compartimenti: la massa grassa (densità 0,9 g/ml) e la massa magra (densità 1,1 g/ml). Quest'ultima è la risultante della sottrazione della massa grassa dal peso corporeo totale ed è costituita dallo scheletro, dai muscoli e dai tessuti magri. In un individuo adulto sano la massa magra rappresenta circa l'85% del peso corporeo totale, mentre il 15% circa (approssimativamente 10-11 kg in un soggetto di 70 kg) è costituito dalla massa grassa. Di norma, i rapporti tra massa magra e massa grassa e la stabilità del peso corporeo totale sono garantiti dall'equilibrio tra l'assunzione di nutrienti calorico-proteici e la spesa energetica sostenuta dall'organismo per i processi vitali. Lo stato di nutrizione di un individuo, pertanto, è funzione del bilancio tra assunzione calorica e spesa energetica e qualsiasi situazione capace di alterarlo può creare uno stato di malnutrizione. In tale ottica, anche l'obesità (condizione caratterizzata da eccessiva presenza di tessuto adiposo), di grado tale da determinare una compromissione dello stato di salute, dovrebbe essere considerata una forma di malnutrizione, nel senso di ipernutrizione, secondaria, per lo più, ad alterazioni del comportamento alimentare. Tuttavia, nell'accezione ormai consolidata, il termine malnutrizione è utilizzato come sinonimo di 'iponutrizione', indicando un depauperamento delle riserve energetiche e proteiche dell'organismo, capace di pregiudicare la salute o di comportare, nelle forme più avanzate, un aumentato rischio di morbilità e di mortalità. La malnutrizione può pertanto essere definita come uno stato di alterazione funzionale, strutturale e di sviluppo dell'organismo, conseguente alla discrepanza tra fabbisogni, introiti e utilizzazione dei nutrienti, tale da determinare un eccesso di morbilità e mortalità o un'alterazione della qualità di vita. La malnutrizione, pur rappresentando un grave problema endemico nelle popolazioni in via di sviluppo, si riscontra con notevole frequenza anche nei paesi occidentali industrializzati; in particolare, nei pazienti ospedalizzati essa può riscontrarsi nel 40-50% dei casi, costituendo una complicanza della malattia di base.
La più comune varietà di malnutrizione rilevabile nei pazienti ospedalizzati è senz'altro quella proteico-calorica, che costituisce una frequente complicanza di condizioni morbose acute o croniche. Tale condizione si instaura rapidamente in corso di malattia acuta, o progredisce nell'arco di mesi o anni quando è associata a malattie croniche, e si può presentare con le caratteristiche del marasma, del kwashiorkor, o, più frequentemente, in forme cosiddette intermedie, o miste. Il quadro della malnutrizione di tipo marasmatico puro si instaura come conseguenza di un apporto calorico-proteico cronicamente inadeguato e ha come effetto la deplezione delle riserve adipose e della massa muscolare fino alla cachessia. Malnutrizione di tipo kwashiorkor si verifica invece in soggetti precedentemente ben nutriti e in buone condizioni generali come effetto di uno stress catabolico acuto (per es. in corso di sepsi) e di un concomitante apporto proteico inadeguato alle aumentate richieste. Il risultato è quello di un marcato depauperamento delle riserve proteiche dell'organismo, con perdita di massa muscolare, ipoalbuminemia, edemi e relativo risparmio del compartimento adiposo. Infine, le forme intermedie si instaurano, in genere, come possibile evoluzione delle due forme precedenti, quale conseguenza di apporti calorico-proteici prolungatamente inadeguati alle aumentate richieste, secondarie alla condizione di ipercatabolismo, e rappresentano, come si è detto, la forma più frequente di malnutrizione in ambito ospedaliero.
Il concetto di malnutrizione proteico-calorica come 'malattia nella malattia', in quanto fattore condizionante l'evoluzione di molteplici stati morbosi acuti e cronici, è oggi largamente condiviso. Al pari di ogni malattia, la malnutrizione proteico-calorica deve essere prontamente diagnosticata, se ne deve valutare la gravità e necessita quindi di essere efficacemente trattata; un'idonea prevenzione può scongiurarne la comparsa, soprattutto in presenza di eventi morbosi che comportano un aumento sensibile della spesa energetica (traumi, interventi chirurgici, sepsi, malattie croniche debilitanti ecc.). La presenza di una precisa patogenesi, inoltre, contribuisce anch'essa a elevare la malnutrizione proteico-calorica al rango di malattia. La patogenesi della malnutrizione proteico-calorica è strettamente legata alla presenza di complesse modificazioni del metabolismo energetico, che vengono a crearsi in seguito a un'alterazione del rapporto tra principi nutritivi introdotti e spesa energetica. Ciò può verificarsi in seguito sia a una riduzione dell'assunzione (anoressia) o dell'assorbimento intestinale (malassorbimento) dei principi nutritivi, sia a un aumento della spesa energetica o alla combinazione di questi fattori. In alcune condizioni morbose, quali, per es., l'insufficienza epatica e renale cronica, la sepsi e la malattia neoplastica, l'utilizzazione di alcuni nutrienti può essere sensibilmente ridotta per la presenza di profonde alterazioni del metabolismo intermedio. La contemporanea insorgenza di anoressia, aumento della spesa energetica e ridotta utilizzazione dei principi nutritivi rende ragione della rapidità con cui può comparire uno stato cachettico nella malattia neoplastica.
La negativizzazione del bilancio energetico (energia introdotta inferiore all'energia spesa) impone il reperimento dell'energia necessaria alle funzioni vitali nell'ambito delle riserve endogene, quali i grassi di deposito e le proteine muscolari. L'idrolisi dei trigliceridi adipocitari mette in circolo grandi quantità di acidi grassi liberi che forniranno energia attraverso la β-ossidazione. La degradazione delle proteine muscolari aumenta sensibilmente la quantità di aminoacidi disponibili per essere convertiti, nel fegato, in glucosio. I processi metabolici legati alla lipolisi e alla gluconeogenesi comportano, a loro volta, un aumento sensibile della spesa energetica: si crea così una sorta di circolo vizioso. Dal punto di vista clinico, tutto ciò si traduce in una riduzione sensibile della massa grassa (tessuto adiposo) e della massa magra (tessuto muscolare) corporea, che negli stati più marcati configura il quadro della cachessia. Costituiscono tale quadro, solo in parte sostenuto dall'anoressia, la perdita di peso, la riduzione della massa magra e della massa grassa, l'atrofia muscolare, l'aumento dell'acqua totale corporea e le alterazioni del metabolismo intermedio. L'ultimo decennio del 20° secolo ha segnato un notevole progresso nelle conoscenze sul ruolo di alcuni mediatori umorali proinfiammatori, le citochine, nella patogenesi della cachessia associata a diverse patologie acute e croniche. Le citochine proinfiammatorie sono mediatori proteici secreti da cellule immunocompetenti in risposta all'infiammazione o a processi di attivazione cellulare. Queste proteine agiscono, a bassa concentrazione, attraverso distinte popolazioni di recettori, alterando le funzioni di altre cellule a livello sia locale sia sistemico. A differenza del classico sistema macrormonale, le citochine agiscono principalmente in modo paracrino o autocrino. A eccezione della interleuchina-6, che è facilmente dosabile nel plasma di soggetti con malattie infiammatorie, la maggior parte delle citochine proinfiammatorie, come l'interleuchina-1, e il TNF-α, l'interferone-γ, non sono frequentemente dosabili nel torrente circolatorio. Sono conseguenza della produzione locale da parte dei leucociti circolanti e dell'endotelio vascolare, come nel corso di endotossinemia, o dell'esagerata produzione da parte di cellule infiammatorie a livello tessutale, con conseguente rigurgito nella circolazione sistemica, come nello shock settico da patogeni gram-negativi. Le numerose evidenze sperimentali, che dimostrano come l'iniezione ripetuta di singole citochine o di cellule immunocompetenti in grado di produrre citochine induca alterazioni metaboliche e della composizione corporea sovrapponibili a quelle osservate in corso di cachessia, suggeriscono che tale sindrome si sviluppi quale risultato di una cronica iperstimolazione, indotta dall'azione combinata di diverse citochine capaci di influenzare una varietà di cellule e di processi tessutali, realizzando effetti metabolici (lipolisi, degradazione proteica, citolisi) e neuroendocrini (anoressia). Sono questi, in definitiva, i responsabili dei gravi squilibri dello stato di nutrizione, che si riscontrano nelle fasi avanzate della malnutrizione proteico-calorica secondaria a malattie croniche.
L'astenia, la diminuzione della forza muscolare, la riduzione della ventilazione polmonare sono tutti aspetti tipici della malnutrizione proteico-calorica. L'avido impiego a fini energetici degli aminoacidi rende questi ultimi meno disponibili per la sintesi di nuove proteine. Ciò si traduce in una sensibile riduzione di molte proteine circolanti, tra le quali albumina e prealbumina, transferrina, proteina legante il retinolo, fattori della coagulazione, enzimi, emoglobina e altre ancora. La comparsa di edemi diffusi fino all'anasarca, di uno stato anemico, di alterazioni della visione, di turbe coagulative, costituisce quindi un altro aspetto clinicamente rilevante della malnutrizione proteico-calorica. A una riduzione della sintesi proteica possono essere inoltre ricondotte le marcate alterazioni della risposta immunitaria che sono state osservate nei pazienti malnutriti. Quantunque molti dei complessi meccanismi che regolano la funzione del sistema immunitario siano alterati in presenza di una malnutrizione proteico-calorica, l'aspetto più caratteristico è costituito da una riduzione della popolazione linfocitaria (in particolare dei linfociti CD4+). Anche dal punto di vista funzionale i linfociti presentano anomalie significative, come suggerisce la riduzione della reattività cutanea ad antigeni anamnestici e della risposta blastogenica e secretiva in vitro. La diagnosi di malnutrizione proteico-calorica risulta relativamente semplice. A un occhio esperto è probabilmente sufficiente una semplice valutazione clinica basata sull'anamnesi e sull'esame obiettivo del malato. Tuttavia, qualora si renda necessaria una determinazione più accurata dello stato nutrizionale, sia a fini prognostici sia per valutare l'efficacia di un supporto nutrizionale, occorre utilizzare altri parametri. L'entità del calo ponderale, anche se apparentemente banale, rimane un indice prezioso e insostituibile. È oggi largamente condiviso che una perdita di peso superiore al 10% del peso abituale verificatasi entro gli ultimi 6 mesi sia indicativa di malnutrizione proteico-calorica. Anche l'indice di massa corporea (IMC, espresso dal rapporto tra peso in kg e quadrato dell'altezza in m) è stato di recente accettato come indicatore di malnutrizione proteico-calorica, quando il suo valore è inferiore a 18,5.
Lo stato di nutrizione può essere valutato, inoltre, mediante altri indici antropometrici, quali lo spessore della plica tricipitale e la circonferenza del braccio. Con opportune formule, da queste due misurazioni è possibile quantificare con buona approssimazione la massa grassa e la massa magra corporea, espressione rispettivamente della quantità del tessuto adiposo e di quello muscolare. Una valutazione ancora più accurata della massa magra, utile forse più a fini scientifici, si può avere con la determinazione del contenuto corporeo totale di azoto tramite il metodo dell'attivazione gamma-neutronica. Gli stretti rapporti esistenti tra lo stato di nutrizione di un individuo e la sua risposta immunitaria rendono ragione del largo impiego di test immunologici. I test di reattività cutanea ad antigeni anamnestici (candida, tubercolina ecc.), la conta dei linfociti totali, il dosaggio plasmatico di alcune frazioni del complemento (in particolare della componente C₃) sono senz'altro gli indici immunologici maggiormente utilizzati. Numerosi, infine, sono i parametri biochimici. La determinazione dell'albumina sierica, in assenza di patologie epatiche e renali rilevanti, è un buon indice dell'attività protidosintetica epatica, che risulta ridotta in corso di malnutrizione proteico-calorica. La determinazione di proteine a più rapido turnover, quali la transferrina (8 giorni), prealbumina (2 giorni), proteina legante il retinolo (12 ore), consente inoltre di monitorare l'efficacia del supporto nutrizionale fornito. La degradazione delle proteine muscolari, che come abbiamo visto, costituisce un punto chiave nella patogenesi della malnutrizione proteico-calorica, può essere stimata rilevando l'escrezione urinaria giornaliera della 3-metil-istidina, aminoacido di derivazione mioproteica, che come tale non è utilizzabile per la sintesi di nuove proteine e viene quindi escreto attraverso l'emuntorio renale. Un altro parametro largamente utilizzato per svelare la presenza di un accentuato catabolismo muscolare è la determinazione del bilancio dell'azoto inteso come rapporto tra l'azoto introdotto (con l'alimentazione) e quello escreto (più del 90% con le urine) nelle 24 ore. Un bilancio negativo è spia di un accentuato catabolismo proteico e la sua positivizzazione durante la replezione nutrizionale indica l'avvenuto passaggio alla fase anabolica, cioè di sintesi, del metabolismo proteico. Recentemente, infine, va affermandosi la determinazione degli aminoacidi plasmatici quale parametro nutrizionale. L'accelerato consumo, a fini gluconeogenetici e ossidativi, di alcuni aminoacidi liberatisi dalla lisi delle proteine muscolari ne riduce sensibilmente i livelli plasmatici, portando a un caratteristico profilo dell'aminoacidogramma plasmatico. Tale dosaggio, tuttavia, considerati la sua complessità e i costi relativamente elevati, è utilizzato principalmente a scopo di ricerca, mentre trova scarso impiego nella pratica clinica.
La terapia della malnutrizione proteico-calorica ha come obiettivo finale il recupero di un normale stato di nutrizione con il ripristino delle riserve energetiche consumate. Ciò si ottiene fornendo al paziente malnutrito tutti i principi nutritivi dei quali ha bisogno. A tal scopo può essere impiegata la via parenterale oppure la via enterale. Quest'ultima è largamente da preferire ogni qualvolta sia utilizzabile il tratto digestivo. Nei pazienti in cui l'assunzione di alimenti per bocca sia conservata, ma non sufficiente a sopperire ai fabbisogni proteico-calorici, è possibile ricorrere a particolari integratori nutrizionali di preparazione industriale, con composizione definita e adatti alle specifiche esigenze del paziente. L'impiego della via parenterale obbliga ad accedere a una grande vena (cava superiore) in grado di diluire rapidamente le miscele nutritive, le quali sono iperosmotiche e quindi irritanti per la parete venosa. Sono attualmente disponibili cateteri venosi, realizzati in materiali altamente biocompatibili, forniti di raffinati sistemi di inserzione. Altrettanto sofisticati sistemi d'infusione assicurano un'estrema precisione nella regolazione del flusso; essi sono inoltre dotati di efficaci dispositivi di allarme. Il nutrizionista clinico dispone inoltre di una gamma completa di miscele nutritive per la via parenterale che gli consentono di adattare l'apporto nutrizionale alle differenti esigenze dei pazienti. Anche se con qualche anno di ritardo, lo sviluppo tecnico-scientifico che ha animato la nutrizione parenterale ha contribuito sensibilmente allo sviluppo di tecniche nutrizionali che utilizzano la via digestiva. La nutrizione enterale totale costituisce uno strumento prezioso che va ad affiancarsi alla nutrizione parenterale e in molti casi la sostituisce validamente. Rispetto alla nutrizione parenterale, l'approccio per via enterale (realizzato mediante apposite sonde nasogastriche o nasoduodenali, o mediante gastrostomia o digiunostomia endoscopica o chirurgica) comporta alcuni vantaggi, tra i quali la minore incidenza di complicanze metaboliche e settiche, il mantenimento del trofismo della mucosa intestinale, nonché costi più contenuti di gestione e di materiali.
Le situazioni cliniche che possono trarre profitto dalla nutrizione artificiale sono numerose e interessano differenti discipline mediche: medicina interna, chirurgia, anestesiologia, pediatria, otorinolaringoiatria, neurologia. Alcuni esempi sono: la sindrome da intestino corto, secondaria a resezione massiva del tenue; le malattie infiammatorie croniche intestinali; l'enterite da raggi; la sclerosi sistemica con coinvolgimento intestinale; le sindromi da malassorbimento; le fistole digestive; le malformazioni congenite del tratto digestivo; la diarrea cronica intrattabile dell'infanzia (morbo di Avery); l'anoressia mentale; alcune malattie neurologiche. In condizioni estreme, quali la sindrome da intestino corto o le malattie neurologiche croniche che rendono impossibile un'adeguata alimentazione, la nutrizione artificiale diviene essenziale per la sopravvivenza; in altre situazioni, quali le malattie infiammatorie croniche, intestinali o le fistole digestive, essa consente di correggere la malnutrizione eventualmente presente, e anche di ottenere un totale riposo intestinale, spesso indispensabile per una più rapida guarigione. La correzione della malnutrizione proteico-calorica in pazienti affetti da specifiche patologie, quali l'insufficienza epatica e renale cronica, la sepsi e la neoplasia, presenta spesso notevoli difficoltà. Occorre infatti avere un'approfondita conoscenza delle marcate alterazioni metaboliche che accompagnano questi stati morbosi e che condizionano profondamente l'utilizzazione dei diversi principi nutritivi. In questi casi è indispensabile personalizzare l'apporto alimentare, adottando schemi nutrizionali in cui la quantità e la qualità dei diversi substrati (carboidrati, aminoacidi, lipidi) vengono variate al fine di assicurare una loro utilizzazione ottimale. Nelle neoplasie, sebbene la prognosi sia essenzialmente determinata dalla malattia di base, la presenza di malnutrizione proteico-calorica è di per sé negativa su morbilità, mortalità e qualità della vita. La cachessia neoplastica dipende da un complesso di eventi che coinvolge le profonde alterazioni del metabolismo dell'ospite, l'assunzione di cibo e le esigenze nutrizionali della neoplasia stessa, tutti fattori, questi, da prendere in considerazione quando si intenda realizzare un adeguato trattamento. La limitazione principale al supporto nutrizionale di un paziente neoplastico risiede nella reale possibilità di stimolare la crescita neoplastica attraverso i medesimi nutrienti utilizzati per alimentare l'organismo ospite. La cellula neoplastica presenta tuttavia caratteristiche metaboliche che la differenziano nettamente da quella normale. Un approccio nutrizionale che tenga conto delle diverse esigenze del tumore e dei tessuti dell'ospite può migliorare lo stato di nutrizione di quest'ultimo senza stimolare, anzi addirittura inibendo, la crescita tumorale. La conoscenza sempre più approfondita dei meccanismi responsabili delle interazioni metaboliche tra tumore e ospite, dell'anoressia e delle specifiche esigenze metaboliche della cellula neoplastica, consentirà di realizzare un approccio nutrizionale integrato in grado di attenuare l'anoressia, di utilizzare in modo più efficace i substrati energetici e, mediante l'assunzione di specifici nutrienti, di ridurre la replicazione neoplastica, aumentarne la sensibilità ai farmaci antineoplastici e migliorare la tolleranza del paziente a protocolli di radio-chemioterapia aggressiva.
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