Malebolge
Nome composto inventato da D. (Serravalle: " ‛ Malibolgie ' est proprie vocabulum Auctoris quia numquam tale vocabulum in aliquo loco, nec in auctoribus poetis, nec in philosophis inveni, nec in chronicis, nec in Sacra Scriptura ") col criterio retorico dell'ipallage (male + bolge = bolge popolate da malvagi; cfr. i termini analoghi di Malebranche, Malefami), per indicare le dieci bolge di cui consta l'VIII cerchio e addirittura per indicare l'intero cerchio (Luogo è in inferno detto Malebolge, If XVIII 1; cfr. anche XXI 5). Per il significato di ‛ bolgia ', cfr. sub voce. Quanto alla struttura materiale delle M., D. immagina che dieci fosse siano disposte in modo concentrico attorno a un pozzo largo e profondo (il IX cerchio) e formino un vasto campo degradante che, sul confine col cerchio precedente, è sormontato da un'alta parete rocciosa (l'alta ripa dura). Ogni fossa (o bolgia) è collegata con le altre da scogli (‛ ponti ') che, partendo dalla base della parete e " congiungendo uno dopo l'altro gli argini divisori delle fosse, tagliano a guisa di raggera l'intero cerchio, convergendo verso il centro " (Sapegno) e verso il basso, cioè verso il pozzo (If XXIV 37-40). Ogni bolgia ha comunque una sua quasi peculiare fisionomia fisica: la prima è uno stretto calle (XVIII 100), tanto che i dannati sono costretti a muovervisi in doppia fila; la seconda ha il fondo così cupo, che se ne può veder qualcosa solo dalla sommità dell'argine (XVIII 109-111); la terza ha invece il fondo oracchiato e arto (XIX 42); la quarta è un vallon tondo (XX 7) e sembra offrire spazio alla processione dei peccatori; la quinta è mirabilmente oscura (XXI 6), perché contiene pece bollente; la sesta ha il ponte rotto (XXIII 136); la settima mostra lo scoglio... stretto e malagevole / ... erto più assai che quel di pria (XXIV 61-63); l'ottava appare tutta cosparsa di fiamme (XXVI 31); la nona occupa un giro di miglia ventidue (XXIX 9); la decima è piena di puzzo (XXIX 50). Tuttavia le dieci bolge formano un tutto unitario, un organato edificio, caratterizzato dalla stessa natura del terreno: pietra di color ferrigno (XVIII 2) tagliata quasi sempre allo stesso modo, fatta d'irte frastagliate sporgenze, di cupi fondali, di aspri scoscesi passaggi, un paesaggio cioè d' " imponente geometria " e di tenebroso colore, oltre che di solida e possente struttura, dove il vario articolarsi degli ambienti appare dominato da una tetra costante dimensione di architettura chiusa e razionale, di carcere inflessibilmente custodito e ordinato.
Al riguardo, D. tenne sicuramente innanzi a sé, quale modello, sia, in generale, i castelli medievali circondati da più e più fossi uniti tra loro da ponti levatoi (If XVIII 10-15; il Castelvetro scrive tra l'altro di aver saputo " che in Alamagna è una fortezza così fatta, e nell'Atlantico di Platone n'è descritta medesimamente così fatta "); sia, in particolare, come annota Benvenuto, i " pontes lapidei ", " quales sunt Florentiae super Arno, et Romae super Tiberi; et Avinionae super Rhodano ", o, come dichiara il Cesari, " il terreno e i sassi " " presso Montecchia e Ronca " nel Vicentino, " che paiono fatti carbone da qualche vulcano ", o ancora, come ricorda il Tommaseo, le stesse mura di Firenze che aveano nome ‛ cerchie ' (cerchia - If XVIII 3 - è il muro che circonda e chiude tutto Malebolge), notazione ripresa dall'Apollonio che vede nella topografia delle dieci bolge una chiara allusione alla corrotta città medievale e fa sua l'interpretazione data dal Debenedetti di ‛ cerchia ' come trasporto di un condannato prima di essere giustiziato. Meglio il Guerri e il Flamini che si richiamano alla carta cosmografica del Mille (codice Laurenziano del sec. X), dove figurano l'" Infernus " e l'" Infernus inferior " con il " puteus inferni " che in D. comprenderebbe il campo (Malebolge) e il fondo (Cocito). Lo stesso Flamini cita a conforto l'Apocalisse: " Et aperuit puteum abyssi " (9, 1-2).
Ora tale architettura fisica, secondo la maggior parte dei commentatori, avrebbe anche una sua significazione simbolica. Nell'VIII cerchio, giusta l'ordinamento illustrato nel canto XI dell'Inferno (vv. 52-60), sono puniti i fraudolenti contro chi fidanza non imborsa (v. 54). Per D., secondo una distinzione e classificazione tomistica di ascendenza aristotelico-gregoriana, la frode è duplice, dice Guido da Pisa, " secundum quod duplex est amor, scilicet naturalis et accidentalis. Amor naturalis facit hominem omnes homines aequaliter diligere; accidentalis vero facit hominem uni vel qluribus singulariter adhaerere. Qui igitur facit contra primum amorem dicitur fraudulentus, qui vero contra secundum dicitur proditor ". Cioè il fraudolento dell'VIII cerchio, che occorre distinguere dal traditore (o fraudolento in colui che 'n lui fida) del IX, infrange lo vinco d'amor che fa natura (If XI 56) e, come tale, può essere o seduttore e ruffiano (I bolgia), o adulatore (Il bolgia), o simoniaco (III bolgia), o indovino e mago (IV bolgia), o barattiere (V bolgia), o ipocrita (VI bolgia), o ladro (VII bolgia), o consigliere di frodi (VIII bolgia), o seminatore di scismi e scandali (IX bolgia), o falsario (X bolgia), appartiene dunque a quella categoria di peccatori nei confronti dei quali il prossimo non nutre alcuna fiducia, soprattutto perché fra ingannatore e ingannato non esistono vincoli od obblighi di parentela, amicizia o comunità, sicché, nell'atto della frode, fra l'uno e l'altro viene meno solo il generico rapporto naturale d'amore esistente fra tutti gli uomini e non quello particolare di parentela o amicizia che trasformerebbe la frode in tradimento.
Ebbene, M. è appunto la " città della frode " (Apollonio) e il suo paesaggio fisico coincide col paesaggio morale. Secondo l'Anonimo, " il luogo petroso e di colore simile alla ruggine del ferro " " vuol dare ad intendere la durezza e l'ostinazione de' peccatori indurati... in questo vizio " e, secondo il Landino, del quale abbiamo riportata l'opinione della stretta corrispondenza tra " luoghi rinchiusi " e frode, pietra vuol dire che il fraudolento " à duro cuore e vacuo d'ogni carità " e color ferrigno che egli " è armato di crudeltà " o, secondo il Vellutello, di " malignità del vizio ". Il fatto che l'ordigno sia un insieme di parti collegate tra loro è così inteso da Benvenuto: " allegorice... A. per hoc figurat quod per unam speciem fraudis cognitam devenitur in cognitionem alterius; quia fraudes sunt inter se contextae et concatenatae, sicut maculae ferreae in lorica, ita quod una non potest frangi vel lacerari quin multae sequantur; et ita una fraude aperta statim paratur via ad aliam. Ergo bene fingit quod eadem via itur in omnes de ponte in pontem, idest de gradu in gradum ". Unità di significazioni etico-allegoriche che ha avuto alcune conferme in epoca più recente attraverso i tentativi di classificazione compiuti sulla falsariga del pensiero teologico medievale, specialmente tomistico, dal Pascoli, dal Busnelli, dal Reade e dal Pietrobono.
Il Pascoli fa discendere l'unità di M. da Gerione e sostiene per questo che " in Malebolge la sozza immagine di froda riassume il concetto d'invidia ". Il Busnelli vede nell'organizzazione della frode verso chi fidanza non imborsa l'applicazione della distinzione tomistica in tre elementi (persone, cose e opere), sicché nella I e II bolgia è punita la frode della persona, dalla III alla VII la frode della cosa, nell'VIII e IX la frode delle opere e nella X tutte le tre frodi. Più dettagliata la ripartizione adottata dal Reade, sempre sulle orme di s. Tommaso, e riportata al concetto di nocumentum proximi. Il Pietrobono riprende la tesi del Pascoli e definisce M. l'Inferno dell'invidia, il regno della lupa ricacciata nell'Inferno. Non a caso lo divide in quattro zone, in corrispondenza delle quattro principali forme d'invidia e in armonia con le quattro parti di Cocito; e vede le dieci bolge comprese fra peccatori che imitarono l'invidia del diavolo (i seduttori di donna, della prima bolgia, simili al serpente biblico, e i falsari di sé, della X, che si trasformarono come Lucifero).
Secondo un'analisi più culturale e storica, in quest'intima corrispondenza tra architettura fisica e significazione morale si è voluto poi trovare l'assunzione degli " elementi di varietà e accidentalità propri di un paesaggio naturale " " in un disegno razionale e preordinato " (Sapegno), o il manifestarsi dell'" evidenza spaziale " come " evidenza etica di architettura " sino alla condizione estrema di un " cromatismo " per così dire " intellettuale, concettuale " (Sanguineti); e, su un piano più tecnicamente letterario, l'accordo tra l'impianto retorico della " descriptio loci " (Faral) e la sostanza etico-religiosa cui essa fa da sostegno. Un contesto eccezionale al quale si lega non meno intimamente il paesaggio umano, anch'esso vario e unito, dei dannati, dei fraudolenti, ognuno calato nel suo peccato, nella sua pena, nel suo gruppo e nella sua bolgia, epperò tutti abitanti della stessa città, associati alla stessa deformazione etica e figurativa.
Il De Sanctis intuì questo legame in modo insuperato, quando scrisse che M. è " una natura sformata e in dissoluzione ". Se però nel De Sanctis il discorso critico viene sospinto verso la dimensione poetica dell'VIII cerchio, il pregiudizio romantico svuota, in esso, della sua vitalità artistica l'insieme degli elementi raccolti nella felice sintesi sopra esposta e sollecita la scoperta più del descrittivo e dell'esteriore che dell'individuale e del drammatico, più del comico caricaturale o sarcastico e buffonesco che del tragico vivente e sofferto. Giudizio in parte superato dal Croce, la cui analisi è rivolta a cogliere non la materia " che per sè commuove poco l'anima del poeta ", ma il " modo di dirla ", un modo che si serve dell'umanità " larga e sincera " con cui D. ricorda e ricrea in M. luoghi e persone del suo mondo terreno. Naturalmente il Croce per un verso valorizzava la componente psicologico-estetica, umana e lirica, dell'ispirazione dantesca, per altro verso teneva in ombra il suo momento teologico, quella che egli chiamava " struttura ". In tal senso un'organica e convincente risposta al pensiero del Croce si deve al Sanguineti che si è impegnato in una lettura " fenomenologica " e " narrativa " dei canti di M., con l'intento di verificare nel " romanzo ", quanto dire nella " struttura " di essi, " la stessa poesia dantesca, colta nel suo concreto manifestarsi e svolgersi narrativi ".
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