malattia
Parola usata solo nel Fiore. È presa nel suo valore letterale (di infermità fisica di qualunque natura), in LXVII 1 se tua donna cade in malattia, / sì pensa che la faccie ben servire (Roman de la Rose 9869 " E s'ele chiet en maladie... "), e CCXXIV 13 fosse mal di capo o ver di coste / od altra malattia, che mi gravasse, / a tutte m'avria fatto donar soste (dove, in accordo con la medicina medievale, si allude alle virtù terapeutiche dell'atto sessuale).
Designa invece il male amoroso del protagonista, in CC 6 pregando Iddio che mi conduca 'n parte / ch'i' de mia malattia fosse sanato (cfr. Rose 14722 " Priant Deu qu' a dreit port m'aveit "): si tratta della m. che ha inizio nelle piaghe aperte dalle frecce di Amore, più volte ripresa nel corso del poema (IV 9-14, XXXIII 13-14, ecc.); i sintomi principali ne sono il dimagrimento e il pallore dell'amante (IX 6-14, X 3, XLVII 12-14; e cfr. anche l'amorosa consunzione della donna nelle parole di Amico, LVI 12-14). Anche in CLIII 8 (ché sie certana che non è peccato / punir la lor malattia, chi potesse) il termine indica l'insana passione degli amanti, ma nella Vecchia esso si carica di una connotazione morale e spregiativa: " vizio " nota il Petronio (si ricorda analogo uso fattone dalla " villana donna " nell'omonima tenzone di Guittone: " ché quello che dett'ho già nente pare / inverso de la tua gran malatia ", Or son maestra 7-8). Mentre in CLXXXIX 14 Quella mena con seco alcuna gente, / la qual sapranno ben sua malattia (pure nel discorso della Vecchia), si stabilisce uno scaltro doppio senso tra la m. corporale simulata dalla donna e la voglia amorosa che ne è il movente reale. " Maladie " è anche nel passo corrispondente del Roman de la Rose, senza però l'ambivalenza ironica del Fiore (" Sire, ne sai quel maladie ", v. 14358).
La metafora del male o m. d'amore è diffusa nella tradizione lirica (cfr. l'incipit del Notaro Molti amadori la lor malatia / portano in core; e v. anche Chiaro Greve cosa 40). Nel Fiore tuttavia essa è svolta con una coerenza e determinazione di fisicità, che fa pensare alla cavalcantiana nozione di amore come morboso eccesso, m. dell'anima e del corpo. Al cavalcanti riporta in particolare il rilievo dato al pallore dell'amante, al ‛ cangiamento ' di colore (cfr. Donna me prega 46 " Move, cangiando color, riso in pianto ").