MALATESTA (de Malatestis), Malatesta detto Malatestino (Malatestino dall'Occhio)
Terzogenito di Malatesta da Verucchio e della prima moglie di questo, Concordia, figlia del visconte imperiale Enrighetto, nacque probabilmente a Rimini intorno al 1254; la data è desumibile dalla quattrocentesca Cronaca malatestiana di ser Baldo Branchi, in base alla quale nell'anno 1300 il M. "era omo già di circa 46 anni" (p. 152).
Il M. è meglio conosciuto come Malatestino per fugare erronee identificazioni con il padre. Questi e il figlio, "'l mastin vecchio e 'l nuovo da Verrucchio", compaiono l'uno accanto all'altro nella terzina dantesca (Inf., XXVII, 46-48) che imputa ai due l'uccisione di Montagna Parcitadi. Il giudizio di Dante sull'intero casato malatestiano è, come noto, fortemente negativo ma proprio il M. sembra suscitare lo sdegno e il biasimo più profondi nel poeta, di cui fu uno dei bersagli prediletti. Egli è il "tiranno fello", il "traditor che vede pur con l'uno" (Inf., XXVIII, 81, 85), menomazione fisica che pare conformarsi appieno con la dissolutezza d'animo. Il M. era, infatti, guercio da un occhio in seguito a un incidente d'infanzia, caratteristica per la quale divenne noto come Malatestino dall'Occhio.
Il 21 febbr. 1287 il M. compare per la prima volta in un documento pubblico a fianco di Malatesta da Verucchio, del fratello Giovanni e di Giovanni da Sogliano riunitisi nel Palazzo comunale di Rimini per nominare procuratore e nunzio speciale il notaio Homo Sampieri, incaricato di redigere i giuramenti per la pace ristabilita tra Manfredi e conti di Cunio da una parte, Argogliosi e Calbolesi dall'altra, e infine Calbolesi e conti di Castrocaro (Tonini, III, pp. 642-645).
Il M. fu espulso da Rimini con la famiglia il 5 maggio 1288, in seguito a una rivolta antimagnatizia. In tale circostanza egli, insieme con i fratelli, fu incaricato dal padre di ricondurre all'obbedienza i castelli del contado che, in seguito alla cacciata dalla città, si erano schierati a favore del Comune riminese.
Nell'ottobre del 1288 il M. conquistò, incendiandolo, Auditore e con l'aiuto di Filippuccio di Iesi e altri alleati espugnò, poco dopo, il castello di Montescudo. Le sue fortune, però, erano destinate a declinare: la conquista di Montescudo si trasformò presto in assedio e, catturato il M., gli uomini del Comune lo condussero prigioniero a Rimini. La sua assenza dalle azioni militari non arrestò i piani di riconquista del casato, forte di nuovi accordi con la S. Sede. La rinnovata alleanza e la fuga del M. dalla prigione, nel marzo 1289, accelerarono il ritorno in città (marzo 1290), ma l'esilio fu semplicemente convertito in confino: Malatesta da Verucchio a Roncofreddo, il M. e Giovanni fuori dal distretto riminese. I Malatesta, tuttavia, non indugiarono a lungo prima di tornare in possesso del centro romagnolo. Una rivolta popolare, divampata contro il rettore nell'aprile 1290, offrì loro l'occasione propizia: attraverso un varco della cinta muraria, in prossimità dell'abitazione del figlio M., Malatesta da Verucchio fece irruzione in città con un seguito armato, imponendovi nuovamente la propria presenza. I contrasti con la Chiesa tornarono, pertanto, a rinfocolarsi.
Conquistato nuovamente il controllo di Rimini, i Malatesta estesero la loro influenza anche su Cesena, di cui il M. divenne nel 1290 podestà. L'opposizione al rettore si fece sempre più manifesta e sfociò nella presa di Forlì, ultimo baluardo pontificio nella regione.
Alla spedizione, condotta congiuntamente da numerosi centri romagnoli, i Malatesta parteciparono con due contingenti, i Riminesi al seguito di Malatesta da Verucchio e i Cesenati capeggiati dal M., che nel corso della vicenda mostrò i primi segni di autonomia nei confronti delle scelte paterne: non accettò compromessi con la S. Sede e, nonostante le disposizioni del neoeletto rettore Ildebrandino Guidi, abbandonò Cesena solo nel luglio 1291, quando la città fu sottoposta a interdetto.
La sua assenza dalla città fu breve: nell'estate 1292 il M. assunse di nuovo la podesteria su Cesena e, assai meno incline del padre alle lusinghe della Chiesa, non esitò a correre in aiuto di Maghinardo Pagani che tentava di opporsi alle mire di Bologna su Faenza. Nel giugno 1294, mentre deteneva la podesteria di Cesena, il M. decise unilateralmente di convogliare un esercito di cesenati, riminesi e marchigiani e dirigersi contro Urbino, città in possesso di Guido da Montefeltro.
L'esito fallimentare della spedizione, limitatasi all'assedio di Urbino, costrinse il M. a conformarsi nuovamente alla condotta del padre che, a livello diplomatico, era riuscito a ottenere notevoli risultati. Tali alleanze, però, indotte da contingenze e interessi non sempre convergenti, erano destinate a mostrare nel tempo segni di precarietà.
L'elezione del nuovo rettore, Pietro Guerra, incrinò nuovamente il sodalizio fra Chiesa e Malatesta, e il 27 apr. 1295 il M. fu costretto ad abbandonare ancora la podesteria di Cesena, città su cui aveva di fatto esteso un potere personale. Consegnata al rettore, Cesena fu ceduta ai Montefeltro, tornati in quel frangente nelle grazie della S. Sede, ma la rivincita malatestiana giunse pochi mesi dopo.
Le forti spinte centrifughe che da tempo laceravano il tessuto civico di Rimini si manifestarono pienamente nel dicembre 1295, consentendo ai Malatesta di insignorirsi definitivamente della città. Lo storico colpo di mano fu, con ogni probabilità, organizzato e diretto da Malatesta da Verucchio, ma il M. gestì in prima persona tutte le azioni militari all'interno della città, mettendo in fuga la fazione antagonista dei Parcitadi e sancendo il trionfo malatestiano. Nel corso dei feroci scontri intracittadini trovò la morte lo stesso Montagna Parcitadi, capo dei ghibellini, uccisione imputata da alcuni commentatori danteschi al solo Malatesta.
Per consolidare il dominio su Rimini, i Malatesta si affrettarono a ricucire i legami con la S. Sede che, tramite un riconoscimento ufficiale, avrebbe accresciuto la rilevanza e il prestigio della nascente signoria. Il M. fu, pertanto, incaricato di gestire, da un lato, la difesa degli interessi del casato e, dall'altro, il sostegno al nuovo rettore, Massimo da Piperno, impegnato, come i predecessori, nel tentativo di ricondurre la Romagna all'obbedienza della Chiesa.
Il 27 luglio 1296 il M. intraprese un'azione armata contro i Montefeltro che minacciavano i guelfi di San Giovanni in Galilea, castello presso il quale i signori di Rimini vantavano alcuni possedimenti. Nell'autunno, il M. si spostò con l'esercito sul fronte bolognese in soccorso al rettore. L'intesa si rafforzò negli anni seguenti, quando l'autorità del legato apostolico Matteo d'Acquasparta vacillò pericolosamente in Romagna e Tuscia e il supporto dei Malatesta si rivelò decisivo. Spettò, inoltre, al M. scortare e omaggiare Carlo di Valois, nuovo rettore delle province pontificie, quando il 1( nov. 1301 fece il suo ingresso a Firenze lacerata dalle lotte intestine.
Il M., forse per fervore spirituale, ma più probabilmente per opportunismo politico, diede persino prova di militanza religiosa: appare con il padre e il figlio Ferrantino nella lista dei quaranta cittadini riminesi incaricati nel 1302 di contrastare i fenomeni ereticali. In cambio di tale sostegno il M. riuscì a riconquistare il castello di Montefiore, ribellatosi alla potestà malatestiana.
Nel frattempo l'abilità e l'affidabilità di cui il M. aveva fornito prova nel corso degli anni erano state premiate. Agli inizi del XIV secolo, Malatesta da Verucchio iniziò a predisporre le modalità della successione e decise di attribuire al M. la podesteria di Rimini.
Dal 1301 al 1317, pertanto, il M. si confermò alla guida della città. Egli, inoltre, tentò di coniugare, non senza difficoltà, l'obbedienza alla Chiesa e le mire egemoniche del casato. Il 9 nov. 1303 Rinaldo da Concorezzo, vicario di Carlo di Valois, intimò al Comune di Rimini, nella persona del M., di astenersi da ogni tipo di ingerenza sul controllo dei castelli comitali. Ma la sostituzione di Rinaldo da Concorezzo rovesciò la situazione a vantaggio dei Malatesta che, reintegrati negli antichi diritti, riconquistarono, di fatto, il possesso del contado con la facoltà di scavare fossati ed erigere castelli.
La rilevanza politica e strategica del M. nella regione era sempre più ampia. Il suo intervento fu ritenuto indispensabile anche nel maggio 1305, quando, nella chiesa di S. Colomba a Rimini, i Cesenati stilarono una convenzione di pace con i Cerviesi e con gli abitanti delle terre sottoposte alla giurisdizione del vescovo di Ravenna. Presumibilmente in quel periodo il M. fu chiamato come arbitro per porre fine ai dissidi fra Guido del Cassero e Angiolello da Carignano, nobili fanesi capi delle opposte fazioni cittadine.
L'episodio, narrato nel XXVIII canto dell'Inferno (vv. 76-80), consente a Dante di lanciare l'ennesima damnatio memoriae contro il M.: secondo le terzine dantesche, infatti, Guido e Angiolello si recarono, come stabilito, al cospetto del M.; una volta ricomposta la lite, sulla via del ritorno presso Cattolica, entrambi furono fatti uccidere per volere del signore di Rimini. La scarsità di riscontri documentari impedisce di accertare la veridicità degli avvenimenti narrati da Dante, ma la vicenda potrebbe essere riconducibile - secondo quanto è emerso da studi recenti - al tentativo del M. di consolidare la crescente influenza malatestiana anche sulla città di Fano.
Il 16 dic. 1306 Malatesta da Verucchio uscì dalla scena pubblica emancipando i figli ancora in vita e i nipoti. Accanto al M. compare l'unico suo figlio, Ferrantino, nato dal matrimonio con Giacoma, appartenente alla facoltosa famiglia riminese dei Rossi.
Nel 1312, alla morte del padre, il M. assunse anche la defensoria di Rimini e, sulla base del lascito paterno, ereditò una delle tre parti in cui era stato suddiviso il patrimonio familiare.
Il M. continuò lungo la linea politica tracciata dal padre, tesa a mantenere saldi i rapporti con la S. Sede, che da un lato garantivano un alleato imprescindibile nella lotta antighibellina e rappresentavano, dall'altro, un mezzo indispensabile per l'affermazione dei signori di Rimini nel territorio. In accordo con il rettore, nel giugno 1312 il M., coadiuvato da Bernardino da Polenta, diresse un consorzio armato di cesenati e cerviesi a Sogliano, dove governava un ramo collaterale del casato malatestiano imparentatosi con i ghibellini Della Faggiuola: la rocca, le torri e l'abitato furono completamente rasi al suolo.
La morte di Clemente V e la successiva vacanza di pontificato determinarono grandi disordini in Romagna. L'autorità e la fermezza del M., pertanto, furono ritenute in più occasioni indispensabili per ripristinare l'ordine. Chiamato a sedare le agitazioni cittadine insorte fra le opposte fazioni, nel 1316 il M. cumulò a Cesena la carica di podestà e di capitano del Popolo. Fu sotto questa duplice veste che il 25 novembre il M. commissionò al banditore del Comune l'introduzione del divieto di portare a Cesenatico e nei luoghi vicini merci dal Levante. Sempre nel 1316 il M. stipulò una tregua con Federico da Montefeltro, a capo della pars imperiale, in attesa di una risoluzione della loro rivalità in ambito regionale. Lasciata Cesena in mano al figlio Ferrantino, il M. assunse la carica podestarile a Forlì anche se poco dopo fu costretto a deporre l'incarico, in seguito all'attacco di una coalizione ghibellina, capeggiata da Uberto di Paolo Malatesta, conte di Ghiaggiolo. Riconquistata Cervia, che gli era stata strappata da Uberto, il M. mise a punto una nuova spedizione contro Forlì che nel giugno 1317, con la collaborazione di Cesena, Bertinoro e del conte Diego di Larat, vicario del rettore pontificio Roberto d'Angiò, fu espugnata. L'azione fu l'ultima del M., che morì a Rimini nel 1317, forse nel mese di aprile o di ottobre, affidando la podesteria e la defensoria della città romagnola rispettivamente al fratellastro Pandolfo (I) e al figlio Ferrantino.
Fonti e Bibl.: M. Battagli, Marcha, a cura di A.F. Massera, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XVI, 3, pp. 30-32, 75, 80; Cronaca malatestiana del secolo XIV (aa. 1295-1385), a cura di A.F. Massera, ibid., XV, 2, pp. 7 s.; B. Branchi, Cronaca malatestiana, a cura di A.F. Massera, ibid., pp. 147-154; L. Tonini, Della storia civile e sacra riminese, III, Rimini nel sec. XIII, Rimini 1862; IV, Rimini nella signoria de' Malatesti, 1, ibid. 1880, ad indices; 2, ibid. 1880, pp. 5, 11, 19 s., 22, 25, 35 s., 74; Il testamento di Malatesta da Verucchio, a cura di A. Bellù - A. Falcioni, Rimini 1993, pp. 4, 7, 12, 15; Annales Caesenates, a cura di E. Angiolini, Roma 2003, ad ind.; C. Clementini, Raccolto istorico della fondatione di Rimino e dell'origine e vite de' Malatesti, I, Rimino 1617, pp. 541-554; G. Franceschini, I Malatesta, Varese 1973, pp. 61-85; S. Pari, La signoria di Malatesta da Verucchio, Rimini 1998, ad ind.; C. Cardinali, Le lotte dei discendenti di Malatesta da Verucchio per la successione alla Signoria di Rimini (1312-1334), Rimini 2000, ad indicem.