MALATESTA (de Malatestis), Malatesta detto Malatesta Antico o Guastafamiglia
Primogenito di Pandolfo (I) e di una Taddea della quale si ignora il casato, nacque con ogni probabilità intorno al 1299. Rinnovando il nome dell'illustre avo, Malatesta da Verucchio, il M. si aggiunge alla nutrita schiera dei Malatesta che, affollando l'albero genealogico della famiglia, rendono difficoltose le identificazioni. Per distinguerlo dai familiari, pertanto, il M. è costantemente indicato nelle cronache e nelle fonti documentarie come Antico o Guastafamiglia, appellativo, quest'ultimo, sintomatico della sua tenace e recalcitrante personalità.
Presto deputato, secondo una prassi ormai consolidata all'interno del casato, ad affiancare il padre nella gestione del potere, il M. garantì a Pandolfo un supporto logistico e militare imprescindibile. Spesso in coppia con il fratello Galeotto, il M., anche lui insignito del titolo di cavaliere, spese gran parte della giovinezza nella Marca, lacerata dalle lotte fra guelfi e ghibellini. La militanza del M. fu, senza dubbio, determinante nel biennio 1324-25 quando, dando manforte alle azioni militari paterne, riuscì a contrastare efficacemente la minacciosa avanzata dei Montefeltro, riscuotendo il plauso di papa Giovanni XXII.
Alla morte di Pandolfo (1326), il M. continuò a stazionare nella Marca, mentre a Rimini si procedeva alla spartizione della cospicua eredità di famiglia. All'epoca il M., sulla soglia dei trent'anni, aveva già assunto un ruolo predominante, pubblicamente riconosciuto, che preludeva all'ascesa verso un protagonismo assoluto. Benché fosse già stato associato al potere dal cugino Ferrantino che deteneva il controllo di Rimini, il M., forse non pago della subalternità a cui era stato relegato, iniziò precocemente a manifestare segni di insofferenza. Egli, però, spalleggiando l'azione del legato Bertrand du Poujet, tesa a debellare gli autonomismi locali, riuscì a perseguire i personali obiettivi di dominio nell'incondizionato rispetto della legalità. Su disposizione dello stesso legato, nell'aprile 1331, Malatestino Novello e Ferrantino furono di fatto banditi da Rimini, mentre un apparente servilismo consentì al M. di ottenere non solo il riconoscimento dei propri incarichi, ma anche la nomina a capitano della guerra. La spaccatura familiare si acuì nei mesi seguenti quando il M. e Galeotto, ligi alla volontà del legato du Poujet, presero d'assedio il castello di Mondaino, dove Malatestino Novello si era arroccato in segno di protesta. Giovanni XXII impartì al legato l'ordine di ristabilire l'intesa tra i contrapposti esponenti del casato, ma la bilancia della Chiesa pendeva inequivocabilmente a favore del M., del quale, di fatto, fu accolta ogni personale istanza.
L'8 maggio 1332 un breve del papa assegnò a una delle sue figlie la dispensa atta a concludere il contratto nuziale con uno degli eredi di Menghino Ondedei, signore di Saludecio, alla cui famiglia apparteneva anche la moglie del M., Costanza. Concessa in sposa al M. intorno al 1320 - al 1323 risale la nascita del primogenito - Costanza, sorella, probabilmente, di Bernardo Ondedei, ebbe due figli maschi, Galeotto detto Malatesta Ungaro e Pandolfo, e quattro femmine: Taddea, Caterina, Melchina e Masia, tutte nominate nel testamento fatto stilare dal padre poco prima della sua morte. Da una Giovanna di ignoto casato il M. aveva già avuto il figlio Leale, poi legittimato.
Al controllo sul feudo di Saludecio, garantito dalla fitta trama di parentele, il M. aggiunse altri importanti riconoscimenti territoriali, anch'essi risalenti all'8 maggio 1332, che concorsero a una solitaria ascesa verso il potere assoluto. La pacificazione in seno al casato era, in effetti, destinata a frantumarsi non appena fossero sfumati gli obiettivi comuni. Il ristabilito equilibrio territoriale, in base al quale Ferrantino aveva preso nuovamente possesso di Rimini e il M. di Pesaro, fu ancora una volta scardinato dalle ambiziose aspirazioni del M. che proprio in questo frangente assunse, a ragione, l'appellativo di Guastafamiglia. Una momentanea assenza di Ferrantino da Rimini indusse ad agire: il 3 giugno 1334, mentre Ostasio da Polenta penetrava furtivamente in città, Ferrantino, Malatestino Novello e Guido (figlio di Pandolfino) furono attirati, con falsi pretesti, nel castello riminese del M. e questo li catturò. Nel frattempo il popolo, evidentemente pilotato dagli accoliti del M., insorse, acclamando lui e il fratello Galeotto signori di Rimini.
L'instaurazione di un regime signorile sovrapposto al Comune giunse a compimento con la riforma degli statuti cittadini (1334) - la più antica redazione statutaria riminese a noi pervenuta -, accuratamente aggiornati in tutte quelle rubriche che avrebbero potuto nuocere all'autorità malatestiana.
Gli unici Malatesta in grado di minacciare l'incontrastata supremazia del M. erano Ferrantino, sopravvissuto alla congiura del 1334, e il nipote omonimo, rifugiatosi a Urbino, che si fecero promotori di una costante ed energica attività di disturbo. Sventato l'ennesimo complotto macchinato dal M. e dal conte Speranza da Montefeltro, indotto al tradimento dalla brama di conquistare Urbino, governata dal cugino Nolfo, nel marzo 1335 Ferrantino Novello e Galasso da Montefeltro sconfissero Guido da Carignano e il M. che, risoluti a impadronirsi di Fano, intendevano eliminare il conte Antoniuccio della Tomba, signore della città.
Nei mesi successivi Ferrantino Novello continuò a osteggiare il M., forte dell'appoggio dei Montefeltro, dei Della Faggiuola e dei Perugini, che avevano da lui ricevuto un sostegno determinante nello scontro con Pier Saccone Tarlati. Il contado di Rimini fu invaso, ma la controffensiva diretta dal M. e da Galeotto permise, all'inizio di settembre, di riconquistare i castelli di Calbana, Calbanella, Ginestreto, Secchiano e Roncofreddo. A una prima, effimera tregua si approdò nel 1335, in virtù della politica conciliatrice caldeggiata dal nuovo papa Benedetto XII che tentava di ricondurre all'ordine Marca e Romagna. Le imprese del M., di Galeotto e di Ferrantino, pertanto, furono per breve tempo frenate dal vincolo di obbedienza prestato a Guglielmo Araldi, eletto alla rettoria di Romagna, personale esecutore di tali obiettivi di pacificazione (1335). Il M., costretto a mutare linea di condotta, riuscì con destrezza a volgere la situazione a proprio favore. Giunto il rettore nei pressi di Fano, egli si affrettò a inviare in loco il figlio Pandolfo che si procacciò la podesteria della città in nome della Chiesa. Accogliendo le istanze di clemenza e liberalità avanzate dal papa, inoltre, il M. decise di scagionare lo stesso Ferrantino, caduto prigioniero del cugino, ottenendo in cambio il castello di Roncofreddo. Congiunte nuovamente le forze, Ferrantino e Ferrantino Novello ripresero con tenacia la lotta, sostenuta dai Montefeltro e dai Perugini, riottenendo il possesso di Mondaino, Montescudo e altri strategici castelli disseminati nel contado riminese. Le inaspettate vittorie e il supporto di 400 cavalieri perugini persuasero Ferrantino Novello a muovere contro Rimini, ma la strenua difesa organizzata dal M., sostenuto da Fiorentini e Polentani, invalidò l'impresa e segnò l'inizio di un progressivo declino per gli oppositori del Malatesta. Questi, forse in previsione del mandato militare affidatogli da Firenze (ottobre 1337), assunse nel frattempo un inconsueto atteggiamento mite e conciliante nei confronti di Ferrantino, con il quale stabilì un accordo di pace ratificato da Mercenario di Monteverde, signore di Fermo. Ma al suo ritorno da Firenze i contrasti si rinfocolarono inducendo il rettore, su disposizione papale, a prendere provvedimenti contro i Malatesta (1339) la cui intraprendenza decisionale osteggiava l'accentramento caldeggiato dalla Chiesa.
Le fortune del M. e di Galeotto intanto prosperavano: nel maggio 1340 la scomparsa di Guido da Carignano consentì ai due di assorbire il dominio diretto su Fano, ampliando sensibilmente il già cospicuo patrimonio di famiglia. L'accrescimento della sfera d'influenza malatestiana destava, soprattutto, le preoccupazioni della S. Sede, allarmata da ogni indebita concentrazione di potere. Pertanto Benedetto XII inviò in Italia Giovanni d'Amelia, nunzio apostolico, che imputò ai Malatesta la responsabilità di avere indebitamente usurpato alla Chiesa le città di Pesaro, Fano e Fossombrone, intimandone l'immediata restituzione. Incurante delle ingiunzioni pontificie, il M., alleato con Ordelaffi e Polentani, nel luglio 1340 diresse un'offensiva ai danni di Urbino, il cui fallimento virò le operazioni contro il castello di Mondaino occupato da Ferrantino Novello. In aiuto di Ferrantino Novello assediato, Perugia e i Montefeltro misero a disposizione un nutrito contingente di armati al seguito di Giovanni da Santa Croce, ufficiale di Ubertino da Carrara. Il M., duramente sconfitto, fu privato di vasti territori e mise a repentaglio la stessa città di Rimini che, rimasta sguarnita, avrebbe sofferto l'assalto degli avversari se non fosse tempestivamente intervenuto Obizzo d'Este. Fiaccati entrambi dalle estenuanti lotte, Ferrantino e il M. concordarono, su proposta di Obizzo d'Este e Ubertino da Carrara, una tregua, formulata in modo da assegnare ai due contendenti il dominio dei territori detenuti rispettivamente all'atto della riconciliazione (1337). Ferrantino conservò la giurisdizione su Verucchio, Mondaino e Serravalle, mentre Rimini, Pesaro e Fano rimasero pertinenza esclusiva del M. e di Galeotto.
La situazione, comunque, continuò a essere connotata dalla precarietà e da antagonismi mai sopiti. Nel gennaio 1342 il M. e Galeotto, spalleggiati da Imolesi, Forlivesi e Ravennati, assediarono il castello di Verucchio che un mese più tardi capitolò, relegando Ferrantino, possessore ormai della sola Mondaino, a un'irreversibile condizione di inferiorità. Impegnato, nel medesimo frangente, con i Fiorentini nella guerra contro i Visconti per il controllo su Lucca, il M., in qualità di capitano generale delle milizie, diresse le operazioni militari sino al luglio 1342, quando, senza avere riscosso successi, deposto l'incarico, fece ritorno a Rimini.
Le vicende familiari tornarono, allora, in primo piano e il M., ricorrendo ancora una volta alla forza, riuscì a imporsi definitivamente sul cugino Ferrantino. Assoldata la compagnia di Guarnieri di Urslingen che scorazzava in Italia centrale alle dipendenze del signore di Milano Luchino Visconti, il M. riconquistò Fano, sottrattagli da alcuni facinorosi, e si volse nuovamente contro il castello di Verucchio in cui Ferrantino era tornato a dirigere la resistenza. La capitolazione fu inevitabile: il 25 maggio 1343, pertanto, alla corte dei conti Galasso e Nolfo da Montefeltro, il M. e Galeotto, da una parte, e Ferrantino, dall'altra, sanarono l'annosa inimicizia ricucendo la profonda spaccatura familiare. La trattativa, benché rimangano ignote le clausole del trattato, favorì senza dubbio il M. e Galeotto ai quali fu riconosciuta l'assoluta giurisdizione su Rimini e distretto, compresi i ragguardevoli feudi di Verucchio e Saludecio. Ferrantino, confinato a Mondaino, trasferì la propria residenza a Urbino presso l'omonimo nipote consentendo al M., nel febbraio 1348, di annettere anche questo possedimento entro i confini della personale signoria.
Il M. e Galeotto, ormai titolari di un potere legittimo ed esclusivo, assunsero nei confronti della Chiesa un atteggiamento discontinuo in stretta relazione con i mutevoli interessi del casato. Il solenne atto di sottomissione al legato, proferito dai due Malatesta nel giugno 1343, fu presto disatteso dal M. che, assoldato dagli Anconetani, nella primavera 1347 mosse guerra e assoggettò la città di Osimo facente notoriamente parte delle terre alle dirette dipendenze della S. Sede. A dispetto della dichiarata opposizione di papa Clemente VI, inoltre, nel 1343 i Malatesta accettarono la nomina di vicari imperiali per le città di Pesaro, Fano e Rimini, mandato direttamente conferito dall'imperatore Ludovico IV di Baviera in stanza in Italia. Il dissidio con la S. Sede si esacerbò ulteriormente a seguito dell'intransigente linea politica adottata dal nuovo rettore, Astorge de Durfort, che tentò in armi di soggiogare la Romagna percorsa dalle tradizionali correnti centrifughe e dall'incombente minaccia viscontea. Affatto divergente la determinazione dei Malatesta che, in piena fase espansionistica, tra fine 1348 e inizio 1349 continuarono indisturbati a consolidare, sotto la saggia direzione del M., la propria signoria nella Marca con i centri di Pesaro, Fano, Fossombrone, Iesi, Senigallia, Osimo, Cingoli, Fermo e Recanati, divenuti la principale succursale dei domini malatestiani.
Nell'ottobre 1354 l'atteggiamento dei due Malatesta indusse il rettore Egidio de Albornoz a condannare Galeotto e il M. in contumacia e a scomunicarli. La tensione, che sembrava preludere a uno scontro armato fra i Malatesta e le milizie papali, persuase, forse, il M. a prendere accordi con Cola di Rienzo, impegnato nell'opera di riconquista del territorio patrocinata dalla S. Sede. Il timore del M. era, del resto, fondato e nell'aprile 1355, mentre l'esercito pontificio invadeva il contado riminese ponendo d'assedio la stessa Rimini, Galeotto, trincerato presso il castello di Paderno, fu catturato dall'Albornoz e condotto in catene a Gubbio. Piegato dalla delicata congiuntura ad atteggiamenti ben più concilianti, il M. raggiunse il fratello nella città umbra risoluto ad accordarsi. Il 2 giugno 1355 furono stipulati i capitoli di pace con l'Albornoz, tramite i quali i Malatesta ottennero la concessione decennale del vicariato apostolico su una vasta signoria comprendente Rimini, Pesaro, Fano e Fossombrone con i relativi distretti e contadi, benché il pagamento del censo annuale e l'obbligo di prestazioni militari ponessero in evidenza la nominale appartenenza di tali territori alla S. Sede.
Calati prontamente nel ruolo di paladini della Chiesa, i Malatesta parteciparono senza esitazione alla crociata contro gli Ordelaffi, indetta dall'Albornoz nel 1356. Il legame di stretta collaborazione instauratosi con il legato indusse il M. a scortare l'Albornoz nel viaggio di ritorno verso la Francia, intrapreso nel settembre 1357. Al cospetto della Curia avignonese il M. fu ricompensato dei propri servigi con nuove concessioni, che gli consentirono di cumulare un secondo vicariato di sette anni e mezzo, confermato tramite lettera papale l'8 genn. 1358, su numerosi territori e castelli dei comitati di Rimini, Fano, Fossombrone per un censo annuo di 300 fiorini d'oro e un servizio trimestrale di 50 fanti.
Il M., in procinto di passare in consegna ai propri discendenti l'eredità di famiglia, fornì l'ultima dimostrazione di rispetto e fedeltà all'Albornoz, tornato in Italia per debellare definitivamente Ordelaffi e Visconti. L'intervento malatestiano si rivelò ancora una volta determinante nello scontro conclusivo sostenuto dalle truppe del legato a ponte San Ruffillo in prossimità di Bologna (20 giugno 1361). Due lettere pontificie, direttamente recapitate al M. e Galeotto nel luglio 1362, elogiarono con entusiasmo le gloriose imprese malatestiane che contribuirono, senza dubbio, alla riconferma dei precedenti vicariati (1355, 1358), ratificata nel febbraio 1363 dal nuovo pontefice Urbano V.
Il 15 ag. 1364 il M., gravemente ammalato, fece redigere le ultime volontà per mano del notaio riminese Cernolino di Cernolo, nominando esecutore testamentario il fratello Galeotto, al quale aveva già ceduto la signoria di Rimini (ottobre 1363), ed eredi universali i figli Pandolfo e Galeotto detto Malatesta Ungaro (testamento in Cardinali, 2000, pp. 151-166). Il M. morì a Rimini il 27 ag. 1364.
Sulla tomba edificata, secondo le sue disposizioni testamentarie, nella chiesa dei frati minori di Rimini fu scolpita, con ogni probabilità, un'iscrizione di Cecco di Meleto Rossi da Forlì, di cui, tuttavia, non si conserva memoria documentaria. La notizia è desumibile da un'epistola di F. Petrarca (10 ott. 1364), interpellato dai figli del M. per assicurare al padre, attraverso un epitaffio metrico di celebre mano, la meritata commemorazione. Petrarca, declinando la richiesta per motivi di salute, scrisse ai due Malatesta parole cariche di affetto e familiarità, esaltando in un breve panegirico la figura e la vita del loro padre (Weiss, p. 88).
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