Malaria
La malaria, termine che deriva dall'italiano 'mala aria' ed è stato adottato nella letteratura medica internazionale, è una malattia infettiva causata da quattro distinti protozoi del genere Plasmodium (falciparum, vivax, ovale, malariae), trasmessi all'uomo con la puntura di zanzare del genere Anopheles. Se A. Laveran individuò il parassita nel sangue umano (1880) e R. Ross (1898) indicò per primo, relativamente a un parassita della malaria degli Uccelli, il vettore nelle zanzare, tuttavia il dottrinario odierno sulla malattia si deve alle sistematiche e approfondite ricerche parassitologiche, entomologiche, cliniche e anatomopatologiche condotte alla fine dell'Ottocento da studiosi italiani: E. Marchiafava, C. Golgi, G.B. Grassi, A. Bignami. Il quadro clinico della malaria esordisce acutamente con febbre accompagnata da brividi e sudorazione; la febbre decorre inizialmente in modo irregolare e solo dopo una settimana tende a ripetersi con accessi periodici, distanziati tra loro di 48 ore (malaria terzana) o di 72 ore (malaria quartana). Nei soggetti che non abbiano ancora raggiunto un livello immunitario protettivo, la malaria da Plasmodium falciparum (malaria-falciparum) tende a evolvere in forma grave, da cui la definizione di terzana maligna e la denominazione di malaria perniciosa riservata ai casi più severi e complicati.
I quattro plasmodi patogeni per la nostra specie sono parassiti dixeni, parassiti cioè che compiono il loro ciclo biologico in due ospiti diversi: in parte nell'uomo o in altri Vertebrati (ciclo schizogonico) e in parte in Anopheles (ciclo sporogonico). Le zanzare femmine devono assumere alcuni pasti ematici per portare a termine l'ovoposizione; quando pungono un individuo nei cui globuli rossi sia presente il parassita allo stadio di gametocita, quest'ultimo si sviluppa nell'insetto raggiungendo lo stadio di sporozoita, a sua volta infettivo per l'uomo. Nell'uomo, gli sporozoiti iniettati nei capillari raggiungono il fegato e penetrano negli epatociti dove compiono il ciclo pre-eritrocitario (o fase eritrocitica), che culmina con la rottura dell'epatocita e la liberazione di migliaia di merozoiti (parassiti figli). Questi, a loro volta, entrano nei globuli rossi e iniziano la fase eritrocitaria (o eritrocitica), responsabile delle manifestazioni cliniche e che porta alla lisi del globulo rosso e alla formazione e liberazione di numerosi merozoiti emotropi, i quali invadono altri globuli rossi. La fase eritrocitaria si ripete ciclicamente fintanto che i processi difensivi dell'ospite (o l'opportuna terapia) interrompono la moltiplicazione del parassita. Nei globuli rossi si formano anche i gametociti destinati a infettare Anopheles. Quando sono in causa Plasmodium vivax e Plasmodium ovale, alcuni sporozoiti non completano rapidamente il ciclo pre-eritrocitario e rimangono a lungo in fase di latenza biologica negli epatociti (ipnozoiti): la loro reviviscenza dopo vari mesi (da circa 3 a oltre 36) produce nuovi episodi di malattia (recidive malariche). I principali chemioterapici impiegati nella malaria hanno effetto soppressivo in quanto azzerano i parassiti in fase eritrocitaria, ma sono inefficaci sugli ipnozoiti. Tanto Plasmodium falciparum quanto Plasmodium malariae non generano ipnozoiti, pur provocando nuovi episodi a distanza da quello acuto iniziale: ne sono all'origine plasmodi eritrocitari, la cui penetrazione e moltiplicazione nei globuli rossi è contenuta dai processi immunitari che, in questa evenienza, non riescono a produrre una completa sterilizzazione. Le ricorrenze di Plasmodium falciparum e Plasmodium malariae sono definite recrudescenze.
Secondo i dati dell'OMS (Organizzazione mondiale della sanità) ancora 2300 milioni di persone vivono in aree geograficamente a rischio di malaria e, tra queste, ogni anno si verificano circa 300 milioni di episodi di malaria con oltre 2 milioni di decessi; la maggioranza della morbosità e della letalità colpisce l'Africa tropicale per la carenza di misure igieniche di controllo ambientale e per l'indisponibilità di farmaci curativi. Alcune regioni italiane hanno rappresentato un luogo di alta endemia malarica fino all'immediato dopoguerra, con ben 800.000 casi di malatia nel biennio 1946-47. La completa eradicazione è stata ottenuta nel periodo 1947-51, a seguito della campagna sistematica di lotta antianofelica basata sull'impiego dell'insetticida DDT. I casi attualmente denunciati, intorno ai 700-800 ogni anno, sono da importazione: in altre parole, la malaria viene contratta all'estero ed entra nel nostro paese con gli immigrati stranieri e con i connazionali recatisi, per turismo o per ragioni di lavoro, in zone di endemia. Rari i casi da siringa (tossicodipendenti), da trasfusione (donatore infetto), da aeroporto o da bagaglio (anofele esotici 'clandestini' aerotrasportati). Peraltro esistono ancora Anopheles indigeni potenzialmente vettori per Plasmodium vivax e, nel 1998, sono stati individuati due casi di malaria da reimpianto nel Grossetano (in successione: persone provenienti dall'India con gametociti di Plasmodium vivax, anofele locali, infezione di connazionali residenti). L'epidemiologia classifica i seguenti quattro distinti tipi di malaria:1) malaria ipoendemica (basso livello di trasmissione; meno del 10% degli abitanti sono parassitati; la malattia non costituisce un serio problema sanitario); 2) malaria mesoendemica (intensità variabile della trasmissione; parassitati tra il 10% e il 50% degli abitanti; tipica di piccole comunità rurali in zone subtropicali; rappresenta un importante problema sanitario); 3) la malaria iperendemica (intensa trasmissione stagionale; parassitati tra il 51% e il 75% degli abitanti; non si raggiunge un grado elevato di immunità protettiva; pesanti conseguenze sulla salute della popolazione); 4) malaria oloendemica (intensa trasmissione lungo tutto l'anno; parassitati oltre il 75% degli abitanti; alla pubertà si raggiunge un elevato livello di immunità protettiva; influenza pesantemente la mortalità infantile). L'impatto con la popolazione, protratto attraverso i millenni, ha favorito il prevalere di alcune mutanti genetiche che facilitano la sopravvivenza nei confronti di Plasmodium falciparum, come sembra dimostrato per gli eterozigoti per l'emoglobina S in Africa occidentale, per i portatori della tara talassemica e della carenza di glucosio-6-fosfato-deidrogenasi.
Nelle zone di elevata endemia la morbosità e la letalità interessano i bambini fino all'adolescenza, quando, a seguito di ripetute infezioni, viene raggiunto un livello protettivo di immunità specifica. Tale protezione, se non consolidata da nuove inoculazioni del parassita, risulta spesso incompleta e sempre decade dopo 1-2 anni di permanenza in area indenne. Per questi motivi è stata indicata come immunità concomitante o semimmunità. Il rischio di complicazioni è aumentato dagli stati di immunodeficienza (splenectomia, immunodepressione da farmaci), ma non da una preesistente infezione da HIV. I plasmodi, moltiplicandosi nei globuli rossi, li lisano, generando un'anemia acuta da ipoglobulia, cui consegue ipossia dei tessuti. Negli episodi gravi, cioè nella malaria-falciparum, due ulteriori momenti di danno contribuiscono a rendere severo il quadro clinico: l'eccessiva produzione di citochine proflogistiche (interleuchina-1, interleuchina-6, TNF, Tumor necrosis factor) che realizzano la perniciosità, sia direttamente sia attraverso l'induzione di prostaglandine, leucotrieni, radicali reattivi dell'ossigeno, monossido d'azoto; l'ostruzione dei capillari che, per la proprietà che acquistano i globuli rossi parassitati da Plasmodium falciparum di aderire agli endoteli, ostacola l'apporto di ossigeno e metaboliti agli organi, e in particolare al sistema nervoso centrale, fino a realizzare l'encefalopatia malarica (malaria cerebrale) o una sindrome di insufficienza d'organo mono- o multidistrettuale. L'accesso febbrile coincide con l'emolisi parassitaria dei globuli rossi: dapprima disordinata, essa diviene regolarmente periodica quando tutti i parassiti sincronizzano il ciclo di sviluppo eritrocitario; a tale allineamento contribuisce la febbre che blocca le forme eritrocitarie in fase di trofozoite maturo.
L'incubazione viene fissata tra gli 8 e i 30 giorni con alcune eccezioni: infatti, una chemioprofilassi non corretta può ritardare l'esordio e inoltre la pratica di una profilassi corretta, condotta con i farmaci di abituale impiego, non colpisce gli ipnozoiti di Plasmodium vivax e di Plasmodium ovale, la cui eventuale e tardiva reviviscenza rimanda di vari mesi il primo e palese episodio clinico. La febbre che accompagna l'episodio iniziale decorre irregolarmente durante la prima settimana, per poi assumere la tipica cadenza di terzana o quartana. Ciascun episodio esordisce con brivido squassante e rialzo febbrile che in un'ora raggiunge i 39-40 °C; dopo 6-8 ore di febbre elevata segue la crisi spontanea, con caduta rapida della temperatura e sudorazione profusa. Segni costanti sono: l'anemia di vario grado; la moderata splenomegalia; la comparsa di herpes labialis; una modesta linfomonocitosi nel sangue periferico. Comuni i sintomi funzionali tossinfettivi: cefalea; lieve obnubilamento; astenia; dispepsia. Il decorso naturale della malattia prevede, in caso di guarigione, la cessazione degli accessi in 2-4 settimane. Quando la cura non risulti radicale, le ricorrenze cliniche sono comuni dopo 8-30 settimane dall'episodio iniziale; si presentano sin dall'inizio con accessi febbrili periodici, tendono a risolversi in 2-3 settimane, ma si ripetono di solito per 2-4 anni per la malaria-falciparum, la malaria-vivax, la malaria-ovale, mentre più a lungo, persino 40 anni, per la malaria quartana. Si indica come terzana maligna la malaria da Plasmodium falciparum, che facilmente evolve in modo severo e complicato (malaria perniciosa). Laddove sia ancora intensa la diffusione, essa incide sulla mortalità infantile e nell'Africa tropicale provoca la morte del 5% dei bambini nei primi 5-6 anni di vita, a causa della mancata applicazione di misure preventive e della carenza dei farmaci salvavita. Come i bambini indigeni, anche gli individui pienamente suscettibili, in quanto provenienti da zone esenti, rischiano di contrarre una malaria-falciparum con esito infausto.
Una malaria perniciosa è contraddistinta dalla presenza di una delle seguenti manifestazioni, peraltro spesso associate: anemia intensa con valori emoglobinici di 5g/µl o meno; encefalopatia malarica con ripetuti episodi convulsivi e rapida evoluzione verso il coma cerebrale, manifestazione che costituisce il motivo principale di morte nei soggetti ospedalizzati; ipoglicemia con acidosi metabolica; insufficienza renale acuta; improvvisa comparsa di intensa dispnea (distress respiratorio), edema polmonare; stato di shock con disfunzione multiviscerale; coagulopatia intravasale disseminata con profuse emorragie. Forme particolari sono: la malaria congenita, contratta in utero o nel periodo perinatale, inattesa e con manifestazioni gravi (disturbi digestivi, respiratori, neurologici ed emorragie); la malaria infantile, con presenza di vomito, diarrea, convulsioni; la malaria in soggetti semimmuni, cioè negli abitanti delle aree di alta endemia a partire dalla terza infanzia/pubertà, i cui sintomi e i segni sono meno intensi e gli episodi più brevi. Particolari difficoltà di orientamento diagnostico e d'impostazione differenziale si incontrano nella malaria da trasfusione (da donatore parassitato), da siringa (in genere nei tossicodipendenti) e nelle forme criptiche (da aeroporto, da bagaglio, da reintroduzione in area indenne).
Spesso letale è la blackwater fever, provocata da Plasmodium falciparum in soggetti non immuni, a lungo residenti in area endemica, trattati con chinino. Infine, se a ripetute e frequenti infezioni malariche non fa seguito l'acquisizione di solida immunità difensiva, può insorgere una malaria cachettizzante, lentamente progressiva (malaria cronica progressiva), oppure una splenomegalia iper-reattiva, con milza che raggiunge grandi dimensioni. In queste forme rimane dubbia l'efficacia dei chemioterapici. La malaria è stata definita 'il grande mimo', per la capacità di simulare quadri febbrili acuti di qualsiasi altra origine: ne consegue che, nei paesi di endemia, ogni febbre deve essere inizialmente considerata malarica, fino a prova contraria. In Italia, così come nelle zone esenti, l'ipotesi non deve essere trascurata in tutti i soggetti che hanno da poco soggiornato nelle aree dove la malaria è presente; in questi pazienti è tassativo eseguire immediatamente gli opportuni accertamenti. Il test discriminante classico comporta l'attento esame microscopico dei preparati di sangue periferico (goccia spessa e striscio sottile colorati con il Giemsa) da parte di personale esperto. Allo scopo di facilitare il riscontro diagnostico, sono stati realizzati dei kit commerciali che comportano l'osservazione microscopica (impregnazione degli acidi nucleici con arancio di acridina), oppure l'identificazione colorimetrica di particolari antigeni o enzimi di Plasmodium falciparum e di Plasmodium vivax.
Negli ultimi decenni del 20° secolo il Plasmodium falciparum ha acquisito la resistenza nei confronti di diversi chemioterapici, in primo luogo verso la clorochina, che precedentemente aveva rappresentato l'antimalarico per eccellenza. Le indicazioni di seguito esposte tengono conto dei farmaci che vengono attualmente utilizzati con successo. Per la malaria benigna (terzana benigna da Plasmodium vivax, terzana benigna mite da Plasmodium ovale, quartana da Plasmodium malariae) rimane pienamente efficace la clorochina, che possiede il pregio della atossicità e della somministrabilità per via orale. Nella terzana benigna la clorochina sopprime l'episodio iniziale e le recidive in atto, ma non previene queste ultime, in quanto non agisce sugli ipnozoiti. La terzana maligna da Plasmodium falciparum è curata con: 1) meflochina per via orale, che può facilitare l'insorgenza di crisi psicotiche e va evitata negli epilettici e nei cerebropatici; può interferire con i cardiocinetici e gli antiaritmici, ed è controindicata in gravidanza; 2) alofantrina orale, che essendo un farmaco privo di azione a lungo termine deve essere ripetuta dopo una settimana, va usata con cautela nei cardiopatici ed è controindicata in gravidanza; 3) chinino per via orale (nelle forme gravi e quando la parassitemia raggiunge il 5% viene utilizzata la via endovenosa per fleboclisi lenta e refratta), che provoca cinconismo transitorio (cioè intossicazione che si manifesta con ronzii, ipoacusia, cefalea). La febbre e lo stato tossinfettivo si avvalgono dei comuni antipiretici e, nei casi complicati, si ricorre a ogni utile trattamento di supporto, fino al ricovero presso reparti di terapia intensiva e rianimazione e all'impiego della dialisi e della exsanguino-trasfusione. A fini preventivi, nelle zone di endemia è necessario ridurre il contatto, utilizzando le comuni prevenzioni di coprire le parti dell'epidermide usualmente esposte e di usare repellenti.
Accanto alle norme igieniche sopra indicate e in attesa della messa a punto di un vaccino efficace, i viaggiatori in zone malariche hanno due alternative: 1) non praticare alcuna profilassi, ripromettendosi, in caso di febbre insorta durante il viaggio o dopo il rientro, di procedere subito agli accertamenti, ricorrendo all'assistenza medica, o quando ciò sia impossibile, di iniziare l'autoterapia con meflochina o alofantrina o derivati della Artemisia annua; 2) praticare la chemioprofilassi, a decorrere da una settimana prima della partenza fino alla quarta settimana (compresa) dopo il rientro, con clorochina o proguanil o meflochina o doxiciclina, a seconda della zona visitata. Gli schemi sono prescritti dal medico curante che conosce, nel singolo paziente e in rapporto all'età, i farmaci utilizzabili e il loro preciso dosaggio, con l'avvertenza che mentre la clorochina può essere assunta continuativamente anche per 6-12 mesi, gli altri farmaci non andrebbero somministrati oltre 2-3 mesi.
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