MALABARICI e CINESI, RITI
. Con questi nomi sono designati, rispettivamente, taluni accomodamenti e concessioni a costumi e idee locali, che per facilitare l'opera missionaria furono adottati primamente dai gesuiti Matteo Ricci (v.) in Cina e Roberto De Nobili (v.) in India, a Madura (dunque, non propriamente nel Malabar).
Contro questi accomodamenti protestarono il domenicano Giovanni Battista Morales e il francescano fra Antonio da S. Maria, che, recatisi in Cina nel 1633, ne vennero espulsi nel 1637, mentre le missioni della Compagnia di Gesù poterono continuare l'opera loro. Le proteste, che riguardavano soprattutto la tolleranza di talune onoranze rese agli antenati defunti, in cui si poteva scorgere il carattere di un vero e proprio culto, e il modo di designare Dio con appellativi, quali "Cielo", che potevano prestarsi ad equivoci, diedero luogo a due decreti del S. Uffizio, che sui dubbî diversamente formulati sottoposti dal Morales stesso e poi dal gesuita Martino Martini si pronunciava nel 1645 e nel 1656 in favore del primo e del secondo; confermando nel 1669 l'una e l'altra decisione.
Intanto, erano già cominciate proteste contro il De Nobili, che dapprima ebbe contrario anche R. Bellarmino, ma poi poté rispondere agli appunti, sì che Gregorio XV con la costituzione Romanae sedis antistes del 31 gennaio 1623, pure inclinando a un certo rigore, lasciava le cose come stavano fino a un nuovo giudizio della Santa Sede.
La questione dei "riti cinesi" riprendeva allorché si recavano in Cina i missionarî francesi della Société des missions étrangères e Ch. Maigrot, vicario apostolico di Fu-kien, il 26 marzo 1693 condannava tali pratiche. Della questione s'impadronivano in Europa gli avversarî dei gesuiti, accendendosi così una lunga controversia in cui si segnalavano il domenicano D. Fernández Navarrete, il gesuita M. Le Tellier (la cui Défense des nouveaux chrétiens, del 1687, era censurata a Roma nel 1694) e altri. Sulla questione veniva chiamato a pronunciarsi il S. Uffizio, che la discuteva a lungo.
Intanto, essendosi riaccesa la controversia anche in India, a Pondichéry, dove l'opera missionaria tra gl'indigeni era stata affidata ai gesuiti togliendola ai cappuccini, questi protestarono presso la Santa Sede. La quale inviò in India e in Cina, con il titolo di legato a latere, il patriarca di Antiochia, Carlo Tommaso Maillard de Tournon (v.), piemontese. Questi il 23 giugno 1704 pubblicava il suo giudizio, con il quale condannava 16 pratiche. Poi si recava in Cina; espulso da Pechino, pubblicava a Nanchino un decreto di condanna dei riti cinesi; fatto cardinale (1707), moriva prigioniero a Macao l'8 giugno 1710. I suoi decreti, benché corrispondessero alle decisioni prese a Roma e a lui già note, sollevarono aspra opposizione. Circa i riti malabarici, anzi, si ebbe una conferma da parte del S. Uffizio (7 gennaio 1706); quindi un oraculum vivae vocis di Clemente XI; avendo poi questo, riferito in India, suscitato l'impressione che il decreto fosse stato ritirato, il papa inviò il 17 settembre 1712 un nuovo breve di conferma (Non sine gravi) al gesuita portoghese F. Laynes vescovo di Cochin, ed emanava, circa i riti cinesi, la costituzione Ex illa die, del 19 marzo 1715. Le discussioni, vivacissime, continuarono ancora. In Cina venne mandato il patriarca d'Alessandria, Alessandro Mezzabarba, che, nell'intento di ristabilire la pace, in una lettera pastorale del 4 novembre 1721, stabiliva otto eccezioni o "permessi". Circa i riti malabarici, Benedetto XIII ingiungeva (12 dicembre 1727) l'esecuzione completa del decreto del Maillard de Tournon; Clemente XII, fatta riesaminare la questione dal S. Uffizio, ne approvava le decisioni con il breve Compertum - sempre di condanna - del 24 agosto 1734, e il 13 maggio 1739 con il breve Concredita nobis faceva giurare di osservarlo. Benedetto XIV con le costituzioni Ex quo singulari dell'11 luglio 1742 e Omnium sollicitudinum del 12 settembre 1744 condannava in maniera definitiva i "riti cinesi" e i "malabarici", terminando la lunga controversia.
Bibl.: J. Brucker, Chinois (rites), in Dict. de théol. cathol., II, ii; E. Ammann, Malabares (rites), ibid., IX, ii.