Magnetismo
(XXI, p. 922; App. II, ii, p. 243; III, ii, p. 7)
Magnetismo terrestre
Attualmente questo settore della geofisica è chiamato anche, e spesso a preferenza, geomagnetismo. La prima trattazione della voce Magnetismo terrestre nella Enciclopedia Italiana (XXI, p. 928) delinea le conoscenze che sul campo magnetico terrestre (in seguito c.m.t.) si avevano nei primi anni Trenta del 20° sec., articolate in sezioni riguardanti, nell'ordine, la morfologia del campo e le idee sulla sua origine, i metodi di misurazione delle grandezze rappresentative del vettore del campo (cosiddetti elementi del c.m.t.), la rappresentazione grafica del campo mediante carte di isolinee dei detti elementi, le variazioni di questi ultimi nel tempo. A tali variazioni sono dedicati gli aggiornamenti delle App. II (ii, p. 250) e III (ii, p. 9), rispettivamente per gli anni 1938-48 e 1949-60; in quest'ultima voce sono anche accennate le teorie, allora appena proposte, che ponevano la causa originale del c.m.t. nel nucleo fluido della Terra. Dagli anni Sessanta sono cambiate notevolmente le tecniche di osservazione e di misurazione (effettuate anche con strumenti portati da veicoli spaziali), alcuni risultati delle quali hanno messo in crisi precedenti procedimenti descrittivi e modelli del geomagnetismo che si ritenevano sufficientemente consolidati. Si sono così verificati, nelle varie sottodiscipline attinenti al c.m.t., processi di adattamento al nuovo o, più spesso, di costruzione dal nuovo che hanno interessato un lungo periodo di vivace dibattito e che stanno portando a una profonda evoluzione di quella che si può chiamare la filosofia di base della rappresentazione del campo magnetico terrestre.
Tecniche di misurazione degli elementi del campo magnetico terrestre
La metrologia geomagnetica, relativamente sia alla definizione degli elementi del campo sia ai procedimenti di misurazione e di elaborazione delle misure, si può ritenere completamente sviluppata già all'inizio del 19° sec., e nella forma allora assunta si mantenne all'incirca fino al 1960.
Nel passato l'intensità del c.m.t. e il valore delle sue componenti erano espresse in unità CGSem, e precisamente in gauss (simb.: G); in ciò la metrologia geomagnetica differì, da un certo punto in poi, dall'uso corrente fisico, che avrebbe voluto l'oersted (simb.: Oe) e non il gauss (questione puramente nominalistica, dato che nel vuoto e, con ottima approssimazione, anche nell'aria, le misure geomagnetiche nelle due unità CGSem coincidono in valore). Unità corrente, specialmente per le variazioni del campo, era il gamma (simb.: γ), pari a 10⁻⁵ gauss. Con il duplice avvento, nei tardi anni Sessanta, delle unità del Sistema internazionale (SI) e dell'induzione in sostituzione dell'intensità come grandezza qualificativa del vettore del c.m.t., l'unità geomagnetica di base divenne il tesla (T), con il nanotesla (nT, pari a 10⁻⁹ T), come sottomultiplo corrente; una felice circostanza è costituita dal fatto che il vecchio gamma e il nuovo nanotesla coincidono in valore, per cui tutte le misure espresse in γ sono direttamente leggibili come espresse in nT, potendosi così utilizzare senza alcuna ulteriore elaborazione gli archivi metrologici geomagnetici del passato.
La scelta degli elementi scalari per definire il vettore del c.m.t. F (che, come ricordato sopra, era l'intensità e oggi è l'induzione) fu determinata dagli strumenti disponibili a quell'epoca, che erano basati sull'uso appropriato di un ago magnetico (nella sua forma tipica, un cilindretto di acciaio magnetizzato, lungo circa 5 cm e del diametro di circa 5 mm).
Lo strumento principale delle misurazioni geomagnetiche fu, a partire dalla metà del 19° sec. il magnetometro ad ago, poi chiamato teodolite magnetico; esso è costituito da un ago magnetico portato da un filo di sospensione privo di apprezzabile elasticità di torsione contrappesato in modo da poter ruotare liberamente nel piano orizzontale, che quindi si porta nel piano del meridiano magnetico locale (il piano individuato dalla direzione di F e dalla verticale locale); la direzione dell'ago è quella al Nord magnetico e quindi, con riferimento a una mira da cui dedurre la direzione del Nord geografico, misura indirettamente la declinazione magnetica, D (l'angolo tra le due direzioni ora dette), cosicché lo strumento è di per sé un declinometro magnetico. Munendo tale strumento di un secondo ago magnetico orizzontale (ago deflettore) in posizione fissa ortogonale a una trentina di centimetri dall'ago mobile, dalla posizione assunta da quest'ultimo come posizione di equilibrio tra la coppia dovuta al c.m.t. e quella dovuta al campo dell'ago deflettore si deduce la misura della componente orizzontale, H, di F. Come terzo elemento scalare era usata l'inclinazione di F sul piano orizzontale, I, che fu misurata in un primo tempo mediante un inclinometro ad ago, costituito da un ago magnetico vincolato in modo da poter ruotare liberamente nel piano, verticale, del meridiano magnetico locale; successivamente, fu usato uno strumento più accurato, basato sull'induzione elettromagnetica subita da una piccola bobina piatta fatta ruotare nel campo ed effettuando la misurazione dell'assetto dell'asse di rotazione quando la corrente indotta risultava nulla, ciò corrispondendo al parallelismo tra il detto asse e il vettore del campo F.
Dai valori misurati dei tre elementi declinazione D, componente orizzontale H, inclinazione I (cosiddetto sistema DHI) possono essere ricavati, mediante relazioni molto semplici, il modulo del campo (intensità totale, F) e qualsiasi altra componente, in particolare le tre componenti nel riferimento cartesiano locale con origine nel generico punto di interesse, asse x orizzontale e diretto al Nord geografico, asse y orizzontale all'Est, asse z verticale verso il basso; queste componenti cartesiane (X,Y, Z) avevano e hanno grande importanza perché a esse si fa capo nel procedimento di analisi armonica del campo. L'accuratezza delle misure ottenute con gli strumenti sopra descritti è piuttosto grande: nella versione, di grande qualità costruttiva, usata negli Osservatori magnetici essa è dell'ordine di 1 nT per l'elemento lineare H e di 0,1′ (≈3 10⁻⁵ rad) per gli elementi angolari D e I; per le componenti cartesiane dedotte da tali elementi l'accuratezza è di 1 nT per X e Y, ma diminuisce a 4 nT per Z. Accuratezza minore, per un fattore tra 2 e 10, si ha con strumenti portatili, per misurazioni di campagna. Si tratta comunque di strumenti di costruzione e manutenzione molto delicata, quindi molto costosi, e inoltre di lungo e complesso maneggio (una misurazione completa dei tre elementi D, H, I con tali strumenti in un Osservatorio magnetico, cioè quando è richiesta la massima accuratezza, richiede qualche ora).
Negli anni Sessanta e Settanta furono introdotti vari altri strumenti di concezione completamente diversa, in quanto basati su fenomeni fisici di recente scoperta: magnetometri a precessione nucleare, a saturazione magnetica, a pompaggio ottico (o a rubidio), a effetto Josephson (o SQUID, Superconducting Quantum Interference Device, dispositivo quantistico superconduttore a interferenza); di essi sono entrati nell'uso corrente soltanto i primi due (gli altri sono riservati a misurazioni speciali, cioè non di routine nel geomagnetismo).
Il magnetometro a precessione nucleare, o a protoni, entrò nell'uso intorno al 1960 e divenne in pochi anni lo strumento principale della geomagnetometria terrestre, cioè per le misurazioni del c.m.t. effettuate sulla superficie della Terra.
È costituito (fig. 1) di un piccolo solenoide rettilineo (bobina) che contiene al suo interno, in un recipiente cilindrico di vetro, un liquido fortemente idrogenato, qual è, tipicamente, l'acqua chimicamente pura, da vedersi come una sorta di 'soluzione' di protoni (gli ioni H⁺ derivanti dalla dissociazione ionica del liquido), che sono dotati di momento magnetico; tale sensore viene disposto con il suo asse all'incirca nella direzione Est-Ovest locale e nella bobina viene inviata per qualche secondo una corrente elettrica continua, che genera un campo magnetico P (campo di polarizzazione) piuttosto intenso (qualche centinaio di volte più intenso del c.m.t.) il quale orienta (in media) una certa parte dei protoni parallelamente all'asse della bobina; interrotta tale corrente, resta attivo il solo c.m.t., F, con la direzione del quale, ortogonale rispetto al precedente campo di polarizzazione, sono sollecitati ad allinearsi i detti protoni precedentemente polarizzati; questi si portano su tale direzione non direttamente ma con un moto di precessione conico intorno a essa (v. ancora fig. 1); la frequenza di tale precessione fp è legata, tramite il rapporto giromagnetico del protone, al modulo F del c.m.t., risultando F/fp=23,4874 nT/Hz; il moto di precessione dei protoni si mantiene come moto d'insieme per pochi secondi (poi le collisioni per agitazione termica fanno venire meno la coerenza) e in questo intervallo di tempo si manifesta ai capi della bobina una tensione indotta alternata misurabile (qualche μV), in quanto ogni protone in precessione equivale a un magnetino lineare che ruoti in un piano contenente l'asse della bobina; in definitiva, la misura di F è facilmente derivabile da quella della frequenza del segnale di precessione, che è misurabile con grande accuratezza, con relativa semplicità e rapidamente (una misurazione dura meno di 5 s) mediante un frequenzimetro elettronico, la cui scala di lettura può essere espressa direttamente in nT. L'accuratezza ottenibile con questo strumento è dell'ordine di qualche decimo di nT, cioè migliore per un fattore tra 2 e 5 rispetto ai teodoliti magnetici; altri vantaggi strutturali sono le piccole dimensioni e la piccola massa, che rendono lo strumento trasportabile, la facilità della connessione con un elaboratore per la memorizzazione e l'elaborazione delle misure, e, di primaria importanza, la capacità di misurare facilmente una o più assegnate componenti del campo, il che si ottiene facendo agire sul sensore campi magnetici ausiliari di opportuna intensità e opportunamente diretti, generati da una o più bobine di Helmholtz.
Sfruttando la capacità che si ha di misurare una qualunque componente del c.m.t., mediante un magnetometro a protoni opportunamente corredato, in vari Osservatori magnetici sono in uso sistematico, circa a partire dal 1974, i cosiddetti magnetometri a precessione completi, che forniscono, in successione automatica ripetitiva governata da un apposito programmatore elettronico, l'intensità totale e le tre componenti cartesiane locali; sono equipaggiati con strumenti di questo tipo i due Osservatori magnetici italiani di Preturo (L'Aquila) e Castello Tesino (Trento) dell'Istituto nazionale di geofisica, che fanno parte della Rete mondiale di Osservatori geomagnetici (comprendente, nel 1998, 219 Osservatori). L'accennata ripetitività automatica continua risolve soddisfacentemente il fatto che il magnetometro a precessione è intrinsecamente discontinuo, a causa del suo ciclo di funzionamento precedentemente descritto: la durata di tale ciclo è tale da consentire una frequenza di circa 4 cicli completi al minuto, ampiamente adeguata per le procedure di routine.
È da segnalare che accanto alla generale semplicità e rapidità della misurazione v'è, come fattore negativo comune a molti altri strumenti geomagnetici, la necessità di controllare con grande cura il livellamento, cioè di controllare che le parti dello strumento che devono essere orizzontali oppure verticali lo siano effettivamente entro i limiti dell'accuratezza generale voluta.
Una caratteristica funzionale del magnetometro a protoni, che lo esclude in pratica da utilizzazioni spaziali, è la non trascurabile richiesta di energia elettrica per la corrente generatrice del campo di polarizzazione e dei campi ausiliari per le componenti; così, per misurazioni del c.m.t. nello spazio circumterrestre da bordo di veicoli spaziali ci si serve di un altro strumento, il magnetometro a saturazione, detto anche magnetometro flux-gate (letteralmente, a porta di flusso), che ha richieste assai meno onerose per l'alimentazione elettrica.
Il sensore di questo strumento è costituito semplicemente (fig. 2) da una piccola bacchetta di ferrite (nucleo magnetico) sulla quale sono avvolte due bobine identiche ma con versi opposti (bobine di polarizzazione), in serie fra loro e collegate a un generatore di corrente alternata (polarizzatore) che determina nel nucleo una magnetizzazione prossima a quella di saturazione, e a una terza bobina (bobina di misurazione), collegata a un amplificatore e a un dispositivo misuratore di tensione alternata (voltmetro). Se sulla bacchetta non agisse alcun campo magnetico esterno, le induzioni B dei campi magnetici alternati ugualmente intensi e antiparalleli generati dalle due bobine di polarizzazione si annullerebbero a vicenda e non si avrebbe una tensione indotta netta nella bobina di misurazione; ma è presente il c.m.t. F, la cui componente C secondo l'asse della bacchetta va a contribuire alla magnetizzazione di polarizzazione; semiciclo per semiciclo della corrente di polarizzazione, l'induzione generata da una delle bobine aumenta, determinando la saturazione magnetica, e quella dell'altra bobina diminuisce, per cui nella bobina di misurazione l'insieme del campo polarizzante e di quello terrestre dà ora luogo a un segnale fortemente asimmetrico, e precisamente di tipo impulsivo, la cui ampiezza media costituisce una misura della componente C del c.m.t.; tre di tali sensori, diretti secondo gli assi di un triedro ortogonale, consentono così di avere le misure, continue nel tempo, delle corrispondenti componenti cartesiane del campo. Unico punto di inferiorità rispetto al magnetometro a protoni è l'accuratezza, che nel complesso è almeno dieci volte minore.
Analisi in armoniche sferiche delle misure del campo medio
Questo procedimento matematico di elaborazione delle misure del campo medio risale, nella forma tuttora in uso, a K.F. Gauss (la prima analisi fu da lui eseguita nel 1838 sui valori medi degli elementi D, H, I dell'anno 1835).
Essa consiste sostanzialmente nel confrontare i coefficienti dei termini di ordine crescente dello sviluppo in serie in coordinate sferiche terrestri, ricavati dagli elementi del campo medio in prescelti punti di fissati paralleli della Terra, supposta sferica (oppure, in moltissimi casi, estrapolati o interpolati da dati misurati in altri punti), con i coefficienti di analoghi sviluppi in serie dei corrispondenti elementi del campo generato da ipotetici dipoli, quadrupoli ecc., posti nel centro della sfera terrestre (campo interno) oppure posti al di fuori della sfera terrestre (campo esterno); questi coefficienti sono detti coefficienti di Gauss e sono abitualmente indicati con i simboli gmn e hmn per la generica armonica di grado n e ordine m≤n (con n>1 e m>0 numeri interi), il grado essendo in relazione con la natura della sorgente cui l'armonica si riferisce: n=1 per il dipolo centrale, n=2 per il quadrupolo centrale e così via. Per es., se si indica con a il raggio della sfera terrestre, l'espressione della componente cartesiana orizzontale al Nord è X=k[dPnn(ϑ)/dϑ][gmncos(mλ)+hmnsen(mλ)], essendo k una costante dipendente dalle unità di misura adottate, λ la longitudine geografica e P una funzione (funzione modificata di Legendre) della colatitudine geografica ϑ. Questi coefficienti sono confrontati, in sistema di equazioni lineari in cui essi sono le quantità incognite, con quelli di un ordinario sviluppo in serie delle misure disponibili, per estrapolazione, per il parallelo prescelto; da tale confronto si ricavano i valori dei coefficienti di Gauss per le ipotetiche sorgenti dipolari, quadrupolari ecc., che darebbero luogo al campo realmente osservato, ottenendo per tale via un'immediata informazione sulle sorgenti medesime, in particolare sull'importanza relativa di esse.
Con tale procedimento, già a Gauss fu possibile riconoscere che per la quasi totalità il c.m.t. medio (si considerano sempre valori medi annui) è di origine interna e che di questo campo interno la parte prevalente (oltre il 90 %) è quella che sarebbe generata da un dipolo (il valore del cui momento è fornito dall'analisi medesima) posto nel centro della Terra e con l'asse quasi coincidente con l'asse terrestre: tale campo dipolare centrale si chiamò campo dipolare o campo di Gauss, identificando in esso il campo geomagnetico principale e attribuendo una natura accessoria, quasi di irregolarità aggiuntive, ai campi rappresentati dalle armoniche di grado maggiore del primo (campi di quadrupolo, ottupolo ecc.).
Questi risultati sono stati sistematicamente confermati dalle analisi successive a quella di Gauss, eseguite su dati il cui numero e la cui accuratezza sono andati progressivamente crescendo, sia per l'introduzione di magnetometri sempre più sensibili, fino ai ricordati magnetometri completi a protoni in funzionamento automatico negli Osservatori terrestri e ai magnetometri a saturazione a bordo di veicoli nello spazio circumterrestre, sia per l'uso di elaboratori elettronici per i lunghi calcoli necessari. Si è verificato però un drastico cambiamento nel considerare come campo principale del magnetismo terrestre il campo dipolare, in seguito all'introduzione, avvenuta intorno al 1981, di una nuova grandezza, la potenza della generica armonica di grado n, Rn, definita dalla relazione Rn=(n+1) Σm[(gmn)²+(hmn)²]. Il diagramma di R in funzione di n per le armoniche interne, cioè rappresentative di sorgenti nella Terra, mostra (fig. 3) che le potenze armoniche sono raggruppate in due gruppi ben distinti, dei quali il primo comprende le armoniche di grado n da 1 a circa 12 e di grande potenza (con una netta prevalenza dell'armonica di grado n=1, cioè del termine di dipolo), i cui punti rappresentativi sono allineati su una retta di grande pendenza, mentre il secondo comprende, con i punti rappresentativi allineati su una retta di piccola pendenza, le armoniche di grado maggiore di 15, di piccola potenza. Poiché la profondità nella Terra delle sorgenti magnetiche (sistemi di correnti elettriche o di materia magnetizzata) rappresentate da un'armonica è tanto maggiore quanto minore è il grado dell'armonica medesima, è possibile collegare profondità delle sorgenti e grado delle armoniche, per cui dai diagrammi del tipo di quello della fig. 3, ottenuti anche adottando per il raggio della superficie sferica di riferimento valori ben diversi da quello del raggio terrestre, si deduce che il campo magnetico medio nel tempo rilevabile sulla superficie terrestre e nello spazio circumterrestre è il risultante di due campi: un campo decisamente principale (rappresentato dalle armoniche di grado da 1 a circa 12) derivante dal sistema di correnti elettriche che scorrono nella parte esterna, fluida, del nucleo terrestre, a profondità tra 2900 e 5100 km, e perciò detto campo nucleare, e un campo assai meno importante e a piccolissima profondità per le armoniche di grado superiore (n>15), le cui sorgenti sono identificabili nelle rocce della crosta terrestre che sono magnetizzate dal campo nucleare, e quindi chiamato campo crostale. Così, si è rivelata erronea la tradizionale concezione del c.m.t. effettivo come derivante dalla sovrapposizione di campi secondari (di quadrupolo, di ottupolo ecc.) a un campo principale di dipolo.
Relativamente alla modellistica del c.m.t., è da rilevare che il tradizionale modello gaussiano del dipolo centrale come sorgente del c.m.t. è attualmente usato soltanto per considerazioni di primissima approssimazione e di tipo naturalistico, mentre per rappresentare il c.m.t. nel suo insieme si usano ora soltanto modelli numerici, costituiti da tabelle dei valori dei coefficienti di Gauss e delle loro derivate temporali prime relativamente a un dato periodo di tempo (di norma, 12 mesi), arrestati a un certo grado. La International Association of Geomagnetism and Aeronomy (IAGA), che si occupa, oltre che dell'aeronomia, in primo luogo del coordinamento e della normazione delle ricerche sul c.m.t., pubblica, a partire dai dati rilevati dalla rete mondiale di Osservatori magnetici, di cinque in cinque anni un modello numerico di questo tipo fino al grado 10 per i coefficienti e per le derivate temporali prime di essi, detto International Geomagnetic Reference Field (campo geomagnetico di riferimento internazionale) e indicato abitualmente con la sigla IGRF seguita dall'epoca di validità. La tab. 1 mostra (ridotta, per semplicità, ai soli coefficienti) l'IGRF 1995.0, cioè costruito sui dati misurati nel periodo di 12 mesi dal 1° luglio 1994 al 30 giugno 1995 (come dire centrato sul 1° gennaio 1995); il prossimo IGRF sarà per l'epoca 2000.0; per gli anni intermedi tra quelli terminanti con 0 o 5 sono e saranno disponibili IGRF provvisori (Provisional IGRF, PIGRF).
Nella fig. 4 sono riportate le isolinee di intensità totale del campo sull'intera superficie terrestre (la cui configurazione è assai lontana da quella del tradizionale campo dipolare) e nelle figg. 5 e 6 le isolinee e le isopore (linee di uguale variazione) di alcuni elementi del campo sull'Italia, relative a valori medi annui dedotti da misure recenti.
Variazioni temporali del campo magnetico terrestre
Le variazioni temporali del c.m.t., alla luce della conoscenze attuali, possono essere classificate in tre gruppi principali, regolari, intermedie e irregolari, le cui caratteristiche morfologiche e di origine sono presentate nella tab. 2.
Le variazioni regolari sono pseudoperiodiche in senso stretto; la più importante come ampiezza (qualche decina di nT) è la variazione diurna solare, con uno pseudoperiodo di 24h, cioè pari alla durata del giorno solare (il periodo della rotazione terrestre). L'analisi in armoniche sferiche di essa mostra che è per circa due terzi prodotta da correnti elettriche generate nella ionosfera, a circa 120 km di quota, per interazione tra correnti e venti dell'atmosfera, la rotazione terrestre e il c.m.t. stesso, dette correnti Sq (Solar quiet current, cioè relativamente ai soli giorni in cui l'attività solare non è agitata), che lungo l'equatore hanno un valore particolarmente intenso (corrente elettrica detta elettrogetto equatoriale), secondo il meccanismo schematizzato nella fig. 7. Per il restante terzo, tale variazione è ascritta a correnti elettriche indotte nell'interno della Terra da quelle che determinano la precedente variazione primaria. Un processo analogo si ha per la variazione quasi diurna lunare, con uno pseudoperiodo di circa 24h50m, salvo che per essa vanno considerati moti atmosferici di marea (di qui la minore ampiezza rispetto alla variazione diurna solare). Di grande pseudoperiodo (≈11 anni) è infine la variazione solare, determinata dalla variabilità dell'attività radiativa del Sole.
Le variazioni intermedie si possono considerare una categoria in un certo senso provvisoria, in quanto mentre appare legittimo includere in esse le micropulsazioni (o pulsazioni) magnetiche, consistenti in treni d'onda pseudoperiodici succedentisi irregolarmente nel tempo e dovuti a onde magnetofluidodinamiche (MFD) nella ionosfera e nella magnetosfera terrestri, la stessa cosa non si può dire per la cosiddetta variazione secolare, consistente in lentissime variazioni monotone degli elementi del c.m.t. nelle quali non è riconoscibile una qualche pseudoperiodicità: non va dimenticato che disponiamo di misure geomagnetiche attendibili soltanto da circa due secoli, per cui si potrebbe trattare sia di variazioni con pseudoperiodo maggiore di 200 anni, e pertanto ancora non riconoscibili, sia di variazioni intrinsecamente aperiodiche. Comunque, l'analisi in armoniche sferiche indica per esse un'origine in correnti elettriche nel nucleo fluido terrestre.
Quanto alle variazioni irregolari, quelle di gran lunga più importanti sono le tempeste magnetiche, consistenti in irregolari ampie variazioni decisamente aperiodiche, della durata di qualche giorno, degli elementi del campo; la loro importanza sta anche negli effetti che esse producono in attività umane primarie, quali la navigazione (le bussole magnetiche possono letteralmente impazzire) e le radiocomunicazioni, specialmente quelle con onde corte (che possono interrompersi per parecchie ore). Notevoli perturbazioni sono costituite anche dalle baie magnetiche, che sono ampie ma più semplici variazioni, di durata e ampiezza molto minore di quelle delle tempeste, così dette perché nel diagramma temporale di un elemento del campo si presentano in modo da ricordare una baia sul profilo di una linea costiera. Sia le tempeste che le baie sono più intense alle alte che alle basse latitudini e sono originate da correnti elettriche nella magnetosfera e nella ionosfera terrestri costituite da fiotti irregolari del vento solare, incessante e irregolare corrente di particelle cariche (elettroni e protoni veloci) che s'irradia dal Sole, deviati verso i poli dal campo magnetico terrestre. Carattere assolutamente diverso hanno invece le inversioni del campo, che derivano da instabilità del sistema di correnti magnetofluidodinamiche generatrici del campo nucleare. Queste inversioni sono rilevabili e studiabili mediante misurazioni della magnetizzazione propria di campioni di rocce effusive consolidatesi nei tempi geologici per colate da vulcani terrestri o per affioramento da fondali oceanici. Tali inversioni si verificano a intervalli di tempo irregolari, dell'ordine di centinaia di migliaia di anni: l'intensità del c.m.t. diminuisce fino ad annullarsi per poi crescere ma nel verso opposto, con il polo magnetico Nord che diventa Sud, e viceversa, però senza variazioni altrettanto drastiche della configurazione del campo nel reticolato geografico (si sono avute circa 250 inversioni negli ultimi 170 milioni di anni e la lenta diminuzione attualmente osservabile nel valore dei termini del primo ordine nell'analisi armonica del campo medio, cioè nel valore dell'intensità del campo dipolare, porta a presumere di trovarci in una fase di inversione).
L'impostazione magnetofluidodinamica delle attuali teorie sull'origine e sulle variazioni del campo magnetico terrestre
La concezione attuale di un c.m.t. principale che si origina nel nucleo fluido terrestre (campo nucleare), tra circa 2900 e 5200 km di profondità, al quale si sovrappongono i campi assai meno intensi generati dalle rocce della crosta terrestre magnetizzate dal campo nucleare (campo crostale) e, per la sola parte istantanea, anche da sistemi di correnti elettriche esistenti nell'alta atmosfera terrestre fortemente ionizzata (campo variabile atmosferico, in particolare ionosferico e magnetosferico), è più coerente di quelle precedentemente formulate sull'origine del magnetismo terrestre: quest'ultima concezione, oggi, va dunque intesa come 'origine del campo nucleare'. Il campo crostale, infatti, non presenta particolari problemi, le questioni a esso relative essendo ben inquadrate e soddisfacentemente sviluppate sia nell'ambito della fisica della magnetizzazione della materia, sia nell'ambito della geologia della crosta terrestre.
Principalmente a causa della scoperta delle inversioni del campo, sporadicamente accertata già all'inizio del 20° sec., ma universalmente accettata soltanto negli anni Cinquanta, le teorie sull'origine del campo nucleare dovettero abbandonare il modello elettromeccanico della 'dinamo geomagnetica ad autoeccitazione' di E.C. Bullard (1949), schematizzato nella fig. 8, che destò tante speranze al suo comparire: per giustificare le inversioni occorrerebbe ammettere altrettante inversioni del moto di rotazione della Terra, il che è assurdo. In realtà, per qualche anno più che di un abbandono si trattò di una serie di tentativi per adattare in qualche modo l'idea base della 'dinamo terrestre' alla realtà del campo autoinvertentesi. Si ricorda, per es., il modello di T. Rikitake (1958) costituito da due dinamo di Bullard di cui l'una alimenta l'altra: si tratta di un sistema intrinsecamente instabile, tale che, pur rimanendo tutto in condizioni meccaniche stazionarie (compresi i versi e le velocità di rotazione), il campo magnetico generato s'inverte casualmente e ripetutamente. Tentativi modellistici di questo genere, e anche certi derivati modelli astratti, di tipo vettoriale, furono però alla fine effettivamente abbandonati, per spostarsi nell'ambito, arduo ma ineccepibile, della dinamica del plasma fluido del nucleo terrestre soggetto alle complesse interazioni con la rotazione terrestre e i campi di forza terrestri (il campo gravitazionale, il campo di gradiente termico e lo stesso campo magnetico), nonché con i campi radiativi del Sole, sia elettromagnetici (fotonici) sia particellari: nacque così l'impostazione magnetofluidodinamica delle teorie del magnetismo terrestre.
I fatti da spiegare sono: a) il c.m.t. è un campo debole (induzione dell'ordine di 5 10⁻⁵ T) quasi dipolare, con momento magnetico quasi parallelo all'asse terrestre, 'vecchio' all'incirca come la Terra; b) attualmente, il c.m.t. decresce in intensità per circa il 5% a secolo, precede verso ovest (deriva occidentale) in ragione di circa 2° a secolo per la parte dipolare e di circa dieci volte tanto per la parte non dipolare, e inverte spesso e casualmente il suo verso.
Le assunzioni di base sono: c) il nucleo esterno della Terra è un plasma molto caldo e molto denso (ma con densità di carica elettrica locale identicamente nulla), elettromagneticamente lineare, con temperatura fra 2700 e 3200 K, pressione fra 1 e 3,5 10¹¹ Pa (cioè fra 1 e 3,5 milioni di volte la pressione atmosferica al suolo), con conduttività elettrica σ non nulla e, a motivo dell'alta temperatura, con permeabilità magnetica che può essere assunta pari a quella del vuoto, μ₀; d) il nucleo partecipa al moto della rotazione terrestre e in esso si sviluppano moti convettivi a causa della presenza di un forte gradiente termico, radiale.
Le equazioni di Maxwell dell'elettromagnetismo e l'equazione di Navier-Stokes della fluidodinamica forniscono le seguenti prima e seconda equazione della magnetofluidodinamica (MFD, detta anche dall'uso anglosassone, magnetoidrodinamica, MHD):
essendo B l'induzione del campo magnetico (il vettore F del c.m.t.), t il tempo, ∇ l'operatore vettoriale nabla, v la velocità del plasma, ϱ la densità (massa volumica), p la pressione, ω la velocità angolare (di rotazione della Terra), j la densità di corrente elettrica nel plasma, A ogni altra forza agente sul plasma. La prima equazione è la forma che in questo caso prende la terza equazione di Maxwell dell'elettromagnetismo, mentre la seconda equazione non è altro che l'equazione fondamentale della dinamica (massa per accelerazione uguale alla forza agente), dove i termini del secondo membro rappresentano, nell'ordine, la forza di pressione, la forza di Lorentz, ogni altra forza di natura diversa dalle altre qui nominate, la forza di Coriolis, quella di attrito - la quantità (μ₀σ)⁻¹ si chiama, per analogia, viscosità magnetica -, agenti sull'unità di massa del plasma.
La risoluzione di queste equazioni per il plasma del nucleo terrestre presenta cospicue difficoltà di calcolo, che non sono state ancora completamente risolte. Soluzioni di tipo euristico, ottenute mediante opportune semplificazioni, mostrano che a seguito dei moti, reciprocamente ortogonali, di rotazione e convettivi, nel nucleo si destano correnti di plasma di tipo circolare; se inizialmente nel nucleo è presente un campo magnetico, anche di debole intensità, che abbia una componente non nulla secondo l'asse della rotazione terrestre, le correnti di plasma sono risolte in un sistema di correnti elettriche elicoidali, tali che il campo magnetico da esse generato rinforza il campo iniziale, fino al raggiungimento di una situazione di equilibrio tra le energie attive e passive in gioco cui corrisponde la costanza del campo magnetico.
Gli studi in corso sulla risoluzione incondizionata delle equazioni della magnetofluidodinamica nell'ambito geomagnetico sono volti specialmente a dare conto, ipotizzando qualcosa sulla non omogeneità elettromagnetica del nucleo terrestre, delle irregolarità sia temporali sia geografiche del c.m.t. messe in evidenza dalle misure; in particolare, sembra che le inversioni e la deriva occidentale possano essere soddisfacentemente spiegate con l'ipotesi della formazione di onde magnetofluidodinamiche di grandissimo periodo e piccola velocità nel nucleo terrestre.
bibliografia
J.A. Jacobs, Geomagnetism, 4 voll., London 1987-91; F. Molina, Magnetismo terrestre, in Enciclopedia delle scienze fisiche, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1993, 3° vol., pp. 534-45. Per i valori correnti degli elementi degli Osservatori magnetici italiani, v. l'Annuario magnetico, pubblicato ogni anno dall'Istituto nazionale di geofisica, Roma.