Magia
Il termine indica, in generale, la pratica e la forma di sapere esoterico e iniziatico che si presentano come capaci di controllare le forze della natura. La magia è stata oggetto, nelle varie culture e nei diversi periodi storici, di valutazioni opposte, ora considerata forma di conoscenza superiore, ora rifiutata come impostura e condannata dalle autorità civili e religiose. In antropologia, magia è il complesso di credenze nella possibilità di dominare forze naturali o soprannaturali per scopi ritenuti utili, o anche per recare danno, con riti o manipolazioni (donde il termine fattura) da parte di un mago o fattucchiere, il quale sarebbe in grado di produrre o impedire un particolare evento. Il mago opera una mediazione tra la realtà sociale e quella naturale utilizzando, per questa attività di carattere simbolico, la possibilità di alterare magicamente il proprio corpo con azioni destinate ad avere effetto sul corpo delle persone che intende influenzare.
La molteplicità delle tradizioni magiche e la diffusione nei cinque continenti delle pratiche connesse alla magia ‒ intesa come volontà di controllare le forze della natura ‒, le loro trasformazioni storiche e il fatto stesso che si siano conservate e permangano fino a oggi, rendono difficile tracciare un quadro storico generale. Tradizioni indipendenti e ben radicate nella società e nella cultura si sono sviluppate nell'antico Egitto, in India, nel Medio Oriente e in tutti quei contesti dove il tratto predominante è quello sciamanico, dall'Australia aborigena a tutto il continente americano, alla Siberia e alla Lapponia. Connessioni con questo sostrato sciamanico, di origine paleolitica, sono state ipotizzate anche per le tradizioni magiche della stregoneria in Europa occidentale e nella nostra penisola (Ginzburg 1989). L'universalità di queste tradizioni e di queste pratiche rende ancora inefficace la distinzione classica tra magia e religione, tra culto pubblico e incantesimo privato, dal momento che praticamente ogni religione conserva nel suo sancta sanctorum riti di natura magica e, d'altra parte, sono molti gli aspetti che configurano le pratiche magiche sciamaniche in una dimensione pubblica e socialmente strutturata.
Seguire le trasformazioni storiche e l'evolversi del pensiero magico significa dunque considerare un ampio spettro di riferimenti, dove i fili conduttori si intrecciano e si confondono. Sarebbe possibile, per es., tracciare un itinerario a partire dalla figura del dio egizio Thoth, 'inventore' delle arti magiche, attraverso la tradizione gnostica ed ermetica del 2° secolo a.C. e la magia rinascimentale, fino ad arrivare alla new age contemporanea; oppure si potrebbe partire dallo sciamano tunguso, che evoca i suoi aiutanti magici ed entra in trance estatica battendo ripetutamente il tamburo e i sonagli, per arrivare alla tarantolata pugliese, la quale attraverso il suono dei tamburelli viene magicamente liberata dagli spiriti che sono entrati in possesso del suo corpo.
Il termine magia deriva dal greco μαγεία, e mago da μάγος. Magi erano detti i sacerdoti zoroastriani, esperti nelle arti astrologiche e divinatorie. I seguaci di Zoroastro, figura leggendaria di profeta e iniziato vissuto in Persia attorno al 1000 a.C., possono rappresentare un interessante punto di riferimento. Dai libri dell'Avesta, la raccolta tradizionale di testi religiosi e di inni zoroastriani, emerge un corpus esoterico e rituale rilevante, e in esso una particolare concezione esoterica e filosofica, il maga. Si tratta di uno speciale stato psichico che l'officiante del rito raggiunge nella parte centrale del sacrificio, lo yasna, e corrisponde all'invocazione della divinità e alla recitazione di una particolare formula. Nel rituale vedico indiano esiste una concezione analoga (il maghà), che rappresenta il dono offerto dalla divinità in cambio del sacrificio, del canto e della ripetizione dei mantra. La principale caratteristica del potere del maga, nel rituale persiano, è quella di conferire una vista fuori dal comune, ossia il dono della 'visione spirituale'. Al compimento del suo percorso iniziatico il sacerdote raggiunge la condizione di veggente: è perciò in grado di vedere con gli occhi dell'anima quello che non è possibile vedere con i sensi corporei (Gnoli 1971). Questa concezione del maga persiano, come del maghà vedico, mette in evidenza i tratti fondamentali dell'azione magica: la dimensione dello scambio con la divinità (o con un aiutante spirituale), il sacrificio, la recitazione di una formula (o di un incantesimo), il conferimento di un potere che trascende le normali possibilità dei sensi corporei. Nella tradizione induista gli straordinari poteri magici che gli yogin possono raggiungere, attraverso la concentrazione e l'unione con i principi primi del cosmo, sono chiamati siddhi. Il più potente di tali siddhi è quello della levitazione, ovvero la capacità di sollevare il proprio corpo da terra (Mauss 1950).
Un altro interessante riferimento etimologico è quello del termine tedesco zauber, o di termini equivalenti in altre lingue che per designare la magia usano parole la cui radice significa 'fare' (Mauss 1950). In italiano, per es., usiamo i termini fattura o maleficio con lo stesso significato: queste parole indicano insieme i gesti rituali, gli incantesimi e anche il manufatto o l'amuleto che la maga o il mago hanno costruito assemblando o modellando oggetti diversi. Un esempio sono i tradizionali feticci africani o vudù, oppure i caratteristici amuleti d'amore diffusi tra i nativi americani: i chippewa dei Grandi Laghi costruivano questi amuleti intagliando due figurine nel legno, con i profili abbozzati di un uomo e una donna. Le figurine, alte 2-3 cm, venivano legate insieme con un capello o con un filo del vestito appartenenti alla persona che si desiderava influenzare. A esse veniva inoltre attaccato un sacchettino di pelle di daino contenente la 'medicina d'amore' (semi di una pianta particolare in combinazione con altre polverine). L'amuleto così preparato veniva messo in una sacca decorata e indossato dalla persona che voleva praticare l'influsso magico. La credenza voleva che questi amuleti fossero in grado di attirare una persona anche a grandi distanze, provocandogli forti mal di capo e sanguinamenti dal naso. A volte la medicina veniva posta direttamente sul corpo delle figurine: una donna che intendeva riconquistarsi l'amore del marito doveva applicarla su quella maschile in corrispondenza del cuore (Densmore 1929). Gli aspetti della fabbricazione dell'amuleto e della fattura, come tratti distintivi dell'azione magica, hanno portato gli antropologi a riflettere sulla natura dei rapporti causali in questo genere di atti e sulla loro presunta efficacia. Seguendo questa linea interpretativa, M. Mauss ha tracciato una demarcazione tra magia e tecnica nel rapporto tra causa ed effetto, e nel suo Saggio di una teoria generale della magia, del 1902-03, ha definito i riti magici "atti tradizionali dotati di una efficacia sui generis" (Mauss 1950, trad. it., p. 15).
La questione sull'efficacia dei poteri magici, per come è stata posta da Mauss, e del resto tutta l'interpretazione che l'antropologia ottocentesca ha elaborato sui fenomeni magici hanno sofferto di un errore dogmatico di fondo (De Martino 1948). L'opera di E.B. Tylor, Primitive culture (1871), che può essere considerata la base del paradigma antropologico evoluzionista, è chiaramente animata dall'intento di sferrare un deciso attacco contro la superstizione e stabilire il primato della razionalità del mondo occidentale. Secondo Tylor, i fenomeni magici sono semplicemente riconducibili a errate associazioni di idee. Su questa stessa linea di pensiero, J.G. Frazer, in The golden bough (1890), considera la magia come lo stadio primordiale della religione e, più in generale, come il grado più basso dell'attività intellettuale. La supposizione dogmatica di questi e di altri autori della medesima corrente di pensiero è che esista una natura data (o un unico livello di realtà) normale o paranormale, ordinaria o straordinaria, nella quale la 'presenza' umana possa essere collocata e determinata secondo il modello offerto dalla civiltà occidentale. Il mondo magico e la presenza umana in esso hanno invece la caratteristica di non essere definiti una volta per tutte, ma di permanere in una condizione esistenziale sempre mobile e precaria, di costituire un "problema culturale individuante" (De Martino [1948], 1973, p. 209). La magia non può dunque essere misurata secondo i parametri della nostra realtà (quali la verifica sperimentale, i rapporti di causa-effetto, l'efficacia), assumendo come presupposto che tale forma di realtà abbia valore paradigmatico per tutte le civiltà (e che la magia sia dunque solo una 'falsa scienza'). Il problema dei poteri magici deve essere, invece, inquadrato considerando la variabilità delle risposte che gli esseri umani hanno dato al dramma dell'essere al mondo.
Il tentativo compiuto da De Martino di superare l'opposizione razionalità/irrazionalità è un invito, per molti aspetti ancora attuale, a considerare la centralità della presenza, come presenza del corpo, nel dilemma dei poteri magici, e di conseguenza ad accogliere come dato significativo tutta la carica ambigua, irriducibile e spesso inspiegabile che il corpo conserva. In questo senso, il più semplice fenomeno telepatico o precognitivo, per la sua stessa natura, è in grado di scardinare le coordinate spaziotemporali sulle quali si è formato il pensiero scientifico e la rappresentazione della realtà sulla quale poggia il suo senso comune. Il corpo umano è in questo senso il centro radiante di ogni produzione di significato, l'unico punto di riferimento per la strutturazione della realtà sensoriale e concettuale, ma anche per la possibilità di rovesciare oppure di estendere quelle categorie sensoriali o concettuali che nella nostra realtà, socialmente e culturalmente condivisa, consideriamo normali. Sia la telepatia sia la precognizione determinano relazioni tipicamente magiche (ossia slegate da causalità organiche o fisiche individuabili) per quanto riguarda, rispettivamente, lo spazio e il tempo. La telepatia dimostrerebbe che alcuni processi mentali non sono chiusi all'interno del corpo di un singolo individuo, ma possono essere comunicati attraverso lo spazio, la cui concezione astratta e oggettiva viene resa labile da questa estensione delle capacità sensoriali corporee. Così la precognizione, dal momento che anticipa gli avvenimenti che si rendono manifesti attraverso sensazioni mentali, sogni o percezioni prettamente epidermiche, invaliderebbe inequivocabilmente la concezione del tempo come successione lineare e puntuale di eventi. Il mondo rispecchiato dal corpo nelle sue funzioni telepatiche e precognitive è dunque un mondo magico, nel quale lo spazio può essere emotivamente colmato e il tempo può essere simultaneo e ricorsivo.
Un classico esempio etnografico di precognizione epidermica è quello che D.F. Bleek e L.C. Lloyd riportarono dalla loro ricerca sui boscimani del deserto del Kalahari (Canetti 1960). Durante le fasi di ricerca della selvaggina, il cacciatore boscimano riferisce di essere in grado di provare una serie di sensazioni sul proprio corpo, relative ai movimenti o alle caratteristiche dell'animale che sta cacciando. Percepisce, per es., sui propri piedi lo strofinio delle zampe dell'antilope nei cespugli, o sente sul proprio volto la sensazione della striscia nera che ha sul muso. Tutto questo prima che essa entri nel suo campo visivo o sensoriale normale. Oppure avverte sul proprio corpo il sangue dell'animale che sarà abbattuto, o la sensazione sulla schiena del pelo dell'antilope che sarà trasportata all'accampamento. Appare evidente che, in un'attività per questi popoli quotidiana e ordinaria come la caccia, il corpo umano viene vissuto al massimo delle sue potenzialità percettive e sensoriali, ma secondo modalità che non rientrano nei quadri cognitivi ai quali siamo stati abituati. In questo senso la magia può essere definita come 'arte dei cambiamenti' (Mauss 1950), come possibilità di modificare l'assetto del proprio corpo e della propria esperienza, nella costante ricerca di trovare un accordo con la realtà sempre cangiante del mondo che ci circonda.
Da un punto di vista generale, la magia può essere compresa in quella classe di eventi di natura psichica o culturale che appaiono privi di legami causali con processi organici o fisici. Se consideriamo la prospettiva di un operatore magico, ossia di una persona che sostiene di praticare la magia, quest'ultima può essere intesa come un'azione oppure una serie di azioni che sono compiute allo scopo di ottenere un effetto desiderato su cose o persone, secondo nessi causali e in una dimensione spaziotemporale non ordinari. In questo senso, l'azione magica può essere definita come un tentativo (corrispondente a una volontà psichica) di colmare una distanza o di condensare il tempo. Il suo obiettivo può essere quello di anticipare il futuro, nella divinazione, di attirare la persona amata, nel caso della magia d'amore, di evocare o avvicinare una preda, nella magia di caccia, o di ritrovare memorie od oggetti perduti. Oppure, al contrario, l'azione magica può avere lo scopo di disgiungere i soggetti, di confondere gli ordini prestabiliti, di cancellare le tracce o di indurre l'oblio. Questa ambivalenza tra il congiungere e il disgiungere, l'avvicinare e il disperdere, è particolarmente evidente nella cura magica, quando l'obiettivo preposto è la guarigione del corpo, oppure, più raramente, quando si cerca invece di provocare la malattia attraverso il maleficio. Nella cura magica, le entità spirituali (o, se vogliamo, gli agenti psichici) che si ritiene siano all'origine della malattia vengono allontanate o disperse; le entità dello stesso ordine (per es. gli spiriti aiutanti) che si pensa possano portare alla guarigione del malato vengono invece evocate e avvicinate. Le figure del mago e della maga sono inquadrate socialmente, ovvero rivestono un particolare status sociale, nei contesti socioculturali dove esse sono ritenute necessarie per la cura delle malattie o, più in generale, per la protezione spirituale della comunità. In questi ambiti l'investitura magica (rituale-iniziatica) è un fatto socialmente accettato. Altrove, invece, la pratica del maleficio o del sortilegio invalida l'investitura sociale, oppure pone l'operatore magico ai margini del gruppo. In situazioni di questo tipo la sua azione viene ricercata per fini individuali, o comunque non direttamente mirati all'equilibrio della comunità.
Tuttavia, anche nel caso dell'investitura sociale, la figura dell'operatore magico rimane intrinsecamente ambivalente. Si tratta infatti di una persona considerata in grado di entrare in contatto con poteri soprannaturali, i quali traggono la loro origine in una dimensione extrasociale, esterna alle relazioni convenzionali, o extrarazionale, al di fuori della ragione collettivamente e culturalmente stabilita. Quest'ultimo aspetto è tipico delle situazioni in cui la civiltà magica, come l'ha definita E. De Martino (1948), viene posta in condizione subalterna rispetto alla civiltà e alla razionalità (e del resto questa è la situazione nella quale è stata raccolta la gran parte dei dati storici ed etnografici sull'argomento). L'ambivalenza costitutiva consiste anche nel fatto che i poteri magici, i quali prendono forza e giustificazione dalla natura stessa, vengono percepiti al tempo stesso come protettivi e perturbanti. In questo senso l'operatore magico può essere definito come un mediatore simbolico tra la sfera della società e quella della natura, in grado cioè di 'mettere in gioco' o rappresentare le energie ambivalenti dei processi naturali in rapporto alla precarietà degli equilibri, sia della comunità di appartenenza sia del singolo individuo. Teatro di questa mediazione simbolica è il corpo, in un duplice ruolo: come corpo del mago o della maga, in alterazione o metamorfosi magica; oppure come corpo del paziente o della vittima dell'azione magica.
La rappresentazione magica del corpo e la considerazione di sue parti specifiche nei rituali sono aspetti estremamente importanti della magia. Nello sciamanesimo o nella stregoneria è lo stesso corpo dell'operatore magico che si altera mediante la trance, o attraverso l'uso di sostanze psicoattive, e che rappresenta lo sdoppiamento con un'anima esterna in grado di uscire dal corpo, trasformarsi in animali, volare o trasferirsi simultaneamente in un altro luogo. Durante la fase di metamorfosi il corpo della strega o dello sciamano rimane inerte, in una condizione di morte apparente. Tuttavia, se qualche incidente è accaduto durante la trasformazione, il corpo ne rivelerà le tracce. Le storie di streghe o stregoni trasformati in animali, che rimangono feriti durante la fase di metamorfosi e riportano i segni di queste ferite sul loro corpo il giorno seguente (e da questi segni vengono scoperti), si raccontavano nel nostro arco alpino come tra gli indiani d'America. Il corpo dello sciamano può divenire allo stesso tempo corpo comunitario e oggetto magico: gli yukaghir della Siberia nordorientale, alla morte di uno sciamano ne smembravano il corpo, disseccavano le parti e le distribuivano come amuleti ai membri del clan del defunto (Graburn-Strong 1973). A questa pratica può essere accostata l'analoga usanza cristiana di conservare le reliquie dei santi.
Sul corpo femminile, le fasi della prima mestruazione, della gestazione, del parto e della menopausa, corrispondono ai momenti nei quali le virtù magiche possono raggiungere la maggiore intensità (Mauss 1950). Specifiche parti del corpo, come i denti, le unghie, la saliva o i capelli sono universalmente considerate significative per la magia. Per loro tramite si agisce se si vuole praticare un maleficio a distanza o un filtro d'amore. Secondo il principio della contiguità magica e dell'identificazione della parte con il tutto, ciò che una persona lascia intorno a sé (abiti, oggetti personali, impronte) ne racchiude l'essenza e può essere usato per intervenire magicamente su quella persona (Mauss 1950). Unghie e capelli erano considerati magici anche nella religione zoroastriana e si pensava che possedessero una vitalità propria e indipendente dal corpo. Questa concezione, che derivava sicuramente dall'osservazione della rapidità di crescita di unghie e capelli rispetto al resto dell'organismo, riflette un principio significativamente diverso da quello della contiguità magica. A Zoroastro che interroga Ahura Mazda sulla questione viene risposto che la forza malefica dei daevas si accresce se qualcuno pettinandosi, radendosi, o tagliandosi le unghie, omette di nascondere i rimasugli in un buco o in un crepaccio (Seligmann 1948).
Nel folklore europeo rivisitato da Frazer (1890), attraverso i capelli è possibile agire magicamente sul tempo atmosferico. Nel Tirolo si raccontava di streghe che usavano capelli tolti dal pettine allo scopo di provocare la grandine, e storie analoghe, che mettono in corrispondenza i capelli oppure il pettinarsi con i temporali, sempre secondo Frazer, si ritrovano anche in Nuova Zelanda, tra i tlingit dell'Alaska come pure nelle Highlands scozzesi.
Gli orifizi del corpo (per es., la bocca, le narici, le orecchie ecc.) sono spesso considerati come soglie, attraverso le quali le energie spirituali dell'individuo defluiscono, o gli influssi benefici o malefici vengono fatti passare. All'alito o al soffio viene spesso attribuito il potere di trasmettere la forza vitale (De Martino 1948). Durante la cura sciamanica, il medicine man nativo americano, tra gli ojibwa del Nord-Est o i paviotso del Sud-Ovest, aspira con la bocca dal corpo del paziente, direttamente o attraverso un tubicino, il fluido o l'oggetto magico che si ritiene sia all'origine della malattia (Grim 1983).
Specifica attenzione alle singole parti del corpo si riscontra anche in diverse forme di iniziazione sciamanica. Nell'iniziazione degli eschimesi iglulik, la rimozione degli ostacoli al percorso dell'anima del candidato e il conferimento della 'luce' sciamanica avviene soffiando in corrispondenza degli occhi, del cervello e dei visceri. L'iniziazione arunta, in Australia, prevede che il candidato vada peregrinando nella notte; durante questo suo vagare gli spiriti lo colpiscono con pietre magiche che penetrano nel suo corpo, precisamente nel femore, nel torace, nella lingua, nella testa e nelle estremità delle dita (De Martino 1948). L'individuazione di una complessa rete di punti significativi sul corpo dell'iniziato si ritrova anche nelle 'società di medicina' della regione dei Grandi Laghi dell'America Settentrionale, dove l'aspirante sciamano viene colpito con una conchiglia magica metaforicamente sparata dalla 'borsa di medicina' (la pelliccia decorata di un animale totemico), fino a rappresentare una morte apparente e quindi la rinascita iniziatica (Landes 1968).
Un tratto classico dello sciamanesimo siberiano o nordamericano è, inoltre, il potere di visione dello scheletro, proprio o altrui. Lo scheletro umano, rappresentato sui costumi siberiani in combinazione con lo scheletro di uccelli, costituisce, secondo M. Éliade (1968), l''archetipo' dello sciamano. Diverse tradizioni religiose hanno magicamente rappresentato il corpo come un microcosmo. La tradizione induista individua sette chakra, o 'aperture' energetiche del corpo, in corrispondenza rispettivamente della base della colonna vertebrale, dei genitali, del plesso solare, del cuore, della gola, del centro della fronte e di un ultimo punto al di sopra la testa, chiamato chakra della Corona. Un rapporto analogo è stato concepito in alcune rappresentazioni delle dieci sefirot della tradizione cabalistica ebraica. Nel Seicento, il cabalista inglese R. Fludd nel trattato 'sulla musica dell'anima' presenta la figura del corpo umano come un microcosmo di cerchi concentrici, musicalmente accordato con l'armonia di tutto il cosmo. La parte superiore del corpo, dalla testa al cuore, è intonata al diapason spiritualis; la parte dal cuore ai genitali è intonata invece al diapason corporalis; il cuore, che unisce le due parti, corrisponde al Sole nel macrocosmo (Seligmann 1948). Secondo la tradizione alchemica, così come nel buddhismo tantrico, il corpo umano può essere il luogo dove si realizza la congiunzione tra microcosmo e macrocosmo. La 'grande opera', per gli alchimisti medievali, consisteva infatti nell'unione dell'elemento maschile-sulfureo con quello femminile-mercuriale. I taoisti cinesi avevano elaborato una particolare forma di visione interiore, per cui l'interno del corpo umano veniva rappresentato come un paesaggio. Rispettando un complicato sistema di corrispondenze anatomiche, la testa era rappresentata come una catena montuosa, i polmoni come nuvole che coprono la 'terra di mezzo', il fegato come una foresta, lo stomaco come un granaio, la vescichetta biliare come la 'camera purpurea' ecc. Nella parte del mondo inferiore-acquatico si trovava il grande 'Oceano dei soffi', al centro del quale si innalzava la montagna sacra capovolta. In vetta a questa montagna, nel punto più profondo dell'oceano, vi era il 'Campo del cinabro', fonte della vita intera, che si trovava in corrispondenza dell'ombelico (Schipper 1982).
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