VALLARESSO, Maffeo
VALLARESSO (Valaresso), Maffeo. – Nato a Venezia nel confino di S. Procolo nel 1415, primogenito di cinque fratelli, appartenne a una famiglia del patriziato veneziano che all’inizio del Quattrocento era già andata assai ramificandosi.
Il padre, Giorgio di Vittore Vallaresso, morto nel 1466, ebbe una brillante carriera nelle magistrature veneziane, sia centrali sia periferiche. A una prestigiosa stirpe del patriziato lagunare appartenne anche la madre di Maffeo, Maddalena di Giovanni Loredan.
Grazie agli appoggi dello zio Fantino, vescovo di Parenzo nel 1415, arcivescovo di Creta dal 1425 e curiale dell’entourage di papa Eugenio IV, Maffeo Vallaresso venne avviato alla carriera ecclesiastica in giovanissima età. A dieci anni (1425) egli era infatti già canonico nella cattedrale di Treviso, titolare di una prebenda di modesto valore (40 fiorini) amministrata in absentia. Vallaresso effettuò estemporanea residenza nel proprio beneficio nel solo 1432, dopo aver ricevuto la consacrazione negli ordini minori.
Dedito agli studi umanistici più che alla vita ecclesiastica, nello stesso 1432 egli terminò la trascrizione di una grammatica latina di derivazione guariniana, per poi inoltrarsi in un percorso formativo classicamente umanistico. Dopo aver forse frequentato a Venezia la scuola di Rialto, nel periodo in cui vi insegnava Paolo Della Pergola, nel 1435 Vallaresso ricevette un breve pontificio con il quale Eugenio IV lo esentò formalmente, affinché potesse impegnarsi nello studio delle lettere, dall’obbligo di residenza nella cattedrale di Treviso. Nello stesso anno si trasferì quindi a Padova per intraprendervi gli studi universitari. Concluso il triennio degli studi artistici e passato ai corsi di diritto canonico, nel 1439 egli ottenne dal papa, ancora per motivi di studio, una seconda deroga dai doveri di residenza nella cattedrale trevigiana.
Negli anni padovani Vallaresso arricchì la propria dotazione beneficiaria con il possesso di due canonicati nell’isola di Creta (uno nella chiesa arcivescovile di Candia e l’altro nella cattedrale di Chersoneso), portò a maturazione la propria inclinazione per gli studi umanistici e strinse una vasta e durevole rete di amicizie: molti suoi sodali erano destinati a importanti carriere ecclesiastiche, universitarie (nell’ateneo patavino) e umanistiche.
Fu in questo contesto, insomma, che il giovane Vallaresso divenne parte integrante di quell’Umanesimo cristiano che caratterizzò la cultura veneto-veneziana a cavallo tra Medioevo ed Età moderna.
Ottenuto il titolo dottorale in diritto canonico il 26 maggio 1445, Vallaresso prese la strada di Roma. Intenzionato a posizionarsi nella Curia pontificia di Niccolò V (1447-55), nella quale ebbero favorevolissima accoglienza, come noto, non pochi cultori degli studia humanitatis, egli vi raggiunse una buona visibilità. Il 4 aprile 1449, infatti, con un breve che ne elogiava le virtù e la scienza, il giovane veneziano venne nominato protonotario apostolico. La buona fama di giovane e promettente umanista non poteva tuttavia bastare, da sola, per dare sostanza a un’importante carriera ecclesiastica; servivano piuttosto, al proposito, appoggi, raccomandazioni e buoni contatti. Morto nel 1443 lo zio arcivescovo Fantino, per sostenere i propri progressi di carriera Maffeo cercò e trovò l’appoggio di nuovi patroni, vale a dire i due potenti cardinali veneziani Francesco Condulmer e Pietro Barbo.
Nel momento in cui la sua carriera ecclesiastica era in procinto di fare un salto di qualità, Vallaresso finì coinvolto in un delicato scandalo di Stato sull’asse diplomatico veneziano-pontificio. Nel 1449 il Consiglio dei dieci di Venezia venne allertato da una lettera, scritta da un «religioso» che viveva a Roma (nel quale venne poi identificato proprio Vallaresso), nella quale si dichiarava che il protonotario veneziano Cristoforo Cocco, residente a Roma, veniva a conoscenza di segreti di Stato veneziani da lui svelati al re di Napoli Alfonso V d’Aragona. Vallaresso venne immediatamente convocato a Venezia, dove fu interrogato dai Dieci con singolare durezza. Benché si fosse profilata l’eventualità che tutti i suoi benefici venissero confiscati, venne infine pienamente assolto, elogiato per aver svelato il maneggio diplomatico-spionistico di cui era venuto a conoscenza e infine autorizzato a rientrare a Roma.
Quali fossero stati gli intenti e il ruolo di Vallaresso in questa controversa vicenda non è chiaro. In brevissimo volgere di tempo, a ogni modo, egli venne designato quale successore di Polidoro Foscari nella titolarità dell’arcivescovado croato di Zara. La nomina, non sostenuta in partenza dal governo veneziano, ma da quest’ultimo infine accettata di buon grado, avvenne per diretta designazione di papa Nicolò V, con motuproprio del 1° luglio 1450. L’appoggio decisivo per il successo di Vallaresso fu tuttavia quello del cardinale Barbo, al quale Maffeo, in segno di ringraziamento, destinò un prezioso cammeo di età romana.
Risolta una spinosa controversia beneficiaria relativa alla rinuncia dei suoi canonicati (Treviso, Creta, Chersoneso) e lasciatosi alle spalle un temporaneo soggiorno a Venezia nell’inverno 1450-51, Vallaresso giunse a Zara il 14 febbraio 1451.
La città di cui egli era divenuto arcivescovo era il più rilevante centro urbano della Dalmazia veneziana: snodo cruciale per la tutela degli interessi veneziani in Adriatico, ma caratterizzato da strutturali difficoltà di governo, da una ‘tradizione’ di rivolte antiveneziane assai risalente nel tempo e da una cronica insicurezza militare (dovuta alla pirateria e alle scorrerie turche). In un simile contesto il ruolo dell’arcivescovo acquisiva importanza non solo a livello ecclesiastico, ma anche politico, per il controllo di Zara e delle diocesi suffraganee.
Vallaresso governò l’arcivescovado di Zara per quasi mezzo secolo: dal 1450 al 1494. Per far luce sui primi vent’anni di tale governo ecclesiastico, la fonte di riferimento è il vastissimo Epistolario dello stesso arcivescovo, che consente di individuare gli aspetti centrali dell’attività politico-pastorale da lui svolta a Zara e nei territori limitrofi. Vallaresso, circostanza per nulla scontata, fu innanzitutto un arcivescovo residente, salvo alcune intermittenti assenze corrispondenti ai suoi soggiorni a Venezia, a Padova (dove si trattenne dal maggio del 1459 al settembre del 1460) e a Roma (dove egli è più volte testimoniato tra il 1464 e il 1471). Il suo attivismo si contraddistinse soprattutto per un’azione pastorale organica e per il fermo governo sulla struttura ecclesiastica sottoposta. Tale disciplinamento scatenò dure opposizioni, anche di carattere giudiziario, da parte dei vescovi suffraganei, di singoli ecclesiastici (regolari come secolari) e, soprattutto, del capitolo cattedrale di Zara, geloso custode di privilegi e consuetudini della vita ecclesiastica locale, insofferente nei confronti dello spirito riformatore di Vallaresso.
A Zara Maffeo coltivò inoltre con impegno i propri interessi eruditi e umanistici. Vivida traccia del suo pieno inserimento nel milieu umanistico quattrocentesco è ancora il suo Epistolario, le cui lettere testimoniano l’ottima conoscenza e la dimestichezza con auctores greci e latini, e l’impegno con cui arricchì la propria biblioteca, mediante lo scambio di codici e manoscritti con umanisti e bibliofili suoi corrispondenti. Oltre che di testi, classici e non solo, Vallaresso si interessò anche di antiquaria e reperti archeologici, raccogliendo cammei, monete e antiche medaglie.
Nel 1463, sul filo di una controversia che aveva sollevato il risentimento del pontefice Pio II (una lite sull’eredità del defunto vescovo di Nona Natale Giorgi) Vallaresso si trasferì a Roma, dove rimase nel tentativo di difendersi e di riabilitare la propria immagine, fino alla tarda estate del 1464. Il frangente del soggiorno romano era delicatissimo, essendo entrato nel vivo il progetto crociato di papa Pio II. Maffeo era anzi appena rientrato a Roma da Ancona, città dalla quale doveva salpare la flotta crociata, allorquando, morto Pio II, il grande patrono del medesimo Vallaresso, il cardinale Barbo, venne nominato pontefice con il nome di Paolo II.
Per l’arcivescovo di Zara parvero dunque aprirsi spiragli per ambire a progressioni di carriera. Egli, pertanto, tornò a Roma, dove la sua presenza si registra con regolarità tra il 1466 e il 1471. Vallaresso, che dimorava a Palazzo Venezia, ovvero nello straordinario complesso architettonico fatto erigere dal cardinale Barbo, si mosse con disinvoltura nella Roma di Paolo II.
Quanto a reti relazionali ecclesiastico-umanistiche, ad esempio, il 26 giugno 1468 egli si trovava nella casa romana del cardinale Bessarione, in occasione della donazione fatta da quest’ultimo alla Repubblica di Venezia della propria biblioteca di codici greci e latini (lascito dal quale avrebbe preso forma il primo nucleo della Biblioteca Marciana).
Negli anni di Paolo II, Vallaresso tentò di porre fine al proprio ‘isolamento’ zaratino. Il contesto antropologico-culturale di Zara gli andava stretto. Le minacce dei turchi lo impensierivano. Le frizioni con il clero locale lo indisponevano. Le rendite vescovili erano scarse (e da tempo, ma senza esito, egli aveva cercato di raggranellare commende). L’elezione a pontefice di Barbo fu indubbiamente, per Vallaresso, congiuntura ideale per cercare un trasferimento in altra, più ricca e più prestigiosa sede, ma egli non ne trasse alcun beneficio; e infine, con la morte improvvisa di Paolo II e l’elezione di Sisto IV (1471-84), mutate le dinamiche clientelari della Curia romana, Vallaresso rientrò a Zara con un nulla di fatto.
Preclusagli la via pontificia, ma avvertendo come più stringente ancora il desiderio di un trasferimento di sede, Vallaresso indirizzò i propri tentativi direttamente sul governo veneziano, al quale, subito dopo l’elezione di Sisto IV, fece presente il proprio caso. Il 9 novembre 1471, perciò, gli ambasciatori veneti inviati a Roma per congratularsi con il nuovo papa furono incaricati dal Senato di raccomandare al pontefice quindici ecclesiastici veneziani meritori di promozione, tra i quali figurò appunto l’arcivescovo Vallaresso. Anche questo tentativo, però, andò a vuoto.
Nel 1476 Vallaresso lasciò Zara e si spostò a Venezia. Le ragioni del viaggio furono ancora di natura giudiziaria. Egli, infatti, era chiamato a difendersi, presso il tribunale del Patriarcato, in una causa in materia di riscossioni decimali intentagli dall’arcidiacono della cattedrale di Zara, capo di una fronda capitolare fermamente ostile all’arcivescovo. Vinta la causa dopo mesi di dibattimenti e rientrato a Zara, Vallaresso, trascorsi cinque anni, perseguì nuovamente il proprio desiderio di un trasferimento di sede. Nel 1481, resosi vacante il vescovado di Padova, egli sottopose infatti la propria candidatura alla proba del Senato veneziano, ma l’importante cattedra episcopale padovana fu assegnata al cardinale Pietro Foscari. Nel 1485 Vallaresso concorse anche alla proba in Senato per il vescovado di Treviso, ma fu sconfitto nuovamente (la sede trevigiana venne infatti affidata a Niccolò Franco).
All’età di settant’anni, Vallaresso, apprezzato umanista, era uno degli ecclesiastici più anziani e isolati del Dominio veneziano. Egli si rassegnò a mettere da parte ogni ambizione e a morire da arcivescovo di Zara.
Risulta essere ormai defunto, e sepolto nella cattedrale zaratina, il 19 dicembre 1494, quando il papa nominò a sostituirlo sul soglio croato il vescovo di Ossero Giovanni Robobello.
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