PANTALEONI, Maffeo
Economista, figlio del precedente, nato a Frascati il 2 luglio 1857 da madre inglese, morto a Milano il 29 ottobre 1924. Dopo aver compiuto gli studî classici a Potsdam (Berlino), si laureò in diritto all'università di Roma (1881). Poliglotta e fornito di vasta cultura classica, si dedicò agli studî economicofinanziarî e nel 1884 prese la libera docenza in scienza delle finanze. Fu, giovanissimo, professore all'università di Camerino e di Macerata, all'Istituto superiore di commercio di Venezia e di Bari e, dopo una breve parentesi, all'università di Napoli, poi a Ginevra, a Pavia e infine a Roma nel 1901. In questo stesso anno entrò alla Camera dei deputati col gruppo radicale, ma presto rivendicò, di fronte ad esso, la propria autonomia ed uscì dalla Camera e dal partito. Al nazionalismo egli arrivò in virtù di un processo spirituale spontaneo, indipendentemente da ogni compromesso con la pratica di gruppo. Del socialismo il P., come già prima del parlamentarismo, fu nemico pugnace, perché ne vide le deformazioni e ne previde le Conseguenze disgregatrici dell'ordine sociale e della compagine nazionale. Interventista tra i primi, propugnatore della resistenza, fondò nel 1917, dopo Caporetto, il Fascio parlamentare di difesa nazionale, contro i partiti sovversivi e pacifisti; finita la guerra, fu tra i massimi difensori della vittoria; rettore delle finanze dello Stato libero di Fiume con G. d'Annunzio, visse un periodo d'intensa passione e di lotta. I suoi articoli su quotidiani e riviste (Giornale d'Italia, Idea nazionale, Vita italiana, Politica), in parte raccolti in cinque volumi (Tra le incognite, Bari 1917; Note in margine alla guerra, ivi 1917; Politica: criteri ed eventi, ivi 1918; La fine provvisoria di un'epopea, ivi 1919; Bolscevismo italiano, ivi 1922), sono tra le pagine più efficaci della letteratura politica italiana. Nella sua prosa, economica e politica, breve, nuda, tagliente, è aderenza perfetta della forma al contenuto. Diagnosi acutissime, smascheramenti senza pietà, intuizioni felici sono le caratteristiche del P. giornalista e politico. E giornalista di classe fu il P., anche per la visione realistica e sintetica degli avvenimenti.
Il 1 marzo 1923 entrò al Senato e diede la sua opera al fascismo come presidente del Comitato per le economie e come presidente del Comitato per la ricostruzione finanziaria della Repubblica austriaca. Il P. aveva subito afferrato l'intima essenza rinnovatrice del fascismo: "Se non fosse stato per il fascismo, egli scrisse, l'Italia avrebbe sofferto una catastrofe non soltanto politica, ma bensì della sua stessa civiltà". E del fascismo diventò e rimase gregario fedele; memorabile il suo discorso del 25 giugno 1924 in difesa del governo nazionale, in cui egli, pur non iscritto al partito, adopera la sua parola persuasiva per ridare fede ai dubitosi e colpire i disertori dell'idea fascista.
Il P. come uomo, come politico, come economista, sta a sé. Suoi scritti possono, volta a volta, fare apprezzare l'originalità, l'acutezza, l'onestà profonda dello scienziato, la sensibilità e le intuizioni del politico, ma non consentono da soli la valutazione della sua personalità. Non dànno neppure tutto il suo pensiero, come più volte egli stesso ebbe a dire.
Successore di Angelo Messedaglia all'università di Roma, è profondamente diverso da lui nello spirito. Il Messedaglia sente della realtà l'aspetto formale in modo meccanico, mentre il P. ha il senso del pathos che la pervade e dell'individuarsi dei fenomeni in persone viventi, virtuose o colpevoli, disinteressate o parassite, e nei loro aggregati o gruppi di comunanze d'interessi e dell'antitesi tra i gruppi. Si potrebbe dire che l'uno è più realista dell'altro: il Messedaglia, perché geometrizza sui fatti come se astraesse dalle persone, il P. perché drammatizza i fatti come espressione delle persone. Matematico l'uno, politico l'altro, si ritrovano nel desiderio di aderenza alla realtà. E maestro a preferenza di ogni altro fu il P. nell'allacciare la vita alla teoria e nel ricondurre la teoria alla vita. Idealista nel senso più bello della parola, sa trasfondere la fiamma della passione che lo anima in quanti l'avvicinano. Professore in otto università, ha dovunque discepoli fedeli ed entusiasti.
Il P., che i manuali di storia delle dottrine economiche, troppo semplicisticamente, classificano tra i massimi assertori dell'edonismo, e come espositore e rielaboratore originale e magari geniale della scuola austriaca o della teoria dell'utilità marginale, non appartiene a nessuna scuola. Egli stesso scrive: "Vi darò forse una mediocre opinione di me dicendovi che non appartengo a nessuna scuola e che non ne ho una che esce dalla mia officina".
Un profondo senso della realtà lo distingue e lo separa da tutti. È vero che egli aveva costruito i suoi Principi di economia pura (1889) sulla premessa edonistica, sull'ipotesi cioè "che gli uomini siano mossi ad agire esclusivamente per conseguire la maggior possibile soddisfazione dei loro bisogni mediante il minore possibile sacrificio individuale". Ma quest'ipotesi egli sa e afferma teorematica. La vita è altra cosa, e il fenomeno economico non ne è che un aspetto parziale e minimo: "a me non sembra che sia certo che la storia dell'umanità sia governata unicamente da forze economiche. Non vedo, e altri non vedono con me, come un economista possa spiegare i fenomeni storici, e sia pure in ultima istanza, e non già in dettaglio ogni complessa manifestazione concreta, col solo soccorso della sua scienza. È troppo piccola all'uopo. E non credo nemmeno che le forze economiche, nel concorso con altre, abbiano regolarmente il sopravvento" (Divergenze d'opinioni tra economisti, Roma 1897). Né il postulato edonistico, che costituisce la premessa su cui costruisce la sua economia pura, gli fa perdere di vista la complessa, molteplice e multiforme natura umana, non riducibile a categoria né generalizzabile. "L'homo oeconomicus" egli dice infatti (Di alcuni fenomeni di dinamica economica) "non riesce il medesimo, neanche quale homo oeconomicus, a seconda che sia impastato di più o di meno di homo ethicus e di homo religiosus, e a seconda della specie di homo ethicus e di homo religiosus che entra nell'impasto; il che fa sì, che non solo la zona entro la quale i teoremi dell'economia hanno riscontro nella realtà è soggetta a variazioni, ma che anche entro la zona ognora riservata alla loro corrispondenza con la realtà gli equilibrî riescono diversi". Lo sforzo di aderenza alla realtà è costante e anche nella valutazione dell'economia pura egli dichiara utile e necessaria quella che serve di preparazione allo studio del fenomeno reale e storico. Egli afferma perciò la realtà dinamica della vita al di sopra di ogni schema teorico di equilibrio statico: "Non è compatibile con l'idea di progresso l'idea di una forma ideale di società. Un ideale è un termine. Il progresso non conosce termine. Raggiunto che sia un ideale, segue un altro e così eternamente". (Il Secolo XX secondo un individualista, 1900). È questo anche l'imperativo scientifico del P., che non conosce termine né mete, ma supera sempre sé stesso.
Come al P. economista non può porsi un'etichetta di scuola, così il suo pensiero non è riducibile a schema. Pensiero vasto e umano, che può intendersi e valutarsi solo attraverso la conoscenza diretta e che ha soprattutto il grande pregio di stimolare il pensiero altrui. Le sue opere, trattino di economia pura o applicata, di scienza delle finanze o di politica, costituiscono sempre un apporto personalissimo.
La Teoria della traslazione dei tributi (Roma 1882) è la prima opera del P., dove si sente l'influenza della scuola classica e particolarmente di D. Ricardo. È un lavoro senza precedenti sull'argomento: il primo che tenti lo studio sistematico delle teorie finanziarie nelle loro ripercussioni economiche. Con quest'opera, seguita dal Contributo alla teoria del riparto delle spese pubbliche (Rassegna italiana, 15 ottobre 1883), dalla Teoria della pressione tributaria (Roma 1887) e dal saggio sull'Identità della pressione teorica di qualunque imposta a parità di ammontare, e la sua semeiotica (1910), il P. viene a porsi senz'altro tra i massimi rinnovatori degli studî finanziarî. Del 1884 è lo studio Dell'ammontare probabile della ricchezza in Italia (Roma), al quale seguono Dell'ammontare probabile della ricchezza privata in Italia dal 1872 al 1889 (in Giorn. econ., 1890) e Delle regioni d'Italia in ordine alla loro ricchezza e al loro carico tributario (in Giorn. econ., 1891). Lo scopo che il P. si propone è di farsi un'idea, per quanto è possibile, realistica dell'ammontare della ricchezza italiana. A tal fine si serve di tutti i mezzi a sua disposizione, collegando le conclusioni in un concatenato filo logico, nonostante le digressioni frequenti imposte dalla materia. Le acute osservazioni sui metodi di determinazione della ricchezza costituiscono un notevole apporto alla formazione della nuova scuola statistica italiana.
Nel 1889 appaiono i Principi di economia pura (Firenze, 2ª ed., 1894; 3ª, Roma 1931; trad. ingl. di T. B. Bruce, Londra 1898; trad. sp. di L. Roque, Buenos Aires e Madrid 1918). Con quest'opera (che precede il Cours di V. Pareto di sette anni), dove l'uso del metodo deduttivo è affermato e magistralmente attuato, il P. dà il primo impulso al nuovo indirizzo scientifico dell'economia italiana. Si è in un periodo nebuloso per la scienza economica; teorie antitetiche e apparentemente non conciliabili affaticano i cervelli; si contendono il campo la dottrina del costo di produzione e quella della domanda e dell'offerta, mentre si fa strada la nuova scuola austriaca con la teoria dell'utilità marginale e resta poco o mal nota la poderosa dottrina di F. Ferrara, nella cui scia il P. verrà a porsi. Il P. vede chiaro nel caos e afferma che molti contrasti sono puramente terminologici e che esistono verità fondamentali su cui tutte le teorie concordano e dalle quali possono logicamente trarsi assiomi di valore indiscutibile. Dai Principi balzano così fuori, liberati dalle sovrastrutture nominalistiche equivoche o accidentali, i capisaldi della nuova scienza economica.
Il P., partendo dalla premessa edonistica, dopo aver costruita la teoria dell'utilità, elabora quella del valore basandola essenzialmente su quella dell'utilità marginale. Viene poi a trattare dell'applicazione della teoria del valore a determinate categorie di beni. Tutto come deduzione logica della premessa edonistica, dalla quale è partito. La parte fondamentale è l'organica esposizione del problema del valore. Dei sistemi e delle teorie precedenti e contemporanee il P. si serve come di preziosi strumenti, ma tutte li supera nella sua geniale e personale sintesi di evidenza insuperata. Utilizza l'elaborazione scientifica dei teorici dell'utilità marginale H. Gossen, C. Menger e particolarmente di A. Marshall, conciliandola con quella ricardiana del costo di produzione. Ma, a differenza di molti di questi novatori, ha una maggiore sensibilità politica e sociologica delle interferenze e del collegamento serrato dei problemi economici. Quest'opera che L. Amoroso, molto esattamente ha definito una "viva e geniale intuizione della realtà", non fu mai dal P. ripresa e rielaborata deliberatamente, ché egli non amava tornare sul già fatto.
Dove però si può meglio apprezzare il poliedrico intelletto del P. è nei saggi varî, la maggior parte dei quali sono raccolti nei tre volumi degli Scritti vari di economia (il primo e il secondo editi a Palermo nel 1904; il terzo a Roma nel 1910; ripubblicati a cura dell'Istituto di Pol. Econ. e Finanz. dell'università di Roma, Milano 1934) e nei due volumi degli Erotemi di economia (Bari 1925).
I saggi riguardano le questioni più svariate di economia, teorica ed applicata, di sociologia e di finanza. Il suo spirito, sempre in azione, si ferma su ogni questione fondamentale e ne scopre caratteristiche, connessioni e aspetti prima ignorati. Ci sono saggi storici come quello Sull'origine del baratto (Roma 1899-1900), dove, partendo dalla sostanziale uguaglianza della natura umana, afferma contro la tesi sostenuta da S. Cognetti de Martiis, che l'organizzazione economica è antica quanto l'uomo; o come l'altro Criterî che devono informare la storia delle dottrine economiche (Roma 1898), dove dichiara che per storia delle dottrine economiche bisogna intendere la storia delle "verità economiche". Affermazione che non va presa in senso assoluto e aprioristico, ma come la rivendicazione della necessità di un'idea direttrice per la costruzione della storia delle dottrine economiche. Non dunque schedario freddo o catalogo cronologico, ma sistemazione organica degli autori secondo l'apporto dato da ciascuno alla costruzione della verità economica attuale. Ci sono saggi di natura sociologica quale Il tentativo di analisi di forte e debole in economia (1898) dove, dopo un accurato esame, nel corso dell'evoluzione sociale, degli aspetti economici predatori o parassitarî o mutualistici e una critica acuta di sociologi e teorici del socialismo, arriva alla conclusione che unicamente "la indeterminatezza di ciò che sia realmente forza rende accettabile un regime contrattuale". E in questa conclusione egli vede anche la giustificazione dell'attuale assetto economico. Nel saggio Sui massimi edonistici individuali e collettivi (1891) fa un'accurata analisi dei contrasti tra interessi dell'individuo e interessi della società e dei gruppi sociali. In quello sull'Atto economico (1913) di questa categoria di atti fa un esame approfondito e umano per giungere alla conclusione che "l'atto economico deriva dall'uomo ed è una aberrazione infeconda volersi comportare nell'analisi degli atti umani come siamo purtroppo costretti a comportarci nell'analisi dei fenomeni di natura morta". In Una visione cinematografica del progresso della scienza economica (1907), sintesi magistrale e personale delle teorie economiche che si contendevano il campo, lanciò la famosa affermazione, suscitatrice di tanti commenti e discussioni, che egli conosceva soltanto due scuole in economia "quella di coloro che sanno e quella di coloro che non sanno l'economia". Quest'affermazione è il portato di un laborioso travaglio critico: processo di revisione di metodi e di dottrine oltremodo fruttuoso per l'economia, ché da esso prende le mosse un nuovo indirizzo realistico e tecnico-politico d'indagine scientifica. Nei due saggi Considerazioni sulle proprietà di un sistema di prezzi politici (1911) e Danni economici della sostituzione di prezzi politici a quelli economici (1919), dopo aver approfondito la distinzione tra prezzi politici e prezzi economiei, mette in luce le gravi conseguenze sociali di un sistema di prezzi politici. L'esame chiaro e preciso culmina nelle ćonsiderazioni sul valore dell'imposta, quale tipico esempio di prezzo politico e sulle sue conseguenze sociali. Insuperate osservazioni il P. lascia sul sindacalismo, sui principî teorici della cooperazione, e a lui si deve la geniale intuizione, che sta avendo vasti sviluppi pratici, sulla partecipazione azionaria dello stato alle imprese private (Lo stato azionista, 1916).
Nel campo della scienza bancaria il contributo originale portato dal P. non è meno notevole. È del 1895 lo studio su La caduta della Società generale di credito mobiliare italiano (in Giornale degli economisti). Egli considera le banche nella loro funzione dinamica di centri propulsori di molteplici attività. Ne delinea i compiti fisiologici e ne diagnostica le manifestazioni patologiche e di queste ultime cerca le cause e le conseguenze. Finisce con l'esame della teoria dei salvataggi, guardati soprattutto dal punto di vista della distribuzione dell'onere del salvataggio stesso. Accanto a questo studio possono ricordarsi per affinità di materia i due volumĭ sullo Scandalo bancario di Torino (Torino 1902-1903), che presero occasione dagli attacchi sleali mossi contro di lui, sui quali ebbe però piena ragione con la solidarietà di uomini di opposte tendenze.
Fra i varî corsi di lezioni della sua lunga attività scolastica, particolare interesse presenta quello del 1903-1904 (Roma), nel quale, dopo aver precisato la distinzione tra economia pura, scienza teorematica, ed economia applicata, scienza storica, dà della scienza pura una delle più belle e precise definizioni: "Le scienze pure in genere sono le scienze del possibile, cioè delle forme possibili, o dei movimenti possibili, o degli sviluppi possibili", presupposto necessario per la comprensione del fenomeno concreto che nella scienza pura appare volutamente semplificato. Sempre in questo stesso corso di lezioni egli espone la teoria dei prezzi connessi, formula che concilia la dottrina eccessivamente generalizzatrice dell'equilibrio generale tra tutte le domande e tutte le offerte e quella eccessivamente frammentaria e inorganica dell'equilibrio particolare tra domanda e offerta di una sola merce; teoria ripresa e rielaborata nel saggio già ricordato, Una visione cinematografica del progresso della scienza economica.
Del P. in conclusione può dirsi che nessuno dei suoi contemporanei può stargli a pari, per i contributi dati all'impostazione di molti problemi e per il contenuto realistico del suo argomentare. Ebbe in sommo grado la facoltà di estrarre il nucleo di verità contenuto nell'opera dei predecessori e dei contemporanei, anche quando queste verità passavano inosservate. A lui prima e a V. Pareto poi spetta il merito di aver ridato all'Italia un posto altissimo nel campo dei contributi sostanziali al progresso della scienza economica. L'Italia infatti, che, aveva prodotto nel sec. XVIII una serie di economisti di eccezione quali C. Beccaria, Verri, Galiani, Mengotti, è in periodo di stasi nel sec. XIX, se si eccettuino F. Ferrara e A. Messedaglia, i cui meriti, per varie ragioni, hanno avuto, nei loro tempi, riconoscimento soltanto nazionale. L'Italia, assorbita dalla sua formazione unitaria, è presso che assente dal processo di rielaborazione delle teorie classiche, che sboccherà nelle teorie dell'equilibrio generale di L. Walras e in quella degli equilibrî parziali di A. Marshall. È solo ed unicamente per merito del P. che l'Italia prende forse il primo posto in questo processo di revisione della scienza economica, che ancora oggi si sviluppa nel mondo coordinatamente al pensiero del P. e del Pareto.
Bibl.: P. Sraffa e A. Loria, in Economic Journal, XXXIV (1924), 648-54; H. L. Moore, Pantaleoni's Problem in the Oscillation of Prices, in Quarterly Journal of Economics, XL (1925-26), 586-97; G. Del Vecchio, A. De Viti De Marco e altri, in Giornale degli economisti, LXV (1925), 105-236; G. Pirou, M. Pantaleoni et la théorie économique, in Revue d'économie politique, XL (1926), pp. 1144-65.