MAGGI (de Madiis), Maffeo (Matteo)
Figlio di Emanuele (primo artefice delle fortune politiche della famiglia), fratello del vescovo e signore della città Berardo, nacque quasi certamente a Brescia, forse intorno al 1235-40, come si può ipotizzare in base al primo incarico politico che ricoprì, quello di podestà di Firenze nel 1271. Prima di tale data è menzionato nella documentazione solo una volta, nel testamento di Emanuele (1257).
Gli anni Settanta del Duecento costituirono una svolta significativa e delicata per la signoria di Brescia, governata dai rappresentanti angioini nel quadro dei precari equilibri che l'assenza del potere imperiale aveva determinato nella pianura lombardo-padana, allora spartita nelle diverse zone d'influenza dei Pallavicino e appunto degli Angiò. In questo contesto trovarono nuovo spazio le famiglie bresciane di tradizione guelfa, come i Maggi che dopo la scomparsa di Emanuele avevano traversato un periodo di relativa difficoltà (pur non scomparendo affatto dalla scena politica visto che Federico, fratello del M., fu ambasciatore del Comune di Brescia a Milano nel 1266 e che nel 1270 Alberto Maggi fu vicario vescovile). Proprio la contemporanea presenza sullo scenario pubblico di una serie di personalità fortemente radicate nella società urbana, politicamente accorte e legate da una forte coscienza dinastica, ma senza personalismi eccessivi, permise l'ascesa della famiglia Maggi.
La prima podesteria fiorentina del M., come detto sopra, del 1271, si colloca infatti negli stessi anni nei quali emersero, all'interno delle istituzioni ecclesiastiche locali, le figure dei canonici Alberto e Berardo (il futuro vescovo), secondo strategie comunemente praticate dalle grandi famiglie dell'élite cittadina duecentesca dell'Italia centrosettentrionale.
Per il M. fu l'inizio di una lunghissima carriera, che ne ha fatto "uno degli ufficiali più blasonati di tutti i tempi" (Maire Vigueur), un vero prototipo del podestà di professione nell'Italia della seconda metà del Duecento. A partire dalla metà degli anni Settanta le cariche ricoperte dal M. si susseguirono infatti senza soluzione di continuità per circa un decennio: fu podestà di Perugia nel 1274-75, Reggio nell'Emilia nel 1276 (secondo semestre), Parma nel 1277, Siena nel 1278, Lucca nel 1279; capitano del Popolo nuovamente a Reggio nell'Emilia nel 1280, poi podestà a Firenze nel 1281 e a Pistoia nel 1282. Come risulta dall'elenco le città nelle quali il M. prestò i suoi servigi di amministratore erano tutte città "guelfe"; è altrettanto evidente dalle sequenze biennali (Reggio-Parma, Siena-Lucca, Firenze-Pistoia) che le "referenze" che un Comune poteva fornire a un altro geograficamente vicino circa le qualità di un podestà ebbero un loro peso nel determinare l'andamento della carriera professionale del Maggi.
Generalmente, le cronache cittadine e le cronotassi podestarili sono piuttosto parche di giudizi sui podestà che si succedevano di anno in anno, e ciò vale anche per il Maggi. In talune circostanze la proroga "ad annum sequentem" e in qualche altro caso una seconda chiamata, che si può indirizzare per giunta a una carica diversa dalla precedente (in altre parole ritenendo il M. affidabile tanto come podestà quanto come capitano del Popolo), testimoniano tuttavia in modo indiretto l'apprezzamento per il lavoro svolto da lui. Che egli si fosse portato con energia e scrupolo lo mostra per esempio un episodio della sua podesteria fiorentina del 1281, quando condannò al rogo uno spenditore di monete false collegato con i conti Guidi di Romena (e identificato con il maestro Adamo citato da Dante Alighieri: Inf., XXX, 61).
Dopo alcuni anni di interruzione, la successione delle magistrature del M. riprese con l'abbinata podestariato (1285) e capitanato del Popolo (1286) a Bologna, con le podesterie di Viterbo (1288 e 1289: fu nominato dal Collegio cardinalizio durante la sedevacanza dopo la morte di Onorio IV e il 28 ott. 1288 confermato da Niccolò IV per un altro anno) e di Fermo (1290), con un ritorno a Bologna ancora come capitano del Popolo (1291) e infine con un incarico milanese (podestà nel 1294 per sei mesi) e una podesteria fiorentina (25 marzo - 31 dic. 1295).
Tra gli incarichi segnati da iniziative o da eventi significativi di questa seconda tranche della carriera del M. si può ricordare il capitanato del Popolo bolognese del 1291, quando "se fé la champana grossa del povollo e mixese sulla torre del capitanio" (Matteo Griffoni). Anche a Parma, nel primo semestre del 1287, suggerisce un rapporto di causa-effetto l'accostamento (nel Chronicon Parmense, p. 32) del nome del M. a una importante innovazione fiscale ("eodem anno incepta fuit doana salis comunis Parme").
Il culmine della carriera funzionariale del M. fu raggiunto forse intorno alla metà degli anni Novanta. Nel 1294 infatti egli si trovò a reggere il più importante Comune dell'Italia settentrionale, Milano, in una congiuntura particolarmente significativa, quando Adolfo di Nassau re dei Romani offrì a Matteo Visconti il vicariato d'Italia. Non si trattava del resto di una casualità: i rapporti fra i Maggi e i Visconti erano da tempo di stretta collaborazione politica. Cionondimeno l'anno dopo il M. fu chiamato alla podesteria di Firenze in circostanze politiche molto delicate, segno che la discriminante tra posizioni filoghibelline e guelfe non appariva insormontabile.
Nel gennaio 1295 il podestà di Firenze, il comasco Giovanni da Lucino, rimise il mandato non riuscendo più a controllare una situazione nella quale aggressioni e tumulti erano all'ordine del giorno. La città era allora retta dal regime popolare imperniato sugli ordinamenti di giustizia fatti approvare da Giano Della Bella. Era in quel momento capitano del Popolo Guglielmo di Corrado Maggi, nipote ex fratre del M., e la sua presenza non fu certo estranea al conferimento del nuovo incarico al parente (21 gennaio), nonostante il divieto statutario del conferimento a due congiunti delle due più alte magistrature del Comune. Abbinamenti del genere, dovuti a una sorta di "effetto di trascinamento", non furono peraltro eccezionali all'interno della famiglia Maggi. Il M. peraltro non prese servizio prima del 25 marzo 1295, sicché la convivenza fra i due fu di breve periodo perché Guglielmo Maggi morì poco dopo, lasciando eredi il M. e il vescovo Berardo. Nel periodo in cui fu in carica, dopo aver risolto con il Comune le pendenze relative al salario di Guglielmo, il M. ebbe a compiere un'altra missione politica estremamente delicata, recandosi (fine agosto 1295) a Pistoia per appoggiare la parte dei guelfi bianchi costringendo all'esilio Vanni Fucci e i suoi sostenitori.
Dunque, una carriera straordinaria, lunga quasi un quarto di secolo e favorita da due fattori principali, oltre che sorretta ovviamente dalle doti personali del Maggi. Il primo è la stessa origine bresciana e dunque la provenienza da una città ragguardevole per importanza politica, provvista di un ceto dirigente autorevole e saldamente collegato all'establishment guelfo che nell'Italia della seconda metà del Duecento coordinava un numero decisamente alto di città centrosettentrionali; in importantissime città comunali come Bologna, Brescia è la prima in graduatoria tra le fornitrici di magistrati itineranti: oltre ai Maggi, numerosi furono gli esponenti di primarie casate bresciane, come i Poncarale e i Martinengo. Il secondo fattore è la strategia che la famiglia Maggi, allora impegnata a difendere le prerogative del vescovo Berardo, dispiegò, senza che si verificassero, per quanto consta, attriti o personalismi. Questa strategia di consolidamento si concretizzò in diversi aspetti, non ultimo quello patrimoniale che, pur raramente, documenta un coinvolgimento del M. (nel 1282, per esempio, era stato investito con il fratello Federico, dal vescovo Berardo, di metà delle decime dell'importante castello di Asola). Nella stessa direzione si possono leggere le scelte di politica matrimoniale del M., che hanno un'ovvia coloritura politica: il matrimonio tra sua figlia Cancellaria e Simone di Giberto da Correggio, combinato nel luglio 1304, fu una premessa all'alleanza in funzione antiestense che di lì venne a saldarsi.
In coincidenza con il concentrarsi su Brescia, e sul progetto di costruzione di una signoria cittadina, della scommessa politica dei Maggi, anche la carriera "esterna" e pubblica del M. cessò completamente nel primo decennio del Trecento. Tuttavia egli non scomparve dalla scena cittadina: lo troviamo anzi più volte al fianco del fratello Berardo in occasioni pubbliche importanti.
Il 21 maggio 1305, nel Consiglio dei quattrocento, il M. è menzionato subito dopo gli "anciani pacis et populi Brixie" (con Corrado da Palazzo, Berardo di Bertolino Maggi, esponenti dei Gambara e dei Boccacci, ecc.) in occasione della stipula di un accordo fra il Comune di Brescia, gli Scaligeri e i Bonacolsi. Meno di un anno dopo, il 24 marzo 1306, rappresentò il Comune di Brescia nell'accordo di pace stipulato con Cremona, Mantova e (soprattutto) Verona a Pontevico di Robecco. Nel luglio 1308 infine il M. intervenne ancora nel consiglio maggiore proponendo la approvazione dei capitoli di pace con Cremona.
Alla morte del vescovo e signore Berardo (16 ott. 1308) il M. assunse il potere civile, e probabilmente orchestrò anche l'operazione che portò Federico, figlio di Bertolino di Emanuele (e dunque figlio di un cugino del M.), alla proclamazione a vescovo, pur in assenza del requisito dell'età. Si trattò di un momento delicato per la "signoria" dei Maggi: il M. dovette intervenire ripetutamente, avendo ai suoi ordini reparti dell'esercito urbano, per reprimere i disordini nel contado. Nello stesso tempo valorizzò efficacemente l'eredità morale e politica lasciatagli dal fratello Berardo: fu lui infatti (come ora si ritiene) ad affidare a uno scultore ignoto l'incarico dell'esecuzione del celebre sarcofago marmoreo, conservato nel duomo vecchio.
Manca il documento di conferimento al M. di un arbitrium formale da parte dell'arengo comunale. Le fonti cronistiche usano in qualche caso per definire la sua posizione dal punto di vista "costituzionale" termini un po' generici come "princeps" ("Mapheus eiusdem episcopi Berardi frater mox civitatis princeps efficitur": così il bresciano Malvezzi) o "prefectus". Secondo il Chronicon Parmense, invece, il M. "factus fuit perpetuus dominus". Il notaio milanese Giovanni da Cermenate sottolinea la "diarchia" dei poteri civile ed ecclesiastico che si venne a creare tra il M. e il vescovo Federico: "regnabat clericus et laicus, utrumque gladium valida manu tenens". Ferreti, infine, lo definisce "bellicosus et audax [(] fame gloriam quesivit in armis" e non trova differenze fra il suo stile di governo e quello di un Rizzardo da Camino o di un Alboino Della Scala.
Per il consolidamento della preminenza dei Maggi fu importante ovviamente la consacrazione di Federico, ottenuta da Clemente V; nella contemporanea guerra contro Venezia per il controllo di Ferrara il M. e Brescia appoggiarono dunque le rivendicazioni papali (1308). Pochi mesi dopo il M. si trovò a gestire la cruciale congiuntura determinata dall'impresa italiana di Enrico VII di Lussemburgo. Il 29 giugno 1310, ai commissari imperiali che compivano il loro tour nelle città lombarde in previsione della futura discesa, fu dichiarata la disponibilità del Comune di Brescia alle richieste del re, purché vi fosse anche l'accordo del papa. Il 6 genn. 1311, in occasione dell'incoronazione milanese, il M. fu armato cavaliere (con molti altri - 160 o 190 a seconda dei cronisti - fra i quali Matteo Visconti, Giberto da Correggio, Ponzino Ponzoni). L'8 gennaio i fuorusciti bresciani prestarono giuramento di fedeltà a Enrico VII, che nominò Alberto Castelbarco di Rovoglione suo vicario a Brescia, determinando quindi la formale conclusione della signoria del Maggi.
Nelle settimane successive anche Brescia si impegnò con una quota consistente (seconda solo a quelle di Milano, Venezia e Padova) al pagamento trimestrale dovuto all'Impero. Ma la situazione politica presto degenerò. Secondo la tradizione storiografica locale il vicario reale (un miles trentino, forse inadeguato alla gestione di una situazione assai delicata) nelle settimane successive avrebbe fatto rinchiudere nel palazzo del Comune, su richiesta dei Maggi, Tebaldo Brusati (il leader guelfo già espulso da Berardo Maggi, "capitalis hostis" del M., secondo il Malvezzi) e i suoi sostenitori, lasciando così libero il campo ai soprusi dei suoi avversari. La reazione dei guelfi si manifestò con la rivolta del 24 febbr. 1311 e determinò, dopo la fuga precipitosa del vicario, l'inevitabile espulsione del M. e del vescovo Federico Maggi e l'instaurazione della signoria del Brusati. Si trattava di un attacco al cuore della politica di pacificazione di Enrico VII, che chiese invano la riammissione dei Maggi. I guelfi bresciani si collegarono immediatamente ai "fratelli" fiorentini, chiamando come podestà Pino Della Tosa; la questione di Brescia - che anche l'Alighieri nella lettera del 17 apr. 1311 (Ep., VII) considera una delle roccaforti del guelfismo, legata a filo doppio alla Firenze dei guelfi neri - divenne cruciale nella politica nazionale, e ne fu prova il duro assedio dei mesi successivi.
Con la cacciata da Brescia si concluse la carriera politica del M.; mancano notizie precise sul luogo e sulla data della sua morte.
Le due figlie conosciute del M. contrassero matrimoni politici di adeguato livello: la già menzionata Cancellaria (ancora vivente nel 1312) sposò Simone di Giberto da Correggio, mentre con Marco, figlio di Matteo Visconti, fu sposata Franceschina (dopo l'esilio del M. rimasta in Brescia, ove testò nel 1319). È documentato anche un Guglielmo.
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