STEFANO (m[agister?] Stephanus), maestro
STEFANO (m[agister?] Stephanus), maestro. – Quello che di sicuro si conosce della biografia di questo personaggio è, nei fatti, solamente il nome, consegnatoci da un testo che altresì ne permette la dislocazione cronologica almeno nell’ultimo ventennio del VII secolo, accompagnato da una qualifica, sintetizzata in un’abbreviazione («MG» o «M») che è stata prevalentemente sciolta in magister (Carmen de synodo Ticinensi, a cura di L. Bethmann, 1878, p. 189, su segnalazione di Oswald Holder-Egger).
Il testo sul quale si incardina il nome di Stefano è un componimento poetico, in trimetri/senari giambici ritmici (per lo schema si veda Norberg, 1958, p. 111), articolato in 19 strofe, di cui 16 sono guidate, con doppio acrostico, dalle otto lettere che compongono appunto il nome «STEFANUS» e le ultime tre si dividono fra la «M» (strofe 17-18) e la «G» (strofa 19, con il «Gloria») dell’abbreviazione della qualifica, cui si è fatto cenno. Aperto da tre strofe dedicate all’elogio di quella che potrebbe essere definita la politica religiosa filocattolica del nonno (Ariperto I, 653-661: strofa 1) e del padre (Pertarito, 661-662/671-688: strofe 2-3) di Cuniperto (680/688-700), il carme prosegue con l’esaltazione del sovrano regnante («Tertius immo nepus adque filius / Rex Cunincpertus sublimatus tempore / Moderno rector fortis et piissimus»: strofa 4, 1-3) che fu «Ecclesiarum ditator et opifex» (strofa 4, 2), oltre che vincitore dei ribelli al re guidati da «Alexo nequissimo» (strofa 5, 3: per le campagne contro il duca di Trento e Brescia Alahis, si può vedere Paolo Diacono, Historia Langobardorum, V 36, 38-41), ma soprattutto fu colui che, stando al carme (strofe 6-17), avrebbe posto fine alla questione tricapitolina, con un’articolata iniziativa che si concretizzò in una sinodo tenuta nella città in cui Cuniperto risiedeva «Ticino dicta ab amne, qui confluet, / Proprium gerens Papia vocabolum» (strofa 8, 4-5: si tratterebbe della prima attestazione del toponimo «Papia») e in una missione al papa (Sergio I, 687-701) per la consegna degli atti e la ratifica della chiusura dello «scisma» (strofe 8-17).
Una tradizione consolidata, che ha i propri incunaboli già nelle pagine dello scopritore del testo (B. Oltrocchi, Ecclesiae Mediolanensis historia..., 1795, p. 646), pone la sinodo e, implicitamente, la composizione del carme nel 698 (sulla scorta di Beda, chr. 572, che a sua volta deriva da Liber pontificalis, Sergius XV), sebbene gli estremi possano essere più larghi e, di fatto, comprendere se non addirittura, con i dovuti equilibri cronologici, quelli del regno di Cuniperto e, in buona parte, del pontificato di Sergio I, almeno l’arco 698-700.
Destinatario di una committenza ovvero artefice di un omaggio con referente, nell’un caso come nell’altro, il re longobardo Cuniperto (cfr. strofe 17 e 18), Stefano dovette avere dei legami non solo con la corte di Pavia (alla quale appartenne, con ogni probabilità, anche il «Teodoaldo legum peritissimum» di strofa 14, 5), ma anche – e forse in maniera più specifica – con la Chiesa pavese, della quale sono ricordati, nel testo associato al nome del magister, il «Christi ministrum» Tommaso (strofa 14, 4) e il «vir excellens [...] pontifex» Damiano (strofa 15, 4), accoppiati anche da Paolo Diacono (Historia Langobardorum V 38), proprio in relazione a loro rapporti con Cuniperto, e profilati dai rispettivi epitafi, superstiti per tradizione manoscritta (Rhythmi Aevi Merovingici..., a cura di K. Strecker, 1923, pp. 719 s., 722). La penultima strofa del testo (18) descrive un autore che chiede perdono al re per non essere riuscito a esaudire, com’era degno, gli «iussa» del sovrano, «pangere ore styloque contexere, / Recte ut valent edissere medrici, / Scripsi per prosa ut oratiunculam»: una giustificazione, dunque, per la scelta di una composizione ritmica e non metrica (si veda, in merito, Kamptner, 2000, pp. 191-194).
C’è, per altro verso, da osservare che l’ambito della corte pavese sembra essere stato alquanto propenso a consegnare alla «prosa», spesso affidata alla pietra, non poche celebrazioni di sé, come nel caso delle epigrafi pavesi per Teodote nel monastero di Santa Maria «alla Pusterla» (Rhythmi Aevi Merovingici..., cit., pp. 724 s.), per Cuniperga, figlia di Cuniperto, nel monastero di S. Agata (p. 727) e per Cuniperto stesso, sepolto nella chiesa di S. Salvatore insieme al nonno e al padre (p. 726), a riproporre la triade che apre anche il carme sulla sinodo di Pavia (probabilmente questa coincidenza suggerì a Norberg, 1958, p. 101 nota 4, di vedere in Stefano l’autore anche dell’epigrafe sepolcrale per i tre sovrani).
La documentazione (alla quale possono essere affiancati i testi celebrativi per il diacono Tommaso e per il vescovo Damiano, ai quali si è fatto cenno) invita a una riflessione circa il significato da attribuire alla qualifica di magister che Stefano esibisce, normalmente legata ad attività fabbrili (Lo Monaco, 2005, pp. 516 s.): è forse possibile vedere in lui una figura operante all’interno di un atelier pavese di elaborazione e produzione di testi encomiastico-propagandistici, a diversi livelli e con differenti destinazioni, anche per quel che concerne i supporti.
Un’ipotesi di diverso scioglimento dell’abbreviazione «M» delle strofe 17-18 del ritmo (con esclusione da essa della «G» finale della strofa 19) venne avanzata da Paul Lehmann (1958), il quale propose di leggere monachus e non magister (recente il pieno accordo di Kamptner, 2000, p. 191) e di vedere in Stefano un membro della comunità monastica di Bobbio, comunque attivo a Pavia. Sebbene in assenza dell’identificazione dell’acrostico, anche Baldassare Oltrocchi (Ecclesiae Mediolanensis historia..., cit., p. 535) aveva suggerito di poter vedere dietro il componimento un monaco bobbiese, pur ipotizzando comunque in parallelo come autore il grammatico Felice, ricordato da Paolo Diacono, Historia Langobarddorum VI 7.
Il ritmo di Stefano è trasmesso – come inserzione, molto probabilmente di contesto pavese, apparentemente estemporanea, da parte di mani pressoché coeve o di poco posteriori alla probabile data di stesura del componimento – da due testimoni: Milano, Biblioteca Ambrosiana, E 147 sup., pp. 114-116 e C 105 inf., c. 121rv (Lo Monaco, 2004, pp. 412-414).
Nel caso del manoscritto E 147 sup., in semionciale del VII secolo, esemplare degli Atti della prima Sinodo di Calcedonia, il carme è stato vergato in uno spazio bianco alla fine dell’Actio prima; nel caso del codice C 105 inf., testimone del De bello Iudaico attribuito a Egesippo, in semionciale del V-VI secolo, restaurato da una mano che utilizza una corsiva romana nuova, il componimento di Stefano venne inserito in un’area libera da testo dopo la fine del III libro. Per le due inserzioni è stata altresì ipotizzata un’origine bobbiese: di fatto, per quel che riguarda la presenza dei codici nella biblioteca del monastero sull’Apennino piacentino, solo il manoscritto E 147 sup. reca un ex libris, ascrivibile comunque al XV secolo, mentre nulla è testimoniato per il C 105 inf. (si veda Lo Monaco, 2006, pp. 58-60).
I dati della biografia di Stefano sono dunque strettamente legati a un testo e alla datazione di questo. Pertanto, come non è possibile fissare una data di nascita, così non è neppure ipotizzabile quella di morte.
Fonti e Bibl.: B. Oltrocchi, Ecclesiae Mediolanensis historia ligustica in Romanam Gothicam Langobardicam tribus libris distributa, pars secunda, Liber III, Mediolani 1795, pp. 536, 579 s., 625-627 (da qui: G. Bosisio, Concilia Papiensia, Papiae 1852, pp. 1 s.; C. Troya, Storia d’Italia del Medio-Evo, IV, Codice diplomatico longobardo, Napoli 1853, II, p. 505; III, pp. 17 s., 39-43; A. Joppi, Fontes rerum Foroiuliensium, in Archeografo Triestino, n.s. I/1, 1869, pp. 85-91); A. Reifferscheid, Bibliotheca Patrum Latinorum Italica. III. Die Ambrosianische Bibliothek in Mailand, in Sitzungsberichte der Phil.-hist. Klasse der Kaiserlichen Akademie der Wissenschaften in Wien, LXVII (1871), 1, pp. 473-475 (= Bibliotheca Patrum Latinorum Italica, II, 1, Wien 1871, pp. 9 s.); Carmen de synodo Ticinensi, a cura di L. Bethmann, in MGH, Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum saec. VI-IX, Hannoverae 1878, pp. 189-191; Rhythmi Aevi Merovingici et Carolini, a cura di K. Strecker, in MGH, Poetae latini aevi Carolini, IV, 2-3, Berolini 1923, pp. 728-731.
W. Meyer, Die Spaltung des Patriarchats Aquileja, Berlin 1898, pp. 4-9; W. Meyer, Gesammelte Abhandlungen zur mittellateinischen Rythmik, I, Berlin 1905, p. 212; M. Manitius, Geschichte der lateinischen Literatur des Mittelalter, I, München 1923, pp. 199 s.; P. Lehmann, Stefanus magister?, in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters, XIV (1958), pp. 469-471; D. Norberg, Introduction a l’étude de la versification latine médiévale, Stockholm 1958, pp. 111 s.; G.P. Bognetti, Santa Maria Foris Portas e la storia religiosa dei Longobardi, in L’età longobarda, II, Milano 1966, pp. 458-474; Repertorium fontium historiae Medii Aevi, III, Fontes: C, Romae 1970, p. 138 (e cfr. X, 4, Fontes: Sj-Sz, Romae 2005, p. 491); M. Kamptner, Scripsi per prosa (Stefanus, Rythmus de Sinodo Ticinensi, MGH Poet. IV/2, pp. 728-731), in Poesia dell’alto medioevo europeo: manoscritti, lingua e musica dei ritmi latini. Poetry of early medieval Europe: manuscripts, language and music of the latin rythmical texts, a cura di F. Stella, Firenze 2000, pp. 187-195; F. Lo Monaco, Stefanus, in La trasmissione dei testi latini del Medioevo. Mediaeval latin texts and their transmission. Te.Tra. 1, a cura di P. Chiesa - L. Castaldi, Firenze 2004, pp. 411-414; Id., Libri, cultura e istituzioni nell’Italia longobarda, in Die Langobarden. Herrschaft und Identität, a cura di W. Pohl - P. Erhart, Wien 2005, pp. 514-518; Id., De fatis palimpsestorum bibliothecae sancti Columbani Bobiensis, in El palimpsesto grecolatino como fenómeno librario y textual, a cura di Á. Escobar, Zaragoza 2006, pp. 53-62; I. Pagani, Monaci, letterati e poeti, in Monachesimi d’Oriente e d’Occidente nell’Alto Medioevo, Spoleto 2017, pp. 1397-1432 (in partic. pp. 1420-1422).