MADRIGALE
Non è ben sicura l'etimologia del nome. Per tacere di altre meno probabili, presenta difficoltà fonetiche l'ipotesi che risale già ad Antonio da Tempo ed è accettata dalla maggioranza dei moderni, e che ammette una forma originaria mandriale, da cui madriale e poi madrigale; mentre un'altra ipotesi affacciata da L. Biadene, per la quale sarebbe originaria la forma rnatricale, da cui madriale (e, per influsso di mandria, mandriale) e quindi madrigale, presenta a sua volta serie difficoltà semasiologiche. Comunque, si tratta di forma lirica d'origine popolare, che conservò il suo carattere rustico anche quando se ne impadronirono, nella prima metà del sec. XIV, i poeti d'arte. Nato in Italia, il madrigale è ignoto alle altre letterature romanze, e passa in Francia e in Spagna solo nel Cinquecento, per influsso della musica. Madrigali scrisse il Petrarca, al quale fecero eco F. Sacchetti, N. Soldanieri, il Rinuccini, il Malatesta, A. Donati, ecc. che ne consacrarono il genere, quale "un idillio lavorato a piccole imagini, tanto più netto e vivace quanto più circoscritto lo spazio entro il quale si gira e più semplice il contorno" (Carducci). Senza uscire dal grazioso e dal piccolo, cercati dalla gente elegante del 1300 nel genere madrigalesco, e senza rinunziare interamente alla materia campagnola, il madrigale sostituì talvolta le espressioni dell'epigramma alle pastorali, né si astenne dalla materia politica e morale, per cui gli accadde di perdere, in tali casi, quel profumo d sentimento amoroso e di semplicità naturista che in origine tanto l'avevano avvicinato alle provenzali pastorelle. Quanto alla fonometrica, mentre nel Trecento e nel Quattrocento il madrigale ne aveva una fissa, che constava di due o tre terzine di endecasillabi variamente rimati, seguite da uno o due distici a rima baciata, nel Cinquecento cominciò a essere costituito anche da endecasillabi e settenarî, finché non fu più che un breve componimento, composto di endecasillabi e settenarî varianente rimati, esprimente un'arguzia o un complimento: come tale ebbe fortuna presso gli Arcadi. Da questa sua ultima evoluzione deriva il significato appunto di "complimento" che il nome conserva ancora nella lingua comune. I tentativi - del D'Annunzio, di S. Ferrari e di altri - di ripristinare la forma trecentesca, non sono da considerare che esperimenti metrici di letterati raffinati.
Musica. - Il madrigale ebbe due fioriture distinte: l'una nel 1300, per opera dei poeti e compositori dell'Ars nova fiorentina l'altra nel 1500, col concorso dei più insigni maestri dello "stile cappella", per cui, tramontata la popolaresca frottola, il madrigal detto classico divenne il genere dominante la musica profana italiana e straniera e il campo sperimentale sul quale furono in Italia preparati gli elementi della moderna espressione musicale.
Nella letteratura musicale del 1300, il madrigale ebbe a compagni la caccia e la ballata: la prima delle quali si conservò per assai bene distinta per la sua tendenza al descrittivo e per l'impiego del canone; mentre la seconda non può andare confusa col madrigale, a causa del diverso schema metrico: questo, nel madrigal trecentesco, seguì quasi costantemente la norma che s'è detta. Le fonti musicali di questo sono riccamente rappresentate dal famos codice miniato Squarcialuppo, conservato nella Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, e da altri manoscritti custoditi ancora a Firenze, Roma, Padova, Parigi e Londra, dei quali i più antichi databili risalgono al 1340. Ma l'alba di questa lirica dell'Ars nova, nelle forme ora note, deve essere stata anteriore a tale data, se il padovano Da Tempo ne dettava già nel 1332 le regole nel trattato delle "Rime volgari" trovava encomiabili i madrigali "per plures", ossia a più voci, di Iacopo da Bologna. Inoltre, è da porre nei primi decennî del 1300 quel trattato musicale intitolato Pomerium di Marchetto da Padova, ove la tipica notazione dei compositori italiani di madrigali è diffusamente esaminata in tutte le sue particolarità nazionali, ond'essa si distinse dalla notazion dell'Ars nova francese. Ai nomi di Giovanni da Cascia, o da Firenze e del citato Iacopo da Bologna, posti dal Villani fra i primi maestri dell'Ars nova italiana, segue, lungo il '300, una serie di altri madrigalisti, dei quali buona parte appartiene alla Toscana, mentre nomi di altri accennano a città dell'Italia settentrionale e centrale, ove avrebbero avuto i natali. Il maggiore e più ricordato fra i madrigalisti fiorentini fu il cieco Francesco Landini, morto nel 1397, poeta, compositore e cantore; e alla Toscana appartennero pure Ser Gherardello e Maestro Iacopo suo fratello, Lorenzo Masini lodato dal Villani e il benedettino Donato da Cascia, Franco Sacchetti, del quale peraltro non ci sono pervenuti che i testi poetici, cui egli aveva dato il suono; poi, sulla fine del'300, appaiono ancora i toscani Abate Paolo e frate Andrea organista, per non citarne che alcuni. Altri, invece, ebbero i natali fuori di Toscana: Frate Bartolino e Grazioso da Padova, Ottolino da Brescia, Vincenzo da Rimini, Ser Niccolò prevosto di Perugia, Bonavito Corsini e forse, ultimo fra tutti, Magister Zacarias da Brindisi, ammesso nel 1420 a fare parte della cappella musicale di Martino V.
Appare indubbio che i più agili ritmi della poesia lirica italiana di quel periodo abbiano determinato un'uguale agilità e varietà di ritmi musicali, per cui il greve mensuralismo dell'Ars antiqua di Francia, imperniato sul numerus ternarius, fu costretto a cedere il campo alle nuove teorie proporzionali di Marchetto da Padova, ove la binaria divisio viene ammessa, con parità di diritti, accanto alla ternaria. È altresì non meno evidente come in molti madrigali del 1300, a due e a tre voci, la parte soprana, ornata di leggiadre figura ioni melismatiche, abbia predominato sulle altre, le quali avrebbero avuto l'ufficio di accompagnatrici strumentali; e come, in taluni casi, gli snodi melismatici del cantus siano stati eseguiti strumentalmente anch'essi. Ma tutto ciò non infirma la testimonianza di Gidino da Sommacampagna, per il quale ciascun madrigale "dee esser cantato per tri cantori, o almeno per due cantori". In quanto alla struttura interiore della musica, essa è affine a quella del più antico Conductus, giacché nel madrigale, come nel conductus, la parte inferiore ha un'importanza melodica superiore a quella del Tenor gregoriano nell'antico mottetto francese, anche se quella è concepita subordinatamente al Cantus. In quanto allo schema melodico, quello del madrigale rispecchia lo schema metrico del testo poetico; permette cioè alla musica composta sulla prima strofa di tre versi d'essere ripetuta sulle strofe seguenti, anch'esse di tre versi, mentre sopra una musica diversa era cantato il distico di chiusa. Ma difficilmente si potrebbe accogliere l'opinione de Riemann, per il quale il distico finale sarebbe stato ripetuto dopo ogni terzetto, come s'usava fare nella ballata ripetendo la ripresa accodata alla volta d'ogni stanza, perché da una tale successione di membri metrici sarebbero derivate incongruenze di senso al testo. Ecco il testo di un madrigale a due voci di Magister Iohannes de Florentia, seguito dalla musica di un frammento del primo terzetto:
Nel mezzo a sei paon ne vidi un bianco
Con cresta d'oro e con morbida penna,
Sì bel che dolzemente 'l cor mi spenna.
E, quando può mostrar la sua bellezza,
Onor gli fa ciascun d'altro colore
Per la leggiadra vista, che ha, d'amore.
Ma 'l suo compagno sempre el va guardando
E pur cantando da lui non si parte;
Et egli 'l fa partir da sé per arte,
Perché gli spiacque 'l suo noioso canto;
Po' di beltade si fe' rota e manto.
Morto il Landini nel 1390, il madrigale trecentesco subì la stessa sorte delle altre forme italiane: della caccia, cioè, e della ballata. Cedette il terreno innanzi all'invadenza dell'Ars nova francese, sotto la pressione dei musicisti oltremontani della cappella papale al seguito del pontefice ritornante dalla cattività di Avignone. Sui primi del 1400, la situazione della musica profana in lingua italiana si era mutata a tutto vantaggio dell'arte francese, preludente alla penetrazione delle musiche e dei cantori fiamminghi in Italia. Insieme con il madrigale spariva allora la notazione nazionale che ne era stata diretta emanazione, sicché il trattatista Prosdocimo de Beldemandis poté recitarne il de profundis nel Tractatus practicae de musica mensurabili ad modum Italicorum, dei primi del 1400. Echi del tempo del Petrarca risuonarono ancora nelle musiche di qualcuno dei primi Fiamminghi venuti in Italia; ma furono echi poetici, come quelli della canzone petrarchesca Vergine bella, che di sol vestita, alla quale diede il suono il fiammingo G. Dufay. Tutt'altra cosa doveva invece riuscire la rinascita del madrigale verso il 1530: conseguenza complessa di un nuovo avviamento del gusto letterario, della maturità raggiunta dai compositori italiani nel campo della polifonia vocale, e della collaborazione data dai maestri franco-fiamminghi al nuovo genere madrigalesco.
Il madrigale cinquecentesco esce dalla precedente lirica musicale popolaresca fiorita fra l'ultimo 1400 e il primo 1500 in seguito al declino delle arti maggiori e grazie al favore concesso dal principato agli atteggiamenti popolari della poesia. Esso viene a sostituirsi alla frottola (v.) o barzelletta, ai capitoli, alle odi, agli strambotti; soppianta una folla di rimatori, compositori e canterini che avevano trovato fortuna presso la società elegante delle corti italiane; vince le forme poetiche e musicali in ciò che esse avevano di popolaresco: cioè nel facile ritmo del verso ottonario e nelle agili e brevi strofette che permettevano alla musica cantata sulla prima strofa di essere ripetuta a ritornello sulle altre. Ma mentre il madrigale prende il posto delle forme popolaresche (giunte al loro esaurimento dopo che l'inventore della stampa musicale, O. de' Petrucci da Fossombrone, le aveva poste in circolazione con ben undici raccolte l'ultima delle quali apparve nel 1512), esso ne raccoglie nel tempo stesso l'eredità, in quanto permette ai compositori italiani d'inoltrarsi nel cammino loro aperto innanzi dai precedenti compositori di frottole, di affermarsi di fronte ai maestri francofiamminghi (produttori per eccellenza di canzoni francesi) e di guadagnare questi maestri alla causa della musica profana; così che la musica sacra cominciò a perdere il terreno sul quale, durante il 1400, aveva goduto di una reale supremazia e a trovarsi di fronte a una diversa tendenza d'arte, movente per altre vie verso la moderna espressione. Inoltre, di quella anteriore produzione frottolistica e strambottistica, la musica madrigalesca accolse e sviluppò alcuni germi, utilissimi alla determinazione di uno stile musicale prettameme latino, come il marcato andamento ritmico; il chiaro periodare armonico del discorso musicale; lo stile misto di elementi omofoni e polifoni, alieno dalle dotte elaborazioni dal canonismo scolastico fiammingo; la predominanza della voce soprana sulle altre; l'adattamento della stessa voce soprana all'esecuzione solistica, per cui alle altre parti era affidato l'ufficio di accompagnatrici sul liuto. Tutto ciò, una volta che venne assorbito e perfezionato nel madrigale, ebbe importanza decisiva nella storia della musica del 1500, e fece di esso il terreno sperimentale nella ricerca delle diverse maniere di espressione, compreso il caratteristico.
Ora, quando si voglia ricercare il punto di partenza dal quale muove la storia del madrigale nel 1500, bisogna risalire al momento in cui il rinnovamento del gusto poetico stabilì, attraverso i testi madrigaleschi, la prima condizione del rinnovamento musicale. Ciò accadde quando le forme poetiche popolaresche divennero incompatibili con il gusto prevalente; ossia quando la lirica amorosa, seguendo l'esempio e gl'incitamenti di Pietro Bembo, la ruppe coi metri popolari, restituendo alla musica le nobili forme della poesia d'arte, riposte in onore dal restaurato petrarchismo. Il madrigale, ritenuto dai trattatisti e dai compositori quale poesia musicale per eccellenza, fu tra le forme trecentesche restituite al nuovo culto, senza però che gli fosse imposta l'osservanza dell'antico schema metrico. In tal modo vennero accolti come madrigali i testi musicati che avevano forma di ballata semplice, ossia costituita da una sola stanza; la stanza di canzone e quante altre forme aristocratiche possedette la poesia italiana, adattate in modo che non richiedessero alla musica i ritornelli comuni alla precedente lirica popolaresca. Sopra questi testi monostrofici fu possibile all'ispirazione del compositore di raccogliersi e trovare espressioni musicali aderenti alla espressione delle parole. Nel caso poi che si trattasse di testi polistrofici, i compositori diedero a ciascuna strofa il valore di parti, e ne trassero tanti madrigali quante erano le strofe.
La data del 1530, in cui apparve il Canzoniere del Bembo, e quella del 1533, che segna la prima iaccolta a stampa di madrigali giunta a noi coi tipi del Dorico, hanno, per la vicinanza loro, rapporti significativi. Ciò, peraltro, non vuol dire che anche prima del Canzoniae del Bembo non siano stati scritti e composti molti madrigaletti. Ai nuovi testi mancano le immagini ingegnose e strambe, spesso derivate dai frottolisti dal mal uso del linguaggio metaforico, mentre non vi sono ancora penetrate quelle fastidiose e sciatte inezie, quali sono i motivi della pietra, del dono, ecc., comuni al madrigale del secondo 1500. Notevole è l'assenza di qualsiasi elemento rappresentativo e il predominio dell'espressione soggettiva, malgrado il tessuto polivoco della musica. Preferiti sono l'esclamazione, l'invocazione, i giuochi di parole e ovunque appare la freddezza delle espressioni convenzionali, come "soave ardore", "intenso martire", ecc. Insomma, essendo anche questa lirica del Rinascimento poesia più formalistica che nutrita veramente di sentimento e di pensiero, essa ricorse alle forme retoriche, iperboliche, esclamative, dalle quali il musicista poteva trarre vantaggio.
Apparsi nel 1533, a Roma, i Madrigali noui de diuersi eccellentissimi Musici. Libro primo de la Serena, comincia tosto a sfilare la serie dei maestri italiani e franco-fiamminghi che si posero esplicitamente al lavoro come iniziatori del nuovo madrigale. Sono nomi che dimostrano la rapida diffusione del genere in tutte le parti d'Italia (e non in Venezia soltanto, né per opera del solo A. Willaert, come troppo spesso si vuole credere). Nel primo decennio di produzione dalla stampa del 1533, compongono madrigali: in Roma, Costanzo e Sebastiano Festa e J. Arcadelt; in Venezia, Ph. Verdelot e A. Willaert; in Ferrara, Alfonso della Viola e Jhan; in Firenze, Francesco Corteccia e Francesco de Layolle; in Mantova, Jachet de Berchem, ecc. Questa presa di posizione dei maestri stranieri residenti in Italia accanto agl'italiani in via di affermarsi polifonisti di uguale forza, dimostra che l'elemento italiano, vivo nell'arte madrigalesca come forma, lingua, gusto, si era rapidamente imposto anche a quei maestri d'Oltralpe che avevano goduto fin'allora di un'incontrastata supremazia. Naturalmente, di questi madrigalisti, che da principio prediligono la composizione a quattro voci, alcuni sono più vicini alla precedente omofonia frottolistica, mentre alcuni altri sono meglio osservanti dell'individualità melodica delle parti. Gli stranieri, ad esempio, introducono nel madrigale quel tono discorsivo, a note brevi ribattute, che era proprio della contemporanea canzone francese: Arcadelt, i madrigali del quale trovavano eco di ristampe ancora nel sec. XVII, è fra costoro, e F. Layolle lo segue da presso. Diversamente si comportano i madrigalisti del gruppo veneziano, il ferrarese Alfonso della Viola compreso, il tono dei quali è assai più elevato, come più profo1ido e sano ne è il sentimento. Con questi maestri il madrigale s'avvicina già alquanto al mottetto, mentre più tardi sarà il mottetto che assumerà alcuni aspetti stilistici dello stile madrigalesco.
Costanzo Festa, invece, si stacca nei madrigali a tre voci dai due gruppi ora citati, in quanto conferisce al madrigale romano una cantabilità ornata di vocalizzi, e tende a fare della voce soprana la parte predominante. Tuttavia se i compositori di questi gruppi si trovano abbastanza distinti sotto la ragione dello stile, essi subiscono tutti ugualmente l'azione della forma poetica, determinatrice dell'architettura musicale.
La grande copia di madrigali che dal quinto decennio del 1500 in poi si propaga in tutta Italia, segna gl'inizî di un secondo periodo, del quale sono rappresentanti insigni A. Willaert e C. de Rore: ora le quattro voci usate nelle composizioni degl'iniziatori cedono il posto alle cinque voci. Cominciano inoltre ad apparire i primi esperimenti del cromatismo armonico, impiegato allo scopo di colorire nella musica l'espressione della parola; comincia l'adozione in grande delle rime del Petrarca e dei suoi imitatori, senza distinzione di forme poetiche, bastando a queste l'osservanza del principio monostrofico e l'accoppiamento con la musica per divenire madrigale. La prima stampa di madrigali a cinque voci, chiamati poì cromatici, di Cipriano de Rore, è del 1542, e del 1548 sono le Stanze del Petrarca in laude della Madonna, dello stesso maestro; mentre ai madrigali a 5, 6 e 7 voci del Willaert, apparsi nel 1559, ma certamente composti prima, venne dato il titolo di Musica nova. È questo il periodo classico del madrigale a cinque, nel quale s'insinuano però già, con il cromatismo, gli elementi per così dire romantici distintivi della letteratura madrigalesca del terzo periodo; e nasce quello spirito teso all'espressione del senso della parola nel suono, donde usciranno le varie forme del descrittivo, del parodistico, del comico e del drammatico, tipiche della maturità del madrigale. I compositori italiani si schierano sempre più numerosi a lato degli stranieri. Nella loro lunga teoria citiamo F. Adriani, G. Animuccia, Paolo Aretino, F. Bifetto, C. Perissone, G. Carli, Maddalena Casulana, S. Cataldo, I. Ciera, G. Cimello, S. Clerico, A. Coma, G. Contino, Corfini, B. Donato, D. Dorati, E. Essenga, H. Faa, G. Ferabosco, F. Fiesco, L. Lupacchino, G. Martinengo, M. Martorello, G. Martoretta, ecc. Fra costoro, parecchi sono gl'Italiani che prendono posizione di battaglia come cromatisti e si battono per spezzare le dighe poste dalla tradizione a salvaguardia dell'antica tonalità. I procedimenti armonici di cui essi si valgono sono frutti di esperimenti e d'intuizioni, talvolta applicati con una logica soltanto relativa nella condotta delle voci ma con logica stringente di fronte alla perseguita finalità estetica. I primi madrigalisti nostri scesi in campo per la cromatica, sono: Vincenzo Ruffo (1545), Nicola Vicentino (1546), Paolo Aretino (1549) Giandomenico Martoretta (1552), Cesare Tudino (1354), Giulio Fiesco (1554).
Il passaggio dal secondo al terzo periodo è annunziato nelle musiche madrigalesche di Orlando di Lasso, vissuto in Monaco, di Filippo di Monte in Praga, di Palestrina in Roma, di Andrea Gabrieli in Venezia. Il madrigale si avvia al suo periodo romantico, lasciando in seconda linea la cura della melodica costruzione lineare delle parti vocali in contrappunto. Sua meta sono ora le finezze e talvolta i delirî dell'espressione derivata dal cromatismo armonico col raggiungimento della tonalità moderna; la riproduzione nel suono delle figurazioni visive, per cui la musica si oggettiva e tende al caratteristico; la conquista delle forme monodiche strumentalmente accompagnate, precedute dalla pratica di staccare la parte soprana dalla composizione polifonica, introducendo in quella abbellimenti e passaggi virtuosistici e facendo delle voci inferiori una sorta di sostegno strumentale (cembalo, liuto, tiorba, chitarrone, ecc.). Dominano questo terzo periodo i nomi di Luca Marenzio (morto nel 1599), di Carlo Gesualdo da Venosa (morto nel 1615), di Claudio Monteverdi (morto nel 1643); mentre Giulio Caccini porta un contributo allo stile monodico coi madrigali contenuti nelle sue Nuove Musiche (1601). Tornano dapprima nel madrigale i motivi trecenteschi della caccia descrittiva, nel Cicalamento delle donne al bucato et la caccia di Alessandro Striggio, seguiti dalle musiche pure descrittive di Orazio Vecchi, autore dell'Amphiparnaso, e di Adriano Banchieri, fervida e scapigliata fantasia di madrigalista che non si arresta innanzi ai più ardui problemi onomatopeici. E di madrigali sono ancora intessuti gl'intermezzi musicali da eseguire fra gli atti delle commedie, fra i quali sono memorabili quelli editi da C. Malvezzi nel 1591, dopo ch'essì ebbero servito alle feste fatte in Firenze per le nozze di Ferdinando de' Medici con Cristina di Lorena; intermezzi che prepararono l'avvento del melodramma e ai quali concorse lo stato maggiore dei monodisti partecipanti alla camerata del conte Bardi. L'avviamento del madrigale verso lo stile drammatico si può seguire negli otto Libri di Madrigali, fatti stampare dal Monteverdi fra il 1576 ed il 1638, nell'ottavo libro dei quali (Madrigali guerrieri et amorosi), il madrigale drammatico raggiunge la sua più alta affermazione nel Combattimento di Tancredí e Clorinda.
Gli effetti dell'irradiazione delle musiche madrigalesche fuori d'Italia, durante il secondo e terzo periodo furono incalcolabili. A somiglianza delle corti e delle accademie italiane, si comportarono i centri della cultura e della mondanità negli altri paesi. Così l'Inghilterra ebbe i suoi madrigalisti in W. Byrd, J. Dowland, Thomas Morley, O. Gibbons, J. Ward, ecc.; la Germania ricevette i germi dello stile madrigalesco da A. Scandelli, vivente alla corte di Dresda, da L. Lechner, D. Friderici, J. Eccard, H.-L. Hassler, mentre Orlando di Lasso ne fu il maggior rappresentante alla corte di Alberto V in Monaco.
Il melodramma fece subire, nel sec. XVII, una deviazione al madrigale, che, divenuto monodico in seguito al nuovo orientamento del gusto musicale, si convertì in aria e in cantata, ossia in una successione di arie collegate insieme da recitativi. Non per questo, però, veri e proprî madrigali non furono più scritti; anzi, sotto i titoli collettivi di Lagrime, Echi, Enigmi, Selve armoniche, Amorose querele, Lamenti, Affetti canori, Selve ardenti, ecc., i madrigali corsero per lungo tempo in forma monodica, di duetti, e anche con l'antica veste polifonica. I poeti presi maggiormente in considerazione furono allora il Chiabrera e il Marino, imitati da una pleiade di verseggiatori, fra i quali s'insinuarono anche i cantori di madrigali spirituali, quali ne aveva avuti già il 1500. Nella letteratura del madrigale musicale del 1600 si distinguono due correnti: una è di tendenza conservatrice: conserva cioè alla musica del madrigale la struttura polifonica a 5 voci, come fecero M. Savioni nel 1668 e D. Pane nel 1678; l'altra segue lo stile concertante, col basso continuo strumentale e talvolta anche con l'impiego di strumenti, come i violini. Sono questi i madrigali a una, due, o tre voci, di F. Vignali, D. Olmi, P. Natali, M. Pesenti, R. Rovetta, M. F. Nascimbeni, ecc., da eseguirsi non più coralmente, ma da solisti perché composti in un adeguato stile monodico. Finalmente, il gusto barocco diede l'ultimo colpo al madrigale, che sui primi del'700 ebbe però ancora un compositore illustre veneziano in Antonio Lotti.
Bibl.: G. Carducci, Opere, VIII, p. 328 segg.; L. Biadene, in Rass. bibl. della lett. it., VI (1898), p. 329 segg. - Per la musica: F. Ludwig, Die mehrstimmige Musik des 14. Jahrh., in Sammelb. d. int. Musikgesellschaft, 1902; J. Wolf, Gesch. d. Mensuralnotation von 1250 bis 1460, Lipsia 1904-5; P. Wagner, Das Madrigal und Palestrina, in Vierteljahrsschrift f. Musikwissenschaft, 1892; T. Kroyer, Die Anfänge d. Chromatik im italienischen Madrigal des 16 Jahrh. s., in Beihefte d. int. Musikgesellschaft, 1901; E. Vogel, Bibliothek d. gedruckten weltichen Vocalmusik Italiens 1500-1700, Berlino 1892; G. Cesari, Le origini del madrigale musicale cinquecentesco, in Riv. musicale italiana, 1912; A. Einstein, Das Madrigal, in Ganymed, III, 1921.