Madhyamaka
Scuola del buddismo Mahāyāna (➔) che riconosce il filosofo indiano Nāgārjuna (➔), vissuto all’inizio del primo millennio dell’era volgare, come proprio fondatore e diffusasi poi dall’India in Cina, Tibet e Asia orientale.
La denominazione madhyamaka («mediana»), anche se non compare in quanto tale nel corpus più antico della scuola, deriva dall’idea di Nāgārjuna e dei suoi successori di promulgare una via mediana fra esternalismo e negazione di ogni oggetto esterno. L’idea che il proprio insegnamento rappresentasse una via mediana fra due opposti estremismi è presente già nel Canone buddista pāli e anche l’elemento centrale della scuola, la vacuità (śūnyatā, ➔), presenta possibili antecedenti canonici. Parimenti canonico è il nesso causale che lega ciclicamente il sorgere e il venir meno delle nostre percezioni e di ogni aspetto del mondo fenomenico (pratityasamutpāda), per cui Nāgārjuna può concludere che tutto esiste solo in quanto dipende da altro e quindi niente esiste di per sé. Oltre a tali connessioni con il Canone pāli, gli autori della scuola M. si richiamano (spesso citando e commentando) soprattutto a testi del buddismo Mahāyāna quali i testi della letteratura Prajñāpāramitā, Ratnakūṭa e Avataṃsaka. Caratteristica dei primi è la narrazione dell’insuperabile paradosso legato al Bodhisattva (➔ nirvāṇa). Questo termine indica nel Canone pāli e nelle scuole a esso più vicine (➔ Theravāda) un Buddha nelle vite precedenti e nell’ultima prima di raggiungere il risveglio (bodhi). Nel Mahāyāna, però, il Bodhisattva viene a rappresentare il vero ideale spirituale, poiché viene inteso come colui che, pur avendo ormai acquisito la perfezione della conoscenza (prajñāpāramitā), rimanda per compassione (karuṇā) il raggiungimento del nirvāṇa per potersi prodigare per tutti gli esseri senzienti. L’adepto del Mahāyāna pronuncia perciò il voto del Bodhisattva con cui si impegna a non raggiungere il nirvāṇa finché non lo avranno raggiunto anche tutti gli altri esseri senzienti. La perfetta conoscenza raggiunta dal Bodhisattva consiste però nella consapevolezza della vacuità di ogni dharma (➔), compreso sé stesso e gli altri esseri senzienti. Il paradosso del Bodhisattva consiste perciò nel contrasto fra la conoscenza della vacuità di questi come di tutti i concetti e il permanere della compassione. Nāgārjuna e la scuola M. sistematizzano ed elaborano filosoficamente tali idee.
Il testo fondamentale della scuola è costituito dalle Mūlamadhyamakakārikā («Strofe fondamentali della [via] mediana») di Nāgārjuna, cui si unisce il Catuḥśataka («Le quattro centurie») di Āryadeva (170-270 ca.), che tratta estesamente della non sostanzialità di tutti i dharma, ma anche della pratica del Bodhisattva. Successivamente, la scuola M. tese a dividersi in due orientamenti, chiamati dalle fonti tibetane *prāsaṅgika e *svātantrika e legati rispettivamente a Buddhapālita (470-540 ca.) e Bhāviveka (o Bhāvaviveka, o Bhavya, 500-570 ca.). Le denominazioni si concentrano su uno dei punti focali di distinzione. Buddhapālita si attiene al metodo di Nāgārjuna teso a ridurre all’assurdo le posizioni avversarie, di cui mostra le conseguenze indesiderate (prasaṅga), senza proporre una propria tesi. Il suo commento alle Mūlamadhyamakakārikā mira perciò a mostrare l’assurdità sia della tesi per cui ogni entità è prodotta in modo indipendente sia dei suoi possibili contrari, inclusa la tesi secondo cui ogni entità è prodotta in modo dipendente e condizionato da altro. Segue lo stesso metodo Candrakīrti (600-650 ca.), il fondamentale commentatore delle Mūlamadhyamakakārikā, oltre che del Catuḥśataka, di altre opere della scuola M. e del sūtra Mahāyāna Madhyamakāvatāra («Introduzione alla [via] mediana»), il quale rispose alle critiche rivolte da Bhāviveka al metodo della reductio ad absurdum e si oppose con fermezza alla scuola epistemologica buddista (Pramāṇavāda) e a quella Yogācāra considerandole lontane dall’insegnamento originario di Nāgārjuna. La corrente avversaria, quella di Bhāviveka, utilizza invece gli strumenti elaborati dalla scuola epistemologica buddista e postula la possibilità di stabilire in modo indipendente (svatantra), tramite inferenza, le posizioni della scuola M.; tuttavia, sul piano epistemologico, in contrasto con Dharmakīrti (come recentemente dimostrato da H. Krasser) e in accordo con la tradizione buddista precedente, Bhāviveka fa appello a tre strumenti conoscitivi (pramāṇa), ossia percezione diretta, inferenza e autorità scritturale (āgama, ➔ śabda). Bhāviveka fu l’autore delle Madhyamakahr̥dayakārikā («Le strofe che sono il cuore della [via] mediana») e forse anche del loro lungo commento, detto Tarkajvālā («Fiamma del ragionamento»). Questo è meno originale sul piano dottrinale, ma prezioso per la cronologia relativa di molte opere, dato che è ricco di riferimenti dossografici. Notevole è infine la scuola sincretica di M. e Yogācāra legata soprattutto a Śāntarakṣita (725-788 ca.), autore del Tattvasaṅgraha («Compendio della realtà»), un acuto e dettagliato studio delle varie scuole di filosofia in India e dei temi da loro trattati, e al suo commentatore Kamalaśīla (740-795 ca.). Śāntarakṣita commentò anche un’opera di Dharmakīrti, il che mostra un approccio positivo alla scuola epistemologica buddista che lo accomuna a Bhāviveka. Nella sua sintesi, Śāntarakṣita lascia intatto l’edificio M. per quanto riguarda il piano ultimo della realtà effettiva (paramārtha-satya) affiancandovi però spiegazioni derivate dallo Yogācāra e da altre correnti buddiste per quanto riguarda il piano della realtà apparente (samvr̥ti-satya, ➔ Nāgārjuna).
Il M. esercitò un’immensa influenza sul buddismo Mahāyāna in tutte le regioni in cui si diffuse. Oltre alla già accennata vicinanza alla corrente della Prajñāpāramitā, ingente fu anche l’influenza del M. sulle correnti del buddismo cosiddetto tantrico. Ancora più dello Yogācāra, il M. forgiò la filosofia tibetana e quella buddista cinese. La corrente prāsaṅgika ebbe grande influenza in Tibet, soprattutto a partire dal 16° sec. per via del prestigio del suo più eminente sostenitore, Tsoṅ kha pa (➔ tibetana, filosofia).