CANOSSA, Maddalena Gabriella
Nacque a Verona il 1º marzo 1774, secondogenita dei cinque figli del marchese Ottavio, ciambellano imperiale, e di Teresa dei conti Szluha, di origine ungherese. La fanciullezza della C. fu turbata prima, nell'ottobre 1779, dall'improvvisa morte del padre, quindi, nel 1781, dall'abbandono della madre, che lasciò la famiglia per andare sposa al marchese Edoardo Zenetti di Mantova. La sua educazione, affidata alla tutela dello zio paterno Girolamo, fu curata dal 1782 al 1789 dall'istitutrice francese F. Marianne Capron, la quale, pur riconoscendone la pronta intelligenza, nonsempre seppe comprendere l'indole complessa della C. e il suo delicato equilibrio emotivo. Cosicché questa, affinata dalle incomprensioni e dalle malattie (soffrì prima di vaiolo, poi di una tenace e dolorosa forma di artrite, che venne religiosamente sublimata in "malattia d'amore" per Dio), finì per rinchiudersi in se stessa. Tesa nella ricerca della via migliore per dedicarsi a Dio, nel 1791 decise di intraprendere la vita monastica ritirandosi nel Carmelo di Verona, ma incapace di accettare la dura clausura tornò in famiglia dopo dieci mesi per consiglio del suo padre spirituale Ildefonso Gasperi. Fece un altro tentativo nel 1792 nel convento delle carmelitane scalze di Conegliano Veneto, ma, pur attirata dalle regole incentrate sull'amore di carità, comprese di non essere portata per una vita di contemplazione. Dal 1793 ritornata in famiglia, si dedicò al governo della casa e alla cura dei fratelli.
Nel 1796, ancor prima che Verona fosse occupata dalle truppe francesi, la C. riparò a Venezia con i suoi familiari, ritornando nella città natale soltanto dopo le Pasque veronesi, allorché il generale Augereau dopo una dura repressione volle costituire una municipalità composta dai più ragguardevoli cittadini. Questo recupero della nobiltà locale operato dai Francesi dovette interessare anche i Canossa (benché di tradizioni clericali), se è vero che tra coloro che andarono incontro a Napoleone Bonaparte nel suo ingresso in città il 13 ag. 1797 c'era anche il fratello della C., Bonifacio. In questa occasione, e in seguito più volte ancora, il Bonaparte fu anche ospite a palazzo Canossa.
Spinta dalla difficile situazione sociale creata dalla guerra, la C. cominciò a dedicarsi all'azione caritatevole, assistendo dapprima le inferme povere dell'ospedale. Ma del 1800 è il primo vero tentativo di conciliare la vita religiosa con l'attivo intervento in favore dei bisognosi: essa infatti cominciò a raccogliere le fanciulle abbandonate, che successivamente (1802) vennero ospitate nel "ritiro Canossa", una casa acquistata nella popolare parrocchia di S. Zeno e posta sotto la direzione di una fedele maestra, Matilde Bunioli. Qui nel 1803 fondò la prima "scuola di carità"; frattanto, si interessava all'opera di don Pietro Leonardi per i sordomuti e collaborava alla fondazione della Fratellanza dei preti ospedalieri. Parallelamente cercava di dare un ordinamento teorico alla propria azione caritatevole, studiando le regole di s. Carlo Borromeo e le opere del Bossuet, di s. Vincenzo de' Paoli, di s. Giovanna di Chantal; si procurò anche la prima stesura delle regole delle salesiane, in cui si propugnava una vita operosa accanto al ritiro della clausura.
Nel 1808 la C., lasciando definitivamente la famiglia, si trasferì con la sua fondazione nel monastero dei SS. Giuseppe e Fidenzio, che le era stato assegnato per volontà di Napoleone (ancora ospite dei Canossa nel 1805, 1806 e 1807). L'istituto della C., che va inquadrato nella fioritura di iniziative religiose a scopo sociale tipiche della restaurazione cattolica, veniva favorito allora dalla politica del governo del Regno italico, tesa a trovare appoggio anche tra la nobiltà e i tradizionalisti cattolici in quanto uomini d'ordine (non per nulla in quegli anni Bonifacio Canossa fu nominato cavaliere della Corona di ferro, ciambellano di corte, conte del Regno e consigliere di prefettura).
Nel 1810 i fratelli Cavanis, che già nel 1802 avevano fondato le scuole di carità per l'assistenza maschile, invitarono la C. a Venezia perché organizzasse un'analoga istituzione per le fanciulle, ed ella nello spazio di due anni portò a termine l'incarico, formando le maestre per la nuova scuola, ma, soprattutto, mostrando valenti e disinteressate doti di organizzatrice di cui si valsero in seguito Leopoldina Naudet (già sua collaboratrice e prima madre superiora), fondatrice delle religiose della Sacra Famiglia, Matilde Campostrini, fondatrice delle sorelle minime dell'Addolorata, Antonio Rosmini e Antonio Provolo. A Venezia la C. era riuscita a fondare anche una società di dame ospedaliere e aveva iniziato la stesura delle regole delle canossiane, condotte a termine nel 1814.
Queste erano incentrate sui due cardini della carità e della povertà completa, e se da un lato si rifacevano a s. Vincenzo de' Paoli, dall'altro (soprattutto nelle prescrizioni devozionali) alle regole dei gesuiti. Gli scopi dell'istituto erano individuati nell'istruzione ed educazione delle fanciulle povere e abbandonate (scuole di carità); nell'istruzione e assistenza delle donne dei ceti più bassi; spiegazione della dottrina cristiana nelle parrocchie; istruzione di fanciulle del contado in collegi a retta minima ove ottenevano il diploma di "maestre di campagna"; visite e assistenza alle inferme degli ospedali. Le regole, lodate da un breve di Pio VII del 20 nov. 1816, furono approvate ufficialmente da Leone XII il 23 dic. 1828.
Con la Restaurazione il nuovo istituto si rafforzò e affermò definitivamente: oltre ai due conventi di S. Lucia e della S. Croce a Verona sorsero le case di Milano (1816), Bergamo (1820), Trento (1828), Brescia e Cremona (1835). Tra le innovazioni introdotte dalla C. va ricordata anzitutto l'organizzazione di ritiri annuali per le ragazze del popolo e per le maestre e poi per le dame dell'aristocrazia: a questo scopo nacque una Pia Unione dei Sacri Cuori di Gesù e Maria che ricordava analoghe istituzioni gesuitiche; in seguito fu fondato anche un terz'ordine canossiano, dopo un primo avvio di un istituto maschile di religiosi.
Un episodio importante per la comprensione della spiritualità della C. è rappresentato dal suo incontro con il Rosmini. Questi la incontrò per la prima volta a Verona nel febbraio 1820 accompagnando la sorella Margherita (che divenne suora canossiana) e ne ricevette un'impressione profonda, traendo l'ispirazione per comporre la Storia dell'amore, Cremona 1834. Da parte sua la C. giudicò subito il Rosmini l'uomo adatto per attuare in campo maschile un'azione analoga a quella delle canossiane e già nel 1821 gli inviò un Piano per i figli della carità, che però destò qualche perplessità nell'abate di Rovereto. In un primo tempo, infatti, questi non credeva possibile la costituzione di una comunità di ecclesiastici, come voleva la C., ed avrebbe preferito dar vita a un gruppo composto di laici diretti da un ecclesiastico: egli pensava a "una società d'uomini dedicati allo spirito" (Epistolario ascetico…, I, p. 72), di cristiani amanti degli antichi tempi apostolici, come chiariva nel manoscritto dell'opera Educazione cristiana che inviò alla C. il 9 genn. 1824.Inoltre dissentiva dalla C. circa le devozioni che avrebbero dovuto adottare e promuovere i figli della carità; il Rosmini era favorevole alle devozioni "pubbliche della santa Chiesa" (in particolare la messa) e riteneva "un bene minore" quelle devozioni "popolari" tanto care ai gesuiti, cui inclinava la C., e tanto diffuse nell'epoca della Restaurazione: esse, secondo il Rosmini, "sviano alquanto, per la umana limitazione, i cristiani dalla pubblica, completa, ed esterna unione che nasce nella Chiesa, quando il popolo prega allo stesso modo, cogli stessi sensi, e colle parole stesse de' sacerdoti" (Epistolario ascetico..., I, pp. 75 ss.). In seguito, accettata l'idea che i figli della carità fossero dei sacerdoti (1825), giunse alla conclusione, dissentendo anche in questo dalla C., che loro compito dovesse essere pure quello della cura pastorale; accettò, invece, le regole basilari stabilite dalla C.: "spirito di carità, carità di Dio e del prossimo: santificazione interiore e propria, esteriore ed altrui: contemplazione ed azione: i due perni della cristiana virtù" (ibid., pp. 91-94).Ma le divergenze circa i doveri devozionali e pastorali, che traevano origine da una profonda diversità di concepire la vita religiosa, furono più che sufficienti a far sì che i figli della carità, finalmente fondati dal Rosmini nel 1828, non rimanessero nell'ambito canossiano. Un istituto canossiano maschile sorse, invece, a Milano tra il 1829 e il 1831.
La C. morì a Verona il 10 apr. 1835.
La causa di beatificazione fu introdotta da Pio IX nel 1877;il 7 genn. 1927 Pio XIdichiarò l'eroicità della C. e infine il 7 dic. 1941Pio XII la proclamò beata.
Fonti e Bibl.: A. Rosmini-Serbati, Epistolario completo, I-V, Casale Monferrato 1887, ad Indices;Id., Epistolario ascetico, I, Roma 1911, pp. 51-53, 60 s., 70-72, 74-76, 91-102, 236-238, 595; G. M. Quattrini-F. Andreu, Lettere ined. del padre Ventura, in Regnum Dei, XIX (1963), p. 85; C. C. Bresciani, Orazione funebre in morte della reverenda M. marchesa di C., Verona 1835; Id., Vita di M. marchesa di C., Verona 1849; Beatificationis et canonizationis... Magdalenae marchionissae de C. fundatricis Instituti filiarum a Caritate…, Roma 1873-1940; F. S. Zanon, Compendio della vita dei servi di Dio P. Anton'Angelo e P. Marcantonio Conti Cavanis..., Venezia s.d., pp. 143 s., 174; M. di C. Primo centenario della sua morte, Milano 1936; G. De Battisti, Beata M. di C., Isola del Liri 1941; I. Giordani, M.di C. la marchesa serva dei poveri, Roma 1942; G. Stoffella, Note per servire alla storia del ven. G. Bertoni: le relazioni del servo di Dio con la beata M. di C., Isola del Liri 1943; F. De Vivo, Chiesa e spiritualità nell'Ottocento veronese, in Chiesa e spiritualità nell'Ottocento italiano, Verona 1971, pp. 311-319; Encicl. catt., III, coll. 610 s.; Dict. de spiritualité, II, Paris 1953, coll. 85 s.