maculare. Degenerazione maculare senile
La degenerazione maculare senile (DMS) è una patologia degenerativa progressiva che colpisce l’area centrale della retina (macula) deputata alla visione distinta. È spesso bilaterale e può portare alla perdita completa e irreversibile della funzione visiva centrale.
La progressiva perdita della funzione visiva centrale nella DMS è il risultato di modificazioni degenerative, ulteriori rispetto a quelle che si riscontrano nel normale processo di invecchiamento, della regione maculare. Esse interessano gli strati retinici esterni, l’epitelio pigmentato retinico (EPR), la membrana su cui poggiano le cellule dell’EPR, detta di Bruch, e la rete coriocapillare (che partecipa alla costituzione della tunica coroidea dell’occhio). In partic., lo stress ossidativo correlato all’invecchiamento determina un danno che stimola una risposta infiammatoria cronica e la produzione di matrice extracellulare anomala che si accumula a livello della membrana di Bruch. L’associazione di questi depositi con alterazioni secondarie dell’EPR porta alla formazione di drusen, o corpi colloidi. Molte differenti molecole sono state identificate nelle drusen, tra cui componenti presenti nelle placche aterosclerotiche, come vitronectina, apolipoproteina B ed E, componenti del complemento e lipidi. L’accumulo dei detriti extracellulari altera la composizione e la permeabilità della membrana di Bruch con conseguente ostacolo all’eliminazione delle sostanze di scarto proventi dall’EPR e riduzione della diffusione verso l’EPR di ormoni e nutrienti, tra cui ossigeno e vitamina A. In risposta a questi fenomeni l’EPR probabilmente produce fattori che stimolano la crescita di neovasi, come il fattore di crescita vascolare endoteliale (VEGF).
I sintomi principali della DMS sono le metamorfopsie, ossia la percezione di immagini distorte, soprattutto delle linee rette, e la diminuzione progressiva della funzione visiva centrale fino allo scotoma centrale, una zona cieca centrale nel campo visivo che crea conseguente difficoltà nella lettura e nel riconoscimento delle fisionomie. Nella fase iniziale della malattia i sintomi possono passare inosservati soprattutto se l’affezione ha interessato, dapprima, un solo occhio. Risultano fondamentali, quindi, regolari controlli periodici nella popolazione oltre i 65 anni, anche in assenza di sintomi.
L’esame del fondo oculare serve a individuare le lesioni caratteristiche della malattia e a cercare eventuali segni di neovascolarizzazione della coroide (CNV), di distacco del neuroepitelio, di essudati o piccole emorragie. La fluorangiografia è utile per confermare la presenza di CNV e per determinare entità, tipo ed estensione della degenerazione. Un altro esame importante ai fini di una corretta diagnosi è la tomografia a coerenza ottica (➔ OCT) che fornisce immagini ad alta risoluzione di sezioni della retina ed è utile nel determinare la presenza di alterazioni morfologiche caratteristiche.
Le possibili terapie attualmente disponibili per la DMS riescono solo in parte a prevenire l’evoluzione della malattia ed a controllarne le complicanze. L’utilizzo di alte dosi di antiossidanti e zinco e il controllo dei fattori di rischio modificabili, come il fumo di sigaretta, sono utili nel ridurre il rischio di progressione verso la forma evoluta in pazienti affetti da degenerazione maculare legata all’età iniziale in entrambi gli occhi o dalla forma avanzata in un solo occhio. Non esistono trattamenti efficaci per la terapia della DMS evoluta con atrofia geografica coinvolgente la macula. Per il trattamento della CNV esistono, invece, svariate possibilità terapeutiche (anche se i risultati sono spesso limitati o non definitivi) che includono l’iniezione intravitreale di farmaci antiangiogenici, la terapia fotodinamica (PDT) e la fotocoagulazione laser. Un ruolo controverso, e in fase di studio, è rivestito dall’impiego di altri farmaci antiangiogenici, di terapie combinate PDT e farmacologica, steroidi intravitreali, radioterapia e chirurgia. I farmaci antiangiogenici agiscono inibendo il VEGF, fattore che ha un ruolo importante nell’induzione della crescita dei neovasi e della permeabilità vascolare. Attualmente in uso (2009) sono il pegaptanib, il ranibizumab e il bevacizumab (già sviluppato e approvato per impiego in ambito oncologico). La fotocoagulazione laser diretta sulla lesione, che mira alla distruzione dei neovasi attraverso l’effetto termico generato dal laser, trova indicazione per il trattamento delle CNV extrafoveali, cioè lontane dal punto di fissazione centrale. Tale effetto non è selettivo e produce un danno anche a livello degli strati retinici esterni, con conseguente formazione di una cicatrice atrofica circoscritta alla sede del trattamento che si associa a un corrispondente scotoma assoluto. Un trattamento più selettivo nei confronti della lesione neovascolare è la PDT,iniezione endovenosa di verteporfina, una sostanza fotosensibilizzante o attivata dalla luce. Questo composto viene attivato mediante l’esposizione della zona a una radiazione laser infrarossa (690 nm) di bassa intensità, assorbita preferenzialmente dalla verteporfina. L’attivazione della sostanza ha come effetto un danno endoteliale progressivo con occlusione prevalente dei neovasi, con limitate alterazioni della rete coriocapillare o dei tessuti circostanti. Sono spesso necessari trattamenti multipli e l’efficacia è risultata essere inferiore rispetto all’utilizzo di farmaci antiangiogenici. Esiste infine una terapia chirurgica, rappresentata dalla traslocazione maculare che consiste nella mobilizzazione della retina e nel suo spostamento in una zona di tessuto sano adiacente, libero da neovasi. Essa è utile in pazienti selezionati con interessamento del secondo occhio e con una forma avanzata neovascolare. Il ruolo di questa chirurgia è tuttavia controverso a causa dei rischi insiti nella tecnica di traslocazione e della difficoltà esecutiva della procedura chirurgica stessa.