MACCHINE
. Si dice macchina, in generale, ogni meccanismo o insieme di meccanismi atto a compiere lavori particolari quando a esso siano applicate delle forze. Una volta si chiamavano macchine semplici l'asse nella ruota (v.), il cuneo (v.), la leva (v.), il piano inclinato (v.), la puleggia (v.) e la vite (v.); ma oggi il concetto di macchina è quello sopra indicato (v. cinematica applicata). La trattazione dei problemi inerenti al movimento delle varie parti delle macchine e alle relazioni tra le forze agenti in esse è oggetto della Cinematica applicata e della Dinamica applicata, discipline che insieme costituiscono la Teoria generale delle macchine.
Tra le macchine si distinguono le macchine motrici e le macchine operatrici: le prime, dette anche motori, trasformano forme diverse di energia in energia meccanica, direttamente utilizzabile; tali sono i motori ad aria compressa, i motori a combustione, i motori a vento (per tutte queste specie, v. motori), i motori idraulici (v. motori; ruote idrauliche; turbine idrauliche), i motori elettrici (v. dinamo elettriche, macchine), ecc.
Le macchine operatrici, invece, sono quelle che, accoppiate ad un motore, ne utilizzano l'energia meccanica per compiere i lavori particolari; tali sono, per esempio, le macchine per il sollevamento dei liquidi (v. ariete idraulico; iniettori ed eiettori; pompe), le macchine per il sollevamento e il trasporto dei materiali (v. argano; ascensore; coclea; gru; noria; sollevamento, apparecchi di; trasportatori), le macchine per la compressione dei fluidi (v. compressore; ventilatore), le macchine utensili (v. utensili, macchine), ecc.
Inoltre si conta oggi un numero grandissimo di macchine operatrici adatte ad assolvere ai più diversi compiti, sostituendo quasi ovunque l'operazione diretta dell'uomo. Troppo lunga ne riuscirebbe l'enumerazione; per la trattazione rinviamo ai singoli esponenti, così per le macchine per cucire v. cucitrice, macchina, per le macchine da scrivere v. dattilografiche, macchine, per le macchine per calcolo v. calcolatrici, macchine, ecc.
Le macchine particolari alle diverse industrie vengono trattate nelle voci relative alle industrie stesse; per le macchine da cartiere v. carta, per le macchine per edilizia, v. edilizia, ecc.
Lo sviluppo continuo e rapido delle applicazioni meccaniche, stimolando il progresso della tecnica, ha contribuito a rendere più esteso il complesso di cognizioni scientifiche e pratiche sul funzionamento e la costruzione delle macchine. Di questo complesso di cognizioni, che si usa raggruppare e distinguere in varie discipline, si vale oggi largamente il tecnico per procedere allo studio di progetto e alla costruzione di una macchina e dei suoi organi.
Costruzione. - Il progetto di una macchina si svolge generalmente in più fasi, che vanno dall'ideazione di uno schema preliminare e dallo studio di massima, fino alla calcolazione, al disegno e al dimensionamento definitivo delle varie parti, considerate nei loro più minuti particolari. Lo studio generale e la determinazione delle dimensioni principali di una macchina si basano, in gran parte su metodi e criterî speciali per i diversi generi di macchine, e formano oggetto di trattazioni particolari. Così, trattazioni tutt'affatto speciali si richiedono per lo studio delle diverse macchine motrici (a vapore, idrauliche, a combustione interna), delle operatrici a fluido (pompe, compressori), delle macchine elettriche (generatrici o motrici) e delle operatrici usate nelle varie industrie.
In seguito a questo studio generale della macchina risultano definiti gli elementi che caratterizzano il moto dei singoli membri cinematici, nonché l'intensità e il modo di agire delle forze che vengono trasmesse; si ottengono cioè gli elementi essenziali dai quali dovranno dipendere le forme geometriche e le dimensioni dei varî organi. Il progetto entra allora nella fase che più propriamente forma oggetto della scienza della costruzione delle macchine, intesa nel senso più generale. È infatti compito della costruzione di macchine di analizzare e studiare le forme costruttive degli organi delle macchine e di stabilire i metodi per il calcolo delle dimensioni delle singole parti e per il loro proporzionamento.
In base agli elementi e ai dati prestabiliti si dovranno dapprima individuare i varî pezzi di cui saranno formati i membri cinematici della macchina, si dovranno poi definire le loro caratteristiche costruttive e in particolare quelle delle coppie cinematiche e dei collegamenti rigidi.
I caratteri delle coppie cinematiche sono in diretto rapporto con la natura dei movimenti che esse consentono, e molti dei problemi inerenti alla loro costruzione rientrano nell'ambito della meccanica applicata alle macchine (v. cinematica applicata; dinamica applicata). Ma le forme costruttive delle coppie cinematiche sono numerose e varie ed è compito della costruzione di macchine d'indicare i criterî per la loro scelta e l'adattamento alle particolari condizioni d'impiego.
I collegamenti rigidi debbono servire a tenere unite quelle parti che durante il funzionamento della macchina si comportano come un tutto unico (membro cinematico) e che soltanto in considerazione delle necessità di costruzione, di montaggio, di resistenza, di trasporto, ecc., si debbono formare di più pezzi, molte volte fatti con materiali differenti. Così, p. es., gli assi e gli alberi si costruiscono come pezzi indipendenti e su essi si fissano poi ruote, pulegge, volani, calettandoli con biette o chiavette.
Nel progetto degli elementi delle macchine, la resistenza dei materiali rappresenta la base fondamentale per il calcolo delle dimensioni. Tutti i fondamentali problemi della resistenza dei materiali (basati sulla teoria dell'elasticità) trovano quindi molte applicazioni nella costruzione di macchine.
I calcoli di resistenza non rappresentano però il solo punto di partenza per lo sviluppo dei progetti di organi di macchine. Infatti, per poter impostare questi calcoli, il progettista deve già avere un'idea della forma che assumeranno i pezzi e anche possedere qualche dimensione di riferimento; e si comprende che a tal uopo il disegno e il calcolo debbono progredire di pari passo, per essere di sussidio l'uno all'altro. Molte volte anzi le calcolazioni assumono la forma di calcoli di verifica di dimensioni già precedentemente fissate per tentativo sul disegno. In taluni casi si possono risparmiare o limitare i calcoli di resistenza di certe parti, sapendosi, in base a trattazioni generali o a dati sperimentali, che per assicurare la resistenza basta rispettare determinate proporzioni con altre parti o con altri organi che sono in diretto rapporto con quelli che si considerano. Ciò vale, p. es., per le proporzioni fra le dimensioni delle chiodature, delle viti di collegamento, ecc.
Per certi elementi di macchine le sole condizioni di resistenza non sono sufficienti a fornire le indicazioni necessarie per fissare le diverse dimensioni, oppure un' impostazione rigorosa e precisa dei calcoli di resistenza non riesce, per essi, praticamente possibile. Si deve allora fare assegnamento su criterî pratici o sul confronto con analoghe costruzioni eseguite. Lo studio comparativo di costruzioni eseguite ha anche suggerito a costruttori e trattatisti la creazione di formule, più o meno empiriche, per il dimensionamento di determinati organi. Anche lo studio di queste formule (le quali, giudiziosamente adoperate, tornano utili pure nell'esecuzione pratica dei progetti) entra nell'ambito della costruzione di macchine.
Nella costruzione degli organi di macchine, oltre ai criterî e alle limitazioni derivanti dalle condizioni di resistenza, si presenta quasi sempre la necessità di dover tenere conto di molte altre esigenze (p. es., relative al peso o allo spazio occupato, oppure ai metodi di lavorazione, ecc.).
Nonostante tutte queste esigenze, resta tuttavia molte volte al progettista una notevole libertà nella scelta di certe forme e dimensioni; libertà che è talora causa di inconvenienti, in conseguenza dell'eccessiva molteplicità di tipi e di caratteristiche che vengono ad assumere certi organi di macchine d'uso corrente, e quindi delle difficoltà che s'incontrano nella fornitura, nel ricambio, nelle riparazioni dei pezzi, e per la grande varietà di utensili e strumenti di controllo che si rendono necessarî nelle lavorazioni. Si è sentita perciò la necessità di disciplinare con opportune norme la costruzione di particolari organi di macchine. Così, a prescindere dalle iniziative meno recenti, esistono attualmente in quasi tutti gli stati organizzazioni aventi principalmente il compito di stabilire tipi unificati di organi di macchine, di elaborare e proporre norme di costruzione e di promuoverne la diffusione e l'adozione da parte di tutti i costruttori. In Italia fu costituito nel 1921 il Comitato generale per l'unificazione nell'industria meccanica (U.N.I.M.) generalizzato poi con la denominazione U.N.I. (Unificazione nell'industria), il quale ha stabilito le norme per la compilazione dei disegni costruttivi, ha definito le caratteristiche e le dimensioni delle viti e delle filettature, in rapporto coi sistemi di viti già in uso, come pure delle chiavette, linguette e altri organi di collegamento, ha stabilito la serie dei diametri normali, per alberi, perni, ruote, ecc., le norme per le tolleranze di lavorazione, e molte altre norme riguardanti anche particolari applicazioni.
L'esecuzione dei disegni ha sempre una grande importanza nei progetti di macchine. Dai disegni d'insieme, necessarî per lo studio generale della macchina e per analizzare le condizioni di montaggio dei varî pezzi, si deve passare ai disegni di particolari, i quali debbono rappresentare, pezzo per pezzo, i singoli organi ed elementi, in modo da poter servire efficacemente di guida per le lavorazioni di officina. Il disegno, oltre a dare la rappresentazione grafica dell'oggetto, deve contenere le indicazioni necessarie per individuarne la forma e tutte le dimensioni, senza lasciare nulla di incerto o all'arbitrio dell'esecutore materiale; inoltre deve contenere le indicazioni relative ai materiali adoperati, alle lavorazioni che si richiedono e al relativo grado di precisione, ecc. È per mezzo del disegno che risultano definite le più minute particolarità, che, se pure non possono formare oggetto di calcolo, assumono talvolta notevole importanza e possono influire sulla buona o cattiva riuscita di un pezzo. L'esperienza e la pratica forniscono in proposito una somma notevole d'insegnamenti. Così, p. es., è norma costante, nel disegno dei pezzi, di evitare per quanto sia possibile gli spigoli vivi, sia sporgenti, sia rientranti, e di sostituirli con opportuni raccordi. Gli spigoli rientranti sono particolarmente pericolosi, perché in immediata vicinanza di essi si esaltano le tensioni interne e facilmente si formano incrinature e fessure. Per tutte quelle parti in cui la forma dei pezzi non deve soddisfare a particolari esigenze, si preferiscono, di regola, le forme più semplici e che meglio si adattano ai metodi di costruzione, così che nel disegno queste parti si profilano generalmente con linee rette e archi di cerchio.
Affinché il disegno risulti chiaro e preciso e tale da non dar luogo a errori d'interpretazione, è opportuno osservare nella sua esecuzione determinate norme e convenzioni, fissate in gran parte dai Comitati di unificazione. Si ricorre generalmente alle proiezioni ortogonali, sopra piani di proiezione opportunamente scelti, curando la disposizione delle varie figure in modo che la loro interpretazione risulti evidente. S'individuano sui disegni tutti gli assi di simmetria, le linee mediane (mezzerie), e i centri dei corpi rotondi. S'immaginano opportune sezioni per mostrare le parti interne o nascoste e s'indicano le parti sezionate con tratteggi o tinte convenzionali per rappresentare i diversi materiali. I disegni si eseguiscono in base a una determinata scala metrica, ma non di meno si corredano di tutte le quote necessarie per individuare le dimensioni generali e dei particolari. Infine, convenzioni particolari si usano per rappresentare nel modo più semplice certi organi e certi particolari, come viti e filettature, ingranaggi e dentature, ecc. Dopo avere così esposto in linea generale i criterî fondamentali per il progetto e la costruzione degli elementi delle macchine, passiamo a esaminare particolareggiatamente alcuni degli organi più importanti, nelle loro forme costruttive e nei criterî di calcolo, rimandando, per altri, a voci particolari.
Organi di collegamento. - Chiodature. - Le chiodature sono collegamenti inamovibili, specialmente adatti per unire lamiere e ferri laminati. Sono diffusamente adoperate nella costruzione delle caldaie a vapore, dei serbatoi e recipienti metallici d'ogni genere, nelle travature metalliche, nelle costruzioni navali, ecc. Si distinguono chiodature a freddo e chiodature a caldo. Le prime si usano solo per collegamenti di secondaria importanza, che debbano reggere a sforzi molto limitati, e con chiodi di piccolo diametro. Le seconde sono di gran lunga più importanti e possono realizzare condizioni di efficace resistenza e insieme di ermeticità, come si richiede, p. es., per le caldaie a vapore.
I chiodi si fanno di materiale molto malleabile e tenace (acciai dolci o extradolci e anche acciai al nichel). Ciascun chiodo è inizialmente costituito da un gambo cilindrico terminato da una testa a superficie generalmente sferica (fig. 1). Il chiodo viene introdotto rovente (chiodature a caldo) attraverso i fori affacciati, praticati nei pezzi da collegare, e la parte sporgente del gambo viene rapidamente ribadita, in modo da costituire una seconda testa. Raffreddandosi, il chiodo si contrae e allora i bordi delle due teste, premendo sulle superficie sottostanti, rinserrano fortemente i pezzi attraversati dal gambo. A causa dell'aderenza che si sviluppa tra le superficie a contatto la chiodatura oppone così una forte resistenza alle azioni che tendono a fare scorrere l'uno sull'altro i pezzi chiodati. Il gambo del chiodo non risulta in tal modo sollecitato da azioni taglianti, bensì soggetto a elevati sforzi di trazione, che permangono anche in assenza di forze esterne.
La ribaditura può essere eseguita a mano a colpi di martello o di mazza, usando un opportuno stampo, o anche meccanicamente, per mezzo di martelli pneumatici oppure di chiodatrici pneumatiche o idrauliche. I martelli pneumatici agiscono per urto; le chiodatrici invece agiscono puramente per pressione e foggiano la testa del chiodo mediante uno schiacciamento graduale e continuo del gambo. L'operazione riesce molto rapida ed economica. Per la buona riuscita della chiodatura è necessario che la pressione esercitata dalla chiodatrice non cessi prima che il chiodo si sia convenientemente raffreddato.
L'ermeticità delle chiodature a caldo si assicura mediante la presellatura o cianfrinatura, operazione che consiste nel comprimere, battendoli con adatti utensili, i bordi delle lamiere (opportunamente smussati con taglio obliquo) e quelli delle teste dei chiodi, in modo da assicurarne l'adesione perfetta con la lamiera sottostante.
La giunzione delle lamiere si può eseguire con chiodature a sovrapposizione, oppure con chiodature a semplice o a doppio coprigiunto; inoltre queste chiodature possono essere a una oppure a due o a tre file di chiodi (fig. 2-3). Nelle chiodature a sovrapposizione le labbra delle lamiere da collegare sono sovrapposte l'una all'altra e direttamente chiodate (fig. 2 a). Nelle chiodature a coprigiunto i bordi delle lamiere sono invece a contatto testa a testa, e l'unione è realizzata chiodando le lamiere con piastre (coprigiunti) disposte lungo le linee di giunzione (fig. 2 b-c).
Per ogni tipo di chiodatura si consigliano, in base all'esperienza e anche in base a certe considerazioni sulla resistenza delle lamiere nella zona chiodata, determinate proporzioni fra le diverse dimensioni (fig. 3), cioè fra il diametro d del chiodo, le distanze c tra le file dei chiodi, le distanze e dei bordi dalla fila di chiodi più vicina e la distanza fra chiodo e chiodo (passo della chiodatura t). Inoltre si consiglia di scegliere il diametro dei chiodi d in relazione allo spessore delle lamiere s, usando, p. es., formule del tipo:
intendendo d e s espressi in cm.
Ciò posto, il tipo di chiodatura si fa dipendere dall'importanza del collegamento, ossia dall'entità delle forze che sollecitano le lamiere.
Per quanto riguarda il calcolo di resistenza della chiodatura rispetto alle azioni che tendono a fare scorrere le lamiere, si ammette generalmente che questa sia proporzionale alla somma delle aree delle sezioni dei chiodi (come se i chiodi fossero effettivamente sollecitati a taglio) ammettendo però carichi specifici più bassi per le chiodature a più file di chiodi, perché la ripartizione degli sforzi fra le diverse file non riesce uniforme. In generale il calcolo delle chiodature si connette a quello dello spessore s delle lamiere stesse da chiodare. Scelto infatti un tipo di chiodatura, si calcola lo spessore s in base alle forze esterne, tenendo conto di un certo coefficiente d'indebolimento per la presenza dei fori nella zona chiodata, ciò fatto, le relazioni consigliate dalla pratica consentono di determinare tutte le dimensioni della chiodatura. Resta allora soltanto da verificare col calcolo le sollecitazioni risultanti, per accertarsi se il tipo di chiodatura scelto è adatto al caso che si considera.
Chiavette. - Le biette o chiavette sono corpi cuneiformi che servono a realizzare collegamenti scioglibili. Esse s'introducono a forza, battendole col martello, entro apposite scanalature o finestre, praticate nei corpi da collegare, e restano in posto per effetto dell'aderenza che si sviluppa fra le superficie a contatto.
Si distinguono chiavette trasversali e chiavette longitudinali. Le chiavette trasversali si adoperano specialmente per collegare aste, steli o tiranti, cioè corpi sollecitati da forze assiali, con altri elementi di macchine, muniti a tal uopo di un opportuno mozzo o colletto (fig. 4). La chiavetta attraversa da parte a parte il mozzo e l'asta, e per effetto della forzatura obbliga i due pezzi a premersi mutuamente sopra apposite sedi piane o coniche.
Questa pressione di forzatura, nel caso che il collegamento debba reggere a carichi assiali d'intensità P, agenti alternativamente nei due sensi (collegamenti di teste a croce con aste di stantuffo), deve essere superiore a P; nei calcoli di resistenza si usa ritenerla uguale a 1,25 P. Per il dimensionamento del collegamento occorre prendere in considerazione la resistenza dell'asta e del mozzo in corrispondenza alle sezioni indebolite per la presenza delle finestre di passaggio della bietta, le pressioni superficiali fra i pezzi a contatto, e la sollecitazione a flessione della bietta. Ordinariamente l'inclinazione delle generatrici estreme (l'una rispetto all'altra) si tiene fra 1/20 e 1/40, a seconda che il collegamento deve essere smontato più o meno frequentemente.
Le chiavette longitudinali servono specialmente a collegare rigidamente assi e alberi, cioè elementi sollecitati da momenti torcenti, con altri elementi di macchine (ruote, pulegge, volani, manovelle, ecc.; fig. 5).
La chiavetta s'impegna ordinariamente in una scanalatura diritta praticata nell'albero e contemporaneamente in una scanalatura a fondo inclinato praticata nel mozzo del pezzo da collegare (chiavette incastrate, fig. 6 a). La resistenza del collegamento rispetto ad azioni che tendono a produrre la rotazione mutua dei pezzi, è assicurata dalle pressioni che la chiavetta esercita sulle pareti di fondo delle scanalature, senza che sia necessario l'intervento di pressioni tra le facce laterali della chiavetta e quelle corrispondenti delle scanalature. Le dimensioni delle chiavette longitudinali si stabiliscono in base al diametro dell'albero, calcolandole con formule pratiche, oppure assumendo senz'altro i valori indicati dalle tabelle di unificazione. Nel caso che il collegamento debba reggere soltanto a una frazione del momento consentito dal diametro dell'albero, la scanalatura nell'albero può ridursi a un semplice appiattimento della sua superficie cilindrica (chiavette piatte, fig. 6 b) oppure si può eliminar del tutto assegnando alla chiavetta una forma adatta (chiavette concave, fig. 6 c).
Le pressioni esercitate dalle chiavette generano nei mozzi sollecitazioni dissimmetriche e quindi deformazioni elastiche che possono talvolta dare luogo a scentramenti abbastanza sensibili, e inammissibili per certi organi (ingranaggi di precisione). In tali casi il collegamento a bietta semplice deve essere sostituito con un collegamento di altro tipo; p. es., con uno a biette multiple di un solo pezzo con l'albero o con un accoppiamento su sede conica, pressato longitudinalmente mediante un anello (madrevite) avvitato sull'albero.
Quando i pezzi debbano trasmettere momenti molto intensi, specie se alternativi, si usano collegamenti a chiavette tangenziali, realizzati mediante una o due coppie di chiavette forzate a contrasto entro scanalature prismatiche orientate obliquamente rispetto al raggio (figg. 7-8). Si adoperano anche in certi casi chiavette a sezione circolare (spine coniche) o anche quadrata, disposte trasversalmente o longitudinalmente.
Quando un pezzo deve essere montato sopra un albero in modo che venga trasmesso il moto rotatorio pur consentendo uno spostamento longitudinale (manicotti per innesti, cambî di velocità, ecc.), l'accoppiamento si realizza con linguette (fig. 9). Non si ha in tal caso un collegamento rigido, ma un accoppiamento cinematico (prismatico). Le linguette si applicano analogamente alle chiavette longitudinali; ma non dovendo essere forzate, esse hanno forma esattamente prismatica, senza inclinazione.
Viti. - La vite è la forma costruttiva della coppia cinematica elicoidale e come tale è adoperata in molte macchine per ottenere la trasformazione di un moto rotatorio uniforme in un moto rettilineo pure uniforme (torchi, presse, tornio parallelo, ecc.). Usata come organo di collegamento, la vite assume pure una grande importanza per la vastità e la varietà delle applicazioni. Per le viti di collegamento è stata sentita, più che per ogni altro organo di macchine, la necessità di stabilire norme costruttive ben definite così che già da molto tempo sono stati proposti e sono in uso varî sistemi di viti e di filettature, in parte adottati e convalidati dagli attuali comitati di unificazione.
I sistemi di filettature più in uso per viti di collegamento sono: il sistema Whitworth (1841-1861; fig. 10), il sistema metrico o internazionale S.I. (Congresso di Zurigo, 1897; fig. 11), il sistema americano Sellers, il sistema germanico Löwenherz per meccanica fina, ecc. In tutti questi sistemi, la vite è a un solo verme o filetto con un profilo assiale in forma di triangolo isoscele, limitato con determinati smussi o raccordi al vertice e al fondo. I varî sistemi differiscono per il valore dell'angolo al vertice del filetto, per le caratteristiche degli smussi e dei raccordi, per i valori che costituiscono la serie dei diametri normali e per i corrispondenti valori che vengono assegnati ai passi delle filettature. I sistemi inglese e americano hanno le misure di lunghezza espresse in pollici, gli altri in millimetri. Oltre alle filettature, i sistemi d'unificazione definiscono poi le altre caratteristiche delle viti, relativamente ai gambi, alle teste, ai dadi o madreviti, ece. Caratteristiche speciali si assegnano poi alle filettature di tubi o di altri organi meccanici, o per particolari applicazioni. Sono pure state studiate e proposte delle norme per le viti di lavoro, le quali hanno generalmente filetti di profilo differente, e cioè quadrato, trapezio (isoscele o rettangolo), semicircolare, ecc. Profili di questo genere sono usati anche per viti di collegamento, quando esse debbano essere avvitate o svitate più o meno frequentemente.
Il tipo più comune di vite di collegamento è il bullone o vite passante (fig. 12), costituito di un gambo cilindrico, filettato per una certa lunghezza, e terminato all'altra estremità con una testa fissa di varia forma. Il gambo attraversa i pezzi da collegare e su di esso si avvita (fino a stringimento) il dado o madrevite, generalmente con la interposizione di una rosetta per meglio ripartire la pressione.
Si hanno molti altri tipi di viti, adatte ai varî usi; così, p. es., si hanno viti a testa rettangolare (ad ancora), o a uncino, o a occhiello, viti senza testa (filettate alle due estremità) che richiedono due dadi o madreviti, oppure che traversano uno solo dei pezzi collegati e si avvitano a fondo nell'altro (viti prigioniere), viti a gambo conico o munito di particolari risalti per ricevere le azioni trasmesse dai pezzi, ecc. (fig. 13).
Riguardo al calcolo delle viti di collegamento, non è possibile dare indicazioni molto generali. Nei casi ordinarî i calcoli di resistenza si possono limitare alla determinazione del diametro del gambo, attenendosi per il resto alle proporzioni stabilite nel sistema di viti che s' intende adottare. Per ogni singolo caso si dovranno considerare le effettive condizioni di sollecitazione in cui il gambo della vite viene a trovarsi per effetto delle azioni agenti sui pezzi collegati e per quelle dovute allo stringimento.
Il gambo potrà risultare sollecitato a taglio, flessione, torsione, o in una condizione di sollecitazione composta; in ogni caso il calcolo s'imposterà seguendo i corrispondenti metodi generali della resistenza dei materiali.
Non è facile apprezzare e regolare giustamente in pratica la tensione di stringimento delle viti, per cui a questo riguardo le viti dovranno essere sempre calcolate con un notevole margine di sicurezza. Nella coppia vite-madrevite le azioni interne trasmesse si riducono a una forza assiale Q e a un momento M. Fra questi elementi sussiste la relazione:
ove i due segni + e − corrispondono alle condizioni limiti di moto diretto (M coppia motrice) e di moto inverso o retrogrado (Q forza motrice). Si è indicato inoltre con r il raggio medio della filettatura, con α l'angolo d'inclinazione del filetto e con ϕ′ l'angolo d'attrito apparente, che è legato all'angolo effettivo di attrito ϕ dalla relazione (approssimata):
essendo θ l'inclinazione del fianco del profilo del filetto.
Affinché il collegamento a vite non si allenti spontaneamente basterebbe teoricamente che fosse α 〈 ϕ′. Questa condizione è sempre soddisfatta per le viti dei sistemi unificati in uso. Tuttavia nei casi in cui i pezzi collegati siano soggetti a urti o vibrazioni intense, l'allentamento spontaneo risulta molto più facile, e ci si garantisce allora con i cosiddetti dispositivi di sicurezza. Si conosce una notevole varietà di dispositivi del genere che si prestano più o meno bene nei varî casi pratici (p. es.: doppia madrevite, cioè dado e controdado, rosette elastiche, dente di arresto, coppiglie attraversanti, dadi intagliati e premuti con viti, ecc.; fig. 14).
Organi per il moto rotatorio. - Perni. - I perni sono gli organi di macchine che realizzano l'accoppiamento rotoidale, e consentono quindi un moto relativo di rotazione attorno a un determinato asse. Essi constano sempre di un elemento pieno che costituisce il vero e proprio perno, e di uno cavo che costituisce il cuscinetto, il quale a sua volta fa parte generalmente di un altro organo che costituisce il supporto. Esamineremo qui soltanto i criterî costruttivi relativi al perno propriamente detto rimandando alla voce supporto per quanto riguarda gli organi annessi.
Dal punto di vista costruttivo si usa distinguere i perni di spinta o di base e i perni portanti. I primi sono adatti a reggere prevalentemente forze dirette secondo l'asse; i secondi forze dirette perpendicolarmente all'asse.
La forma delle superficie combacianti è generalmente piana per i perni di spinta e cilindrica per i perni portanti. Si possono tuttavia avere anche perni conici, conoidici, sferici (figg. 15-18). I perni conici o conoidici si adoperano, sia come perni di spinta, sia come perni portanti, specialmente quando occorra limitare al minimo i giuochi fra le superficie e assicurare un perfetto centramento (macchine utensili); i perni sferici quando si debba consentire un orientamento variabile dell'asse di rotazione. Questi ultimi sono però raramente adoperati per la difficoltà di ottenere una perfetta tornitura sferica.
La superficie piana dei comuni perni di spinta è ordinariamente limitata da due circonferenze, cioè è costituita da una corona circolare facente parte della sezione estrema dell'albero (perno d'estremità; fig. 17 a), oppure realizzata mediante un risalto anulare (perno ad anello; fig. 18 a). Quando si tratti di reggere a spinte molto forti (assi motori delle navi) piuttosto che assegnare alla superficie di appoggio un diametro esterno molto grande si preferisce suddividere la superficie in più corone circolari, e si hanno così i perni ad anelli multipli (fig. 18 b). La costruzione deve allora essere accuratissima per assicurare una ripartizione abbastanza uniforme del carico fra i varî anelli. La scelta del tipo di perno e il suo dimensionamento sono strettamente legati alle caratteristiche del tipo di supporto che si usa e al modo con cui si realizza la lubrificazione. Con particolari tipi di supporti (supporti tipo Michell, a settori oscillanti) oppure con sistemi di lubrificazione forzata si possono consentire carichi specifici molto elevati e limitare convenientemente le superficie di appoggio.
I carichi agenti sui perni si ripartiscono sulle superficie a contatto con una legge che, a prescindere dall'influenza delle eventuali imperfezioni di costruzione e dai logoramenti subiti dalle superficie medesime, dipende dalle condizioni di lubrificazione o in genere dalle modalità con cui si manifesta la resistenza di attrito.
Le ipotesi del Reye (1860) sul modo di progredire dei logoramenti superficiali dovuti all'attrito (proporzionalità fra lavoro di attrito e quantità di materiale asportato per logoramento) condurrebbe a definire una legge di ripartizione delle pressioni.
Nel caso dei perni di spinta a superficie piana anulare la legge di ripartizione risulterebbe espressa dalla relazione seguente (fig. 19):
essendo p la pressione specifica e P il carico totale. Il momento resistente dovuto all'attrito risulterebbe allora (indicando con f il coefficiente di attrito, supposto costante):
In realtà, sono d'ordinario i fenomeni relativi all'azione del lubrificante, e non le leggi riguardanti il logoramento delle superficie, che hanno prevalente influenza sulla ripartizione delle pressioni. Tuttavia, per ragioni di semplicità, si usa talvolta ammettere valida, per certi calcoli, la legge di ripartizione derivante dalle ipotesi del Reye, servendosene, se non altro, come mezzo di raffronto.
Per i perni portanti cilindrici le ipotesi del Reye condurrebbero a una legge di ripartizione delle pressioni espressa dalla relazione (fig. 20):
intendendo con pm = P/2 rl la pressione media sulla superficie proiettata del perno. Corrispondentemente il momento di attrito sarebbe:
Se invece si pensa il perno di diametro minore del cuscinetto, e a contatto con questo lungo una sola generatrice (prescindendo dalla esistenza del lubrificante), la posizione che i due organi assumono l'uno rispetto all'altro è quella rappresentata nella fig. 21. Al carico Psi contrappone una reazione uguale e contraria, e la retta d'azione di queste forze deve necessariamente risultare inclinata dell'angolo di attrito ϕ rispetto al raggio del perno che passa per il punto di contatto A. Questa retta è allora tangente a un circolo di raggio: ρ = r sen ϕ al quale si dà il nome di circolo di attrito. Il momento di attrito risulta allora:
ossia, essendo per definizione f = tg ϕ:
o anche, approssimativamente, se f è abbastanza piccolo:
Per quanto riguarda lo studio degli elementi da cui dipende il coefficiente di attrito e la ripartizione delle pressioni in un perno lubrificato (teoria della lubrificazione e dati sperimentali) rimandiamo alle voci lubrificazione; supporto.
Per il calcolo delle dimensioni da assegnare ai perni le condizioni che si debbono prendere in considerazione sono in generale le seguenti: a) resistenza del perno alle forze sollecitanti; b) resistenza delle superficie rispetto al logoramento o alla deformazione; c) smaltimento del calore di attrito senza dare luogo a eccessivi riscaldamenti; d) buone condizioni di lubrificazione.
La condizione a) conduce a un'equazione nella quale entrano le forze sollecitanti e le dimensioni del perno. I perni sono solitamente sollecitati a flessione e, in molti casi, anche a torsione (perni di alberi o di assi motori). Essendo dati i momenti flettenti e torcenti si calcola direttamente un valore minimo del raggio o del diametro del perno (v. più oltre il calcolo degli alberi).
Nel caso particolare dei perni frontali o di estremità la sollecitazione è di pura flessione (fig. 15, a), e il momento flettente si esprime con:
essendo kf il carico di sicurezza per la sollecitazione a flessione. Il diametro d dell'albero si calcola allora con la formula:
Alla condizione b) si ritiene praticamente di soddisfare ponendo un conveniente limite alla pressione specifica media, cioè:
Nel caso dei perni frontali, se non è assegnata a priori la lunghezza l del perno, ma si assegna invece il valore della pressione specifica media, le formule di calcolo diventano:
La condizione c) equivale a porre un determinato limite al valore dell'energia perduta per attrito nell'unità di tempo e sull'unità di superficie, e quindi conduce a una relazione della forma:
essendo v la velocità periferica del perno in cm./sec. ed n il numero dei giri al minuto. I valori limiti c2 o c2′ dovranno essere assegnati tenendo conto del tipo di supporto impiegato, delle condizioni di lubrificazione, di aereazione e di tutto quanto può influire (all'infuori delle dimensioni) sullo smaltimento del calore.
Nei perni comuni in rotazione continua i valori che si assegnano ordinariamente al limite c1 della pressione specifica media pm sono compresi fra 25 e 150 kg./cmq. a seconda dei materiali impiegati (per il perno e per il cuscinetto) e dello stato di lubrificazione che si può realizzare.
Analogamente i valori che si assegnano al limite relativo al prodotto pm v (quando si esprima pm in kg./cmq. e v in m./sec.) sono compresi fra 5 e 50 kgm./cmq. sec.
Infine la condizione d) non riguarda soltanto il perno preso in sé, ma piuttosto l'insieme della coppia perno-supporto. Si tratta di verificare se le dimensioni calcolate in base alle tre condizioni precedenti consentono effettivamente di realizzare lo stato di lubrificazione previsto per l'impostazione dei calcoli. A questo proposito ci limitiamo a notare che le condizioni di lubrificazione (in particolare il valore del coefficiente di attrito) si possono ritenere essenzialmente dipendenti dal valore che assume l'espressione μω/2 pm ossia μv/pm d nella quale μ rappresenta la viscosità del lubrifcante e ω la velocità angolare del perno (v. lubrificazione).
Assi o alberi. - Si chiamano in generale assi o alberi, indifferentemente, le parti di macchine destinate a trasmettere direttamente un moto rotatorio o a sostenere organi rotanti. La denominazione di alberi dovrebbe riservarsi a quegli organi che effettivamente ruotano e trasmettono un momento torcente, mentre si dovrebbero chiamare esclusivamente assi quegli organi che, se anche sono dotati di moto rotatorio, hanno soltanto la funzione di sostenere dei membri rotanti.
Gli alberi sono provvisti di perni per l'accoppiamento con parti fisse (supporti), e su essi si calettano (generalmente con chiavette) gli organi da sostenere (ruote, pulegge, ecc.). Oltre agli alberi che fanno parte di una vera e propria macchina sono da ricordare i lunghi alberi di trasmissione (largamente impiegati nelle officine), i quali servono come organi intermediarî fra una macchina motrice e numerose macchine operatrici. La congiunzione di due alberi che devono ruotare attorno a uno stesso asse si realizza con molteplici tipi di giunti (v.). Quando il collegamento fra due organi rotanti deve potersi stabilire o sciogliere senza interrompere il movimento s'impiegano gl'innesti (v.).
La forma generalmente adottata per gli alberi è quella cilindrica, divisa eventualmente in zone di diverso diametro (in rapporto con le necessità di resistenza) e coi risalti, colletti, ringrossi che sono necessarî per creare i perni, le sedi per il calettamento di organi pesanti, ecc. Gli alberi si costruiscono ordinariamente di ferro omogeneo o di acciaio fucinato. In certi casi, per economizzare nel peso e nella quantità di materiale impiegato, gli alberi si fanno cavi o sagomati esternamente, quasi come solidi di uniforme resistenza rispetto alla flessione (fig. 22).
Il tipo caratteristico di sollecitazione che si riscontra negli alberi è la sollecitazione composta di flessione e torsione. La flessione proviene dalle forze laterali trasmesse o ricevute dagli organi montati sull'albero (trazione di cinghie, azioni tangenziali fra ruote dentate, ecc.) e inoltre dal peso degli organi stessi. I momenti flettenti si calcolano come per le travi ordinarie, riguardando generalmente i perni come semplici appoggi. Quando i perni sono in numero maggiore di due il sistema naturalmente è iperstatico, e l'albero va considerato come una trave continua.
Il momento torcente Mt può esprimersi in funzione della potenza trasmessa N (espressa in HP) e del numero dei giri n al minuto compiuti dall'albero, ed è:
Nel caso che l'albero sia sollecitato soltanto o prevalentemente a torsione si hanno le relazioni:
con le quali si calcola direttamente il diametro d.
Per i lunghi alberi di trasmissione, al fine di assicurare una sufficiente rigidità rispetto alle deformazioni elastiche di torsione, si pone generalmente anche un limite all'angolo di torsione e allora si arriva a una relazione della forma:
che si assume come seconda condizione per il calcolo del diametro.
Per gli alberi sollecitati a flessione e torsione (con intensità tali che non consentano di trascurare l'una o l'altra delle due sollecitazioni) il calcolo (v. Costruzioni) s'imposta sul valore del momento ideale di flessione, equivalente alla sollecitazione composta, il quale è espresso da:
Nella scelta dei coefficienti di resistenza per il calcolo di alberi e di perni è necessario tenere presente che in conseguenza della sollecitazione a flessione, le singole fibre, durante la rotazione, risultano sollecitate a sforzi alternativi di compressione e trazione; quindi i carichi specifici ammessi sono sempre relativamente bassi, anche quando si usano i migliori materiali.
Le deformazioni di flessione vanno prese in considerazione nei casi in cui gli organi montati sull'albero richiedano grande esattezza nei riguardi della distanza o del parallelismo di assi (ingranaggi potenti e di precisione, organi di macchine utensili, ecc.).
Inoltre le deformazioni di flessione sono causa talvolta (alberi molto veloci o molto lunghi, come alberi di turbine a vapore, alberi motori delle navi, ecc.) di caratteristici fenomeni d'instabilità dinamica, che si manifestano per lo più con violente e pericolose trepidazioni. Questi fenomeni si producono in corrispondenza di determinate velocità angolari (velocità critiche degli alberi) dipendenti dalle proprietà elastiche degli alberi stessi, in rapporto con l'entità e con la ripartizione delle masse che essi portano. Per la regolarità e la tranquillità del moto è necessario che la velocità di funzionamento sia sufficientemente lontana dalle velocità critiche.
Dal punto di vista analitico le velocità critiche risultano definite come quelle velocità per le quali (supposto l'albero inflesso sotto l'azione delle forze centrifughe sviluppate dalle masse rotanti) le frecce di deformazione elastica assumono valore infinito o indeterminato (a seconda che le masse sono eccentriche oppure perfettamente centrate). Si dimostra inoltre che i numeri di giri critici (corrispondenti alle velocità angolari critiche) coincidono coi numeri di vibrazioni trasversali libere, proprie dell'albero, riguardato come sbarra elastica non rotante. Nelle più comuni applicazioni la velocità di funzionamento risulta inferiore alla più bassa velocità critica. Soltanto per certe macchine speciali (p. es., per le turbine a vapore) può essere necessario di fare funzionare l'albero a una velocità superiore alla prima velocità critica.
Consideriamo, p. es., uno dei casi più semplici e cioè quello di un albero appoggiato liberamente agli estremi A, B, e portante nella sezione mediana un carico concentrato di peso P, costituito da un disco o da una ruota calettata rigidamente sull'albero stesso (fig. 23 a). Supponiamo poi che questo carico (di fronte al quale ammettiamo trascurabile il peso proprio dell'albero) non sia perfettamente centrato, così che il baricentro G della massa non giaccia sull'asse geometrico dell'albero, ma abbia rispetto a questo una certa eccentricità e. Ciò posto osserviamo (fig. 23 b) che l'albero, rotando, s'infletterà sotto l'azione della forza centrifuga Fc e assumerà una certa freccia y proporzionale a Fc e precisamente espressa da (E = modulo di elasticità; J = momento d'inerzia della sezione dell'albero):
ma poiché l'eccentricità totale che assumerà il baricentro della massa rotante sarà y + e, la forza centrifuga sarà:
perciò si avrà l'equazione
che risolta rispetto a y dà:
Si vede da questa relazione che la freceia di deformazione y diventerebbe infinita per un determinato valore della velocità angolare ω. Questo valore, che è appunto la velocità critica dell'albero, è evidentemente espresso da:
Si noti che per valori di ω superiori ad ωc la freccia y assume di nuovo valori finiti, ma di segno opposto ad e, il che corrisponde allo stato di deformazione che viene qui rappresentato dalla fig. 23 c.
Si noti che l'espressione trovata per la velocità critica vale formalmente anche per alberi che si trovino in condizioni diverse, per i vincoli o per i carichi, purché si tratti sempre di masse concentrate. Da un caso all'altro varia soltanto il significato del coefficiente a nel quale si riassumono le proprietà elastiche dell'albero.
Nel caso che l'albero porti due o più masse concentrate risultano dal calcolo due o più velocità critiche, a ciascuna delle quali corrisponde un diverso modo di deformarsi dell'albero, come mostra, p. es., la fig. 24 nel caso di due masse concentrate.
Ma anche le masse ripartite sugli alberi con continuità dànno luogo a velocità critiche. Consideriamo, p. es., un albero appoggiato agli estremi A, B e portante un carico uniformemente ripartito su tutta la lunghezza l. Questo carico (che supporremo perfettamente centrato) potrà essere dovuto, p. es., alla massa propria dell'albero, supposto di sezione costante. Ammesso che l'albero s'infletta per effetto della forza centrifuga (e si possa trascurare l'azione della gravità) indichiamo con y lo spostamento di un punto generico di ascissa x. Se allora è q il carico (corrispondente al peso) per unità di lunghezza, la forza centrifuga p riferita pure all'unità di lunghezza sarà:
(essendo g l'accelerazione della gravità).
Questa forza non è naturalmente distribuita in modo uniforme, bensì con un andamento simile a quello indicato nella fig. 25. In base alla teoria delle travi inflesse si trova allora che l'equazione della linea elastica deve essere, nel caso attuale:
ove m è un coefficiente che riassume le proprietà elastiche dell'albero, e precisamente definito da:
mentre invece A è un coefficiente indeterminato. La velocità ω non può però essere qualsiasi, ma tale da rendere y = 0 per x = l, ossia:
intendendo con k un numero intero qualsiasi. Le velocità critiche dell'albero sono appunto quelle che soddisfano a questa condizione, e risultano pertanto espresse da
La prima velocità critica si ottiene ponendo k = 1; le successive risultano allora crescenti come i numeri 1, 4, 9, ecc.
Per gli alberi che si trovano in condizioni di carico o di vincolo più complesse le velocità critiche si determinano utilizzando opportuni metodi grafici, oppure per mezzo di formule approssimate, fra le quali ricordiamo quella di Dunkerley:
nella quale ωc rappresenta la velocità critica dell'albero nelle condizioni effettive di carico, cioè soggetto all'insieme dei carichi P1, P2,... e invece ωc1, ωc2,... rappresentano le velocità critiche che assumerebbe l'albero qualora esso fosse soggetto rispettivamente al solo carico P1, al solo carico P2, ecc.
Manovellismi e organi annessi. - Uno dei più importanti meccanismi impiegati come trasformatori di moto è certamente il manovellismo di spinta rotativa (fig. 26). Esso realizza la trasformazione di un moto alternativo rettilineo in un moto rotatorio continuo o viceversa, e costituisce perciò il meccanismo fondamentale di tutte le macchine a stantuffo, motrici e operatrici (motori a vapore e a combustione interna, pompe e compressori a stantuffo). I suoi membri cinematici sono, oltre il membro fisso A (intelaiatura), il corsoio B (dotato di moto alternativo rettilineo), la manovella D (solidale con l'albero rotante) e la biella C (che collega la manovella col corsoio). Le coppie cinematiche sono: i perni che sostengono l'albero e la manovella, il perno d'estremità della manovella (bottone di manovella), il perno d'articolazione del corsoio e la coppia prismatica formata dai pattini (portati dal corsoio) e dalla guida (fissa al telaio).
Nelle macchine a stantuffo il corsoio è costruttivamente costituito dall'organo direttamente guidato in moto rettilineo (pattino, testa a croce), ma, considerato dal punto di vista cinematico, esso comprende anche gli elementi a esso solidali, e cioè lo stantuffo e il relativo stelo.
L'organo guidato in moto rettilineo prende il nome di testa a croce a causa della sua forma caratteristica. Può essere formato da una testa in forma di occhiello (fig. 27 a) portante nell'interno i cuscinetti per il perno di piede della biella (in tal caso l'estremità della biella sarà terminata con un penno a forchetta), oppure può avere forma cava (fig. 27 b) o biforcuta e portare esso stesso il perno per l'articolazione della biella (terminata allora a occhiello). In ogni caso la testa a croce è poi fissata allo stelo mediante chiavetta trasversale, oppure mediante un pezzo avvitato. Infine alla testa a croce sono fissati i pattini, la cui forma dipende da quella della guida. Se la guida è bilaterale i pattini sono due, opposti, e lavorati a superficie piana o, più spesso, cilindrica. Nei riguardi della testa a croce la dimensione essenziale è la superficie dei pattini, che deve essere commisurata alle pressioni trasmesse alla guida, tenuto conto della velocità media di corsa e delle condizioni di lubrificazione.
Gli stantuffi debbono soddisfare soprattutto a condizioni di robustezza e tenuta. La tenuta viene realizzata con mezzi diversi a seconda della natura del fluido che agisce nel cilindro e dei valori della pressione e della temperatura. Nelle macchine a vapore e in quelle a gas la tenuta si ottiene con anelli elastici in ghisa dolce. Questi anelli sono lavorati inizialmente a un diametro maggiore di quello del cilindro, poi tagliati in un punto della circonferenza e introdotti mediante deformazione elastica nelle loro sedi praticate sullo stantuffo. Nelle pompe la tenuta si realizza con guarnizioni di cuoio o di altro materiale compressibile, applicato allo stantuffo oppure al cilindro (nel caso degli stantuffanti; fig. 30). La forma costruttiva degli stantuffi dipende dal tipo di macchina. Nelle macchine a doppio effetto, a vapore o a gas, si hanno necessariamente stantuffi a disco o a cassa cilindrica cava, fissati ai rispettivi steli mediante pezzi avvitati (fig. 28, 29). Nel caso dei motori a combustione interna a semplice effetto si hanno stantuffi a fodero (fig. 31) aperti a un'estremità, i quali compiono anche la funzione di pattino ed eliminano la necessità degli steli, poiché portano direttamente il perno (spinotto) di articolazione con la biella. Nelle pompe a stantuffo è comune l'impiego di stantuffi tuffanti (fig. 30) coi quali l'organo di tenuta risulta più direttamente accessibile. Gli stantuffi si costruiscono in ghisa o in acciaio fuso, e per i motori d' aviazione e d'automobile anche in leghe leggiere (a base di alluminio).
I calcoli di resistenza degli stantuffi si presentano piuttosto complessi (resistenze di lastre piane o curve) se impostati su basi abbastanza rigorose. Generalmente però le dimensioni nei particolari si stabiliscono con criterî pratici o di confronto.
Gli steli degli stantuffi non presentano particolarità di forma notevoli (tolto il caso dei grossi motori a combustione a doppio effetto, aventi circolazione d'acqua nell'interno degli stantuffi e conseguentemente steli cavi con doppio canale per l'entrata e l'uscita dell'acqua); sono solidi soggetti a sollecitazioni alternate di compressione e trazione, e debbono perciò avere diametro tale da garantire contro la presso-flessione.
Per quello che riguarda i cilindri entro i quali agiscono gli stantuffi, le loro caratteristiche di forma e di struttura sono strettamente legate al genere di macchina al quale gli stantuffi stessi appartengono.
Le bielle sono elementi soggetti a forze alternate di compressione e trazione; inoltre, per effetto delle forze d'inerzia delle loro stesse masse, si sviluppa in esse anche una sollecitazione alterna di flessione, che può essere sensibile nelle macchine molto veloci. La forma della sezione dell'asta della biella conviene dunque che sia a grande momento d'inerzia. Si adottano infatti, oltre la sezione circolare, sezioni rettangolari allungate e sezioni a doppio T. Le estremità delle bielle debbono essere costruite in modo da potere portare i cuscinetti di accoppiamento col bottone di manovella e col perno della testa a croce. L'estremità verso la manovella (testa di biella) è in generale finita a guisa di finestra, nella quale si adattano i due mezzi cuscinetti con cunei o con viti di registrazione, oppure è costituita di due parti (a guisa di supporto) unite con viti (fig. 32, a, b). L'altra estremità delle bielle è costituita da un occhio che forma il cuscinetto per il perno oscillante della testa a croce, oppure è terminata a staffa con le opportune sedi per costituire un perno a forchetta (fig. 32, c, d).
La sezione dell'asta delle bielle può essere circolare, piena o cava, oppure rettangolare, o anche a doppio T. Queste diverse forme sono da scegliersi in relazione all'importanza delle bielle stesse, all'entità delle forze sollecitanti, alle velocità e alle eventuali esigenze particolari relativamente al peso.
Le manovelle assumono forme varie a seconda della disposizione generale della macchina di cui fanno parte. Le manovelle fissate all'estremità di un albero (manovelle frontali, fig. 33) sono generalmente costituite da un braccio a sezione rettangolare di larghezza costante e altezza decrescente dal centro verso l'estremità. Questo braccio termina agli estremi coi due mozzi per il calettamento sull'albero e per l'attacco del bottone di manovella. Questi due collegamenti si possono realizzare mediante accoppiamento su sedi cilindriche o coniche, bloccati per mezzo di chiavette (longitudinali sull'albero e trasversali sul bottone) oppure con montaggio alla pressa, a freddo o a caldo. Il braccio viene di regola profilato con due rette tangenti alle circonferenze esterne dei mozzi. Si può irrobustire il braccio della manovella aggiungendo una nervatura centrale che congiunge i due mozzi. In tal modo si ottiene una sezione a T, invece che rettangolare. Molte volte il braccio si prolunga dal lato opposto a quello del perno di estremità al fine di costituire un contrappeso al bottone di manovella e portare così il baricentro della manovella sull'asse di rotazione; più spesso il contrappeso viene dimensionato in modo da controbilanciare anche una parte del peso della biella e realizzare così migliori condizioni di equilibramento di tutto il manovellismo. Le manovelle contrappesate possono addirittura assumere la forma di dischi (semplificando così anche la costruzione) lavorati piani sopra una faccia e con opportuni aggetti sull'altra per costituire il mozzo del perno e il contrappeso (fig. 34).
Quando l'albero deve essere sostenuto mediante due supporti (e rispettivi perni) e fra questi supporti deve essere posta la manovella, generalmente questa viene a formare un tutto unico con l'albero (manovella a gomito o albero a gomito, o anche collo d'oca; fig. 35). Si tratta generalmente di pezzi forgiati ottenuti mediante piegamento (eseguito a caldo) di un pezzo primitivamente diritto, o meglio mediante asportazione del materiale necessario per formare il vano (fra i due bracci del gomito) entro cui deve potere passare l'asta della bie lla. Anche per gli alberi a gomito si possono avere forme geometriche abbastanza diverse. I bracci sono generalmente a sezione rettangolare, eventualmente con ampî smussi o raccordi alle estremità e in corrispondenza dei perni di appoggio e di quelli di manovella; possono essere diretti normalmente all'asse di rotazione o disposti alquanto obliquamente, con o senza contrappesi (riportati e fissati rigidamente con attacco a coda di rondine). Nei motori a più cilindri si hanno alberi a gomito con più manovelle (da 2 a 6 e anche 8 gomiti o manovelle) diversamente orientate, in relazione alle esigenze di equilibramento, di uniformità del moto, ecc. Le diverse manovelle possono infatti essere calettate, p. es., con angoli di 0°, 90°, 120°, 180° l'una rispetto all'altra.
Gli alberi con più gomiti sono sempre appoggiati su più di due supporti, in modo che fra due supporti esista una sola manovella, o al più esistano due manovelle. Molte volte gli alberi a gomito vengono forati longitudinalmente, e così pure vengono forati i rispettivi perni e i bracci di manovella: ciò serve ad accertare la compattezza della struttura interna; inoltre i canali così ottenuti sono utilizzati per far pervenire il lubrificante ai perni di manovella, e, se anche le bielle sono forate, anche ai perni di articolazione portati dalle teste a croce (o dagli stantuffi)
Gli alberi a gomito sono organi molto importanti, dal punto di vista costruttivo, e richiedono una progettazione molto oculata e precisa (basata, oltre che sul calcolo, sopra dati di esperienza diretta), metodi razionali di lavorazione, e l'impiego di ottimi materiali, molto tenaci e resistenti agli urti e a sollecitazioni alternate.
Per quanto riguarda la forma delle manovelle, ricordiamo infine che queste possono anche assumere la forma di eccentrici a collare (v. eccentrico). Ciò accade quando il raggio del bottone di manovella risulta tanto grande da racchiudere nel suo interno tutta la sezione dell'albero. Questa particolare forma costruttiva è però impiegabile solo quando il manovellismo serve a trasformare un moto rotatorio in un moto rettilineo alterno (comando di piccole pompe, cassetti di distribuzione, ecc.), purché la corsa del corsoio (che è uguale al doppio del raggio di manovella) sia piccola in confronto al diametro dell'albero. In tali casi la manovella in forma di eccentrico può essere conveniente perché evita la costruzione complicata e costosa di un gomito.
Calcolo delle bielle e delle manovelle. - Volendo ora analizzare le condizioni di lavoro degli organi dei manovellismi e ricavarne gli elementi che occorrono per il calcolo è necessario riassumerne brevemente le proprietà cinematiche e dinamiche.
Consideriamo il manovellismo rappresentato schematicamente nella fig. 36. Posto che la velocità angolare ω della manovella sia costante si deducono facilmente le espressioni dello spostamento generico s, della velocità v, e dell'accelerazione a, relativi al moto del corsoio (punto B) in funzione dello spostamento angolare generico ϕ della manovella OA. Indicando con:
il rapporto fra il raggio della manovella e la lunghezza della biella, lo spostamento s risulta:
e se il rapporto λ è abbastanza piceolo (nelle macchine motrici ordinarie si ha λ = 1/4 ÷ 1/5) si ha anche approssimativamente:
e da questa, per successive derivazioni si ricava:
Nella fig. 36 sono poi rappresentati i diagrammi che mostrano le variazioni di v e di a in funzione di s, cioè in relazione alle posizioni occupate dal corsoio. Si scorge che la velocità si annulla agli estremi della corsa e raggiunge un massimo in corrispondenza di una posizione prossima al punto di mezzo della corsa. L'accelerazione a assume invece agli estremi della corsa i valori seguenti:
e varia con andamento parabolico nelle posizioni intermedie.
L'accelerazione del punto A, centro del bottone di manovella, ha il valore costante ω2 r ed è diretta verso il centro di rotazione. L'accelerazione ax di un punto generico Q posto sull'asse BA della biella, a distanza x da B, si può allora riguardare come risultante di due accelerazioni ax′ e ax″ rispettivamente parallele alle accelerazioni degli estremi B ed A e numericamente espresse da:
Queste due componenti variano dunque linearmente con x (la prima fra il valore a e zero, la seconda fra zero e ω2 r) e si possono rappresentare coi diagrammi triangolari ABC e ABD della fig. 37.
Se ora supponiamo che la massa della biella, che indicheremo con mb, sis distribuita uniformemente lungo il segmento AB (ci limitiamo a trattare il caso ideale relativo a questa ipotesi semplificativa) osserviamo che la forza d'inerzia totale Hb della biella si potrà riguardare come risultante di due forze Bb′ e Hb″, parallele rispettivamente ad OB e ad OA applicate agli estremi del terzo medio di AB e di intensità:
In tal modo risulta individuata la forza d'inerzia totale Hb della biella in una posizione generica.
Se ora supponiamo sia data la forza esterna P applicata al corsoio (azione motrice sullo stantuffo del fluido che agisce nel cilindro) potremo facilmente individuare le azioni che vengono trasmesse ai singoli organi. Se indichiamo con m1 la massa totale in moto alterno (stantuffo, stelo, testa a croce) la corrispondente forza d'inerzia sarà:
perciò al punto B dovremo ritenere applicata una forza:
diretta secondo BO. Questa forza dà luogo a una componente R1 trasmessa alla guida e a una componente S1 trasmessa alla biella. La forza S1, componendosi poi con la forza d'inerzia Hb della biella, dà luogo a una risultante S2 che rappresenta l'azione trasmessa alla manovella. La fig. 38 mostra come si possano determinare queste singole forze.
È evidente la semplificazione che ne risulterebbe se si ritenesse trascurabile la forza d'inerzia Hb (macchine lente): in tal caso le due forze S1 ed S2 risulterebbero identiche e dirette secondo l'asse della biella BA.
Le sollecitazioni dei varî organi, in particolare della biella e della manovella, variano evidentemente da istante a istante. Per l'esecuzione dei calcoli di resistenza sarà dunque in generale necessario ricercare e prendere in considerazione le posizioni più sfavorevoli nei riguardi di ciascun organo, e anzi di ciascuna parte assoggettata a calcolo.
Naturalmente in pratica si cerca di semplificare e abbreviare questi calcoli introducendo opportune ipotesi semplificative, suggerite da considerazioni teoriche, o dai risultati di calcoli fatti su costruzioni analoghe, o dal confronto di costruzioni eseguite.
Esaminiamo brevemente le condizioni di resistenza della biella e della manovella.
Nei riguardi dell'asta della biella abbiamo già osservato che le azioni trasmesse dànno luogo a sollecitazioni alternate di compressione e trazione, alle quali si aggiunge la sollecitazione a flessione dovuta alle forze d'inerzia. Trattandosi di aste abbastanza lunghe si dovrà dunque considerare la resistenza sotto i seguenti tre aspetti: a. trazione o compressione semplice; b. presso-flessione (carico di punta); c. sollecitazione composta di compressione e flessione.
Le condizioni più sfavorevoli nei riguardi di queste tre sollecitazioni possono verificarsi in generale in corrispondenza di posizioni differenti. Infatti i massimi di compressione e di trazione si verificano generalmente in immediata prossimità dei punti morti. Invece la sollecitazione a flessione è nulla in corrispondenza ai punti morti. Tuttavia si può dire che in generale la condizione di resistenza rispetto alla sollecitazione a) resta assorbita in quella relativa alla b); inoltre la sollecitazione c) assume importanza soltanto nel caso di macchine abbastanza veloci.
Se indichiamo con P la pressione assiale e con Mf il momento flettente (dovuto alle forze d'inerzia) nella sezione più sollecitata, le formule di resistenza corrispondenti alle condizioni a), b), c) sono:
Si noti che nella formula b) relativa alla resistenza rispetto alla pressoflessione (formula di Eulero) si deve intendere con J′ il momento d'inerzia minimo della sezione che si considera, trascurando, quando tale momento sia rispetto all'asse perpendicolare a quelli dei perni, l'effetto parziale d'incastro che questi determinano; invece nella formula c) si deve intendere con J″ il momento d'inerzia rispetto all'asse di flessione, che è diretto parallelamente agli assi dei perni. La verifica con la formula b) deve essere fatta evidentemente in base al massimo valore che assume P; invece non sono a priori ben definiti i valori di P e di Mf in base ai quali si deve impostare la verifica con la formula c). In pratica, per non complicare inutilmente il calcolo, conviene introdurre nella c) i valori massimi di P e di Mf sebbene questi in generale non si verifichino contemporaneamente. Ma anche la ricerca rigorosa del massimo valore di Mf richiederebbe lunghi calcoli; si usano allora in pratica formule semplici dedotte in base a trattazioni approssimate: p. es., la seguente:
che si ricava supponendo che le componenti normali delle forze d'inerzia siano ripartite linearmente dal valore zero fino al valore mb ω2 r. In questa formula si deve intendere con Q il peso dell'asta della bi. ella. Il massimo di Mf così calcolato si verificherebbe in una sezione della biella posta alla distanza 0,577 l dall'estremo B.
Il calcolo diretto delle dimensioni della sezione di una biella (calcolo di progetto) s'imposta in generale sulla formula b) assegnando al coefficiente di sicurezza valori opportuni (consigliati dall'esperienza costruttiva), salvo poi a fare la verifica con la c).
Riguardo alla scelta della forma della sezione si comprende, osservando le formule b) e c), che dal punto di vista dell'economia di materiale e quindi della leggerezza, converrebbero le forme a grande momento d'inerzia (cave o nervate, p. es., a doppio T) specialmente per bielle veloci. Per queste poi conviene anche che i due momenti d'inerzia J′e J″ siano effettivamente fra loro diversi, in relazione alle due diverse sollecitazioni b) e c), e in questo senso è giustificato l'impiego delle sezioni rettangolari o a doppio T.
Vogliamo ora accennare alle condizioni di resistenza delle manovelle. Questi organi sono sollecitati dalle forze trasmesse dalle bielle, e inoltre dalle forze centrifughe sviluppate dalle loro stesse masse. Le azioni trasmesse dalle bielle sono continuamente variabili in direzione e intensità. Occorrerà perciò, in generale, prendere in considerazione diverse posizioni di manovella.
Nei riguardi delle manovelle di estremità, si osserva, p. es., che quando la manovella si trova in corrispondenza di uno dei punti morti, la spinta della biella provoca, nel braccio della manovella, una sollecitazione di pressione e flessione, oppure di trazione e flessione; quando invece la manovella è diretta pressoché perpendicolarmente alla biella, la spinta di questa induce una sollecitazione composta di flessione e torsione.
Generalmente le dimensioni delle manovelle si assegnano con criterî pratici e si fanno poi col calcolo le verifiche di resistenza che si ritengono necessarie. Assegnate le dimensioni si calcolano pure le sollecitazioni dovute alle forze centrifughe, particolarmente nei riguardi dei contrappesi e dei loro eventuali organi di attacco.
Altri organi di moto delle macchine. - Le considerazioni che abbiamo esposto a proposito del manovellismo di spinta rotativa, intese da un punto di vista generale, possono anche dare una sufficiente idea dei criterî da seguire nel progetto e nella costruzione di meccanismi analoghi, quali sono i sistemi articolati in genere, cioè i sistemi costituiti da elementi connessi mediante coppie cinematiche rotoidali o prismatiche. Le coppie cinematiche d'altro tipo (non meno diffusamente impiegate nella composizione delle macchine) dànno luogo ad altri organi meccanici, per i quali si presentano problemi costruttivi che richiedono quasi sempre trattazioni particolari e di cui ci limitiamo a dare alcuni cenni sulle caratteristiche principali, impostando i problemi essenziali.
La trasmissione del moto fra alberi che devono ruotare con velocità angolari in rapporto costante si realizza normalmente mediante coppie superiori, quali sono le ruote dentate, le ruote di frizione, le trasmissioni a elementi flessibili (v. trasmissione).
Le ruote di frizione sono organi meccanici le cui superficie attive appartengono agli assoidi del moto relativo degli organi stessi, e perciò durante il funzionamento rotolano le une sulle altre senza strisciare, oppure non appartengono agli assoidi, ma se ne allontanano di poco e la trasmissione avviene con strisciamento minimo.
Le ruote dentate si possono pensare, almeno nei casi più comuni, come derivate dalle ruote di frizione, munendo le superficie assoidali di sporgenze e rientranze a guisa di denti. Per le ruote dentate (praticamente assai più usate e quindi più importanti delle ruote di frizione) si presenta il problema caratteristico della definizione geometrica dei profili dei denti (problema che interessa la cinematica applicata) oltre a quello del dimensionamento dei denti stessi e delle altre parti delle ruote, in relazione alle forze trasmesse (v. ingranaggi).
Un genere tutto speciale di meccanismi, i quali (pur non potendo annoverarsi fra gl'ingranaggi) possiedono tuttavia come elemento essenziale una ruota munita di denti, è quello degli arpionismi. Si tratta di meccanismi che s'impiegano generalmente come organi di arresto, capaci d'impedire il moto rotatorio di un albero in un dato senso, consentendo invece il moto nel senso contrario. Constano essenzialmente di una ruota a denti obliqui (denti di sega) coi quali può venire in contatto l'estremità di un piccolo braccio girevole a cui si dà il nome di arpione o di nottolino. Queste due denominazioni corrispondono propriamente a due forme diverse: l'arpione (fig. 39 b) ha l'estremità foggiata a gancio e agisce per trazione; invece il nottolino (fig. 39 a) è diritto, o quasi, e agisce per compressione. Le figure mostrano pure quale deve essere la direzione della normale comune alle linee di contatto, affinché la spinta sviluppata dal dente della ruota in posizione di arresto agisca in senso tale da mantenere impegnato l'arpione (o il nottolino). L' arpione (o il nottolino) devono costantemente essere premuti sui denti della ruota (per effetto del proprio peso, o di una molla) affinché la loro azione di arresto si manifesti prontamente e automaticamente, appena la ruota accenna a muoversi in senso contrario a quello consentito.
La ruota può spostarsi in senso inverso di una quantità tutt'al più uguale all'intervallo fra due denti successivi (passo della dentatura); disponendo però intorno alla stessa ruota due o più nottolini opportunamente scalati si può anche ridurre questo spostamento a una frazione minore del passo. Dispositivi di questo genere si applicano a tutti quegli apparecchi di sollevamento (gru, paranchi, argani, ecc.) che già non siano, per la loro propria natura, ad arresto spontaneo (v. dinamica applicata).
Gli arpionismi sono d'altra parte impiegati anche come dispositivi atti a trasformare un moto alternativo (generalmente di oscillazione attorno a un asse) in un moto intermittente, diretto sempre in un medesimo senso. Evidentemente basta a tal uopo articolare il nottolino (o l'arpione) all'elemento oscillante: esso trasmetterà allora moto progressivo intermittente alla ruota, purché sia impedito (eventualmente mediante un altro nottolino) il moto retrogrado della ruota stessa (fig. 40). Combinando opportunamente due nottolini sulla leva oscillante (fig. 41) la trasmissione del moto avviene tanto nella corsa di andata che in quella di ritormo (arpionismo a doppio effetto). Si tratta di apparecchi e dispositivi che dal punto di vista costruttivo non dànno luogo a problemi di particolare interesse.
Le trasmissioni a elementi flessibili sono essenzialmente costituite da pulegge, sulle quali si avvolgono cinghie, corde, catene (v. trasmissione). Le pulegge sono ruote costituite generalmente da mozzo, razze e corona, con forme e strutture molto varie a seconda dei materiali di cui sono formate e della natura dell'organo flessibile. Le più comuni trasmissioni d'officina sono a cinghie di cuoio o anche di pelo di cammello, di tela gommata, ecc.; le rispettive pulegge hanno la corona piatta o leggermente convessa, e possono essere di ghisa, di ferro, di legno, ecc. Le pulegge delle trasmissioni a corda hanno invece le corone munite di una o più gole cuneiformi; infine le pulegge per le trasmissioni a catena hanno gole a superficie liscia (puleggie di rinvio) o più spesso gole con alveoli o corone dentate, con forme adatte alla struttura delle catene.
Le corde o funi e le catene non s'impiegano soltanto come organi di trasmissione, ma anche come organi di trazione, particolarmente negli apparecchi di sollevamento, come argani, gru, paranchi, montacarichi, ascensori, ecc. Come organi di trazione si usano tanto corde vegetali, che funi metalliche. Le corde vegetali sono generalmente di canapa, oppure di manilla o di cotone; sono formate da trefoli avvolti a elica, ciascuno dei quali è costituito in modo consimile da funicelle elementari (fig. 42). Queste corde possono raggiungere una resistenza a rottura di 6 ÷ 9 kg. per mmq. di sezione. Nei calcoli di progetto si assumono però sempre dei carichi di sicurezza molto più bassi (p. es.,1/10 o anche meno del carico di rottura); inoltre, per limitare gli sforzi supplementari che si sviluppano nelle corde quando queste si avvolgono sopra le pulegge, si prescrive che il rapporto fra il diametro delle pulegge e quello delle corde non scenda sotto un certo limite, p. es. 10 nel caso delle macchine di sollevamento, 25 ÷ 50 nel caso delle trasmissioni.
Le funi metalliche sono composte con fili elementari di ottimo acciaio, aventi resistenze a rottura di 120 ÷ 150 kg./mmq. e anche superiori. Nei tipi di funi più comuni i fili elementari (aventi 1 ÷ 2 mm. di diametro) sono avvolti in numero di 60 più sopra un filo centrale di acciaio o una funicella di canapa, e i trefoli così ottenuti sono essi pure avvolti sopra un'anima centrale di canapa. Si costruiscono peraltro molti tipi diversi, adatti per le più varie applicazioni. La resistenza delle funi di acciaio corrisponde, almeno approssimativamente, alla somma delle resistenze dei singoli fili elementari. I carichi di sicurezza da assumere nei calcoli dipendono, oltreché dalle qualità del materiale, anche dal genere di applicazione e possono variare, p. es., da 8 ÷ 10 kg./mmq. fino a 25 ÷ 40 kg./mmq. Anche per le funi di acciaio si prescrive inoltre un limite minimo per il diametro D delle pulegge, in proporzione del diametro δ dei fili elementari (p. es., D/δ > 500 o anche D/δ > 1000) allo scopo di limitare gli sforzi supplementari di flessione.
Le catene che s'impiegano come organi di trazione hanno forme varie. Oltre le catene comuni a maglie o anelli ovali più o meno allungati (fig. 43), ricavati da ferri tondi ripiegati e saldati o anche ottenuti insieme senza saldatura da una sola barra per mezzo di speciali laminatoi, si hanno diversi tipi di catene articolate, costituite da elementi accoppiati per mezzo di vere e proprie articolazioni. Le catene comuni non possono avvolgersi su pulegge dentate, ma soltanto su tamburi e pulegge a gole con superficie liscie, oppure presentanti incassature o alveoli in cui le maglie possono trovare un buon appoggio (figura 44). Il tipo più noto di catena articolata è la catena di Galle (fig. 45) costituita da due serie di piastrine (in numero più o meno grande a seconda dello sforzo da trasmettere) riunite fra loro mediante fuselli o pernetti trasversali. Queste catene si avvolgono sopra pulegge dentate di forma adatta e si possono costruire con dimensioni adatte a sollevare fortissimi carichi. Altri tipi molto comuni di catene articolate (adatte per applicazioni modeste) sono le catene Vaucanson e Evans (fig. 46) costituite da elementi agganciati l'uno all'altro. Come organi di trasmissione sono pure molto usate le cosiddette catene silenziose tipo Renold (fig. 47), costituite da piastrine diposte in file alternate in modo da formare una specie di fascia continua e collegate da pernetti trasversali; le piastrine sono munite di appendici destinate a venire esse stesse in contatto diretto coi denti delle pulegge, evitando in tal modo di sollecitare i pernetti a elevati sforzi di flessione e rendendo più dolce e meno rumoroso l'ingranamento.
Organi per la conduzione dei fluidi. - Le condotte o tubazioni, formate da tubi elementari uniti fra loro mediante opportune giunzioni, atte ad assicurare la tenuta, servono al trasporto diretto dei fluidi, da luogo a luogo, come pure da una parte a un'altra di una stessa installazione o di una macchina. Il moto del fluido è determinato da una differenza di pressione (o di carico) fra le sezioni estreme della conduttura. Poiché questa differenza di pressione rappresenta una perdita di energia, il diametro delle tubazioni deve ordinariamente essere stabilito in modo da conciliare nel miglior modo possibile, dal punto di vista economico, l'entità di questa perdita col costo delle tubazioni stesse. Ciò si ottiene assegnando opportuni valori alla velocità media del fluido, in relazione alla natura del fluido stesso e alle circostanze particolari d'installazione. I tubi vengono prodotti con materiali varî e pure con caratteristiche costruttive diverse, adatte per le diverse condizioni di impiego. Si distinguono principalmente: tubi di ghisa, ottenuti per fusione, con giunzioni a flangia oppure a bicchiere; tubi di acciaio fuso (tubi corti, tubi curvi, pezzi di raccordo e sagomati speciali) con analoghe giunzioni; tubi in ferro o acciaio dolce, con saldatura longitudinale, testa a testa (per piccoli diametri), filettati alle estremità; tubi in acciaio dolce senza saldatura, trafilati a freddo o a caldo (per piccoli diametri) oppure laminati a caldo col processo speciale Mannesmann (diametri fino a 400 mm.) e giunzioni a bicchiere oppure a flange riportate; di acciaio dolce con saldatura longitudinale a sovrapposizione (diametri superiori a 250 mm.); tubi di lamiera chiodata (diametri superiori a 600 mm.); tubi di rame, bronzo, ottone, ecc. Per la trattazione particolare dei varî tipi di tubi v. tubi.
Per consentire le dilatazioni longitudinali delle lunghe tubazioni s'inseriscono in queste dei tronchi di tubo ricurvo o a parete ondulata, oppure si dispongono giunti di dilatazione con scatole di tenuta. Queste ultime hanno la forma di giunti a bicchiere entro cui può scorrere un manicotto (spinto mediante viti) in modo da stringere il materiale plastico sottostante. Queste tenute sono analoghe a quelle che si applicano ai fondi dei cilindri delle macchine a vapore nel punto in cui i cilindri stessi sono attraversati dagli steli degli stantuffi.
L'interruzione del deflusso nelle tubazioni si ottiene mediante valvole e rubinetti. Si distinguono molti tipi di valvole, a seconda della loro particolare destinazione e delle particolari forme costruttive. Nelle tubazioni s'impiegano valvole comandate a mano e anche valvole automatiche, come le valvole di ritenuta che consentono il flusso in un solo verso, valvole di riduzione (per abbassare la pressione del fluido scorrente) e le valvole di sicurezza (che si aprono quando la pressione raggiunge un determinato valore).
Le dimensioni delle valvole e dei rubinetti si scelgono in generale in base a quelle delle rispettive tubazioni. Tuttavia nella loro costruzione si deve aver riguardo alle molteplici esigenze relative alla resistenza alla pressione, robustezza e manovrabilità degli organi di comando, tenuta, ampiezza delle sezioni di passaggio del fluido, resistenza al moto del fluido, ecc.
Bibl.: C. Bach, Die Maschinenelemente, Leipzig 1922-24; O. Pomini, Costruzione di macchine, Milano 1922; F. Rötscher, Maschinenelemente, Berlino 1927; Hütte, Manuale di ingegneria, Milano 1926 segg.; C. Malavasi, L'ingegnere costruttore meccanico, Milano 1927; H. Dubbel, Man. del costruttore di macchine, Milano 1929; A. Gilardi, Corso di dis. di macchine, Milano 1926.