LYKIOS (Λύκιος, Lycius)
1°. - Bronzista greco, figlio di Mirone, attivo, per lo più ad Atene, nella seconda metà del V sec. a. C.
Sebbene non manchino nelle fonti letterarie accenni all'attività e alle opere di L., e sebbene sia conservata più di una sua firma, pure la personalità artistica di questo scultore e i limiti cronologici della sua attività rimangono completamente indeterminabili. Che fosse figlio del celebrato Mirone, lo sappiamo da Pausania (i, 23, 7 e v, 22, 2), da Polemone (in Athen., xi, p. 486 d) e da un'iscrizione (Raubitschek, 135); nativo di Eleuterae in Beozia (Athen., e Raubitschek, loc. cit.), fu scolaro del padre (Plin., Nat. hist., xxxiv, 50 e 79), ma non si può dedurre dal breve accenno di Plinio se L. seguisse il padre soltanto nell'apprendimento della tecnica o anche nelle formule stilistiche: l'affermazione di Petronio (Satyricon, 88) che Myron... non invenit heredem, farebbe propendere per la prima ipotesi. L. fu, infatti, come il padre essenzialmente bronzista; una sua supposta attività come toreuta non è in alcun modo documentabile (cfr. Raubitschek, p. 518, per l'origine di tale equivoco), anche se può essere stata possibile, dato che anche Mirone (v.) si cimentò in questo campo. Un tentativo di cronologia relativa all'attività di L. può essere proposta solo dopo l'esame delle opere, tutte note esclusivamente da notizie letterarie, nessuna identificabile con buone probabilità. Pausania (i, 23, 7) ricorda come opera di L., sull'acropoli di Atene, presso il santuario di Artemide Braurònia, un fanciullo ὃς τὸ περιρραντήριον ἔχει: un fanciullo quindi addetto al culto, che taluno (Brunn, Anti) ha voluto identificare col puer sufflans languidos ignes e col puer suffitor (intesi come una sola statua, duplicata per errore) elencati da Plinio (Nat. hist., xxxiv, 79); altri (Overbeck) solo col primo dei due pueri; altri, invece, (Lippold) considerano unica la statua citata come duplice da Plinio, ma separano da quella il fanciullo con bacino dell'Acropoli. È probabile che a questo sia pertinente un frammento di iscrizione dell'Acropoli di integrazione abbastanza certa (I.G.B., 417 = Raubitschek, 138), nella quale appare il patronimico dello scultore, identificabile perciò con Lykios. Nonostante l'opposizione dell'Anti, accettando l'integrazione e l'appartenenza dell'iscrizione alla base della statua, si riconoscerebbe nel fanciullo con perirrhantèrion un dono votivo di un cittadino di Eleuterae. L'identificazione del fanciullo con una statua dell'Antiquarium del Celio (Roma) proposta dall'Anti, non presenta alcuna attendibilità. Opere di L. ad Atene, poste a decorazione dell'ingresso monumentale all'Acropoli erano due statue bronzee di cavalieri rappresentati vicini ai rispettivi cavalli. Di esse rimangono le basi iscritte (Raubitschek, 135): erano doni votivi di cavalieri in seguito alle guerre fatte al tempo degli ipparchi Lacedemone (con ogni probabilità figlio di Cimone), Senofonte e Pronapo, cioè dopo i successi di Pericle in Eubea del 446. È incerto se l'offerta fu realizzata immediatamente dopo questi avvenimenti o qualche tempo dopo: nel primo caso le basi e i rispettivi monumenti dovettero essere diversamente sistemati in occasione della nuova costruzione dei Propilei di Mnesikles; non è escluso però - sebbene forse la cosa sia meno verisimile, anche in base all'esame dei caratteri dell'iscrizione, che indurrebbero a una datazione più alta - che la posizione delle basi vista da Pausania e attuale sia quella originaria. Certo parrebbe invece che le statue di cui parla Pausania (i, 22, 4) tacendo il nome dell'autore, non fossero quelle eseguite da Lykios. Pausania confessa di non sapere se rappresentassero i figli di Senofonte. Ora, dato che come figli di Senofonte spesso venivano indicati i Dioscuri; che Plinio (Nat. hist., Zoc. cit.) elenca tra le opere di L. statue di Argonauti; che su una delle basi, accanto all'iscrizione originaria ve n'è un'altra, in tutto simile, databile ai primi anni dell'Impero, e oltre alle tracce per gli incassi del gruppo equestre del V sec. ve ne sono altri abbastanza simili ma di molto posteriori; che la seconda base presenta solo una dedica simile a quella della prima base per contenuto, databile anch'essa ai primi anni dell'Impero, si è proposto: di riconoscere nel dono dei cavalieri ateniesi le statue dei Dioscuri; di tentare, in base agli incassi, una ricostruzione grafica del monumento del V sec. (Anti, Stevens); di supporre l'asportazione delle statue di L. forse in epoca sillana (?) e il loro trasporto a Roma, dove vengono indicate come Argonauti; la sostituzione sull'Acropoli, al tempo di Germanico, con altre due statue equestri. Queste statue, e non le originali di L. sarebbero quelle che Pausania vide nel Il sec. d. C. Ogni identificazione con tipi noti di Dioscuri con cavallo rimane del tutto incerta. Isolata resta la proposta dell'Anti di riconoscere invece gli Argonauti menzionati da Plinio con un altro tipo di Dioscuri (sarcofago di Kephissià, e una doppia erma Barracco per il tipo delle teste), stanti, senza pìlos, non accompagnati dai cavalli.
Ancora ad Atene, nel pritanèion, sarebbe stata un'altra opera di L., la statua del pancratiaste Autolykos (Athen., v, 216 d; Xenoph., Symp., i, 2 ss.; Paus., i, 18, 3 e ix, 32, 8) vincitore nelle Grandi Panatenee del 422, che però Plinio (loc. cit.) ricorda come opera di Leochares artista che, nel passo pliniano, segue immediatamente alla menzione di Lykios. È facile ammettere un errore di Plinio, e considerare quindi l'Autòlykos opera del V e non del IV secolo. Nessuna fondatezza ha la proposta dell'Anti di riconoscere l'atleta nella statua del cosiddetto "Fanciullo del Palatino" (Roma, Museo Naz. Romano). L'attività di L. è attestata, al di fuori di Atene, anche ad Olimpia, dove fece, non lontano dall'Ippodameion, un monumento di notevoli dimensioni, dettagliatamente descritto da Pausania (v, 22, 2 ss.): era un donario degli Apolloniati Ioni, dedicato dopo la vittoria di Thronion, avvenuta all'incirca alla metà del V sec. a. C. Il monumento era composto di una base semicircolare con incisa la dedica: sulla base si innalzavano, paratatticamente disposte, tredici statue: al centro era Zeus, tra Teti ed Hemera, entrambe imploranti il dio per la sorte del proprio figlio, Achille e Memnone, rappresentati alle estremità. Tra queste figure, erano disposte le altre statue, raffiguranti Greci e Troiani, che si susseguivano in coppie: Odisseo ed Eleno, Alessandro e Menelao, Enea e Diomede, Deifobo e Aiace Telamonio. È incerto se un frammento di iscrizione col nome Memnone, rinvenuto non lontano (Inschrifl. v. Olympia, 692) sia connesso col monumento: farebbe dubitare l'alta arcaicità dei caratteri epigrafici.
Ogni datazione circa l'attività di L. è incerta, essendo incerta anche quella dell'attività del padre Mirone. L'occasione per la quale fu dedicato il monumento all'entrata dell'Acropoli, fu la vittoria del 446; Autolykos vinse nel 422. Pur rimanendo il dubbio che l'esecuzione dell'offerta possa essere avvenuta parecchi anni dopo gli avvenimenti, si potrebbero proporre come limiti minimi approssimativi dell'attività di L. gli anni 450-420. Circa una cronologia relativa, parrebbe da anteporre il soggiorno ad Olimpia alla permanenza dello scultore ad Atene.
Del tutto gratuito, almeno sino ad ora, è un inquadramento stilistico per la figura di Lykios. Nessuna delle opere note è a lui riconducibile con buone prove. Del tutto improbabile né riconoscibile risulta la sua partecipazione all'esecuzione del fregio del Partenone.
Bibl.: C. Anti, Lykios, in Bull. Com., XLVII, 1919 (1921), p. 55 ss., con bibl. prec.; Ch. Picard, Manuel, II, Parigi 1939, p. 637 ss.; G. P. Stevens, in Hesperia, XV, 1946, p. 82 s., fig. 5; A. E. Raubitschek, Dedications from the Athenian Akropolis, Cambridge Mass. 1949, p. 135; 138, p. 517 ss.; G. Lippold, Handbuch, III, i Monaco 1950, p. 183.