lutto
Lutto negli animali
La possibilità che gli animali siano capaci di provare e di ‘elaborare’ il lutto é un argomento ampiamente dibattuto. Evidenze aneddotiche, molte delle quali riportate da esperti di comportamento animale, sembrano tuttavia indicare come, almeno in alcune specie animali, la morte di un conspecifico induca comportamenti interpretabili come espressione di emozioni complesse di dolore e sofferenza.
La maggior parte degli animali mostra solo un interesse temporaneo per la morte di un conspecifico. I leoni (Panthera leo), per es., annusano o leccano brevemente il cadavere di un esemplare della stessa specie prima di iniziare a divorarlo. Per altre specie il cadavere rappresenta una fonte di pericolo, potendo attirare potenziali predatori o diventando (con il processo di putrefazione) causa di infezioni. Per ovviare a questo problema, gli eterocefali glabri, più comunemente noti come talperatto nude (Heterocephalus glaber), roditori eusociali ipogei di alcune zone desertiche dell’Africa orientale, trascinano i resti dei conspecifici in un’apposita galleria, una sorta di cimitero, che murano con la terra quando è pieno, scavandone poi un altro.
Alcune specie mostrano invece dolore e sofferenza per la morte di un membro della famiglia, esibendo riti comportamentali interpretabili come di elaborazione del lutto. Esemplificativi, a tale proposito, sarebbero i rituali funebri degli elefanti africani (Loxodonta africana), osservati in natura da Cynthia Moss e Iain Douglas-Hamilton nell’Amboseli national park, in Kenya. La morte di uno dei membri della famiglia provoca negli altri elefanti uno stato di agitazione, ed essi si avvicinano al cadavere per esplorarlo; annusano e toccano il corpo senza vita con la proboscide e il piede; con le zanne tentano di sollevarne la zampa, e con i piedi e la proboscide spingono sul corpo per sollecitarne una qualche eventuale reazione. Qualche membro della famiglia può rimanere accanto al cadavere anche per ore. Nei giorni successivi, la famiglia torna a visitare il corpo. Alcune osservazioni indicano come in realtà gli elefanti africani mostrino un generale interesse verso la salma di esemplari della propria specie, indipendentemente dal legame di parentela. Nel corso di studi condotti sul campo, sono stati infatti avvistati elefanti di famiglie diverse avvicinarsi al cadavere di un conspecifico non familiare e compiere i rituali comportamenti di esplorazione del corpo. Più recentemente, é stato dimostrato il grande interesse degli elefanti anche per il teschio e l’avorio delle carcasse di esemplari morti da lungo tempo. In partic., questi animali sarebbero capaci di discriminare tra il teschio di esemplari della propria specie e quello di altre specie, mostrando una spiccata preferenza per i resti dei conspecifici; mentre non sembrano mostrare preferenze nell’esplorazione del teschio di un membro della propria famiglia e di quello di un esemplare di un gruppo familiare diverso. Nel loro insieme queste osservazioni suggeriscono che verosimilmente gli elefanti africani visitano le carcasse di conspecifici (non necessariamente familiari) che muoiono all’interno del proprio home range (territorio).
L’etologo Konrad Lorenz (premio Nobel per la fisiologia o la medicina nel 1973), nel saggio Io sono qui. Tu dove sei? Etologia dell’oca selvatica (1988), descrive il comportamento delle oche selvatiche che perdono il partner evidenziandone la similitudine con la prostrazione osservata nei bambini orfani dallo psicoanalista John Bowlby: l’individuo sperimenta uno stato generale di abbandono, con la testa letteralmente penzoloni e gli occhi infossati nelle orbite. In un testo curato dall’etologo Marc Bekoff (The smile of a dolphin: remarkable accounts of animal emotion, 2000), viene descritta la vita emotiva degli animali e sono riportate anche alcune osservazioni sull’elaborazione del lutto, come per es. la storia di un delfino che, dopo la morte di un figlio, rifiuta il cibo e si allontana dal gruppo, isolandosi. Jane Goodall, primatologa di fama mondiale, nel saggio Il popolo degli scimpanzé (1990), racconta la storia di Flint, un giovane scimpanzé del Gombe, deceduto appena un mese dopo la morte della madre Flo. Goodall riporta che, dopo la morte di Flo, Flint aveva lasciato il gruppo e si era diretto verso il luogo in cui era morta la madre. Giaceva rannicchiato fra la vegetazione e rifiutava il cibo, cosicché divenne sempre più letargico e il suo sistema immunitario inizio a indebolirsi, fino a che si ammalo e morì.
La capacità degli animali di provare emozioni deriva da una lunga storia evolutiva. In L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali (1872) Charles Darwin afferma che tra la vita emotiva (e cognitiva) degli esseri umani e quella degli altri animali esiste una continuità evolutiva, evidente nell’architettura del cervello. Le emozioni, in partic., originano da aree cerebrali filogeneticamente antiche, che coinvolgono il sistema limbico e soprattutto l’amigdala. Tali aree sono state conservate nel corso dell’evoluzione e modulano le sensazioni emotive e le risposte comportamentali istintive a esse correlate nell’uomo (Homo sapiens) e negli altri animali. Le emozioni giocano un ruolo chiave nella formazione di legami tra gli individui della stessa specie, modulandone il comportamento nelle modalità di approccio e di interazione sociale. Al momento non esistono spiegazioni chiare sul significato adattativo del lutto negli animali; probabilmente, questo tipo di evento rafforza i legami sociali tra gli individui in un momento in cui la coesione nel gruppo potrebbe risultare indebolita, mitigando le competizioni per il ripristino della gerarchia sociale, che potrebbero risultare svantaggiose per la sopravvivenza dell’intero gruppo.
Nadia Francia, Daniela Santucci