Lutero e Costantino
Durante gli anni di vita monastica Lutero nutre per Costantino un continuo sentimento di profonda stima. Si trovano allusioni all’imperatore romano in commentari, trattati e lettere, ma soprattutto nelle lezioni. I riferimenti, i primi dei quali risalgono al 1520, continueranno per tutti gli anni Trenta e Quaranta, fino alla morte. Il monaco agostiniano attribuisce a Costantino un’aura quasi eroica, in quanto personaggio politico in grado di impersonare gli ideali di nobiltà e dignità cristiana. A tal fine ne parla secondo due accezioni particolari: da una parte lo eleva a modello per la classe politica cristiana del XVI secolo; dall’altra contrappone la sua integrità e rettitudine alla corruzione e alla falsità che vedeva diffuse nel papato.
Il 28 giugno 1519, Carlo V d’Asburgo viene eletto imperatore del Sacro romano impero. A Wittemberg tale evento è salutato positivamente da Lutero, per due motivi: innanzitutto perché Carlo V accetta di concedergli udienza in Germania prima di una sua eventuale estradizione a Roma; in secondo luogo perché il sovrano è un principe erudito e apprezzato dagli umanisti. Prova della fiducia che Lutero nutre nei suoi confronti è la lettera datata 30 agosto 1520, in cui gli richiede ufficialmente un incontro. Non si tratta di una lettera ingenua, e nemmeno di vile adulazione: Lutero è davvero convinto che Carlo V gli avrebbe concesso un confronto leale e onesto. Crede anche che, ottenuta tale udienza, sarebbe stato in grado di convincerlo delle sue tesi1. La lettera a Carlo V è un documento di notevole interesse storico anche perché ci rivela l’opinione di Lutero nei confronti dell’imperatore Costantino. Nello scritto, infatti, Lutero paragona sé stesso ad Atanasio e Carlo V a Costantino2: proprio come l’antico imperatore accettò di ascoltare Atanasio, ingiustamente diffamato, così anche Carlo V avrebbe lealmente ascoltato lui.
Sebbene alla Dieta di Worms (1521) Lutero rimanga profondamente deluso da Carlo V – che non solo non prende le sue parti, ma anzi lo bandisce ufficialmente dall’Impero –, continua a considerare Costantino un modello esemplare di leader per la nobiltà cristiana. Ma il suo uso della figura di Costantino evidenzia anche un approccio dalla lunga tradizione, comunque non ordinario, alla questione dell’autorità secolare. Generalmente Lutero affronta tale questione dalla prospettiva della ‘teoria dei due regni’, nella quale ricorre a due termini tra loro correlati. In seguito questi sono stati combinati assieme dagli studiosi in un’unica teoria del governo, quale risulta emergere dalle sue opere: la teoria dei ‘due regni’(Zwei Reiche Lehre)3. Il primo termine è «regno». Qui Lutero discute il principio agostiniano del vivere contemporaneamente in due sfere distinte dell’esistenza: di fronte a Dio e di fronte agli uomini. Il geistliche Reich (regno spirituale) è l’esistenza di ognuno coram deo (di fronte a Dio); mentre il weltliche Reich (regno secolare) è l’esistenza di ognuno coram hominibus (di fronte agli uomini). Il regno spirituale è eterno e imperituro; è il regno del Vangelo, della parola rivelata e della fede. Due sono i fili rossi che percorrono il pensiero di Lutero a proposito del regno spirituale: libertà e uguaglianza. La libertà permette al singolo di compiere un servizio per il bene dei suoi simili; l’uguaglianza assicura che il regno spirituale non sia governato in modo gerarchico: in questo regno tutti i credenti si trovano sullo stesso piano. Mentre il regno spirituale è eterno e anticipatorio, quello secolare è finito e transitorio. Qui legge e convenzioni sociali subentrano al servizio: questo è il regno della ragione e della mancanza di fede.
Correlati a questi termini sono i concetti dei due ordinamenti (Zwei Regimente Lehre), il rovescio della medaglia della teoria dei due regni. Il primo (das geistliche Regiment) è l’ordinamento spirituale, ovvero quello della Chiesa, esercitato attraverso la predicazione della parola di Dio e una corretta amministrazione dei sacramenti. Il secondo (das weltliche Regiment) è l’ordinamento secolare di imperatori, nobili e popolo. Il weltliche Regiment è regolato dalle leggi e difeso con la spada. Il suo scopo è limitare le conseguenze del peccato e assicurare pertanto che l’empio non infierisca sul debole e l’oppresso4. Verrebbe da pensare che Lutero scelga Costantino come modello per i suoi due regni, ma non è così; anzi, e il fatto risulta particolarmente interessante, l’uso che il monaco fa della figura di Costantino enfatizza una concezione opposta dell’autorità secolare – la cura religionis, ovvero il dovere dei sovrani di tutelare la vita religiosa delle loro comunità. Lutero raramente abbraccia la cura religionis, ma quando lo fa propone Costantino come modello a cui guardare.
La discussione più approfondita sulla cura religionis in cui Lutero guarda a Costantino come modello di sovrano cristiano si trova nella sua interpretazione del Salmo 82. Due eventi spingono il monaco a commentare tale Salmo nel 1530: innanzitutto attraverso questa esegesi Lutero vuole dare una risposta alle condizioni deplorevoli della Chiesa sassone, conosciute di persona durante la visita nel 1529; in secondo luogo così facendo intende prendere parte alla controversia scoppiata a Norimberga nel 1530 circa il diritto del potere secolare di imporre una conformità religiosa5. Questi due avvenimenti, in ogni caso, non sono disgiunti dall’imminente Dieta di Asburgo. Il 21 gennaio 1530, infatti, Carlo V convoca la Dieta imperiale che si sarebbe tenuta ad Asburgo l’8 aprile: l’argomento principale di cui si sarebbe discusso è la minaccia turca. Per Carlo V il metodo migliore per fronteggiare il pericolo proveniente dall’esterno è assicurarsi l’unità interna. Discordie religiose e conflitti politici non sono le fondamenta sulle quali spera di costruire la propria campagna contro «l’invasione infedele». I principali temi della Dieta, ovvero l’incombente minaccia turca e la necessità di unità interna, pongono i principi evangelici in una situazione difficile, e li costringono a difendere il diritto di riformare la religione (ius reformandi) nei propri regni. Questi tre eventi spingono Lutero a riflettere sulla responsabilità dei principi nei confronti della religione (ovvero sulla cura religionis) e a difendere lo ius reformandi. Per fare ciò sceglie Costantino come modello ideale: a Nicea, infatti, proprio a causa delle continue discordie e dispute teologiche l’imperatore cristiano fu costretto a giudicare la Chiesa e la sua teologia sulla base delle scritture.
Lutero apre il commento con alcune considerazioni generali sui doveri del potere secolare per poi discutere del ruolo e delle funzioni specifiche dei principi. A proposito di questo potere, dichiara che il suo fine è stabilire l’ordine e mantenere la pace6; esso deve inoltre brandire la spada con giustizia e in accordo alle leggi dello Stato7. Sulla base di questi concetti Lutero passa a esaminare il principato nello specifico. Dichiara innanzitutto che i prìncipi dovrebbero essere devoti e «reprimere l’empietà»8, e a tal fine dovrebbero assicurarsi che «la parola di Dio venga difesa e protetta»9. Ma come può un principe «difendere e proteggere la parola di Dio?», si chiede Lutero. Punendo la sedizione, condannando la blasfemia e assicurandosi che coloro che predicano abbiano l’autorità per farlo.
Per Lutero è normale che eresia e miscredenza siano al di fuori della giurisdizione del principe. In ogni caso non tutti gli eretici sono uguali: la semplice eresia della giustificazione per le sole opere non è paragonabile all’eresia degli anabattisti. Nel 1530 Lutero pensa alle discordie e ai conflitti diffusi da radicali come l’ormai defunto Thomas Müntzer e di Andreas Bodenstein von Karlstadt, suo collega a Wittenberg. Poiché è convinto che costoro mettano in discussione la legittimità di tutti i poteri e tentino di sottrarsi all’autorità del magistrato, sono più che semplici eretici. Essi sono piuttosto «dei ribelli, che attaccano sovrani e regni proprio come i ladri attaccano i beni, gli assassini il corpo, e gli adulteri le mogli dei loro simili; e ciò non è tollerabile»10. Le opinioni sono intime e non è possibile controllarle, ma le azioni e le parole hanno conseguenze concrete, e pertanto vanno indirizzate con chiarezza ed energia.
Negli anni Trenta e Quaranta del XVI secolo, Lutero continua a ritornare sull’impegno, riluttante, ma fedele, di Costantino nell’amministrazione della Chiesa. Spesso lo cita nell’opera a cui dedicherà l’attività accademica dalla metà degli anni Trenta fino alla morte, nel 1546: la Genesisvorlesung. Nel commento a Gen 45, parla di Costantino per biasimare i nobili che indugiano in una fatua autoindulgenza, piuttosto che spendersi per migliorare la propria comunità11. Lutero introduce il discorso citando il dono che il faraone fece a Israele, ovvero «il grasso della terra». A suo dire Costantino fu imitatore del faraone, in quanto diede il dono che Dio gli aveva concesso, ossia il meglio della propria terra, per costruire una comunità migliore per il suo popolo ed erigere chiese dove fosse possibile servire degnamente Dio. Al contrario, quando Lutero passa a esaminare la società contemporanea vede schiere di sovrani che non imitano affatto Costantino: essi prendono il grasso della terra per perseguire i propri interessi. Nel frattempo chiese e opere pubbliche cadono in preda a rovina e degrado. Lutero conclude il commento appellandosi ai sovrani affinché seguano la strada tracciata da Costantino piuttosto che il proprio tornaconto.
Più avanti, sempre nel libro della Genesi, Lutero torna nuovamente a Costantino come a un modello cui ispirarsi. Commentando Gen 49,4, ovvero il passo in cui Giacobbe condanna Ruben, Lutero nota che quest’ultimo, in quanto primogenito, era stato coperto di ogni benedizione sia da Dio che da Giacobbe. Ma anziché diventare un nobile sovrano, Ruben era divenuto un uomo inetto e irresponsabile. Era un fiume in piena che tracimava dagli argini e seminava distruzione al suo passaggio. Lutero nota quanti siano i sovrani come Ruben, dominati da vizi e passioni, e che si lasciano guidare da stolti consiglieri nella direzione sbagliata. Di fronte a tali sovrani, squallidi e deplorevoli, il monaco invita i nobili a ispirarsi a Costantino. Nel commento sfrutta anche un gioco di parole notando che l’imperatore Costantino rappresenta perfettamente la virtù della temperanza, della costanza, essendo appunto constans12.
Nel 1518, nella sua Illustrazione delle novantacinque tesi13 Lutero parla della donazione di Costantino sfruttandola a sostegno della sua posizione. Non sta infatti a indagarne la veridicità, ma reinterpreta il significato del «patrimonio di Pietro». Facendo riferimento alla vicenda di S. Lorenzo rimprovera alla Chiesa di considerare i possedimenti papali donati da Costantino come ricchezze proprie piuttosto che del povero, del debole e dello storpio14. Questa è l’ultima volta che Lutero avrebbe letto in chiave positiva la donazione di Costantino: dal 1520 la sua opinione in merito cambia drasticamente, e Costantino viene proposto come modello in contrapposizione al papato medievale, che Lutero vede ora come incarnazione dell’Anticristo.
La falsa donazione di Costantino di Lorenzo Valla contribuisce a mutare definitivamente l’opinione di Lutero riguardo al papato. Inizialmente Lutero considera, infatti, l’Anticristo come una figura escatologica finale, ma dopo la lettura dell’opera di Valla la sua posizione sul papato cambia drasticamente. La Donazione di Costantino è un documento piuttosto conosciuto in epoca medievale e l’opera di Valla, benché non sia il primo tentativo di contestarne l’autenticità, costituisce uno degli esempi più alti della scuola di pensiero rinascimentale. La Donazione è il documento nel quale viene sancito, da parte dell’imperatore Costantino, il dono dell’Impero d’Occidente e della penisola italica alla Chiesa, e il riconoscimento a Silvestro, vescovo di Roma, della supremazia sopra tutti gli altri patriarcati, nel 314 o 315. Valla scrive La falsa donazione nel 1440, mentre è segretario di Alfonso, sovrano di Aragona, Sicilia e Napoli. L’opera rimane in forma manoscritta finché non viene pubblicata da Ulrich von Hutten nel 1519. Una copia di tale edizione perviene a Lutero all’inizio del 1520, che comincia a leggerla in febbraio. Lo scritto si apre con una breve introduzione, nella quale si dichiara che la Donazione è un falso. Valla prosegue argomentando che Costantino non era il tipo di imperatore che avrebbe regalato il proprio regno, né Silvestro l’uomo di Chiesa che lo avrebbe accettato. Anzi, l’umanista asserisce che Costantino dovette combattere molte aspre battaglie per conservare la parte di Impero che ora era smanioso di regalare. Che senso avrebbe avuto farlo? Valla trova assurda tale ipotesi. La parte su Silvestro assume un accento più poetico, ed è proprio questo passo a colpire maggiormente Lutero. In quanto papa, asserisce Valla, non sarebbe stato consono al suo ruolo accettare in dono l’Impero romano d’occidente. Secondo l’umanista, infatti, Silvestro aveva una vocazione spirituale, non secolare. Come Eliseo, il profeta dell’Antico Testamento, avrebbe compromesso il proprio ministero accettando doni impropri, così Silvestro avrebbe corrotto il suo accettando doni poco consoni alla vocazione pontificia.
Lutero trova dunque nell’opera di Valla un’approfondita discussione sul ruolo e sull’autorità del papa come guida spirituale piuttosto che sovrano secolare. Inoltre l’autore dimostra come la Donazione sia stata redatta per rubare (spoliare) l’Impero a «tutti i re e principi di Occidente», a cui apparteneva di diritto15. Pertanto deve essere stata inserita nell’opera di Graziano in malafede, al fine di conferirgli maggiore autorità.
Più passano gli anni, più Lutero rifiuta l’idea che il papa abbia poteri e autorità secolari; tale remora trova in questo modo una conferma. L’intuizione della natura avida del papato unitamente alla negligenza del suo ruolo come guida spirituale dimostrano definitivamente a Lutero che si trova di fronte non a una semplice istituzione corrotta e corruttrice, ma all’Anticristo stesso. «Ho qui in mano l’edizione di Hutten de La falsa donazione di Costantino del Valla […]. Sono profondamente turbato, non ho alcun dubbio che il papa sia l’Anticristo, come lo concepisce anche l’opinione popolare; lo dimostra qualsiasi cosa faccia, viva, dica o sancisca»16.
Lutero non avrebbe mai più dubitato della propria opinione a riguardo. Più tardi, nel 1521, sarebbe stato l’autore del pamphlet xilografato da Cranach il Vecchio, Passional Christi und Antichristi. Attraverso tredici coppie di incisioni, Cranach costruisce drammaticamente la differenza tra la passione del vero Cristo e l’Anticristo papale. Numerose sono le allusioni all’opera di Lorenzo Valla. Nella seconda coppia di immagini, per esempio, Cristo riceve in capo una corona di spine e viene picchiato dai soldati. Contemporaneamente, nella pagina accanto alcuni vescovi incoronano il papa con una tiara, mentre altri gli porgono omaggi in ginocchio davanti a lui. Le didascalie citano apertamente la Donazione di Costantino presentando così il papa come l’Anticristo. «L’imperatore Costantino ci ha donato la corona, i gioielli, gli ornamenti, la tunica color porpora, le vesti e lo scettro [imperiali]. Donazione di Costantino. Che menzogne arrivano a inventare pur di difendere la propria tirannia nonostante la Storia e i documenti storici! Non era abitudine dell’imperatore indossare una simile corona». Più tardi, nel 1520, quando scrisse per giustificarsi dopo aver bruciato la bolla Exsurge Domine a Wittenberg, Lutero si difende facendo riferimento alla donazione: «Il papa sostiene e incoraggia questa menzogna, che Costantino gli abbia donato Roma, terre, impero e potere»17.
Da questo momento in poi, in qualsiasi lezione, prefazione, commento o scritto in cui sostenne la propria visione del papato come Anticristo, Lutero menziona la donazione. Spesso in questi atti di accusa Costantino è dipinto come un devoto credente. Secondo Lutero, infatti, un esempio della pietà di Costantino fu il desiderio di ricevere il battesimo nel Giordano, proprio come Cristo18. In ogni caso, anziché valorizzare questa devozione e proporla come modello per i cristiani, il papato, secondo Lutero, mistifica il Costantino storico per perseguire i propri interessi e corrompe la sua fede mettendola al servizio della propria avidità. L’implicazione per Lutero è chiara: coloro che, all’interno della corte papale, supportano e difendono la donazione non solo tradiscono la propria vocazione spirituale, ma diffamano la più autentica eredità di Costantino il grande.
1 D. Martin Luthers Werke: kritische Gesammtausgabe. Briefwechsel (da ora in avanti WABr), 2, hrsg. von H. Böhlaus Nachfolger, Weimar 1931, pp. 172-179, n. 332.
2 Ivi, p. 175.
3 La letteratura sulla teoria dei due regni è vasta; alcune opere sull’argomento tra le più importanti sono: P. Althaus, The Ethics of Martin Luther, Philadelphia 1972, e Id., Luthers Lehre von den beiden Reichen im Feuer der Kritik, in Lutherjahrbuch, 24 (1957), pp. 40-67; H. Bornkamm, Luther’s Doctrine of the Two Kingdoms in the Context of His Theology, Philadelphia 1966; T. Brady, Luther and Society: Two Kingdoms or Three Estates? Tradition and Experience in Luther’s Social Teaching, in Lutherjahrbuch, 52 (1985), pp. 197-224; W.J.D. Cargill Thompson, The Political Thought of Martin Luther, ed. by P. Broadhead, Brighton-Totowa 1984, e W.J.D. Cargill Thompson, The ‘Two Kingdoms’ and the ‘Two Regiments’: Some Problems of Luther’s Zwei-Reiche-Lehre, in Journal of Theological Studies, 20 (1969), pp. 164-185; U. Duchrow, W. Huber, Die Ambivalenz der Zweireicheslehre in lutherischen Kirchen des 20. Jahrhunderts, Gütersloh 1976; G. Ebeling, The Necessity of the Doctrine of the Two Kingdoms, in Id., Word and Faith, Philadelphia 1963, pp. 386-406. Analisi più recenti includono anche: R.J. Bast, From Two Kingdoms to Two Tablets: The Ten Commandments and the Christian Magistrate, in Archiv für Reformationsgeschichte, 89 (1998), pp. 79-95; W.H. Lazareth, Christians and Society: Luther, the Bible, and Social Ethics, Minneapolis 2001; K.-H. zur Mühlen, s.v. Two Kingdoms, in Oxford Encyclopedia of the Reformation, IV, New York 1996, pp. 184-188; D.M. Whitford, Martin Luther’s Political Encounters, in The Cambridge Companion to Martin Luther, Cambridge 2003, pp. 178-192, e infine W.J. Wright, Martin Luther’s Understanding of God’s Two Kingdoms, Grand Rapids 2010.
4 Si veda in proposito Sull’autorità secolare, in D. Martin Luthers Werke: kritische Gesammtausgabe. Schriften (da ora in avanti WA), 11, Weimar 1900, p. 251.
5 Si veda J.M. Estes, The Role of Godly Magistrates in the Church: Melanchthon as Luther’s Interpreter and Collaborator, in Church History: Studies in Christianity and Culture, 67 (1998), pp. 463-483, in partic. 474. Per i documenti di Norimberga, invece, si veda Id., Whether Secular Government has the right to Wield the Sword in Matters of Faith: A Controversy in Nürnberg, 1530, Toronto 1994. Si veda anche la lettera di Lazarus Spengler a Veit Dietrich (WA 31/1, pp. 183-84). La cronologia migliore sembra implicare che Lutero abbia cominciato a lavorare al commento sul finire del 1529. Nel marzo del 1530 sappiamo, grazie alla lettera di Spengler, che era già stata stesa una bozza. Gli eventi di Norimberga, iniziati nella primavera del 1530 e riportati a Wittemberg il 17 marzo, potrebbero aver spinto Lutero a tornare sul proprio scritto. Il testo fu completato prima che questi partisse per Coburgo il 3 aprile 1530. Il 2 giugno la prima edizione era già esaurita.
6 Sal 82,1.
7 Sal 82,1.
8 Sal 82,2.
9 Sal 82,2.
10 WA 31/1, p. 208.
11 WA 44, p. 621.
12 WA 44, p. 734.
13 WA 1, p. 529-628.
14 Si veda la Tesi 59, in WA 1, p. 615.
15 Lorenzo Valla, Discourse on the Forgery of the Alleged Donation of Constantine, trad. C.B. Coleman, New Haven 1922, p. 27.
16 WABr 2, p. 48.
17 Tesi 20, in WA 7, p. 173.
18 WA 50, p. 74.