LUTERI, Battista, detto Battista Dossi
Figlio di Nicolò di Alberto di Costantino e fratello minore di Giovanni, il famoso pittore Dosso Dossi, da cui prese il soprannome, nacque probabilmente a Ferrara all'inizio dell'ultimo decennio del Quattrocento. La prima notizia certa sul L. risale al 13 nov. 1517, quando venne pagato per aver dipinto tre maschere (Venturi, 1892, p. 441 doc. 2). Nel gennaio 1520 il L. è attestato a Roma presso la bottega di Raffaello; qui, infatti, lo ricorda una lettera di Alfonso Paolucci, agente del duca Alfonso I d'Este, in cui si accenna anche al fatto che il fratello maggiore era rimasto a Ferrara (Campori, p. 29). Il soggiorno romano non durò però a lungo se già nell'agosto dello stesso anno, solo quattro mesi dopo la scomparsa di Raffaello, il L. era di nuovo a Ferrara, pagato, con Giovanni, per quadri "per le stantie", ovvero per gli appartamenti ducali in via Coperta (Mezzetti, pp. 59 s.).
La sua formazione e gran parte della produzione più matura oscilleranno sempre tra questi due poli: l'imitazione delle forme algide e perfette della scuola di Raffaello e l'emulazione, quasi mai riuscita, delle invenzioni del geniale fratello, alla cui bottega restò legato per tutta la vita.
Che il L. intervenisse fin da subito nelle imprese più impegnative del fratello è confermato da un documento del 6 maggio 1521, relativo alla pala di S. Sebastiano del duomo di Modena (1518-21), in cui i committenti certificano un pagamento a Giovanni effettuato "in presenzia del fiolo de magistro Dosso", quando si trattava invece del fratello minore (Giovannini, p. 223).
La presenza del L. al pagamento induce a credere possibile un suo coinvolgimento nell'esecuzione della pala: in effetti, la critica ha da sempre rilevato uno scarto linguistico e qualitativo tra la parte bassa, con i santi monumentali in primo piano, e quella superiore, dove la staticità del gruppo mariano in gloria lascia supporre l'intervento di una mano meno esperta, forse riconoscibile come quella del giovane Luteri.
Un'opera realizzata autonomamente in questo giro di anni, all'inizio cioè del terzo decennio, potrebbe essere la Sacra Famiglia con un pastore del Museum of art di Cleveland, ennesima versione di un soggetto trattato a più riprese e con ben altra originalità da Giovanni (Humfrey, pp. 12, 103 s.).
A una fase leggermente posteriore dovrebbero collocarsi il Martirio di s. Stefano e la Fuga in Egitto (The Lowe Art Museum, University of Miami): notevole, nella Fuga, il paesaggio sulla destra, con rocce a sperone che si ergono irreali sopra un paesello visto a volo d'uccello, che è chiaramente ispirato alle soluzioni analoghe degli sfondi di Joachim Patinier. Questo tipo di paesaggio panoramico, che unisce vedute prospettiche fiamminghe a descrizioni meticolose della vegetazione ed è animato da vivaci figurine in scala ridotta, divenne il contrassegno dello stile del L. a partire dalla fine degli anni Venti, come si vede per esempio nel Duello di Orlando e Rodomonte di Hartford (Wadsworth Atheneum, Museum of art), con soggetto preso da quell'Orlando furioso che, nell'edizione del 1532, citava proprio i due fratelli Dossi tra i grandi artisti del tempo (XXXIII, 2).
Un'altra importante collaborazione con il fratello maggiore è stata riconosciuta nella pala con l'Immacolata Concezione e i quattro Padri della Chiesa per il duomo di Modena (distrutta nel 1945: già Dresda, Gemäldegalerie).
Come nella pala di S. Sebastiano, anche in questo caso la parte superiore del dipinto mostra un livello esecutivo sicuramente più debole, che ha fatto pensare al Luteri. È vero però che nella bottega di Giovanni lavoravano anche altri artisti, tra cui un certo Albertino, Tommaso da Carpi e Camillo Filippi, dei quali pure non si hanno opere certe (tranne che di Filippi, la cui personalità è in corso di ricostruzione) e ai quali di conseguenza non si possono assegnare con sicurezza parti delle opere finite, ma che dovevano avere tutti mansioni molto precise.
In ogni caso alla fine degli anni Venti e all'inizio del decennio successivo è ragionevole riconoscere al L. un ruolo di sempre maggiore responsabilità nella gestione della bottega e anche nell'esecuzione dei dipinti: così, suoi interventi sono stati ipotizzati in opere per il resto profondamente dossesche (Humfrey, p. 249), come il S. Girolamo in collezione privata a Torino (1528 circa), la Sacra Famiglia della Royal Collection di Hampton Court (1528-29 circa), l'Allegoria mitologica della Galleria Borghese di Roma (1529-30). A partire dalla pala già a Dresda e poi per tutti gli anni Trenta si infittiscono i documenti sulla collaborazione tra i due fratelli: il L. partecipò infatti intorno al 1530 alla decorazione a fresco della villa Imperiale di Pesaro e nel 1531-32 a quella del castello del Buonconsiglio di Trento, dove sono di sua mano i Giochi di putti nella sala Grande e le lunette con Marte e Mercurio nel "volto avanti la capela" (Puppi); suo è pure il vigoroso affresco ancora nel "magno palazzo" raffigurante la Madonna col Bambino e s. Vigilio che presenta il vescovo Bernardo Cles. Nel 1533 gli fu commissionata una Deposizione per la Confraternita della Croce in S. Francesco a Faenza, andata perduta, per la quale fu pagato insieme con il fratello nel 1536 (Grigioni). Tra il 1533 e il 1535 si può datare la Madonna col Bambino e i ss. Giovanni Battista e Girolamo in origine nel duomo di Portomaggiore e ora nella Pinacoteca nazionale di Ferrara, attribuita al L. da Ballarin (1994-95, pp. 360 s.).
Le figure rigide, il primo piano pedantemente descrittivo, il fondo al contrario indistinto, il trattamento monotono e uniforme del colore, limitato a una gamma tonale prevalentemente chiara, sono i segni distintivi, anche se in negativo, dello stile del L., che però in quegli stessi anni riusciva a proporre esiti autonomi di maggiore qualità, quali la Sacra Famiglia con s. Giovannino nella Galleria di Palazzo Cini a Venezia, o quella di Chapel Hill (Ackland Art Museum, University of North Carolina), o ancora il Martirio di s. Stefano di Madrid (Museo Thyssen-Bornemisza).
Nel 1536 il suo nome è ricordato dal cronista contemporaneo Tomasino Bianchi (Cronaca modenese; Ballarin, 1994-95, doc. 298) come principale autore della Natività con santi e donatori, opera commissionata nel 1533 dal duca Alfonso per celebrare il ritorno di Reggio e Modena sotto il dominio estense e destinata al duomo di Modena (ora nella Galleria Estense).
Opera chiave della maniera matura del L., la Natività estense mostra tutto il peso dell'influenza del più dotato fratello, che forse collaborò all'esecuzione: a lui si ispira, infatti, il paesaggio illuminato da chiarori d'argento e gremito di luccichii contro il fondo verde-azzurro del cielo e delle montagne, che richiamano analoghe soluzioni di Nicolò dell'Abate (Nicolò Abbati); al L. si deve invece sicuramente l'impianto compositivo, chiuso e simmetrico, profondamente aderente alla cultura classicista della scuola di Raffaello, nonché le figure convenzionali e un po' impacciate della Vergine, dei donatori e degli angeli. In virtù delle somiglianze stilistiche con la Natività modenese si è in grado di assegnare al L. anche parte del S. Michele e la Vergine Assunta della Galleria nazionale di Parma, opera anch'essa legata alla già ricordata commissione celebrativa di Alfonso (1533-36) e documentata sotto il solo nome di Dosso Dossi, ma dove sono evidenti le intrusioni del fratello minore e forse anche del giovane Filippi. Altra opera di collaborazione fu l'Ercole e i pigmei di Graz (Alte Galerie), databile alla metà degli anni Trenta.
A partire dal 1536 il L. cooperò, come disegnatore di arazzi, con la fabbrica per la tessitura appena istituita a Ferrara sotto la direzione della famiglia fiamminga dei Karcher (Gibbons, pp. 289 s.). Nel corso del quarto decennio lavorò anche con Girolamo e Tommaso da Carpi, Camillo Filippi e l'anziano Benvenuto Tisi detto il Garofalo nella "delizia" di Belriguardo a Ferrara (Venturi, 1893, pp. 62, 130 s.): il loro lavoro è stato identificato nella sala delle Vigne, affrescata con finte cariatidi che sostengono elementi architettonici, dietro le quali si aprono ampi scorci di paesaggio, con richiamo allusivo e ironico all'analoga soluzione decorativa proposta da Giovanni nella villa Imperiale di Pesaro (Bentini). Nei primi mesi del 1540 il L. fu pagato, insieme con il fratello, per due tele raffiguranti S. Giorgio e il drago e S. Michele sconfigge Satana, conservate alla Gemäldegalerie di Dresda (Venturi, 1893, pp. 131 s.). Le opere, commissionate da Ercole II d'Este e destinate al palazzo ducale, sono senza dubbio invenzioni di Giovanni, che si è rifatto a due celebri modelli raffaelleschi; ma è evidente, soprattutto nel S. Giorgio, l'intervento del fratello minore (Humfrey, pp. 224-228). Nel giugno 1541 fu rimborsato, insieme con Giovanni, per un viaggio a Venezia, dove i due fratelli avevano acquistato materiale per dipingere le scene di una commedia teatrale (Ballarin, 1994-95, doc. 351). Tra il 1541 e il 1543 lavorò nelle "delizie" estensi della Montagnola e del Copparo (Venturi, 1893, pp. 220-222). All'inizio del quinto decennio risalgono anche la Madonna col Bambino con i ss. Francesco e Bernardino in gloria adorati dai membri della Confraternita di S. Maria della Neve (Modena, Galleria Estense), un olio su tavola di grandi dimensioni eseguito con la collaborazione di aiuti, e forse la Venere e Cupido del Museum of art di Filadelfia, il cui soggetto è tratto da un'incisione di Marcantonio Raimondi (Humfrey, pp. 257-260). La morte del fratello maggiore, prima del luglio 1542, segnò uno spartiacque nella sua carriera: egli infatti ereditò la ricca e importante clientela del fratello, cercando di dare continuità al lavoro della bottega. In un primo momento egli attese semplicemente a terminare le commissioni assunte da Giovanni, tra le quali i due sportelli laterali del trittico di S. Paolo a Massa Lombarda (ora a Milano, Pinacoteca di Brera), raffiguranti S. Giovanni Battista e S. Giorgio. Subito dopo però sono note le prime commissioni ducali: nel 1544 fu pagato per due allegorie, la Giustizia e la Pace (Dresda, Gemäldegalerie: Ballarin, 1994-95, doc. 380), in cui il L., finalmente svincolato dal peso del fratello, rivela la propensione per un classicismo colto ed erudito, fondamentalmente raffaellesco, caratterizzato dalla scelta di forme nitide e lucenti. Tra il 1544 e il 1548 eseguì tre dipinti destinati a raffigurare le diverse parti della giornata, che dovevano decorare una sala dei nuovi appartamenti del duca Ercole nel palazzo di corte di fronte alla via Coperta: l'Aurora od Ora con il cavallo di Apollo, la Notte o il Sogno (entrambe a Dresda, Gemäldegalerie) e il Giorno o Apollo sul suo carro, perduto.
La più bizzarra e originale di queste allegorie è senz'altro la Notte: ispirata a un passo delle Metamorfosi di Ovidio (XI, 592), in cui si descrive la casa del Sonno, e configurata sulla celebre incisione di Marcantonio Raimondi nota come il Sogno di Raffaello, la tela del L. unisce le suggestioni infernali di H. Bosch a citazioni romane e michelangiolesche, sicché gli effetti onirici, baluginanti di luci e fiamme dello sfondo, e quelli danteschi dei mostri in primo piano si equilibrano nella figura della dormiente, sobria e classica come un'Arianna.
Sempre dopo la morte di Giovanni possono datarsi i Quattro Padri della Chiesa di Berlino (Staatliche Museen), i cartoni per le Metamorfosi (1543-44: Mezzetti, p. 49; gli arazzi relativi, conservati al Louvre, furono tessuti nel 1545), l'Allegoria dell'Abbondanza di Monselice (Castello Cini), molto vicina agli esempi di Girolamo da Carpi. Nel 1546 eseguì per Laura Danti (già amante del duca Alfonso) quattro dipinti, uno dei quali è stato identificato in una Cleopatra in collezione privata (Ballarin, 1994-95, pp. 370 s.). L'anno successivo il figlio di Laura Danti, Alfonsino, gli regalò una daga d'argento con manico d'avorio (ibid., doc. 400). Gli ultimi documenti che riguardano il L. risalgono al periodo settembre-ottobre del 1548 (Venturi, 1893, p. 224): si tratta di pagamenti per disegni e ornati di cui non resta altra memoria. Il 24 dicembre un altro documento lo definisce quondam (Cittadella, p. 14): il L. quindi morì tra l'ottobre e il dicembre del 1548.
Fonti e Bibl.: T. Bianchi (de' Lancillotti), Cronaca modenese (1506-54), V, Parma 1867, p. 195; G. Vasari, Le vite( (1568), a cura di G. Milanesi, VI, Firenze 1880, pp. 98-101; A. Campori, Notizie inedite di Raffaello d'Urbino, Modena 1863, pp. 29 s.; L.N. Cittadella, I due Dossi, pittori ferraresi del secolo XVI, Ferrara 1870; A. Venturi, I due Dossi, in Arch. stor. dell'arte, V (1892), pp. 440-443; VI (1893), pp. 48-62, 130-135, 219-224; G. Grigioni, La pittura faentina, Faenza 1935, pp. 584, 605, 705-710; L. Puppi, Dosso al Buonconsiglio, in Arte veneta, XVIII (1964), pp. 19-36; F. Gibbons - L. Puppi, Dipinti inediti o poco noti di Dosso e B. Dossi, con qualche nuova ipotesi, in Arte antica e moderna, 1965, nn. 31-32 pp. 311-322; A. Mezzetti, Il Dosso e B. ferraresi, Ferrara 1965; F. Gibbons, Dosso and B. Dossi. Court painters at Ferrara, Princeton 1968; C. Giovannini, Notizie inedite sull'altare di S. Sebastiano e sul presepio Begarelli nel duomo di Modena, in C. Giovannini - O. Baracchi, Il duomo e la torre di Modena. Nuovi documenti e ricerche, Modena 1988, pp. 207-226; E. Saccomani, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, II, Milano 1988, p. 706; S. Eiche, Prologue to the villa Imperiale frescoes, in Studi in onore di Carlo Bo, Urbino 1991, pp. 99-119; A. Ballarin, Dosso Dossi: la pittura a Ferrara negli anni del ducato di Alfonso I, I-II, Cittadella 1994-95, passim (con bibl.); J. Bentini, La sala delle Vigne nella "delizia" di Belriguardo, in Atti e memorie dell'Accademia Clementina, n.s., 1995-96, nn. 35-36 pp. 9-37; O. Baracchi, I Luteri a Modena, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, XIX (1997), pp. 93-119; A.M. Fioravanti Baraldi, Filippi, Camillo, in Diz. biogr. degli Italiani, XLVII, Roma 1997, p. 690; Dosso Dossi. Pittore di corte a Ferrara nel Rinascimento (catal., Ferrara-New York-Los Angeles, 1998-99), a cura di M. Lucco - P. Humfrey, Ferrara 1998; P. Humfrey, Dosso Dossi: vita e opere, ibid., pp. 3-15 (e relative schede); M. Lucco, B. Dossi and Sebastiano Filippi, in Dosso's fate: painting and court culture in Renaissance Italy Symposia, Santa Monica( 1996-Trento( 1997, a cura di L. Ciammitti - S.F. Ostrow - S. Settis, Los Angeles 1998, pp. 263-287; Dosso Dossi e le favole antiche: il risveglio di Venere (catal., Ferrara), a cura di A. Ballarin - V. Romani, Bologna 1999, passim; A. Ballarin, Una "Madonnina della mela" di B. Dossi, in Omaggio a Fiorella Sricchia Santoro, II, Firenze 1999, pp. 157 s.; F. Veratelli, Dal teatro alla pittura: ricerche sulla visualità dello spettacolo in Dosso e B. Dossi, in Annali dell'Università di Ferrara, sezione lettere, n.s., I (2000), pp. 197-220; F. Sarigu, Le silografie dell'edizione valgrisiana dell'Orlando furioso: ipotesi per un'attribuzione, in Grafica d'arte, XII (2001), 45, pp. 12-15; F. Veratelli, Immaginario teatrale e immaginario pittorico: Dosso e B. Dossi, scenografi e apparatori alla corte di Alfonso I, in Quinta Settimana di alti studi rinascimentali: l'età di Alfonso I, a cura di G. Fragnito - G. Venturi, Ferrara 2004, pp. 223-231; A.M. Visser Travagli, Dosso, B. Dossi e la ceramica al tempo di Alfonso I d'Este, in L'età di Alfonso I e la pittura del Dosso. Atti del Convegno, Ferrara( 1998, a cura di A. Ghinato, Modena 2004, pp. 187-200; F. Veratelli, Problemi di iconografia teatrale nelle opere di Dosso e B. Dossi: tre schede, ibid., pp. 69-81; Encyclopedia of Italian Renaissance and Mannerist art, a cura di J. Turner, I, London 2000, pp. 477 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, IX, pp. 496 s.; Allgemeines Künstlerlexikon (SAUR), XXIX, p. 153.