LUPA Capitolina
Così vien chiamata comunemente la statua di bronzo, conservata nel Museo dei Conservatori a Roma, rappresentante una lupa che, solidamente piantata sulle quattro zampe, volge la testa a sinistra, con espressione di ferocia, mostrando i denti dalla bocca semiaperta; la zona sopraccigliare è contratta in pieghe sinuose, gli occhi vitrei, gli orecchi aguzzi; la testa è orlata da una criniera divisa convenzionalmente in piccoli riccioli; i gemelli posti sotto le mammelle stilizzate, sono un'aggiunta di Antonio del Pollaiolo (sec. XV). La statua è in Campidoglio dal XV sec., qui trasportata dal Laterano, dove si trovava almeno fin dal X sec. presso il luogo delle esecuzioni capitali.
Essa è stata considerata opera greca arcaica (per esempio dal Carcopino), sia proveniente dalle colonie ioniche o calcidesi sia dalla madrepatria, ovvero opera etrusca (Giglioli, Della Seta, Ducati, Pallottino e altri), eventualmente dipendente dalla scuola di Vulca, ovvero persino opera medievale.
Il problema della determinazione cronologica è connesso con quello della possibile identificazione con le statue dello stesso soggetto che conosciamo dalla tradizione: Cicerone (Cat., III, 19; De div., I, 19; Il, 47) parla di una statua della lupa con Romolo (presumibilmente anche Remo), in Campidoglio, divelta dal fulmine nel 63 a. C.; da Livio (x, 23, 12) apprendiamo che nel 296 a. C. i fratelli Ogulni edili ad ficum Ruminalem simulacra infantium conditorum urbis sub uberibus lupae posuerunt: l'espressione si presta ad una duplice spiegazione, cioè che gli Oguini abbiano collocato i gemelli sotto la statua di una lupa già esistente, ovvero che abbiano fatto l'intero gruppo; inoltre l'indicazione del fico Ruminale, la cui esistenza ci è d'altronde testimoniata sia nel Comizio sia nel Lupercale, ha fatto pensare che la statua poteva essere presso il Lupercale (secondo i più), ovvero nel Comizio (De Sanctis, Carcopino), e in tal caso la statua della lupa coi gemelli vista da Dionisio di Alicarnasso (i, 79, 8) presso il Lupercale, e da lui detta di fattura arcaica, sarebbe un terzo monumento.
La discussione del problema si allarga nell'esame delle figurazioni della l. con i gemelli, che compaiono già nella monetazione ròmano-campana (che è all'incirca coeva all'età degli Ogulni), e quindi in una moneta di Sesto Pompeio Fostulo (circa 129 a. C.), e che divengono sempre più frequenti soprattutto con Augusto e nell'età di Adriano e degli Antonini: tra i moltissimi esempî si possono ricordare l'ara di Arezzo, l'ara ostiense del Museo Naz. Romano, l'ara Casali, il rilievo del Museo delle Terme raffigurante il tempio di Venere e Roma, il mosaico di Palazzo Colonna, le monete fino all'età di Massenzio e di Teodorico. (Anche in un pannello dell'Ara Pacis la lupa doveva essere rappresentata tra le figure, parzialmente conservate, di Marte e Faustolo). In tutti questi esemplari la lupa, diversamente dalla L. G., ha la testa rivolta verso i gemelli che sta maternamente allattando (il tipo sarà copiato sino nel Medioevo, nel dittico di Rambona della Biblioteca Vaticana); in alcune monete di Adriano tuttavia compare un diverso tipo in cui la lupa non si volge verso i gemelli, ma appare di profilo.
Le ipotesi (che stanno soprattutto in diretta dipendenza dalla possibilità che la L. G. avesse o no i gemelli, e dalla interpretazione del passo di Livio sul gruppo degli Ogulni) si possono così riassumere: la L. G. è la statua del Campidoglio colpita dal fulmine (del quale rimarrebbero le tracce) nel 63 a. C., che, finita in una favissa, sarebbe stata riscoperta nel Medioevo (Curtius, Carcopino), ovvero è il gruppo degli Ogulni (Marchetti-Longhi, Loewy), ovvero nessuno dei due (De Sanctis e altri); le monete romano-campane si ispirano alla lupa ricordata da Cicerone sul Campidoglio (Petersen), o a quella degli Oguini (Curtius), ovvero a tipi monetali greci creati per altri soggetti (Loewy). La L. G. non fu creata, secondo alcuni, per la leggenda di Romolo e Remo, ma fu un simbolo della città retta dai due consoli (Petersen), o dono votivo di una città greca o etrusca poi trasportato in Roma come opera d'arte (De Sanctis), o un'espressione dell'amicizia latino-sabina (Carcopino), o un apotropàion (Loewy).
Tra le varie ipotesi le meno improbabili sembrano: che la L. C. (in considerazione della sua sostanziale inorganicità di struttura) sia opera etrusca della prima metà del V sec.; che essa non abbia avuto i gemelli; che le monete etruscocampane si ispirino al coevo gruppo degli Ogulni. Si è richiamata anche a confronto una stele felsinea (circa 400 a. C.) con una fiera allattante un fanciullo.
Bibl.: E. Petersen, in Klio, VIII, 1908, p. 444 ss.; IX, 1909, p. 33 ss.; G. De Sanctis, in Riv. Filol. Class., XXXVIII, 1910, p. 171 ss.; Enc. It., s. v. Romolo; J. Carcopino, La louve du Capitol, Parigi 1925; H. S. Jones, A Catalogue of the Ancient Sculptures in the Palazzo dei Conservatori, Oxford 1926, p. 56 ss.; L. Curtius, in Röm. Mitt., XLVIII, 1933, p. 194 ss.; G. Marchetti-Longhi, in Capitolium, IX, 1933, p. 163 ss.; 365 ss.; E. Loewy, in St. Etr., VIII, 1934, p. 77 ss.; E. Strong, in Scritti in onore di B. Nogara, Città del Vaticano 1937, p. 475 ss. Stele felsinea: Mostra Etruria Padana 1960, Catalogo, n. 720.