LUNIGIANA (A. T., 24-25-26)
Regione naturale e storica della Toscana, corrispondente alla valle del fiume Magra sino alla sua confluenza col torrente Vara. Essa rimane pertanto limitata dalla cresta dell'Appennino, dalle alture che dividono la valle della Magra da quella del Serchio (Garfagnana) e da quelle che dal Gottero (1640 m.), o meglio dalla prossima Foce dei Tre Confini, per il M. Tondo (1201 m.) e il M. Cornoviglio separano la valle della Magra da quella del torrente Vara. Mite ne è il clima, come comprovano le colture estese su gran parte della regione, e abbondanti le precipitazioni, che a Pontremoli superano i 1500 mm. e vanno oltre i 2000 nelle zone montane.
Amministrativamente la Lunigiana resta tutta compresa nella provincia di Massa e Carrara, ed è suddivisa in 14 comuni, dei quali quattro (Pontremoli, Zeri, Mulazzo e Tresana) costituiscono la zona agricola dell'alta Lunigiana e dieci (Filattiera, Bagnone, Villafranca, Podenzana, Licciana, Comano, Aulla, Fivizzano, Casola e Fosdinovo) la zona della bassa Lunigiana. L'area della regione, entro i limiti degli anzidetti comuni, che, salvo piccole varianti, corrispondono alla regione naturale, è di 975 kmq. La sua popolazione presente, che nel 1921 era di 86.980 ab., risultò al censimento del 21 aprile 1931 di 86.197; quella della popolazione residente di 90.702. La densità risulta quindi 89 ab. per kmq., abbastanza elevata se si tiene conto che il centro più cospicuo di tutta la regione (Pontremoli) non raggiunge i 5000 ab. (4881). La popolazione vive in grande maggioranza aggruppata in casali, di cui pochi superano i 500 ab., ovvero sparsa nelle campagne.
Sebbene la Lunigiana possa considerarsi un territorio montano, in nessun punto raggiunge tuttavia i 2000 m.; la massima altitudine è rappresentata dal M. Alto nella dorsale appenninica (1904 m.) e la minima dall'alveo della Magra, alla confluenza col torrente Vara (m. 20). Essa presenta poi estese zone collinose, in parte costituite da terrazzi pliocenici, ove prospera la coltura della vite, mentre le zone più elevate sino ai 1000 m. si ricoprono di folti castagneti. Il fondo valle, che in qualche tratto si allarga sino a 203 km. mantenendosi a un'altitudine inferiore ai 200 m., offre limitati lembi di piano, colmato dai materiali di trasporto, e si presta alle coltivazioni cerealicole e orticole. La produzione del frumento, che occupa 6360 ha. e che in media si aggira sugli 11 quintali per ha., fu di 65.000 q. nel 1929. Quella del granturco (4050 ha. coltivati) fu di 47.000 q. Diffusa è la coltivazione della vite, generalmente promiscua, che vi occupa 11.020 ha. e produsse quasi 88.000 hl. Lo stesso si dica dell'ulivo (2750 ha.) che vi rese 1264 hl. di. olio. I castagneti, insidiati dalle malattie e dalla distruzione a scopo industriale, occupano un'area di 24.840 ha., circa un quarto dell'intera regione, e la produzione delle castagne vi tocca i 130.000 q. Largamente praticato è l'allevamento del bestiame, specialmente di quello bovino (16.500 capi) ovino (21.500 capi) e suino (6793 capi). Le industrie sono rappresentate da uno stabilimento per la tessitura della iuta esistente in Aulla, da alcuni stabilimenti di prodotti chimici (tannino, polveri piriche), da centrali elettriche, pastifici, ecc.
La Lunigiana è attraversata in tutta la sua lunghezza dalla ferrovia che staccandosi da Sarzana per Aulla risale la Magra sino a Pontremoli e attraverso la galleria del Borgallo scende nella valle del Taro. Da Aulla si distacca un tronco che risale l'Aulella sino a Equi-Terme (km. 20) e attende da anni il suo prolungamento Sino a Castelnuovo di Garfagnana. Strade rotabili per il Passo del Cerreto, di Lagastrello e della Cisa attraversano l'Appennino. Ma la viabilità interna è ancora insufficiente.
L'emigrazione, che in passato fu abbastanza considerevole, è andata negli ultimi anni costantemente diminuendo: da 1907 emigranti registrati nell'anno 1925, si discese a 592 nel 1929, in grandissima maggioranza diretti per la Francia e il resto per gli Stati Uniti, l'Argentina e il Brasile.
Storia. - Nel territorio che fu poi la Lunigiana storica, si documentano stanziamenti umani del Paleolitico nella Tecchia d'Equi (Fivizzano), del Paleolitico (Magdaleniano) e del Neolitico nella Grotta dei Colombi, all'Isola Palmaria (Golfo della Spezia) e altrove. Singolare impronta hanno le testimonianze archeologiche dell'età del bronzo, con le stele antropomorfe della Val di Magra e del Golfo, senza rapporto con i monumenti coetanei delle circostanti regioni e apparentate invece alle statue-menhir della Francia e della Spagna. Questa civiltà, alla quale è impossibile dare un nomen etnico, dura nel bacino della Magra fino all'età del ferro, mostrando, secondo talune ipotesi, un attacco con le civiltà villanoviana e protoetrusca. Nessuna sicura testimonianza archeologica si ha del dominio storico degli Etruschi nella regione, che peraltro sembra accertato da fonti letterarie. In seguito, le fonti segnalano l'appartenenza del paese ai Liguri, principalmente al gruppo Ligure-Apuano, protagonista d'una guerra di più che ottant'anni coi Romani (v. apuani). La fondazione della colonia di Luni, nel 177 a. C., segna la definitiva romanizzazione del territorio, per quanto successive guerriglie siano state combattute, a lungo, nella regione montuosa, ove gli Apuani erano a contatto coi Veleiates. La storia romana del territorio lunense, a prescindere dalla storia della città (v. luni), è senza particolari notizie. La colonizzazione agricola romana è attestata dalla toponomastica. La diffusione del cristianesimo nella campagna avvenne con tutta probabilità assai tardi, mentre la tradizione riporta all'età apostolica l'introduzione del cristianesimo in Luni.
La Val di Magra fu sempre il tramite di grandi comunicazioni fra la parte peninsulare d'Italia, la valle del Po e i paesi d'oltr'Alpe. La strada consolare romana che proseguiva da Pisa a Luni e a Genova, fino ad Arles, percorreva (Strabone) le tracce d'un cammino preistorico. I valichi dell'Appennino, specie quelli del Bratello e della Cisa, per quanto sia controversa la loro identificazione con passi romani, segnano antichissimi sentieri naturali; la loro importanza nella storia d'Italia si manifefesta dall'alto Medioevo (v. cisa), continua nelle lotte fra Chiesa e Impero e fino nelle guerre per l'egemonia europea dei secoli XVII e XVIII.
L'unità politico-territoriale che soltanto nel sec. XII assume il nome geografico Lunigiana appare costituita agl'inizî del sec. X.
È incerta la sua vita più antica. Comunque è da escludere che, nella circoscrizione della Lunigiana medievale (diocesi e comitato in larghi termini coincidenti), continui il territorio della colonia di Luni. Nel sec. II dell'era volgare, sui dati topografici della Tavola veleiate (Corp. Inscr. Lat., 1147), si può stabilire che nell'Appennino Piacentino e Parmense ai confini municipali di Veleia, Piacenza, Parma, giungeva il municipio di Lucca, il quale pertanto doveva abbracciare almeno la media e l'alta valle orientale della Magra. Senza escludere che alcuno dei rimaneggiamenti territoriali del basso impero possa avere spostato i reciproci confini di Luni e Lucca, è da ritenersi più probabile che i nuovi fines lunenses si siano formati nel sec. VI, in seguito all'invasione longobardica, dato che l'unico lembo della Tuscia Annonaria rimasta all'impero fu appunto quello che vediamo costituire la diocesi di Luni, la quale, per questa sola ragione, poté estendersi anche in zone geograficamente lucchesi, come l'alta valle del Serchio.
Nel riordinamento delle superstiti provincie dell'impero, il territorio lunense, che aveva appartenuto all'Etruria a datare dalla discriptio Italiae d'Augusto, fu unito al tratto della Liguria costiera rimasto egualmente immune dall'invasione, formando insieme la bizantina Provincia Maritima Italorum, ricordata dall'Anonimo Ravennate anche col nome di "provincia lunense". In realtà la Lunigiana ebbe una funzione cardinale nella secolare difesa del limes, facendo fronte sopra un duplice settore alla massima pressione nemica, sul confine emiliano, lungo il crinale dell'Appennino, e sul confine della Tuscia Langobardorum, fra le Alpi Apuane e il mare. Nel territorio di Luni risiedeva un magister militum, probabilmente il comandante supremo delle forze imperiali nella Maritima.
Queste difese furono debellate da Rotari, in un anno imprecisato, avanti al 643. Non sembra però che egli abbia assoggettato stabilmente tutto il territorio invaso. Qualche indizio fa supporre che la città di Luni sia tornata ai Bizantini. Certo è che alcuni castelli lunensi dell'Appennino fecero lunga resistenza e non vennero in potere dei Longobardi che all'età di Liutprando per dedizione spontanea, nei rivolgimenti provocati dagli editti iconoclasti. Appunto dagli anni di Liutprando si cominciano a datare i primi documenti longobardici della Lunigiana; la quale certamente non ebbe un ducato, ma fu unita a Lucca. Questa condizione si perpetua nell'ordinamento della marca carolingia.
La prima documentazione del comitatus lunense si ha nel 938, in un diploma di re Ugo; le indicazioni topografiche di questo accennano a un'estensione di territorio che si può far coincidere in buona parte con la circoscrizione diocesana. Non molto dopo appare il primo titolare conosciuto del comitato, Oberto I, col quale, assunto a capo ella nuova marca della Liguria orientale, nel 951, la Lunigiana torna a staccarsi dalla Toscana e si unisce ai comitati di Genova e Tortona e ad altri territorî della Riviera e dell'Appennino la cui costituzione politica non è esattamente definibile (gastaldati, o comitati minori di Lavagna e Torresana, Bobbio, ecc.).
La nuova marca ligure, costituita, con l'aleramica e la torinese per la difesa marittima, ebbe il duplice compito di cacciare i Saraceni dalle loro stanze terrestri nel Tortonese e di riconquistare il dominio del mare fra la costa tosco-ligure e le grandi isole tirreniche. Questo compito fu assolto dai discendenti di Oberto i quali, sulla fine del sec. X, collaborarono con gli Aleramici e coi conti di Provenza all'espulsione dei Saraceni dall'Appennino e dalle Alpi e, nei primi del secolo seguente, ad opera del marchese Adalberto (II), a capo di milizie feudali e delle nascenti forze cittadine, riconquistarono la Corsica, forse in seguito e in relazione con la sconfitta navale inflitta da un'armata ligure-toscana ai Saraceni, nelle acque della Sardegna (1016). Gli Obertenghi, divisisi nei quattro casati principali degli Estensi, Malaspina, Pelavicino e Massa-Corsica, ritennero in consorzio l'esercizio dei poteri marchionali; in Lunigiana appaiono tuttavia prevalenti, nel secolo XI, i marchesi di Massa, padroni della zona litoranea, onde assumono anche il titolo di "Marchiones Ripariae", e gli Estensi, consolidatisi nella regione interna sui confini dell'Emilia. Ma, venendo poi meno l'ufficio politico della marca e del comitato, le diverse dinastie obertenghe dovettero cedere progressivamente al predominio del vescovo di Luni, il quale, già nel sec. X, da Berengario e dagli Ottoni aveva ricevuto l'immunità sopra un vasto predio curtense che abbracciava tutta la zona più ricca e popolosa della Lunigiana marittima, con forti propaggini nella media Val di Magra, specie nella valle secondaria dell'Aulella, e nella Garfagnana. Su questo possedimento immune, già nel sec. X munito di castelli (Sarzana, Ameglia, Vezzano, Ceparana, Trebbiano, Montedivalli), si fondano le pretese comitali del vescovo, giuridicamente riconosciute soltanto nel 1185 da Federico I, ma già accampate agl'inizî del secolo. Una lotta aperta scoppiata fra il vescovo Andrea, il marchese Guglielmo Francigena di Massa e l'eponimo dei Malaspina, per il possesso del Monte Caprione, terminava, a favore del vescovo, con la pace del 1124 placitata dai boni homines lucchesi. Il potere del sovrano ecclesiastico si presidia di forze armate, conciliandosi con le vecchie consorterie militari, che dovunque si liberano dalla mano marchionale per infeudarsi al vescovo, venendo a costituire il folto stuolo dei Pares Curiae, e con le nuove formazioni comunali. A capo d'una vera federazione, che abbraccia anche l'autonomo comune pontremolese, il vescovo Gualtieri, agl'inizî del sec. XIII, affronta i Malaspina, i quali, respinti da Genova, Tortona, Piacenza e Pavia, si aggrappano al crinale appenninico e rifluiscono in Lunigiana. Battuti agli sbocchi di Val di Vara e all'Aulla, essi stipulano (1202), un trattato di pace che intende garantire una specie di condominio fra i due poteri antagonistici. In queste circostanze, il vescovo Gualtieri trasferisce la sede ufficiale della diocesi e della contea vescovile a Sarzana (1203). Ma, nella nuova capitale, il vescovo incontra l'opposizione della borghesia, che mira alla costituzione di un comune autonomo di tipo cittadino, non senza qualche tentativo di espansione esterna. In pari tempo avanzano a occidente i Genovesi, che già agl'inizî del sec. XII avevano occupato Portovenere e nel sec. XIII, dopo lunga tenzone con Pisa, si stabiliscono a Lerici; mentre, a oriente, Lucchesi e Pisani dilagano in Lunigiana, per i due sbocchi della Versilia e della Val d'Aulella, allargandovi il campo delle loro lotte rivali. Il comitato vescovile subisce un'eclissi quasi totale sotto il governo del vescovo Guglielmo (1228-1273), durante il quale la Lunigiana fu sottomessa, con la Garfagnana e la Versilia, ai vicarî di Federico II. Il vescovo Enrico (1273-1293) senza nulla potere contro i Genovesi, che, frattanto, erano venuti al confine della Vara e della Magra (avendo assorbito una fugace signoria lunigianese dei Fieschi, costituitasi in buona parte a spese del vescovo), restaurò il patrimonio e i diritti feudali del comitato a oriente della Magra, avendo liberato il territorio dai Lucchesi, frenate le ribellioni dei feudatarî e dei comuni, tenuti a rispetto i Malaspina. Nuovi assalti di questi ultimi, però, condotti dai dinasti dello "Spino Secco", fecero crollare, sotto il vescovo Antonio (1296-1311), dopo lunga lotta, le basi territoriali della sovranità ecclesiastica, la quale, sebbene prolunghi agitatamente la sua vita di qualche decennio, può dirsi tramontata con la pace procurata da Dante, il 6 ottobre 1306, a Castelnuovo.
Col dissolversi del comitato vescovile, rimasto senza eredi politici, la storia della Lunigiana perde ogni carattere unitario, salvo i tentativi di Spinetta Malaspina e il costituirsi di un'effimera signoria lunigianese, sotto Castruccio degli Antelminelli, col doppio titolo di vicariato imperiale e di viscontado vescovile (1322-1328). In seguito, tramontate le autonomie comunali, resistendo soltanto le minuscole signorie indigene dei Malaspina, si avvicendano in Lunigiana Genovesi, Lucchesi, Pisani, Fiorentini, Parmigiani e Milanesi. Notevole stabilità ebbe il governo milanese a Sarzana (1369-1407) e specie a Pontremoli, acquistata (1339) da Luchino Visconti e rimasta al ducato in tutte le sue vicende fino al 1647.
I Genovesi superarono il confine della Magra, verso oriente, agl'inizî del sec. XV, ma il loro dominio del Sarzanese fu soggetto a frequenti alternative, specialmente in ripetute guerre con Firenze; soltanto nel 1572 Sarzana e il suo territorio si unirono formalmente alla repubblica, dopo un lungo governo del Banco di S. Giorgio (1496-1572).
Se i Fiorentini non riuscirono a mantenersi nella Lunigiana marittima, fecero continui progressi nella Val di Magra interiore; impadronitisi nel 1429 della podesteria lucchese di Casola, ai confini della Garfagnana, ingrandirono, nel corso del secolo, per accomandigie e dedizioni spontanee, il loro dominio nella Lunigiana orientale, costituendovi l'ampio vicariato di Fivizzano; in pari tempo acquistavano Albiano e Caprigliola e, nell'alta Val di Magra, fondavano, a spese dei feudatarî imperiali, il capitanato del Terziere: nel 1650 lo stato granducale si ampliò con l'acquisto di Pontremoli e del suo contado. Unico stato autonomo lunigianese, oltre i piccoli feudi rimasti sotto la diretta sovranità del Sacro Romano Impero, il principato, poi ducato di Massa e Carrara (v.).
Con la rivoluzione francese e l'impero, il territorio della Lunigiana fu oggetto di successive suddivisioni, le quali per altro non ristabilirono in nessun modo l'antica unità territoriale: nel 1806 il ducato di Massa e Carrara fu unito a Lucca e a Piombino sotto la sovranità di Elisa Bonaparte e Felice Baciocchi. Il congresso di Vienna ristabilì in Lunigiana gli antichi dominî, con l'abolizione però dei feudi imperiali che furono assegnati a Maria Beatrice di Massa, ma da questa ceduti al figlio Francesco IV di Modena; successivi trapassi ereditarî e reversioni previste dal congresso portarono Pontremoli, con l'alta Lunigiana granducale e alcuni ex-feudi imperiali, sotto i Borboni di Parma (1847); in complesso, nella divisione degli stati preunitarî, la Lunigiana rimase tripartita fra il Regno Sardo (in luogo dell'ex-repubblica genovese) il ducato di Modena, il ducato di Parma.
Col regno d'Italia, la Lunigiana genovese rimase unita alla provincia di Genova; il restante territorio, con la Garfagnana, formò la provincia di Massa e Carrara. Nei primi del secolo XX il sorgere de La Spezia a grande centro urbano risuscitò il sentimento regionale unitario lunigianese; il governo fascista, nel 1923, staccando da Genova il circondario de La Spezia e istituendolo in provincia, intese appagare quelle aspirazioni; poco dopo, con la separazione della Garfagnana da Massa e Carrara, ridusse anche questa provincia nei limiti dell'antica Lunigiana.
Bibl.: U. Rellini, Nuove ricerche sull'età della pietra in Lunigiana, Trieste 1921; C. De Stefani, La Tecchia d'Equi, La Spezia 1919; U. Mazzini, Monumenti celtici in Val di Magra, La Spezia 1908; Nuove statue-menhirs di Val di Magra, Roma 1923; U. Formentini, Le statue-stele di Lunigiana in relazione con i problemi villanoviano ed etrusco, Firenze 1927; L. Banti, L'ager lunensis e l'espansione etrusca a nord dell'Arno, Firenze 1931; A. Solari, Il territorio lunese-pisano, Pisa 1910; U. Mazzini, Per i confini della Lunigiana, La Spezia 1909; F. Schneider, Die Reichsverwaltung in Toscana, Roma 1914; G. Sforza, Memorie e documenti per servire alla storia di Pontremoli, voll. 3, Lucca 1888; E. Branchi, Storia della Lunigiana feudale, voll. 3, Pistoia 1897; G. Volpe, Lunigiana medievale, Firenze 1923; P. Ferrari e altri, Castelli della Lunigiana, Pontremoli 1927; F. Poggi, La storia della Lunigiana in rapporto con la costituzione della provincia della Spezia, La Spezia 1912. Vedi anche luni.