LUNI sul Mignone
Acropoli nel comune di Blera, provincia di Viterbo, sotto i Monti della Tolfa, presso il fiume Mignone, a circa 20 km da Tarquinia, verso l'interno. Gli scavi svolti in detta località nel corso di quattro campagne, dal 1960 al 1963, dall'Istituto Svedese di Studî Classici a Roma, in collaborazione con la Soprintendenza alle Antichità dell'Etruria Meridionale, hanno dato risultati importanti per la conoscenza della preistoria dell'Italia centrale. Il luogo fu abitato durante un periodo che va dal Neolitico al XIV sec. d. C., quando fu abbandonato, probabilmente in seguito alla peste nera. Il nome di L. è riscontrabile in molti documenti medievali, specialmente nell'Archivio di Viterbo. La più antica fonte conosciuta è il Liber Pontificalis, dove L. viene menzionato nel racconto della sommossa durante il pontificato di Gregorio II (715-731).
L'acropoli misura 550 m di lunghezza e 140 m di larghezza, con ripidi dirupi. Scavi sono stati eseguiti sia sull'altipiano della rocca che nelle sue vicinanze.
Nell'epoca etrusca L. serviva da fortificazione per il confine meridionale di Tarquinia. Il fiume Mignone (Minio) costituiva il confine tra il territorio di Tarquinia e quello di Caere. Nel V sec. a. C. furono costruite le mura di cinta e un castello. Resti ben conservati della cinta muraria sono stati trovati principalmente sul lato N dell'acropoli, dove si riscontrano fino a 10 filari di blocchi rimasti in situ. Le mura erano composte di due pareti di blocchi con un riempimento di pezzi irregolari di tufo e terra. La larghezza delle mura va da m 1,2 a m 1,6. I blocchi ben squadrati e connessi con superfici di combaciamento lisce, sono messi in filari irregolari per testa e per taglio.
Il castello etrusco, che misurava all'incirca 10 × 12 m e del quale sono conservate le fondamenta, era posto sulla estremità orientale dell'altipiano, sopra una collina artificiale di terra e scaglie di tufo, nel punto più debole dell'acropoli, allo scopo di rinforzarne la difesa. Del sistema difensivo etrusco fanno parte anche due fosse, profonde non meno di 4 e 5 m, che attraversano l'altipiano. Dell'abitato etrusco si è esaminata una casa del VI sec. a. C. delle dimensioni di m 7 × 7. Le fondamenta della casa sono costituite da doppie file di blocchi di tufo. Ritrovamenti di blocchi con dei fori stanno a dimostrare che delle mura facevano parte anche elementi di legno. Una grande colonna situata in mezzo alla casa e ancorata in un foro cilindrico nella roccia, faceva da sostegno al tetto di tegole.
Nell'Età del Ferro l'abitato di L. era di grandezza considerevole, come si è potuto constatare sull'acropoli e anche nelle vicinanze, tra l'altro, sulla collina Monte Fornicchio, a E dell'acropoli. La vastità dell'abitato era tale da giustificare la denominazione di piccola città. Verosimilmente aveva avuto inizio lo sfruttamento delle ricchezze di ferro della regione, creando un certo benessere. Le abitazioni erano costruite da capanne del tipo comune, di pianta rettangolare o ovale, le mura erano di un'ossatura in legno con intreccio di rami, coperte' di canne e intonacate con argilla. La ceramica è della specie tipica della regione Tolfa-Allumiere ed esclusivamente di impasto fatto a mano. La tazza e la scodella carenata rappresentano la forma più frequente della ceramica fine. Le anse sono spesso teriomorfe. La decorazione, a solcature o a "falsa cordicella" è del tipo geometrico. Il materiale di ceramica, ritrovato in quantità considerevole, è in gran parte simile a quello proveniente da San Giovenale e dalle necropoli di Allumiere, del tipo protovillanoviano.
Un edificio monumentale dell'Età del Ferro fu rinvenuto e scavato sul lato occidentale dell'acropoli. È di forma rettangolare, la sua misura di m 9,1 × 18,2 circa corrisponde a 33 × 66 piedi italici (27,5 cm), uno dei pochi casi in cui si è potuto riscontrare questa antica misura. La lunghezza è pertanto doppia della larghezza e l'edificio presenta un carattere generale di notevole regolarità. L'edificio è straordinario anche in quanto fu scavato nella roccia di tufo fino ad una profondità di 6 m. Tutto ciò che si è conservato della costruzione sono le fondamenta sotto il livello del tufo, delle mura soprastanti non è rimasto nulla. Le pareti rocciose delle fondamenta sono lisce e ben tagliate, il piano del pavimento è orizzontale. A contatto con il pavimento di roccia fu trovato un pavimento di legno costituito da assi. Durante gli scavi è stata trovata una grande quantità di ceramica, per la maggior parte fatta a mano, del tipo Tolfa-Allumiere. Una datazione radiocarbonica fa risalire la costruzione a 835 ± 70 a. C. Bisogna comunque tener presente che per l'esame radiocarbonico è stato usato materiale proveniente da grossi tronchi di quercia, per cui l'età dell'albero dovrà essere sottratta all'età ottenuta col metodo C 14. Risulta allora che l'edificio, probabilmente, fu costruito nell'VIII sec., data del resto corrispondente a quanto ci viene suggerito dal materiale di ceramica. La costruzione di questo grande edificio, che ha una superficie pavimentale di 157 m2, deve aver implicato un lavoro considerevole. Si può calcolare che solo la quantità di tufo scavato per le fondamenta ammontava a 700 m3. Senza dubbio siamo davanti ad un edificio ufficiale, una residenza per chi regnava sulla città di L. dell'Età del Ferro e sulla regione circostante. Le dimensioni danno la netta impressione che non si possa trattare di un'abitazione privata. Come erano organizzate le comunità italiche dell'Età del Ferro è per noi praticamente sconosciuto, verosimilmente erano guidate da un re che in tempo di pace faceva da giudice e da capo amministrativo, rappresentava il popolo in veste di sacerdote davanti agli dèi e guidava gli adulti portatori di armi in periodo di guerra. La monumentalità dell'edificio può essere considerata quale espressione dell'autorità e del potere di quest'uomo. È, questo, l'edificio monumentale più antico finora scoperto nell'Italia centrale, ed è l'unico del tipo che si possa far risalire all'Età del Ferro.
Un elemento che indica che l'edificio, oltre ad essere stato residenza, serviva anche per il culto, l'abbiamo nel fatto, accertato, che in tale luogo si è praticato il culto anche in periodi più tardi. Dopo la distruzione dell'edificio causata da un violento incendio, probabilmente in seguito ad un attacco dei nemici, venne costruito in epoca etrusca un luogo per il culto in un angolo dell'edificio monumentale. Tale luogo era costituito da una grotta con antistante un tèmenos che, in base ai ritrovamenti di ceramica, può essere datato alla prima metà del V sec. a. C. Il culto è stato praticato qui fino all'epoca cristiana quando il luogo fu trasformato in chiesa, una continuità di culto che perciò può essere riportata all'Età del Ferro.
Durante il periodo della civiltà appenninica esisteva sull'acropoli vera e propria un abitato considerevolmente grande con degli edifici lunghi che si possono definire vere case piuttosto che capanne. Erano larghe 4 m circa e lunghe fino a 42 m. Le fondamenta sono scavate nel tufo fino ad una profondità che va da m 1,2 a m 2,2. Le mura sopra terra erano di pietra, forse ne facevano parte anche degli elementi di legno. Il tetto era coperto di paglia o di canne. Nell'interno della casa sono stati trovati parecchi focolari, evidentemente le case erano una specie di abitazioni collettive per più famiglie. L'abbondante materiale di ceramica e di altri oggetti rinvenuti durante gli scavi è, per tipo, simile a quello proveniente da Monte Cetona (Belverde) e dai luoghi di ritrovamento di Cerveteri, Pian Sultano ed altri. La chiara stratificazione dà ai ritrovamenti di L. un valore speciale. Una serie di datazioni radiocarboniche pone l'età dell'abitato ad un periodo che va dal 1350 all'850 a. C. circa.
Frammenti di ceramica micenea sono stati trovati negli strati relativi all'insediamento appenninico. Sono i più settentrionali fra quelli finora trovati in Italia e sono particolarmente interessanti perché provengono da una località dell'interno della penisola, mentre gli altri ritrovamenti di questo tipo provengono da località costiere. I frammenti appartengono ai periodi Miceneo III A2 - IIIB-IIIC, e ci danno dei sincronismi importanti con la Grecia della tarda Età del Bronzo. Le datazioni radiocarboniche unitamente ai sincronismi micenei offrono una base per la cronologia assoluta non soltanto per L. ma anche per tutta l'Etruria meridionale e del Lazio relativamente all'ultima metà del II millennio e l'inizio del I millennio a. C. i frammenti micenei sono interessanti testimonianze di contatti tra l'Italia centrale ed il mondo miceneo.
Non vi è dubbio che gli abitanti di L. del periodo appenninico erano stabilmente insediati sull'acropoli; ciò è confermato dal carattere permanente delle abitaziom. Da un indagine del materiale paleobotanico rinvenuto negli strati appenninici, eseguito dal Prof. H. Helbaek di Copenhagen, risulta che si coltivavano varî tipi di grano, orzo, fave e piselli, una cultura agricola pertanto piuttosto varia Numerosi ritrovamenti di macine e macinelli sono testimomanze dell'importanza e dell'estensione che aveva la coltivazione della terra. A fianco dell'agricoltura si allevava il bestiame. L'esame del materiale osteologico proveniente dalle case appenniniche, eseguito dal Prof. N.-G. Gejvall, di Stoccolma, indica che la metà circa della fauna domestica era costituita da bovini, 1/4 da suini e 1/4 da caprovini, mentre il ruolo della selvaggina era secondario. È questa una composizione della fauna domestica tipica della comunità sedentaria. La presenza di vere case, dell'agricoltura e la composizione della fauna domestica sono testimonianze di una comunità stabilmente insediata a Luni. Questa conclusione è in chiaro contrasto con la teoria formulata da S. Puglisi, finora accettata dalla maggioranza, sulla civiltà appenninica come una cultura nomade o seminomade. Verosimilmente alla base della civiltà appenninica furono principalmente delle comunità sedentarie dedite all'agricoltura e all'allevamento del bestiame, dello stesso tipo che è stato riscontrato a Luni.
Stratigrafia di Tre Erici su un piccolo altipiano, considerevolmente più in basso dell'acropoli ed immediatamente ad E del medesimo, sono stati messi in luce, in una trincea profonda complessivamente 6 m, 11 strati diversi. Gli strati presentano tracce di un abitato dell'Età del Ferro (capanna I e II), di un interessante periodo di transizione fra l'Età del Ferro e la fine della civiltà appenninica (capanna III), dell'Eneolitico (capanna IV) e del Neolitico medio (capanna V). La stratigrafia offre una sicura cronologia relativa con la testimonianza della continuità dell'abitato dal Neolitico all'Età del Ferro che inoltre può essere legata ad una cronologia assoluta, basata su una serie di datazioni radiocarboniche, e dovrebbe essere una delle più importanti per la conoscenza della preistoria dell'Italia centrale. Ha portato, tra l'altro, alla scoperta di uno dei pochi abitati che conosciamo della cultura eneolitica tipo Rinaldone e della cultura neolitica tipo Sasso-Fiorano.
Bibl.: A. W. Van Buren, News Letters from Rome, in Amer. Journ. Arch., LXVIII, 1954, p. 373 ss.; C. E. Östenberg, Luni sul Mignone. Prima campagna di scavo, in Not. Scavi, XV, 1961, p. 103 ss.; id., Luni e Villa Sambuco, Etruscan Culture, Land and People, Archaeological Research and Studies Conducted in San Giovenale and its Environs by Members of the Swedish Institute in Rome, written with the Collaboration of King Gustaf Adolf of Sweden, Malmö 1962, p. 313 ss.; H. Riemann, Die Schwedischen Forschungen in Sudetrurien 1956-1962, in Gymnasium, LXXII, 1965, p. 331 ss.; D. H. Trump, Central and Southern Italy Before Rome, Londra 1966; C. E. Östenberg, Luni sul Mignone e problemi della preistoria d'Italia, in Acta Instituti Romani Regni Sueciae, Serie 4a, XXV, Lund 1967.