LUNI SUL MIGNONE (v. S 1970, p. 447)
L'importanza concordemente attribuita all'abitato di L. nel contesto preistorico, e in particolare protostorico, dell'Italia centrale ha fatto sì che numerosi studi di palet- nologia e protostoria di ambito peninsulare e mediterraneo abbiano preso in considerazione questo complesso archeologico, anche con nuove prospettive di interpretazione.
Il resoconto preliminare di Cari Eric Ostenberg (1967), autore dello scavo e divulgatore del complesso, ha costituito un esempio senza precedenti, in area centro-italiana, di sistematicità dell'indagine e di interdisciplinarità della ricerca. Ne è derivato tra l'altro il raggiungimento di un livello di conoscenza di questo settore territoriale dell'Etruria, ancora, e per poco, preservato dalle più distruttive trasformazioni antropiche, comparabile con quello di pochi altri distretti in Italia.
Rispetto a quanto precedentemente affermato (v. s 1970, p. 447), deve notarsi come il «Pian di L.» (il principale pianoro del sistema abitativo compreso tra il Fosso Canino a Ν e la via d'acqua Vesca-Mignone a S) non possa definirsi acropoli nel senso comunemente attribuito al termine poiché non esiste più in basso una corrispondente area urbana circostante o giustapposta; per gli insediamenti imperniati, e contenuti per la maggior parte, su ripiani con contorno a strapiombo, frequenti nella Tuscia, si preferisce attualmente utilizzare la denominazione di abitato su pianoro o su pianoro isolato o su castellina isolata.
La grande maggioranza degli studiosi ritiene ormai che tutti gli aspetti culturali considerati dell'Età del Ferro dallo scopritore e dagli incaricati dell'edizione, siano invece da inquadrare nell'Età del Bronzo Finale, non oltre la data convenzionale della fine del X sec. a.C.; dopo detto momento non si riscontra più alcuna traccia di vita a L. fino all'epoca pienamente etnisca. Anche se i dati dal comprensorio di L. non sono da intendere come completi e definitivi (l'esplorazione delle giaciture archeologiche tramite scavo non è stata tra l'altro completata), è da notare come questa tendenza di sviluppo, con declino degli insediamenti su altura isolata dopo un florido ciclo corrispondente al Bronzo Medio, Recente e Finale, accomuni tutti i distretti dell'Etruria meridionale costiera; tra la fine dell'Età del Bronzo e il principio dell'Età del Ferro l'attenzione insediativa delle comunità si polarizza infatti sulle aree di grandi pianori nelle quali sorgeranno Veio, Cerveteri, Tarquinia e Vulci.
Per quanto riguarda le dimensioni dell'abitato dell'Età del Bronzo, quello di L. deve farsi rientrare nel novero dei centri della prima categoria dimensionale, detti «maggiori», forse veri e propri punti centrali di riferimento di distretti tribali di lunga sopravvivenza (dai primi secoli del secondo millennio al X secolo a.C.); la popolazione insediata nell'Età del Bronzo Finale a L. può certamente stimarsi in alcune centinaia e forse in oltre un migliaio di individui, come nei numerosi centri omologhi che occupavano la regione con una scansione geografica alquanto regolare.
Rispetto alla cronologia del sito di L. può stabilirsi che l'occupazione preistorica, oltre al Neolitico, abbraccia tutto il secondo millennio e il X sec. a.C.
Le nuove ricerche sull'articolazione cronologica dell'Età del Bronzo permettono di fissare come segue la datazione di alcuni dei principali eventi archeologici di L.: impianto delle «case» dell’Apennine Settlement, inizio Bronzo Medio, secc. XVIII-XVII a.C.; insediamento del Bronzo Medio evoluto (c.d. Appenninico), secc. XV e XIV a.C.; insediamento del Bronzo Recente (c.d. Subappenninico), con fitta occupazione anche dell'altura di Fornicchio, fine XIV-inizio XII sec. a.C.; fase terminale del ciclo di occupazione protostorica, c.d. protovillanoviana, comprendente i momenti di massimo sviluppo dell'insediamento, Bronzo Finale, XII-X sec. a.C.
A questo proposito va sottolineato come, nell'insieme dei materiali provenienti dalle strutture a trincea dell'Apennine Settlement, in un primo momento globalmente attribuiti all'Appenninico, sia stato possibile evidenziare un prevalente nucleo con caratteri più arcaici, che rappresenta oggi nell'area medio-tirrenica il massimo insieme di dati sulla fase pre-appenninica detta di Grotta Nuova. Del resto, grazie a recenti ripensamenti critici in fatto di lettura delle stratificazioni, può sostenersi che i resti conservati negli strati che riempivano le «case lunghe» non riflettono la rigida scansione cronologica che dovrebbe corrispondere a serie stratigrafiche quali quelle pubblicate. L'associazione di frammenti tipologicamente caratteristici del Bronzo Medio iniziale (fase di Grotta Nuova), del Bronzo Medio appenninico e del Bronzo Recente interessa quasi tutte le unità stratigrafiche dei riempimenti; è tuttavia degna di nota l'evidenza di contesti «esclusivi» con materiali della fase di Grotta Nuova in alcune delle più profonde unità stratigrafiche delle cavità, evidenza che ha permesso di far risalire a quell'epoca l'impianto delle strutture stesse.
La grande cavità artificiale definita dall'Östenberg «edificio monumentale», a prescindere dalla sua interpretazione, che ha visto una vivace successione di ipotesi (v. oltre) e che sulla base di quanto si è detto va riferita all'Età del Bronzo Finale, ha un significativo precedente nel non lontano esempio di Monte Rovello nel territorio di Allumiere, del Bronzo Recente (XIII sec. a.C.); le due strutture mostrano evidenti analogie in quanto il rapporto tra le dimensioni, e in particolare tra lunghezza e larghezza dell'ambiente intagliato nella roccia di banco, corrisponde perfettamente.
Fatte le dovute precisazioni rispetto alle affermazioni e tesi di C. E. Östenberg, condizionate dalle ampie lacune delle conoscenze sull'Età del Bronzo medio-tirrenica esistenti al momento in cui avvenivano i ritrovamenti e dal retaggio della corrente che sosteneva la cronologia bassa del «protovillanoviano» e l'«attardamento» delle relative manifestazioni di cultura materiale, si devono aggiungere osservazioni su altri aspetti per i quali L. ha fornito importanti suggerimenti, già prima dell'edizione completa della relazione finale.
Innanzitutto vanno evidenziate le acquisizioni sul piano del carattere topografico complessivo dell'abitato. È stato osservato che il Pian di L. (c.a 5 ha), la rupe e la sella del Fornicchio (c.a 2 ha) e i terrazzi al disotto di quest'ultima (area dello scavo dei «Tre Eric»-Tre Erici di c.a 1 ha) sono tutti compresi in un unico perimetro naturalmente difeso che viene così a racchiudere una superficie di c.a 8 ha: è questa vasta area che deve considerarsi l'unità di base dell'occupazione, forse interamente percepita e valorizzata fin dalla media Età del Bronzo; in proposito va ricordato che la formazione terminale del sistema orografico, Monte Fortino, pur non godendo per intero di analoghe caratteristiche di isolamento dal fondovalle (e il cui raccordo al Pian di L. è stato modificato da una trincea ferroviaria) ha restituito in superficie frammenti ceramici dell'Età del Bronzo.
Per il Neolitico, come per le successive fasi dell'Età del Rame e del Bronzo Antico, le conoscenze finora acquisite nella regione non permettono di comprendere se e in che modo l'occupazione di luoghi strategici come L. facesse già parte di un quadro insediativo consapevole e pianificato.
Per quel che riguarda le fasi piena e tarda dell'Età del Bronzo il territorio al centro del quale era L., valutabile in non meno di 50 km2, confinava con i territori di pertinenza di altri abitati della prima categoria dimensionale sistemati su pianori o alture isolate, quali l'Uliveto di Cencelle (Tarquinia), la lingua tufacea di Blera-Petrolo, e la castellina di San Giovenale (Blera).
Il sito di L. esemplifica chiaramente le condizioni di conservazione che accomunano quasi tutti gli abitati su pianoro isolato della regione: la superficie rocciosa coperta da una esigua coltre di terreno vegetale ha subito un profondo degrado a causa della progressiva erosione. Restano ben conservate e suscettibili di indagine archeologica solo le strutture più profondamente intagliate nel sottofondo compatto e alcuni limitati settori protetti da maggiore interro, che non sono sufficienti a fornire indicazioni soddisfacenti sull'organizzazione planimetrica dell'abitato nelle diverse fasi. Solo una parte del materiale archeologico, per lo più definitivamente disperso, può poi conservarsi nelle stratificazioni secondarie dei detriti di falda, meritevoli di indagini specifiche.
A proposito delle «case lunghe», delle cui strutture come noto si è conservata solo una trincea discontinua intagliata nel banco tufaceo che divide trasversalmente il Pian di L., e per le quali non può essere negato l'uso abitativo a partire dal Bronzo Medio, S. M. Puglisi e, in seguito, studiosi che si ispirano alla sua figura, hanno messo in evidenza una possibile funzione originaria di fossato difensivo.
L'«edificio monumentale» dell'Età del Bronzo Finale è stato fin dalla scoperta interpretato come residenza di un capo della comunità o comunque di un personaggio eminente; è stata altresì ipotizzata la sua natura di luogo di culto, anche in considerazione della funzione religiosa accertata per le epoche successive. L'analisi dei resti faunistici ivi rinvenuti ha in seguito lasciato supporre per il vasto ambiente sotterraneo una utilizzazione come magazzino di carni sottoposte a procedimenti di conservazione non in contrasto peraltro con quella già prospettata di residenza di personaggi preminenti, sebbene la funzione di magazzino comunitario possa prescindere dal diretto controllo di determinati individui o gruppi parentelari. Nonostante l'attendibilità stratigrafica postulata dagli scavatori, è stata tuttavia avanzata anche l'ipotesi di una funzione di bacino di riserva idrica, eventualmente di epoca successiva, riempitosi con terreno contenente materiale del Bronzo Finale.
Per quel che riguarda le testimonianze funerarie, mentre restano a tutt'oggi singolarmente ignote le aree sepolcrali dell'età di massima fioritura dell'abitato, il Bronzo Finale, alla piccola tomba a camera affacciata sul dirupo meridionale del Pian di L., di cui era stata immediatamente notata la tipologia pre-etrusca, e in seguito ipoteticamente riferita da R. Peroni al Bronzo Recente, si devono aggiungere come pertinenti a L. i piccoli raggruppamenti di tombe a camera del pianoro del Vignolo (posto immediatamente a E di Fornicchio) e di Pontone Spaderna, oltre il corso della Vesca. Solo queste ultime hanno restituito qualche frammento ceramico, ancora inedito, mentre le altre sono state rinvenute tutte svuotate. Si tratta comunque di attestazioni sufficienti per affermare, anche alla luce di nuove acquisizioni dalla regione (tomba a camera di Farnese), che alcuni gruppi parentelari della media Età del Bronzo praticassero la deposizione plurima in camere ipogee.
È più difficile, in assenza di scavi, provare il possibile carattere funerario di alcuni degli antri di Ponton della Noce, località posta a poco più di un chilometro dal baluardo del Fornicchio, in prossimità del torrente Vesca; il sito potrebbe corrispondere semplicemente a uno dei numerosi abitati minori, a carattere anche non stabile, che rientravano nel territorio di Luni.
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