LUNA, Antonio de, conte di Caltabellotta
Nacque da Artale e Margherita Peralta, il cui matrimonio, stipulato nel 1404, si inseriva nelle strategie politiche e di controllo territoriale della restaurata monarchia siciliana.
Margherita era figlia di Niccolò Peralta, quarto conte di Caltabellotta, morto nel 1398 senza discendenza maschile. La sua famiglia, di origine catalano-aragonese, si era insediata in Sicilia nel 1326 e aveva ottenuto il titolo comitale di Caltabellotta e un ruolo politico di primo piano tra le famiglie della maggiore aristocrazia isolana al punto da imparentarsi con la casa regnante: Niccolò era infatti nato dal matrimonio fra Guglielmo Peralta ed Eleonora d'Aragona, nipote di re Federico III. Artale era invece figlio di Fernando López de Luna, fratello, sebbene di nascita illegittima, di Maria, sposa di Martino duca di Montblanc, più tardi succeduto al fratello Giovanni I sul trono d'Aragona (1396). Fernando López partecipò alla spedizione del 1392 che condusse in Sicilia il duca di Montblanc e il figlio di questo, Martino I, unitosi in matrimonio con la regina Maria, figlia ed erede di Federico IV. In origine Artale aveva sposato de futuro Giovanna, primogenita di Niccolò Peralta e sua erede universale, che morì prematuramente nel 1401. Egli si unì allora a Margherita, seconda nella linea di successione. In questa occasione Artale riuscì ad avere la meglio su prestigiosi rivali grazie al pieno sostegno della Corona, che mirava a stabilire un controllo sulla notevole eredità di Peralta attraverso l'unione della sua legittima erede e discendente con un fedele membro collaterale della casa regnante. Artale, divenuto conte di Caltabellotta, dopo gli anni difficili dell'interregno siciliano si distinse fra i comandanti della flotta che combatté in Sardegna e in Corsica e nelle prime spedizioni di Alfonso V il Magnanimo per la conquista del Regno di Napoli.
I termini post e ante quem per la nascita del L. si ricavano dal testamento di Artale, stilato a Sciacca nel febbraio 1420, dove veniva nominata erede universale la figlia Antonella. Questa decisione fu corretta con un codicillo redatto il 1( dic. 1422, col quale si nominava erede universale il figlio Antonio, nato legittimamente dopo la stesura del primo testamento, e si indennizzava la primogenita con 10.000 fiorini per la dote. Sulla base di questa fonte, che ha consentito di collocare la data di nascita del L. all'inizio del terzo decennio del XV secolo, non sembra dunque possibile identificarlo, come fa invece lo Zurita, con l'omonimo personaggio che si distinse nel 1423-24 nella difesa di Gaeta, assediata dalle forze genovesi e angioine e poi abbandonata dall'esercito di Alfonso V.
Dopo la morte di Artale, che avvenne con tutta probabilità nel terzo decennio del Quattrocento, Margherita Peralta sposò Antonio Cardona. Il L. si unì poi in matrimonio con la figlia di questo, Beatrice, dalla quale nacquero Carlo, Sigismondo, Pietro ed Eleonora. Nella Descrizione della città di Napoli e statistica del Regno nel 1444 (in Dispacci sforzeschi da Napoli) il L. figura, al comando di 25 lance, nell'elenco degli uomini armati al servizio del sovrano. Nell'ottobre 1446 il L. è menzionato fra i testimoni del privilegio con cui Alfonso V confermava i capitoli presentati da Simone Beccadelli di Bologna arcivescovo di Palermo, Federico Abbatelli conte di Cammarata e da altri ambasciatori a nome del Regno siciliano.
La frequente partecipazione del L. alle legazioni inviate dalla Sicilia presso il re testimonia il ruolo di primo piano che egli seppe conquistare nello scenario politico locale e, al tempo stesso, la benevolenza di cui godeva a corte in virtù della tradizionale fedeltà della sua famiglia nei confronti dei sovrani aragonesi.
Nel 1447 il L. ebbe il prestigioso incarico di partecipare alla missione diplomatica che Alfonso V inviò a Roma per l'elezione del papa Niccolò V.
Divenuto nel frattempo camerlengo, nel 1451 il Parlamento, riunito a Palermo dal viceré López Ximen de Urrea, designò il L. fra gli ambasciatori inviati presso il re per ottenere la conferma dei capitoli votati dall'Assemblea in cambio di un donativo di 150.000 fiorini da versare in otto anni. La stessa ambasceria guadagnò inoltre, il 2 marzo 1451, il perdono di Alfonso V per la città di Palermo, rea della violenta sollevazione del 20 apr. 1450. Anche nel 1452 il L. partecipò alla legazione incaricata di ottenere l'assenso del re ai capitoli votati dal Parlamento convocato da Ximen de Urrea in Palermo.
Nel 1453 il L. ricevette da Simone Beccadelli, presidente del Regno, l'investitura della contea di Caltabellotta, ereditata dalla madre, della terre di Giuliana e Bivona, dei feudi di Taya, Comicchio e San Bartolomeo e dei fortilizi di Burgimilluso, Misilcassim e Gristia. Al controllo di questi territori, cui va aggiunta la terra di Sambuca, si sommò nel 1457 la concessione dell'esercizio dell'alta e bassa giustizia civile e criminale sulla giudecca di Sciacca.
L'investitura regia legittimava il controllo da parte del L. del vasto territorio della Sicilia centroccidentale su cui egli fondava il proprio potere e che aveva il suo centro principale nella città di Sciacca. Si ricomponeva così ufficialmente, sotto il controllo del L., la vasta signoria su cui i Peralta avevano dominato per gran parte del XIV secolo.
Nel 1455 il L. prese parte all'ambasceria che per volere del sovrano raggiunse Roma in occasione dell'elezione pontificia di Callisto III. Nel febbraio 1457 il L. è menzionato, coi titoli di camerlengo e gran connestabile di Sicilia, fra i testimoni del privilegio col quale Alfonso V confermava i capitoli presentati dagli ambasciatori del Regno siciliano. Nel maggio dello stesso anno, nel pieno dei preparativi per la spedizione antigenovese, Alfonso V affidò al L. e ad altri nobili di Napoli e Sicilia 3000 ducati ciascuno per armare alcune galee. Passato nel luglio in Sicilia per l'arruolamento dell'equipaggio, il L. completò rapidamente l'incarico affidatogli: nell'agosto la sua galea era nel porto di Napoli pronta per essere impiegata contro Genova.
Con la morte di Alfonso V (27 giugno 1458) mutarono gli assetti interni ai domini della Corona aragonese: per volontà del sovrano, infatti, il figlio naturale Ferdinando ascese al trono di Napoli, mentre i territori iberici e la Sicilia furono soggetti all'autorità del fratello Giovanni II. Nel luglio 1458 sbarcava in Sicilia Carlo de Viana, nato dal primo matrimonio del nuovo sovrano aragonese con Bianca di Navarra e da lungo tempo in conflitto col padre. Ispirati da Ximen de Urrea, alcuni potenti baroni siciliani si raccolsero attorno al principe: fra essi vi erano Carlo, figlio del L., Guglielmo Raimondo Moncada, Antonio e Fernando Ventimiglia e altri esponenti del ceto dominante strutturatosi durante l'epoca dei Martino (il Vecchio e il Giovane, 1392-1410). Nell'ottobre Carlo de Viana stabilì la propria corte a Sciacca, centro della signoria del Luna. Un Parlamento straordinario, convocato in Sicilia nello stesso periodo, deliberò la fedeltà al nuovo sovrano e l'invio di un'ambasceria che avrebbe dovuto accompagnare il principe ormai in procinto di lasciare l'isola.
La legazione, guidata dal L., dal Moncada e da Simone Beccadelli, completata da rappresentanti delle città di Messina, Catania e Palermo, avrebbe avanzato le seguenti richieste: il raggiungimento di una piena riconciliazione fra il re e Carlo de Viana; la nomina di questo a vicario regio e governatore in Sicilia; la costituzione di un patrimonio per il suo mantenimento e la definizione di una legge generale per permettere al primogenito del sovrano di risiedere in Sicilia e di governare l'isola. Intanto, il 18 dic. 1458, Giovanni II aveva introdotto in Sicilia il figlio Ferdinando, nato dall'unione con Giovanna Henríquez. Pietro di Bezalù, che Alfonso V aveva creato gran siniscalco di Sicilia, donò a questo il contado di Augusta e Melilli e numerosi feudi in Val di Noto. Carlo de Viana, di contro, lasciò la Sicilia solo nel luglio 1459, diretto in Sardegna e poi a Maiorca. Alla fine del 1459 Bernardo de Requesens e Ximen de Urrea trattavano la concordia fra Giovanni II e il suo primogenito. Il sovrano riuscì comunque abilmente a bloccare la crisi almeno in Sicilia: la legazione isolana ottenne infatti notevoli concessioni in cambio del giuramento di fedeltà alla Corona nel gennaio 1460. Il re, che in tale occasione aveva promesso di mantenere i privilegi, le libertà e le immunità del Regno di Sicilia, confermò nel febbraio dello stesso anno i capitoli votati dal Parlamento siciliano nel 1458.
Il L. morì con tutta probabilità nel 1464: un documento dell'agosto di quell'anno riferisce infatti dell'avvenuta successione del figlio Carlo nel controllo del feudo fortificato di Misilcassim. Fu proprio il primogenito a succedergli nel titolo comitale di Caltabellotta.
Un episodio della vicenda biografica del L., sul quale la tradizione locale ha costruito una leggenda, merita una particolare attenzione al fine di accertare gli eventi che, sulla base della documentazione superstite, si possono ritenere effettivamente accaduti: si tratta del cosiddetto "primo caso di Sciacca", così chiamato per distinguerlo dal secondo e ben più grave che oppose nel 1528-29 Sigismondo de Luna e Giacomo Perollo. Secondo la tradizione, la rivalità tra le famiglie dei de Luna e dei Perollo risalirebbe agli inizi del XV secolo: Giovanni Perollo avrebbe voluto sposare Margherita Peralta, destinata però dalla Corona a unirsi ad Artale de Luna. Perollo avrebbe causato di conseguenza nel 1409 per avvelenamento la morte del rivale. In seguito, la contrapposizione fra le due famiglie sarebbe proseguita con i rispettivi eredi e avrebbe coinvolto l'intera città di Sciacca, divisasi in due opposte fazioni. Nell'aprile 1459, durante una processione religiosa, il L. fu percosso e ferito da un manipolo di armati; solo l'intervento immediato dei suoi familiari gli salvò la vita. Secondo la leggenda, giunta la processione in prossimità della residenza di Pietro Perollo, il L. e i suoi seguaci avrebbero insultato e provocato il rivale; ne sarebbe nato uno scontro violento conclusosi col ferimento del L. e con la fuga di Perollo dalla città. La vendetta del L. non tardò ad arrivare: insieme coi suoi sostenitori, a causa dell'assenza da Sciacca di Perollo, egli riversò la propria rabbia contro i beni e i seguaci di quest'ultimo, provocando un centinaio di morti. Ne sarebbe derivata per entrambi la condanna all'esilio e la confisca dei beni. Si trattò però di un bando effimero: poco dopo fu infatti concesso al L. e a Perollo di tornare in Sicilia. Per quanto concerne l'antefatto relativo alla rivalità fra Giovanni Perollo e Artale de Luna, emerge subito un'incongruenza fra la data presunta di morte di quest'ultimo, che la tradizione riferisce al 1409, e quella reale, collocabile come detto nel corso del terzo decennio del secolo. Per quanto riguarda invece l'episodio che oppose il L. a Pietro Perollo, soccorre un documento del viceré Ximen de Urrea emanato a Palermo il 4 apr. 1459. Esso consente anzitutto di datare correttamente il fatto, tradizionalmente riferito da vari autori al 1455 o al 1458. Inoltre esso offre una narrazione scarna ed essenziale dell'episodio: vi si riferisce della grave aggressione al L. durante la processione religiosa, ma si tace sull'identità degli aggressori o sul loro eventuale mandante. Il viceré inviò prontamente a Sciacca il cavaliere e conte palatino Giacomo di Costanzo, luogotenente del maestro giustiziere, al fine di istruire un processo, individuare e punire coloro che si erano resi colpevoli di un grave delitto contro il L., di cui si ricordano i titoli di gran connestabile del Regno e di membro del Consiglio regio. Il dispaccio di Ximen de Urrea consente dunque di accertare il grave agguato teso contro il L. nel 1459, ma non si hanno d'altra parte notizie certe sulla sua eventuale vendetta o sulla condanna all'esilio per i responsabili dell'episodio. Quest'ultima appare in vero per il L. piuttosto improbabile: la sua attiva partecipazione alle delicate vicende politiche siculo-iberiche del 1459-60 dimostra anzi l'immutata autorevolezza con cui il L. continuò a esercitare la sua influenza e il suo potere.
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