ZANDOMENEGHI, Luigi.
– Nacque a Colognola ai Colli (Verona) il 20 febbraio 1779, da Pietro e da Caterina Gonzato o Conzato (Rizzioli, 2016, p. 512). Fonti dell’epoca narrano che la famiglia del padre fosse agiata e che discendesse «dai Dominici di Toscana, a cui appartennero uomini illustri nelle armi ed un valente pittore, nonché quel famigerato cardinale Giovanni, in memoria del quale la famiglia si aggiunse il suo nome e si chiamò Giandominici» (Beltrame, 1852, p. 91).
Grazie alle disponibilità economiche, Luigi venne avviato allo studio della pittura, delle lettere e della meccanica (Cenni biografici..., 1851), fino a quando un’improvvisa crisi economica estinse il patrimonio di famiglia costringendo gli Zandomeneghi a chiedere estremo aiuto a un parente «che li tenne in conto di servi» (Sorgato, 1858, p. 272). Dal 1786 al 1795 Luigi si vide impegnato come contadino e allevatore fino a quando «all’età di dodici anni ottenne a fatica di essere mandato a Verona, in qualità di garzone presso un carrozziere»; da qui passò a lavorare da un intagliatore e poi alla bottega di Gaetano Muttoni, dove venne notato da Gaetano Cignaroli, il quale persuase il padre a mandarlo a Venezia.
Nel 1795 si trasferì a Venezia e venne ammesso come garzone alla bottega di Giovanni Ferrari detto il Torretti. Contemporaneamente a questo apprendistato, s’iscrisse ai corsi serali della scuola del nudo alla locale Accademia di belle arti. Nel 1796 troviamo per la prima volta il nome di Zandomeneghi a fianco di quelli del maestro Giovanni Ferrari e dei colleghi scultori Bartolomeo Ferrari e Andrea Monticelli.
A partire dal 1797, negli anni corrispondenti a quelli della caduta della Serenissima e dell’arrivo dei francesi e poi degli austriaci, Zandomeneghi cominciò a vincere i primi premi ai concorsi per i plastificatori di fine anno e nel 1805 venne eletto nella rosa dei quattro professori che a turno, un mese ciascuno, impartivano le lezioni di nudo agli allievi. Questo incarico lo ottenne dopo aver presentato in Accademia un Genio dell’arti belle, scendente dal cielo a coronare Canova. Oltre alle aule accademiche, prive di una raccolta didattica per l’esercizio della copia per pittori e scultori, Zandomeneghi frequentò, come gli altri artisti, le sale di palazzo Farsetti, al cui interno si conservava la famosa collezione di terrecotte e gessi presi dall’antico.
A questi anni, tra la fine del XVIII secolo e i primi dell’Ottocento, risalgono gli stretti legami con Girolamo Ascanio Molin, letterato e grande collezionista, e con il conte Tommaso degli Obizzi; i due amici garantirono a Zandomeneghi protezione, commissioni e conoscenze tra i collezionisti e committenti veneziani. Il legame con Obizzi è testimoniato dalle numerose lettere che ancora oggi si conservano alla Biblioteca civica di Padova. Esse, oltre a confermarci la passione archeologica del conte, rivelano che Zandomeneghi funse per lui da consulente, da agente di mercato a Venezia e da restauratore di statue antiche. Da qui e dallo studio della statuaria Farsetti nasce l’aneddoto riportato nelle biografie dello scultore: «alcune opere commesse allo Zandomeneghi da qualche antiquario [...] furono scambiate per antiche ed ingannarono anche i più intelligenti, fra’ quali lo stesso Canova» (Beltrame, 1852, p. 92). Caduto in disgrazia Molin, dopo la fine della Serenissima, e morto prematuramente Obizzi nel 1803, Zandomeneghi si vide mancare la sicurezza lavorativa ed economica.
Nel 1805 sposò Maria Ghislanzoni, figlia di Andrea, agente commerciale del conte Obizzi, dalla quale ebbe otto figli.
Tra il 1805 e il 1819 sappiamo che si dedicò, in tempi di ristrettezze, alla statuaria da giardino, alla decorazione in stucco e alla fusione di metalli. Nel 1807, in occasione dell’arrivo di Napoleone Bonaparte in Laguna, Zandomeneghi, in équipe con Giuseppe Borsato, ornatista, e con i colleghi Bartolomeo Ferrari e Antonio Bosa, si occupò della decorazione effimera delle ‘macchine’ galleggianti per le parate acquee per l’imperatore. Nel 1809, così come gli scultori Bosa, Ferrari e Domenico Banti, partecipò al concorso per la statua monumentale dedicata a Napoleone voluta dalla Camera di commercio di Venezia. Seppur protetto dallo scultore Angelo Pizzi, dal 1807 professore di scultura in Accademia, si vide surclassato da Banti.
Dal 1812 Zandomeneghi ricoprì l’incarico di professore di scultura presso l’Arsenale, seguendo i giovani artigiani e scultori per le decorazioni lignee delle navi dell’Impero. Nel 1813 eseguì, su commissione dello storico e antiquario francese Aubin-Louis Millin, decine di disegni, oggi conservati alla Biblioteca nazionale di Parigi, che ritraggono le più prestigiose opere antiche presenti nelle collezioni pubbliche e private di Venezia. Nello stesso periodo anche Leopoldo Cicognara, presidente dell’Accademia, si servì di lui per i disegni delle opere veneziane, tradotti poi in incisioni per l’illustrazione dei suoi volumi della Storia della scultura.
Caduto Napoleone e perso di conseguenza il suo insegnamento in Arsenale, Zandomeneghi si legò a Giuseppe Battagia, console pontificio, editore e collezionista, che gli procurò una serie di commissioni. Per lui realizzò un bassorilievo raffigurante Il trionfo della Religione (gesso, Padova, Musei civici agli Eremitani), regalato a papa Pio VII. Nello stesso periodo realizzò «l’Aurora, l’Innocenza, due Deposizioni dalla Croce, molti modelli, il busto colossale dell’Aglietti, quello di Gai» (Sorgato, 1858, p. 273) e una serie di disegni e incisioni pubblicate e distribuite in fascicoli tra il 1817 e il 1818 per l’opera Ossian. I Canti. Pensieri d’un anonimo, disegnati ed incisi a contorno.
Nel 1816 fu a Roma, forse per accompagnare il suo bassorilievo per il papa, e vi rifiutò l’offerta di Antonio Canova di aprirgli uno studio, perché legato ad alcune commissioni a Venezia. Nello stesso anno portò a compimento il Monumento a Francesco Paiola per l’Ateneo Veneto a Venezia e in quello successivo partecipò, assieme a molti artisti veneti di successo tra cui Canova, al prestigioso ‘Omaggio delle provincie venete’ per il quarto matrimonio dell’imperatore d’Austria Francesco I. A Zandomeneghi venne affidata la realizzazione di un Vaso ornamentale con bassorilievo raffigurante le Nozze Aldobrandine (1817, Vienna, Bundesmobilienverwaltung, Hofmobiliendepot, Möbel Museum).
Nel 1819, assieme ai colleghi Bosa e Ferrari, Zandomeneghi realizzò alcune delle statue degli Apostoli nella chiesa del Nome di Gesù a Venezia e i due Arcangeli all’entrata dell’edificio. Nello stesso anno, alla morte di Pizzi, venne eletto professore di scultura presso la locale Accademia di belle arti, incarico che mantenne per tutta la vita. Nella stessa Accademia, nel 1821, fu eletto membro della Commissione di pittura e della Commissione di scultura, preposte al giudizio sulle opere che giungevano in sede, sui restauri o altro. Tra il 1821 e il 1825 inventò un nuovo compasso utile agli scultori per riportare i punti sulle statue e un carro senza ruote per il trasporto dei grandi massi lungo strade non carrabili, migliorò inoltre l’argano e il bilico, e infine venne premiato, con medaglia d’oro, dall’I.R. Istituto di scienze, lettere ed arti per l’invenzione del compasso per la voluta ionica.
Dopo il 1819 le commissioni si succedettero rapidamente, tanto da dover ricorrere all’aiuto dei suoi allievi. Tra i tanti collaboratori si ricordano Innocenzo Fraccaroli, Antonio Giaccarelli, con il quale lavorò al Monumento del marchese Gabriele de Chasteller (1825, Venezia, basilica dei Ss. Giovanni e Paolo), Antonio Bianchi e Giacomo Spiera, cui affidò tutti gli ornati del Monumento di Tiziano, e tanti altri.
Nel 1821 progettò con un disegno l’Arcangelo Gabriele per il campanile di S. Marco, poi realizzato da Andrea Monticelli. Nel 1822 realizzò due dei cinque bassorilievi rappresentanti episodi dell’Odissea per palazzo Papafava a Padova; il Monumento dell’arcivescovo-principe Karl Theodor von Dalberg (1822, Ratisbona, cattedrale). Seguirono il Ritratto di Marianna Pascoli (post 1822, Treviso, Museo civico) il Busto di Canova (1823, Treviso, Ateneo Veneto), l’Omaggio a Canova (1824-28, Bassano del Grappa, Museo civico), il Ritratto di Giustina Renier Michiel (1825, collezione privata; gesso, Venezia, Museo Correr), le statue della Carità e della Fede per uno degli altari del duomo di Castelfranco Veneto (1826-30), il Monumento di Giovanni Battista Grigno (Cittadella, duomo), il Monumento a Cicognara (1827, Venezia, Gallerie dell’Accademia), parte della decorazione della chiesa di S. Maurizio a Venezia (1828), il Monumento a Carlo Goldoni (1830, Venezia, teatro La Fenice), la Madonna del Rosario (1834-36, Venezia, chiesa di S. Giovanni Elemosinario), i due Angeli per la chiesa di Cavasagra (Treviso), il Monumento di Massimilla Guidoboni Visconti Galvagna (Venezia, cimitero di S. Michele), il gruppo figurante la Pace realizzato senza commissione (1841 circa). Dal 1822 al 1827 prese parte all’impegnativo Monumento di Antonio Canova, per il quale vennero coinvolti sei dei più illustri artisti veneti che in diversi modi erano stati legati al maestro. A Zandomeneghi vennero affidate le statue della Pittura e dell’Architettura per le quali fu pagato 600 luigi. Il monumento venne inaugurato il 1° giugno 1827 nella basilica dei Frari a Venezia.
Tra il 1829 e il 1834 Zandomeneghi, su incarico del governo austriaco, restaurò il monumento a Bartolomeo Colleoni a Venezia, occupandosi in particolare del ripristino del fregio bronzeo di Alessandro Leopardi. Contemporaneamente s’interessò di miologia, osteologia ed estetica e pubblicò il trattato Del bello nella pittura e nella scultura: ricerche e intrattenimenti (1833-1834). L’iconografia di alcune immagini fu tradotta in disegno dallo stesso Zandomeneghi, su tavole incise al tratto inserite tra un fascicolo e l’altro. Del periodo dal 1834 al 1839 si hanno scarse notizie sullo scultore, ma è noto che egli era assorbito dalla didattica e che nel 1837 fu impegnato nei lavori di restauro del teatro La Fenice, devastato da un incendio nel 1836.
Nell’agosto del 1838, dopo l’incoronazione a Milano, l’imperatore Ferdinando I si spostò a Venezia per visitare la città. Terminato il viaggio, il 26 febbraio 1839, per sua volontà, venne pubblicato il bando di concorso per la realizzazione di un maestoso monumento in marmo in onore di Tiziano da collocare nella basilica dei Frari. Tra le accese dispute degli intellettuali, fu emesso un bando al quale risposero, con i loro progetti, Pietro Bearzi, Giuseppe Bernardo di Tissano, Antonio Bosa, Luigi Piccoli assieme a Antonio Marsure, Bartolomeo Bongiovanni, Francesco Bosa e Zandomeneghi. Approvato il progetto anche dall’imperatore, l’esecuzione del monumento fu affidata a Zandomeneghi nel marzo del 1842. A lui si affiancarono i figli Pietro (1806-1866) e Andrea (1814-1864). L’opera assorbì totalmente gli ultimi anni di attività dell’artista, pur sempre impegnato in Accademia e nell’allestimento del Museo archeologico a palazzo ducale. In seguito a numerose traversie dovute ai cambi di governo e alla sua salute precaria, il monumento venne portato a termine dai figli dopo la sua morte nel 1852.
Il 14 giugno 1847 Zandomeneghi venne colpito da un attacco di apoplessia che gli impedì di continuare a lavorare, venendo sostituito in Accademia e nell’esecuzione del Monumento di Tiziano dal figlio Pietro.
Morì il 15 maggio 1850, colpito da un secondo attacco, nella sua abitazione di Rio Marin a Venezia.
Zandomeneghi fu socio degli atenei di Treviso, Rovigo e Verona; nel 1838 l’imperatore Ferdinando I lo decorò con l’ordine di prima classe del merito civile e lo fregiò del titolo di consigliere imperiale di belle arti; venne eletto socio delle Accademie di Vienna (1838), Milano (1838), Bologna, Firenze, Modena (1847) e membro della Magnifica Congregazione dei Virtuosi al Pantheon (1842). Nel 1842, a Roma con il figlio Pietro, papa Gregorio XVI lo decorò con una medaglia d’oro.
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