LUIGI XI re di Francia
Nato a Bourges il 3 luglio 1423, morto a Plessy-lez-Tours il 30 agosto 1482. Pervenne al trono nel 1461, già trentottenne, dopo la morte del padre, Carlo VII. Il regno di Luigi XI, come già quello di suo padre, è contrassegnato da una ripresa della potenza della Francia in Europa e da un rafforzamento della monarchia all'interno. Durante la lunga attesa della morte del padre e quindi del proprio avvento al potere, il delfino L. manifestò atteggiamenti di netta opposizione alla politica e all'operato di Carlo VII. Prese parte perfino ad alcune cospirazioni miranti a eliminare il padre dal trono e a costringerlo a cedere il potere al delfino. Per queste ragioni, Carlo VII lo mandò nel Delfinato col compito di organizzare la provincia e d'imporre alla popolazione e specialmente alla nobiltà, alquanto inquieta e insofferente del potere superiore, il mantenimento dell'ordine e l'obbedienza al potere centrale. Tale compito venne assolto dal delfino felicemente, benché talvolta dovesse adoperare misure di rigore contro i feudatarî e soprattutto contro i vescovi recalcitranti, abituati fino allora ad un'esistenza quasi del tutto indipendente. D'altra parte, però, il delfino non smise d'intrigare contro il padre e di contrastare i suoi disegni politici, specialmente nel campo dei rapporti esteri. In questo momento L. era già vedovo (la sua prima moglie, Margherita di Scozia, era morta giovane), e, contrariamente al volere del padre, si fidanzò con Carlotta di Savoia, figlia del duca Ludovico, sperando evidentemente di acquistare influenza in questo paese e fors'anche di poterlo annettere più tardi al Delfinato. Nell'Italia settentrionale il delfino concluse una stretta alleanza con Francesco Sforza, che Carlo VII rifiutava di riconoscere e trattava da usurpatore. Tutti questi fatti inasprirono i rapporti fra il re Carlo VII e il delfino, tanto che, a un certo momento, L. credette che la sua libertà fosse in pericolo. Abbandonò allora il Delfinato e si rifugiò nel territorio del duca di Borgogna, Filippo il Buono, che lo accolse assai cordialmente. Qui L. visse, insieme con la moglie Carlotta e in continui contatti amichevoli col duca di Borgogna e col figlio di lui, il conte di Charolais, il futuro duca Carlo il Temerario, nel castello di Genappe (nel Brabante), aspettando per cinque anni la morte del padre.
Arrivato finalmente al potere, L. allontanò tutti i più fedeli consiglieri di Carlo VII (cosa che rimpianse più tardi) e cominciò a disfare in molti punti quello che aveva fatto il padre: abrogò, per es., la cosiddetta Prammatica Sanzione (opera di Carlo VII) che garantiva l'indipendenza della chiesa gallicana. Più tardi però anche in questa materia L. dovette tornare alla politica del padre e ristabilire di fatto i principî della Prammatica Sanzione. Nella vita interna del regno L. ebbe ad affrontare, già pochi anni dopo l'avvento al potere, un vasto movimento d'opposizione (la cosiddetta Lega del pubblico bene), diretto soprattutto dai duchi di Borgogna e di Bretagna e mirante a sostituire al re il fratello Carlo, nonché a indebolire il potere centrale, che, sotto la mano energica di Luigi XI, cominciava già a manifestarsi assai rigido. Le coalizioni dei duchi furono la maggiore minaccia per il potere di L., specialmente quando venivano sostenute dal re d'Inghilterra, il quale non domandava di meglio che di poter indebolire la monarchia francese e di tornare alle condizioni precedenti la liberazione della Francia dal dominio inglese, avvenuta verso la fine della guerra dei Cento anni. Ma Luigi non si decise mai ad affidare il conflitto coi duchi alla sorte di una battaglia; preferì addivenire ad accomodamenti anche senza ottenere un trionfo, nella speranza che le forze degli avversarî si logorassero. E infatti anche il movimento della Lega del pubblico bene si concluse con un accomodamento, in base al quale Carlo di Francia, fratello del re, ebbe il ducato di Normandia, invece del Berry, e Carlo il Temerario riebbe le città della Somma, solo 9 anni prima ricomprate dal duca di Borgogna. Ma Carlo di Francia non ebbe in realtà la Normandia, che era pericoloso affidargli per una sua possibile alleanza con l'Inghilterra, e L. decise di mantenere la Normandia nelle proprie mani e di ricompensare il fratello col ducato della Guienna. Rimaneva la questione della Borgogna. Carlo il Temerario dovette continuamente affrontare ribellioni, sia da parte delle città della Fiandra, sia, e soprattutto, di Liegi. Nello stesso tempo egli cominciò a invadere il territorio del regno, apparentemente per difendere i proprî ex alleati, i duchi di Bretagna e Carlo di Francia duca di Normandia; ma le sue forze cominciavano a logorarsi. L., che stava osservando la situazione e non intendeva precipitare gli eventi, gli propose un convegno, per una pace stabile e duratura. Nello stesso tempo però mandava alcuni agenti a Liegi, per incitare la popolazione a ribellarsi contro Carlo il Temerario. Il convegno ebbe luogo a Péronne nel castello del duca. Questi, alla notizia dei fatti di Liegi, ordinò di chiudere le porte della città e del castello e tenne il re L. prigioniero di fatto. In tali circostanze L. fu costretto a firmare una pace con Carlo il Temerario e ad acconsentire ad accompagnarlo a Liegi, per assistere alla vendetta del duca. Inoltre cedette alcuni diritti su una parte della Piccardia e riconobbe la piena validità della giurisdizione del duca e alcuni altri diritti che esimevano quasi del tutto il ducato dalle norme generali vigenti nel regno di Francia; tutte concessioni queste che si opponevano nettamente alle tendenze unificatrici di Luigi. L'unico vantaggio conseguito da L. nel trattato di Péronne fu la rinunzia da parte del duca di Borgogna ad ogni alleanza col re d'Inghilterra. Ma in sostanza il trattato di Péronne, estorto al re in circostanze eccezionali, fu un trionfo per Carlo il Temerario. Naturalmente però le cose non poterono restare a questo punto. Da un lato il duca di Borgogna continuava di fatto le trattative col re d'Inghilterra, d'altra parte il re, considerando Carlo il Temerario come violatore della pace di Péronne e quindi credendosi libero dagl'impegni assunti, mirava a ripristinare il proprio potere nella Piccardia. Le sue truppe occuparono S. Quintino e Amiens. Nel 1472 Carlo il Temerario tentò di occupare la città di Beauvais, ma, dopo un assedio di tre mesi, fu costretto a ritirarsi. Allora egli si diresse verso la Normandia per portare soccorso al duca di Bretagna, ma L. concluse con quest'ultimo una pace, per la quale il duca di Bretagna s'impegnava a non concludere mai alleanze col re d'Inghilterra e con Carlo il Temerario. In questi frangenti moriva. il fratello di L., Carlo, duca di Guienna, il quale, nel desiderio di Carlo il Temerario, avrebbe dovuto sposare la figlia di questo, Maria di Borgogna; e L. assunse l'eredità del fratello e occupò tutto il territorio del ducato. Carlo il Temerario rimase così completamente isolato, salvo dalla parte dell'Inghilterra, che L. credeva l'unico stato veramente e tradizionalmente nemico della Francia. Edoardo IV d'Inghilterra si apprestava a invadere il territorio francese. Ma gli Inglesi, male aiutati da Carlo il Temerario, il quale doveva combattere nello stesso tempo anche nelle parti orientali del suo ducato contro gli alleati del re di Francia, finirono per stancarsi e all'inizio dell'inverno fecero capire a L. che sarebbero stati disposti a trattare. Nella pace di Picquigny (1475) il re d'Inghilterra rinunziò alle esagerate pretese iniziali e acconsentì ad abbandonare il territorio francese dietro il pagamento in contanti di una forte somma. Carlo il Temerario, venne lasciato tranquillo. L. non intendeva fargli guerra, sicuro che il duca di Borgogna si sarebbe impigliato sempre più nelle sue imprese politiche. Infatti, egli aveva contro di sé ormai l'imperatore Federico III, gli Svizzeri, e perfino il vicino duca di Lorena, Renato d'Angiò. Nella battaglia di Nancy (5 gennaio 1477), Carlo fu sconfitto e ucciso. La questione però della spartizione dei suoi dominî era piuttosto complicata. L. desiderava che Maria, figlia di Carlo il Temerario, sposasse il delfino Carlo. Intanto egli iniziò l'occupazione del ducato di Borgogna, della Franca Contea e dell'Artois. Egli trovò, è vero, qualche resistenza nella Franca Contea e nella città di Arras, ma finalmente riuscì ad occupare questi territorî. Nello stesso tempo andava preparando una base giuridica alle sue annessioni, facendo un processo alla memoria del defunto duca di Borgogna e ottenendo una sentenza di condanna "per lesa maestà", con la relativa confisca di tutti i dominî di Carlo il Temerario. Intanto egli si disinteressava del matrimonio di Maria di Borgogna, e non volle o non seppe evitare che essa sposasse l'arciduca Massimiliano, figlio dell'imperatore Federico. Desiderando però accaparrarsi anche la Fiandra, trovò resistenza da parte non solo di Massimiliano, ma anche del re d'Inghilterra, e dovette finalmente rinunziare all'impresa. Comunque, la parte della successione di Carlo il Temerario toccata a Luigi XI fu assai cospicua. La lotta con Massimiliano si protrasse tuttavia per qualche tempo e fu terminata solo nel 1482 col trattato di Arras, in base al quale L. mantenne tutte le annessioni compiute, e Massimiliano s'impegnò di dare la propria figlia Margherita (una bambina di tre anni) in sposa al delfino Carlo, portandogli come dote la Franca Contea e l'Artois. Con questo trattato fu definitivamente compiuta l'opera di smembramento dei dominî della casa di Borgogna. Ma durante ìl regno di L. la Francia fece anche altri acquisti di territorio, perché il re fu favorito da varie circostanze, verificatesi parte nell'interno del regno, parte fuori di esso. Così l'intervento di L. nelle faccende della Catalogna permise al re d'impossessarsi di alcuni territorî (Roussillon e Cerdagne) e più tardi di acquistare una specie di protettorato sul regno di Navarra. Ma L. riuscì anche ad annettere al proprio dominio i possessi della casa d'Angiò. Dopo la morte di Nicola d'Angiò, il vecchio Renato d'Angiò, cosiddetto re di Sicilia, decise di assegnare al proprio nipote Carlo il ducato d'Angiò e la contea di Provenza. Luigi XI mirava da un pezzo al ducato d'Angiò e ora decise di creare il fatto compiuto e di mettere senz'altro le mani su questa provincia. Il re Renato, sospettato, forse a torto, di trattare con Carlo il Temerario, fu messo sotto accusa, e ottenne la completa riabilitazione solo mediante la rinunzia ai ducati di Bar e d'Angiò e l'impegno di non intraprendere mai trattative coi nemici della corona di Francia (1476). Dopo la morte di Renato, il rimanente dei dominî della casa d'Angiò passò al suo nipote Carlo, il quale, col testamento scritto poco prima di morire (1481), lasciò tutti i possessi della casa a L. In questo modo, nel corso di pochi anni, il dominio del re di Francia si accrebbe non solo con le provincie annesse già nel 1476, ma anche con le ricchissime provincie del Maine e della Provenza. L. non dovette nessun acquisto di territorio e nessun accrescimento di potere alla guerra. Fu veramente un re pacifico. E se, alla fine della sua vita, poté vantarsi di aver accresciuto enormemente i dominî della corona di Francia, questo fatto è da attribuirsi alla sua estrema abilità politica. Grande importanza ebbero, nella politica estera di L., i rapporti con gli stati italiani, e particolarmente con Milano, con cui furono ottimi. Lontanissimo dalle mire di dominio diretto che poi nutrirà il suo successore Carlo VIII, L. cercò solo di tenere legati gli stati dell'Italia settentrionale specialmente alla politica francese; ed ebbe in effetto da Francesco Sforza, da lui tenuto in alto conto, aiuti militari durante la guerra del bene pubblico.
Nel campo della politica interna, il suo regno segnò il deciso affermarsi dell'assolutismo regio. Sospettosissimo verso i feudatarî che egli cercò di deprimere in ogni modo, L. cercò invece, riuscendovi, di cattivarsi il favore dei cittadini, coi quali intratteneva anche relazioni di personale amicizia. Nelle città sostenne sempre la ricca aristocrazia commerciale, alla quale non solo permise di conservare il potere, ma concesse ogni sorta di diritti, privilegi, titoli nobiliari, ecc. Era sempre assai preoccupato dello sviluppo economico del paese, e verso la fine della vita concepì il piano di unificare i pesi, le misure, le monete e le consuetudini giuridiche del regno.
Fonti: Le più importanti raccolte di documenti sono le Lettres de Louis XI, pubbl. da J. Vaese ed E. Charavay, voll. 11, Parigi 1883-1909 (Société de l'histoire de France) e le Dépêches des ambassadeurs milanais à la cour de Louis XI, pubbl. da B. de Mandrot, voll. 4, Parigi 1917-1923. Inoltre anche E. Rott, Histoire de la représentation de la France auprès des cantons suisses, I, Parigi 1800. Tra le fonti narrative occupano il primo posto i Mémoires di Ph. de Commynes (ed. da J. Calmette, voll. 3, Parigi 1924-25), amico e confidente del re, e a lui favorevole. Ostilissimo invece al re è il vescovo Basin nella sua Histoire de Charles VII et de Louis XI, ed. da J. Quicherat, Parigi 1857-1859; e naturalmente i cronisti borgognoni, Olivier de la Marche, ecc. (v. carlo di borgogna). Cfr. A. Molinier, in Sources de l'histoire de France, V, pp.1-146.
Bibl.: Dal punto di vista biografico, v. C. Hare, The life of Louis XI, Londra 1907; P. Champion, Louis XI, voll. 2, Parigi 1928. Come sguardo d'insieme sul regno, cfr. Petit-Dutaillis, in Histoire de France di E. Lavisse, IV, p. 2. Assai importante per la politica interna, H. Sée, Louis XI et les villes, 1891; e cfr. anche O. Cramer, Die innere Politik Ludwigs XI. von Frankreich, Colonia 1927. Per la politica estera, A. Desjardins, Louis XI, sa politique extérieure, ses rapports avec l'Italie, Parigi 1874; R. Buser, Die Beziehungen der Mediceer zur Frankreich, Lipsia 1879; A. Sorbelli, Francesco Sforza a Genova: saggio sulla politica italiana di L. XI, Bologna 1901; J. Calmette, Louis XI, Jean II et la révolution catalane, Parigi 1903; J. Combet, Louis XI et le Saint-Siège, Parigi 1903; J. Calmette e Perinelle, Louis XI et l'Angleterre, Parigi 1931.