MORETTI, Luigi Walter
MORETTI, Luigi Walter. – Nacque a Roma il 2 gennaio 1907 da Maria Giuseppina, originaria di Gallo, piccola frazione del Comune di Tagliacozzo in provincia dell’Aquila, e da Luigi Rolland, un ingegnere e architetto di famiglia belga. Secondo alcune testimonianze dei familiari, Moretti nacque settimino il 22 novembre 1906, ma fu registrato soltanto il 2 gennaio (Magnifico, 2010). Il padre non poté dare il suo cognome al figlio, perché già sposato e padre di due figlie, con le quali Moretti mantenne per tutta la vita rapporti di solidarietà, ispirata alla profonda religiosità che lo pervase sempre, grazie ai solidi insegnamenti materni.
Rolland (1852-1921), nato e residente a Roma, autore del palazzo delle poste a piazza Dante, del politeama Adriano e di numerosi villini per l’alta borghesia romana, intorno all’anno 1890, insieme ad altri due soci, aveva costituito la Società immobiliare Bulla-Basilici-Rolland, attiva in quello scorcio di secolo per la costruzione di alcuni edifici nei quartieri Prati e Nomentano, parte della intensa attività edilizia collegata alla realizzazione di Roma capitale nella giovane Italia unita.
Moretti crebbe in via Napoleone III, sul colle dell’Esquilino, nella stessa casa in cui visse per tutta la vita, in un luogo della memoria e degli affetti, dove si trovava anche lo studio professionale del padre. Frequentò dapprima la scuola tecnica, poi il liceo classico presso il collegio S. Giuseppe De Merode e quindi, nel 1925, si iscrisse alla Scuola superiore di architettura di Roma dove in ciascun anno del corso conseguì il premio Palanti, manifestando fin dai primi anni di studio un talento naturale per la progettazione e una passione per lo studio e per la ricerca, cosciente di doversi misurare sempre con la conoscenza storica dell’architettura e con la dimensione quotidiana del costruire. Era ancora studente quando divenne assistente di Vincenzo Fasolo, all’epoca titolare della cattedra di storia e stili dell’architettura. Si laureò con lode nel 1929, con un progetto per un collegio di alta educazione classica presso Grottaferrata, con il quale vinse il premio intitolato a Giuseppe Valadier per la miglior tesi di laurea. Il progetto aderiva perfettamente agli indirizzi accademici, più eclettici che tesi alla modernità, «profondamente italiano nello spirito, non con l’imitare le forme del passato, ma con l’intendere quello che vi è in esse di permanente» (Gustavo Giovannoni, Annuario della R. Scuola di architettura, novembre 1932, in Finelli, 2005, p. 17). Per i tre anni successivi alla laurea fu assistente anche alla cattedra di Giovannoni di restauro dei monumenti.
Nel 1931 ottenne una borsa di studio triennale, istituita dal Governatorato di Roma e dalla Scuola di architettura, grazie alla quale collaborò con Corrado Ricci alla sistemazione dei settori orientale e settentrionale dei mercati Traianei. Nel frattempo si dedicò anche all’edilizia privata e al restauro, per contribuire economicamente alle esigue finanze familiari nelle quali si erano trovati dal 1921, dopo la morte del padre. Lavorò con l’ingegnere Enrico Vallini, amico e collega di Rolland, acquisendo competenze professionali e autonomia nella progettazione; le prime opere che poté firmare furono un villino sulla via Salaria, del 1931, commissionatogli dallo stesso Vallini, che firmò da quel momento solo le strutture, e tre palazzine di abitazione civile a Ostia.
Il villino – in realtà un ibrido dal punto di vista tipologico, presentandosi con una facciata piana sul fronte stradale, senza i dovuti distacchi dal filo del lotto, e con modeste rientranze in copertura, che sono gli elementi richiesti dal regolamento edilizio per i villini, e a motivo dei quali il progetto ebbe un iter complesso per ottenere le autorizzazioni – si caratterizzava per un severo e pesato modernismo. Il fabbricato fu in seguito modificato, successivamente demolito e sostituito in epoca recente.
Per le palazzine al lido di Roma (1932), Moretti adottò un linguaggio inedito, che a fronte di una impostazione apparentemente classicista con cornici, lesene, timpani e modanature, si apriva a una ricerca spaziale risolta nel gioco di volumi arretrati e aggettanti, con profonde logge, segnati da potenti effetti chiaroscurali, che palesavano uno sguardo attento alle coeve esperienze in ambito nazionale, con evidenti citazioni della Ca’ Brutta di Giovanni Muzio.
Nel 1932 abbandonò la carriera accademica e iniziò a partecipare a una serie di concorsi per progettazioni edilizie e urbanistiche, ottenendo numerosi riconoscimenti e consolidando quel talento che aveva dimostrato precocemente fin dai primi anni di studio. Ottenne il secondo premio per il piano regolatore di Faenza, elaborato con Ennio Golfieri, che sarebbe diventato uno dei più noti studiosi dell’arte faentina: un progetto ricco di rilievi di edifici preesistenti e di tavole illustrative raffiguranti quadri urbani di una città nella quale si immaginava la compresenza di residui classici e di moderne atmosfere metafisiche. Ottenne il secondo premio anche nel concorso per il PRG (Piano regolatore generale) di Perugia, in collaborazione con Mario Paniconi, Giulio Pediconi, Luciano Tufaroli. Gli elaborati evidenziavano ancora una volta una tecnica che doveva molto alla rappresentazione tridimensionale del progetto urbanistico, basato sullo stretto legame tra ipotesi di sviluppo urbano e architettura.
Lo stesso gruppo di architetti si presentò alla V Triennale di Milano del 1933 con un progetto per una casa di campagna per un uomo di studio (in Architettura, 1933, fasc. speciale, pp. 49-51), un’opera che rinunciava completamente a ogni eco classicista adottando la purezza delle figure geometriche aperte su un astratto patio posto sul fronte, parzialmente coperto da un grande portale che inquadra l’ingresso.
L’adesione di Moretti al Movimento moderno si può definire moderata, anche se la casa della GIL (Gioventù italiana del littorio) di Roma e l’accademia della scherma sono considerate dei capolavori assoluti nella declinazione italiana del linguaggio razionalista. La critica gli riconosce di essere interprete di una sorta di terza via tra i fautori del razionalismo che nel 1931 avevano presentato il manifesto del MIAR (Movimento italiano per l’architettura razionale) e gli interpreti di una architettura di regime che si piegò a forme monumentali e celebrative. Con Paniconi, Moretti si era schierato a favore del RAMI (Raggruppamento architetti moderni italiani) pubblicando sul quotidiano Il Tevere del 10 maggio 1931 una lettera che accoglieva le critiche del sindacato fascista architetti al MIAR e valorizzava un approccio tradizionale alla progettazione, per non diventare «schiavi delle nuove tecniche». In realtà, la terza via perseguita da Moretti maturò tutta all’interno del proprio personale percorso teorico, favorito dalle numerose occasioni progettuali che scaturirono dall’incontro con Renato Ricci, presidente dell’Opera nazionale Balilla (ONB), poi trasformata in Gioventù italiana del littorio (GIL), che lo scelse per guidare l’ufficio tecnico dell’ente fin dal 1933. Con l’obiettivo di consolidare il consenso al regime, la scelta di dotare le città di edifici a servizio dei cittadini rafforzava l’idea di ‘Stato etico’ che introduceva tra gli strumenti di propaganda anche il concetto di architettura come arte sociale. Balilla e avanguardisti furono sottoposti al più ampio esperimento di educazione di Stato che l’Italia abbia conosciuto. Nel giro di un decennio furono costruite centinaia di case del Balilla; la prima in ordine di tempo di cui fu incaricato Moretti fu la casa della gioventù a Piacenza (1933), «semplice e ardita nella sua cubica struttura», con i diversi nuclei funzionali contraddistinti da colori differenti che vanno dal bianco al grigio all’avorio e con l’elemento di raccordo, un alto arco di aspetto sironiano, dipinto in rosso pompeiano. Quasi contemporaneamente, Moretti ricevette l’incarico per la casa del Balilla a Trastevere.
Si trattava della prima opera di questo genere nella capitale e l’intento programmatico era quello di dotare Roma dell’edificio più moderno d’Italia e addirittura che fosse considerato tra le costruzioni più audaci d’Europa. Indicata dallo stesso Moretti come la prima delle sue opere più importanti e significative, egli la descriveva come un’architettura che respira nelle sequenze dei volumi interni, tutti collegati e originariamente senza interruzioni tra loro: dall’ingresso all’estremo della fabbrica, che acquistava carattere dalla sovrapposizione dei diversi ambienti, nei quali era articolato il complesso programma edilizio. Si assistette, in quegli anni, alla creazione di un nuovo tipo edilizio, quello delle case della GIL, che richiedeva una riflessione sulla funzione oltre che sugli aspetti figurativi. Le sovrapposizioni di volumi e i reticoli spaziali, le visioni attraverso le grandi vetrate di ambienti interni ed esterni in successione, insieme a una corale composizione degli apparati decorativi che annoverano artisti del calibro di Mario Mafai e Orfeo Tamburi, stabiliscono la grammatica del Moretti del primo periodo, che non ancora trentenne aveva già una sua poetica e una cifra linguistica di altissimo livello.
Il suo ruolo di direttore dell’ufficio tecnico dell’ONB gli portò nel 1934 l’incarico della casa del Balilla di Trecate, nel 1935 della casa femminile di Piacenza e, nel 1937, delle case della gioventù a Urbino e a Tivoli. Queste opere vanno inquadrate in un più ampio programma, urbanistico ed educativo, ancora una volta voluto da Ricci, che prefigurava l’inserimento nelle città di sistemi destinati allo sport e che ebbe in Moretti il suo interprete perfetto. Roma fu il luogo dove si mise in atto il programma di maggior respiro che prevedeva, nella vasta area alle pendici di Monte Mario, la realizzazione del foro Mussolini (attuale foro Italico). A Moretti fu affidato dapprima il progetto del piazzale dell’Impero, che doveva dare il giusto ruolo alla fontana della Sfera già realizzata da Paniconi e Pediconi, e poi l’intera rielaborazione del sistema urbanistico del foro.
Il progetto del piazzale tiene insieme contemporaneamente le diverse scale, da quella urbana, che lo inserisce nel complesso paesaggistico come completamento del sistema sportivo- celebrativo al quale venne destinata tutta l’area, a quello del dettaglio decorativo: anche in questa realizzazione Moretti si avvalse del contributo di artisti quali Angelo Canevari, Achille Capizzano, Giulio Rosso, Gino Severini. Il sistema è risolto magistralmente attraverso la creazione di dislivelli minimi, sottolineati dal diverso trattamento della pavimentazione, in marmo nella parte centrale, a mosaico nelle zone laterali, ed è scandito da una doppia fila di blocchi marmorei, undici per ciascuno dei lati e altri sei, di dimensioni maggiori, posti a sottolineare i due ingressi principali, verso l’obelisco e verso la fontana.
Nel 1936, gli fu affidata l’intera rielaborazione del sistema urbanistico del foro, la cosiddetta forma ultima Fori, precedentemente affidato all’architetto Enrico Del Debbio, che comprendeva: lo Stadio dei marmi, l’Accademia della scherma e l’arengo nazionale, sul quale doveva dominare il colosso di Mussolini. Al centro di questa operazione la visione di Roma imperiale tra la «porta nord» e l’espansione verso il mare. Per la via Imperiale, che doveva simbolicamente attraversare tutta Roma, erano previste due monumentali testate, entrambe progettate da Moretti: il piazzale dell’Impero, a nord, che anticipava una ipotesi di accesso trionfale alle Olimpiadi a Roma del 1944 (non più celebrate a causa della guerra), immaginato come un grande arengo per parate sportive pseudomilitari, all’ombra del colosso; la piazza Imperiale a sud, il cui concorso del 1938 faceva parte degli interventi per l’E42 vinto ex aequo da Moretti e dal gruppo composto da Saverio Muratori, Francesco Fariello e Ludovico Quaroni. In questo contesto si colloca quindi l’Accademia della scherma, nata dalla bocciatura del progetto di Del Debbio per una casa del Balilla sperimentale. È l’opera più conosciuta di Moretti in ambito internazionale e insieme alla palestra del Duce (1936) e alla cella commemorativa (1940) diede voce alla mistica fascista di un «internazionalismo mirato alla rappresentazione e sublimazione del regime».
Realizzata tra il 1933 e il 1936, l’Accademia della scherma (Marconi, 1937) manifesta la regola morettiana di pensare l’architettura in modo semplice e solenne insieme. Il progetto è impostato su una raffinata costruzione geometrica di quadrati e rettangoli aurei e consiste in due semplici volumi ortogonali tra loro. I due corpi in origine ospitavano, secondo la ferrea logica razionalista, funzioni separate: la biblioteca e la sala d’armi. La prima consisteva in un lungo atrio con due gallerie laterali per la lettura, uno spazio astratto e assoluto già visibile dall’ingresso, con un importante soffitto rosso pompeiano; la seconda, coperta internamente da due semi-volte a mensola in cemento armato sfalsate, celate all’esterno dall’involucro stereometrico rivestito di lastre di marmo bianco statuario di Carrara, era destinata alle esercitazioni dei 300 allievi del corso biennale dell’Accademia. La trasformazione dell’edificio ha avuto inizio negli anni Cinquanta, quando cominciò a essere utilizzato per cerimonie, ricevimenti, esposizioni e infine per competizioni di pallacanestro, ma la modifica più drammatica risale al 1976 quando diventò aula bunker per i processi ai terroristi, poi magazzino e archivio giudiziario. Gli appelli del mondo culturale per salvare l’edificio dal degrado hanno portato alla definizione di un programma di recupero filologico dell’edificio che prevede la sua destinazione a sede del Museo italiano dello sport.
La stessa tensione tra modernità e arte di Stato caratterizza i progetti di Moretti presentati al concorso per il palazzo del Littorio e per la Mostra della rivoluzione fascista del 1934 con i quali si mette in evidenza la sua naturale capacità di prefigurare edifici come monumentali complessi architettonici che risolvono contesti urbani ridefinendo pesi e misure.
All’inizio della guerra Moretti sospese la sua attività e le notizie per questo periodo sono alquanto lacunose e frammentarie. È documentato un suo ricovero in ospedale a Bologna dal 1942 al 1943, mentre in una sua nota biografica autografa inviata a Licia Ponti scriveva di essere stato per cinque anni in ospedale a Firenze, Bologna e Brescia. Secondo una testimonianza del figlio di Renato Ricci, l’architetto Giulio Ricci, dopo essersi trasferito a Milano, Moretti avrebbe aderito alla Repubblica sociale italiana. Nel 1945, fermato dalla polizia, fu trattenuto per circa due mesi nel carcere di S. Vittore, dove conobbe il conte Adolfo Fossataro, con il quale, uscito dal carcere e ripresa la professione, fondò la società Cofimprese. Con questa realizzò a Milano un complesso edilizio per uffici e abitazioni in corso Italia (1949), fortemente caratterizzato da un singolare volume alto e sottile che definisce un fronte quasi bidimensionale sollevato su un basamento compatto lungo il prospetto laterale su via Rugabella, e tre case albergo che sarebbero diventate un classico di questa nuova tipologia edilizia.
Il progetto tipo, che fu presentato da Moretti nel numero speciale del Bollettino della Mostra permanente della costruzione del 1946, consisteva in singoli edifici alti quattro o cinque piani, disposti a pettine lungo un percorso porticato. La casa albergo di via Corridoni, che è l’esempio più interessante di queste realizzazioni, è composta da due alti volumi accostati: uno, alto sei piani allineato sul filo stradale, destinato a «donne laureate»; l’altro, per soli uomini, alto dodici piani, arretrato. I due corpi sono collegati da un terzo che funge da grande atrio: l’insieme funziona come un piccolo centro urbano a sviluppo verticale con quasi 500 appartamenti e tutte le attrezzature di quartiere dalla biblioteca alla palestra al ristorante.
Mentre si andava esaurendo la sua esperienza di collaborazione con la Cofimprese, con la quale comunque tra il 1947 e il 1951 costruì a Roma la palazzina per la cooperativa Astrea in via Jenner 27 e la casa del Girasole in viale Bruno Buozzi 64, altri due acuti nella produzione di Moretti, egli riprese i contatti con personaggi di rilievo nella capitale. Per Francesco Malgeri e per sua moglie Luciana Pignatelli Aragona furono realizzate due delle tre ville morettiane di Santa Marinella, sul litorale romano (la Saracena, 1954; la Califfa, 1957; la Moresca, 1970), edificate su tre lotti affiancati e che introducono un approccio informale alla sua progettazione, mentre al contempo si faceva spazio il tema del grande coronamento circolare scolpito orizzontalmente da linee disuguali, elemento figurativo che si ritroverà in molte realizzazioni dell’ultimo ventennio della sua attività, come una firma al progetto.
Furono soprattutto i legami di stima e amicizia con Aldo Samaritani che lo portarono, all’interno della Società generale immobiliare di Roma (SGI), a realizzare nel 1961 la Stock exchange tower di Montreal (con alcuni progettisti locali e la collaborazione fondamentale di Pier Luigi Nervi), un grattacielo con la struttura di cemento armato, alto 48 piani, per il quale Moretti aveva sperimentato una forma che definì nuovissima eppure classica: l’edificio, rastremato verso l’alto, rifiutava l’astrattezza costruttiva dei grattacieli prismatici, con le stesse dimensioni in basso come in alto, tali da privarli del peso e dello sforzo della materia che egli invece riteneva fossero alla base dell’emozione dell’architettura. Nello stesso anno la SGI gli affidò la progettazione del complesso residenziale Watergate di Washington. In questo grande intervento Moretti consolidò la propria ricerca proiettata verso una decisa accentuazione plastica delle forme architettoniche, che aveva avuto dieci anni prima una formalizzazione nel saggio Valori della modanatura, il cui incipit suona come programmatica affermazione risolutoria dell’insanabile opposizione tra razionalismo e decorazione (L. Moretti, in Spazio, 1951-52, n. 6, pp. 5-12). Ancora la SGI gli commissionò, a Roma, i due edifici gemelli all’EUR, sedi della ESSO e della Società stessa, per i quali vinse il premio regionale IN/ARCH 1966. Ubicati all’ingresso del quartiere dell’EUR, con la loro conformazione planimetrica e volumetrica sembrano riprendere lo schema urbano di porta Sud pensato quarant’anni anni prima come completamento dell’asse imperiale nel piano di espansione della città verso il mare.
Intanto nel 1950 Moretti aveva fondato la rivista Spazio, dedicata all’architettura e alle arti, di cui uscirono solo sette numeri, fino al 1953. Anche l’omonima galleria Spazio di via Cadore 23 a Roma ebbe vita breve, dal 1954 al 1955, sufficiente, però, a consolidare i legami con il mondo artistico internazionale e in particolare con il critico d’arte Michel Tapié, con il quale, e con Franco Assetto, nel 1960 fondò l’International Center of aesthetic research (ICAR), luogo di esposizioni, dibattiti e incontri internazionali. Queste iniziative avevano l’intento di prefigurare la fusione di tutte le forme di arte: l’architettura, la pittura, la scultura, il cinema e il teatro.
Il nuovo approccio all’arte e all’architettura contemporanee, insieme a una rilettura dell’arte rinascimentale e barocca furono i temi che Moretti affrontò nei suoi saggi per la rivista: Eclettismo e unità di linguaggio (1950), Genesi di forme della figura umana (1950), Forme astratte nella scultura barocca (1950), Colore di Venezia (1950), Trasfigurazioni di strutture murarie (1951), Discontinuità dello spazio in Caravaggio (1951), Valori della modanatura (1951), Strutture e sequenze di spazi (1953). Insieme a Struttura come forma del 1952, pubblicato anche in francese nel 1954, essi ampliano i suoi studi verso un’ulteriore disciplina, la logica formale, che completa la riflessione sulla sintesi del pensiero creativo.
L’interesse per la matematica è parte di questa tendenza a interpretare la composizione come sintesi teorica dei diversi campi del sapere. Con queste premesse, fu fondato nel 1957, l’IRMOU (Istituto nazionale di ricerca matematica e operativa per l’urbanistica) che trovò il suo completo inquadramento teorico nella formalizzazione della teoria della ‘architettura parametrica’, presentata nel 1960 in occasione della XII Triennale.
La ricerca di Moretti sulle strutture geometriche aveva un’origine antica: fin dagli ultimi anni di studio presso il collegio De Merode quando aveva intrapreso gli studi delle lingue antiche per comprendere filologicamente i testi di logica. Questa sintesi di scienza e pensiero lo aveva condotto a ragionare sull’esattezza della forma applicandola alla pratica del progettare. In particolare, già dagli anni Quaranta aveva avuto l’intuizione che i posti migliori negli stadi non erano quelli centrali, ma alcune parti di quelli laterali, così negli anni Sessanta, quali esempi di architetture parametriche aveva elaborato disegni e modelli di stadi a farfalla e per definirne correttamente le curve corrispondenti si era avvalso della collaborazione di fisici e matematici. Moretti amava la forma e pretendeva che essa derivasse direttamente dalla struttura, sapientemente articolata in effetti spaziali. Nel progetto (1964) per gli uffici dell’ENPDEP (Ente nazionale di previdenza per i dipendenti di enti di diritto pubblico) in via Morgagni a Roma, che consta in un astratto prisma multipiano a base quadrata, soltanto quattro pilastri in cemento armato in aggetto dalle facciate sostengono, appesi alla copertura, tutti i piani sottostanti. L’effetto figurativo affidato alla struttura è fortissimo, tanto da divenire un segno urbano plastico e riconoscibile, pur nella sua semplicità ed essenzialità geometrica.
L’attività degli anni Cinquanta e Sessanta fu ricca e diversificata, caratterizzata da numerosi incarichi da parte di privati, ma soprattutto da parte di amministrazioni pubbliche ed enti di rilevanza nazionale. È del 1955 il progetto di ampliamento dell’Accademia nazionale di danza di Roma e il progetto di ampliamento e ristrutturazione dello stadio Olimpico al foro Italico; del 1957, un nuovo complesso residenziale a Genova-Nervi al posto dell’antico albergo Eden e il progetto per il palazzo reale di Riyad (Arabia Saudita). Tra il 1957 e il 1961 elaborò i progetti per il nuovo piano di coordinamento dei parchi urbani, suburbani e territoriali di Roma e per il parco archeologico dell’Appia Antica, a causa dei quali scoppiò un’aspra polemica con Bruno Zevi. Nel 1958 curò la progettazione del padiglione italiano all’Expo di Bruxelles. Dal 1958 al 1960 progettò, anche in collaborazione, importanti quartieri residenziali tra i quali: il CEP di Livorno e, a Roma, il villaggio Olimpico e il quartiere INCIS di Decima, con Vittorio Cafiero, Ignazio Guidi, Adalberto Libera, Amedeo Luccichenti, Vincenzo Monaco. Del 1965 sono la nuova sistemazione delle terme di Bonifacio VIII a Fiuggi, il progetto del tronco Termini-Risorgimento per la nuova metropolitana di Roma e il ponte Pietro Nenni (1965-1974), entrambi con l’ingegnere Silvano Zorzi; tra il 1966 e il 1972 realizzò il parcheggio sotterraneo a villa Borghese. Quando nel 1962 fu incaricato di occuparsi del progetto della palazzina S. Maurizio a Monte Mario, Moretti era ancora impegnato nella realizzazione del Watergate a Washington, in cui aveva sperimentato la possibilità di risolvere le problematiche percettive di un fabbricato attraverso l’uso di un elemento architettonico, le balconate curve, sviluppato in senso strettamente formale. Posta sulle pendici di Monte Mario, in un punto che gode di una visuale privilegiata sulla città, l’area destinata a questo intervento offriva un unico punto di vista del fabbricato, quello dal basso. Questa prospettiva si esalta nella forma curvilinea dei parapetti dei balconi, disegnati come variante di quelli che caratterizzano il complesso residenziale statunitense, e al contempo rievocano le grandi fasce modanate della copertura della villa La Saracena.
In questi anni, ricevette significativi riconoscimenti: nel 1957 il premio nazionale di architettura Giovanni Gronchi, istituito dall’Accademia nazionale di S. Luca; nel 1959, il premio Vallombrosa per le attività nel campo della difesa del paesaggio e l’anno seguente la medaglia d’oro per le professioni liberali e l’arte; il progetto del villaggio Olimpico ottenne il premio IN/ARCH 1961 per la migliore realizzazione nel Lazio. Nel 1964 ricevette la medaglia d’oro di benemerenza della scuola, della cultura e dell’arte dal capo dello Stato, fu eletto accademico di S. Luca e nominato membro onorario dell’American institute of architects. Nel 1967 gli fu assegnato il prix d’excellence Design Canada e nel 1968 il premio Feltrinelli dell’Accademia nazionale dei Lincei. Nel 1968 l’editore De Luca pubblicò 50 immagini di architetture di Luigi Moretti, con la prefazione di Giuseppe Ungaretti.
Nel 1961 partecipò alla IX Settimana di arte sacra con un intervento su Spazi-luce nell’architettura religiosa (in Atti della IX Settimana di arte sacra…, Roma 1961, pp. 168-198), basilare per comprendere il significato attribuito alla luce «qualità fondamentale dello spazio e quindi della materia che, quale matrice, lo determina. Essa è l’architettura, così come ogni altra cosa al mondo». La partecipazione al Convegno internazionale di studi michelangioleschi (1964) con il saggio Le strutture ideali dell’architettura di Michelangelo e dei barocchi, lo portò a cimentarsi in un’ulteriore esperienza creativa, quella della realizzazione di un film sulla vita di Michelangelo, scritto e diretto con Charles Conrad, che ricevette il premio Film d’arte alla Biennale di Venezia.
Nel 1967-1968 progettò il santuario sul lago di Tiberiade, in Terra Santa; il progetto venne approvato dalla S. Sede, ma i lavori non iniziarono a causa degli eventi bellici scoppiati nella zona. Intanto la sua attività professionale si estendeva verso altri paesi: in Kuwait, dove progettò la sede dell’Engineer Club e le Beduin Houses; in Algeria, con una serie di scuole e di quartieri residenziali, l’Hotel di El Aurassi e il complesso Club des pins, lavori che furono portati a termine dai suoi collaboratori, gli architetti Giovanni Quadarella e Lucio Causa e l’ingegnere Pierluigi Borlenghi.
Nel 1971, su richiesta del ministero delle Informazioni e Turismo spagnolo, nell’ambito della fiera internazionale della costruzione e delle opere pubbliche, Moretti allestì a Madrid una mostra monografica dei suoi lavori: scelse di illustrare 21 opere mediante fotografie e modelli e curò personalmente la selezione dei materiali e il loro allestimento.
Morì improvvisamente a Roma, il 14 luglio 1973, per le conseguenze di un collasso cardiaco.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Archivio L. M. (consultabile on line); P. Marconi, La casa delle Armi al foro Mussolini in Roma: arch. L. M., in Architettura, agosto 1937, pp. 435-454; P.C. Santini, Profili di architetti: L. M., in Comunità, 1957, n. 52, pp. 66-71; A. Pica, L. M.: un architetto al di là del cantiere, in Civiltà delle macchine, 1973, nn. 3-4, pp. 59-66; L’architettura di L. M., in Parametro, 1987, n. 154, pp. 10-49; S. Santuccio, L. M., Bologna 1998; A. Greco, L. M. e i giovani di Forma1. Frammenti per una storia della rivista Spazio, in Avanguardie nel dopoguerra, 1945-1952, a cura di E. Cristallini, Roma 1999, pp. 57-64; M. Mulazzani - F. Bucci, L. M. Opere e scritti, Milano 2000; G. Belli, L. M.: il progetto dello spazio sacro, Firenze 2003; C. Severati, Aspetti inediti dell’opera di L. M., in L’architettura nelle città italiane del 20. secolo: dagli anni Venti agli anni Ottanta, a cura di V. Franchetti Pardo, Milano 2003, pp. 251-263; L. Finelli, L. M. la promessa e il debito. Architetture 1926-1973, Roma 2005; L. M.: la casa delle Armi, le sue opere e il suo archivio, a cura di M. Domenicucci et al. (Quaderni dell’ACS), Roma 2005; A. Greco - G. Remiddi, L. M. Guida alle opere romane, Roma 2006; C. Rostagni, L. M. 1907-1973, Milano 2008; L. Tedeschi - B. Reichlin, L. M. Razionalismo e trasgressività tra barocco e informale, Milano 2010; T. Magnifico, Testimonianza. Per la conoscenza di L.M., ibid., pp. 61-76.