VALADIER, Luigi
– Nacque a Roma il 26 febbraio 1726, primogenito di Andrea (Aramont 1695-Roma 1759), della Linguadoca, e di Anna Tassel (Roma 1699-ivi 1780), di padre francese; fratelli minori furono Chiara, Rosa, Giovanni, Maria Margherita, Andrea e Francesca.
Fu battezzato in S. Lorenzo in Damaso il 3 marzo, con i nomi «Henricus Ludovicus Johannes» (Roma, Archivio storico del Vicariato, d’ora in poi ASVR, S. Lorenzo in Damaso, Battesimi, 1714-27, c. 323r), i primi due in omaggio ai padrini Hendrik van Lint, pittore fiammingo, e Ludovica Tassel van Lint, il terzo per ricordare il nonno paterno Giovanni, ma il primo nome cadde ben presto in favore del secondo, preferito nella forma Luigi anziché Ludovico.
Secondo la tradizione Andrea Valadier si era trasferito a Roma nel 1714 (Servi, 1840). La sua presenza è documentata in via del Pellegrino come lavorante nella bottega dell’argentiere Francesco de Martinis, all’insegna del Cavallo (1723-24); quindi come maestro, quando prese la patente e si sposò (1725-28). Dopo la nascita dei primi quattro figli, la famiglia si trasferì nei pressi di S. Luigi dei Francesi, in una casa-bottega di nuova costruzione di proprietà del SS. Salvatore (1732-38), per spostarsi poi nelle vicine isola di S. Luigi (1739-50), isola delle Cinque Lune (1752-53) e isola piccola di S. Luigi (1754-61), queste ultime poi scomparse per far posto a piazza delle Cinque Lune e a largo Giuseppe Toniolo.
Luigi, come più tardi il fratello minore Giovanni (mentre Andrea jr morì piccolo), svolse il suo apprendistato nella bottega paterna in piazza S. Luigi dei Francesi e all’età di diciotto anni, in un conto inviato al principe Borghese, si definiva «argentiere e statuario»; anche se la sua attività scultorea non è nota, è certo che il suo operato fosse riconosciuto e apprezzato già in giovane età (Gonzáles-Palacios, 1997, p. 13). Tra il 1744 e il 1747 partecipò con il padre all’esecuzione della cancellata della cattedrale di Lisbona, commissionata dal re del Portogallo Giovanni V, ricevendo pagamenti personali. Nel 1748 eseguì i candelieri e la croce in bronzo dorato per la chiesa di S. Apollinare, mentre nel 1750 partecipò al Concorso Clementino di terza classe, con il prospetto e la pianta di S. Maria della Pace, qualificandosi come secondo (ibid., pp. 17 s.).
Il parroco di S. Luigi dei Francesi nel 1754 (ASVR, Stati delle anime, 1754, c. 10v) annotò l’assenza di Luigi perché a Parigi, dove si era recato presumibilmente per proseguire la sua formazione.
Il 16 maggio 1756 si sposò con Caterina della Valle, figlia dello scultore fiorentino Filippo, alla presenza dei testimoni Tommaso Righi, scultore romano, e del fratello Giovanni Valadier (ASVR, S. Susanna, Matrimoni, 1756, n. 1572). La coppia ebbe dieci figli: Giuseppe (1757-1761), Andrea (1758-1759), Andrea (1760-1763), Giuseppe (1762-1839), Maria Clementina (1764-1780), Andrea (1765-1768), Filippo (1767-1785), Maria Anna (1768), Antonio (1770-1786) e Silvia (1773-1775); dei figli maschi sopravvisse solo il secondo Giuseppe, architetto.
Un dipinto allegorico di Giuseppe Bottani, raffigurante Caterina Valadier con due figli (Roma, Palazzo Braschi), nelle vesti di Latona con Apollo e Diana, rappresenta un significativo esempio del prestigioso status raggiunto da Luigi; appaiono incerti, però, l’identificazione dei piccoli in Giuseppe e Maria Clementina e la conseguente datazione al 1766 circa (Susinno, in Art in Rome..., 2000).
Nel 1760 Luigi ottenne la patente d’argentiere e cominciò a utilizzare un punzone con le iniziali LV e tre gigli di Francia (per distinguerlo da quello del padre, che insieme ai gigli aveva la sola V), accompagnato in alcuni casi da un altro bollo con l’iscrizione «Valadier / Roma» (Bulgari, 1958).
La condivisione con il fratello Giovanni della casa e della bottega paterni durò fino al 1762, quando Luigi si trasferì nell’abitazione con annessa officina in strada Paolina, in seguito rinominata via del Babuino, con ingresso al n. 89, all’angolo con vicolo del Carciofolo (in seguito d’Alibert, per la presenza del teatro omonimo). Qui diede inizio a una carriera di grande successo, che lo portò a qualificarsi come il rinnovatore dell’arte fusoria nel Settecento (Ciampi, 1870). Alla tradizionale produzione d’argenteria destinata all’uso domestico o religioso, e alla lavorazione del bronzo per finiture varie, Luigi unì la fusione di statue e la realizzazione di lussuosi oggetti d’arredo, composti di materiali misti, metalli, marmo, pietre dure, legno per la formazione di vasi, tavoli, centrotavola, camini, lampadari, candelabri, armadi e altro, che richiedevano la collaborazione di più specialisti sotto la sua direzione, dando luogo a un’officina altamente specializzata richiesta dalle casate nobiliari di tutta Europa.
Tra i suoi maggiori clienti figurano i Borghese, per i quali iniziò con il realizzare gli arredi delle cappelle Paolina in S. Maria Maggiore (altare, carteglorie e lampade d’argento) e del SS. Sacramento in S. Giovanni in Laterano.
Nel 1764, nell’abitazione all’Aquila nera (Chracas, Diario ordinario, n. 7344), Luigi espose due grandiosi lampadari d’argento figurati per la cattedrale di S. Giacomo a Compostella. Inoltre fuse in bronzo una copia del Galata morente in Campidoglio, per la Syon House del duca di Northumberland nei pressi di Londra (Papi, in Il tesoro di Antichità, 2017), che gli ordinò pure le riproduzioni del Sileno Borghese e dell’Antinoo del Belvedere, tutte in misura ridotta.
Dopo l’elezione a virtuoso del Pantheon (1765) e a console dell’Università degli orefici (1766), Luigi partecipò alla decorazione del Salone d’oro in palazzo Chigi, in occasione dei rinnovi curati dall’architetto Giovanni Stern per le nozze di Sigismondo Chigi con Maria Flaminia Odescalchi, realizzando tra l’altro alcune specchiere, incorniciate da tralci di fiori di gusto rococò (Gonzáles-Palacios, 1997, pp. 22-25).
Un sontuoso altare decorato da Scene della Vergine gli fu ordinato dall’arcivescovo Francesco Testa per la cattedrale di Monreale; l’opera, in argento con parti dorate, fu corredata dalla Croce e dalle statue dei Ss. Rosalia, Benedetto, Paolo, Pietro, Castrense e Luigi IX (1765-73). Nel settembre del 1768, durante l’esposizione nella bottega dell’artista di un gradino di quest’altare, fu messo in mostra anche l’arredo sacro (quattordici candelieri, tredici calici d’argento e tre leggii, tutti ornati di topazi bianchi) «per una chiesa principale del Messico», ammirato dal cardinale Domenico Orsini d’Aragona e da molte altre persone per «il buon gusto del disegno e la pulizia del lavoro» (Chracas, Diario ordinario, n. 7989).
Sempre nel Diario ordinario, che seguì costantemente i lavori di Valadier, nel gennaio del 1770 (Chracas, Diario ordinario, n. 8124) fu resa nota l’ultimazione dell’Altare di s. Camillo de Lellis per S. Maria Maddalena a Roma, composto da un’urna in argento, bronzo, rame dorato e lapislazzuli, fiancheggiata da due angeli vicini allo stile del suocero Filippo della Valle (Winter, in Gonzáles-Palacios, 1997).
Un tabernacolo in oro e argento fu inviato invece l’anno seguente alla cattedrale di Siviglia, quale dono del canonico Jerónimo Ignacio del Rosal (Thompson - Winter, in Gonzáles-Palacios, 1997).
Nel 1772, tra i vari lavori, Valadier eseguì per l’inglese Thomas Mansel Talbot, di passaggio a Roma, alcuni raffinati cigli in bronzo dorato per piani in marmo e le rifiniture per un camino in marmo statuario e porfido, attualmente a Penrice Castle, nel Galles (Gonzáles-Palacios, 1997, pp. 30 s.).
L’anno seguente fuse una statua in bronzo del Battista per il battistero Lateranense, copia di quella lignea conservata nello stesso luogo e già attribuita a Donatello (Angeli, 1903), oltre alle copie di due statue antiche, l’Apollo del Belvedere e la Venere callipigia (Parigi, Louvre), per la favorita del re Luigi XV di Francia, Madame du Barry.
Negli anni 1773-75 realizzò un notevole numero di opere per il principe Marcantonio Borghese, destinate sia al palazzo in Campo Marzio sia alla villa sul Pincio, entrambi sottoposti a lavori di rinnovamento dall’architetto Antonio Asprucci. Valadier restaurò alcuni piccoli bronzi antichi e un tavolo con cariatidi in bronzo di Alessandro Algardi (collezione privata). Creò inoltre molti tavoli, tra i quali una coppia decorata con maschere delle Quattro Stagioni, i bronzi per tre fontane e un’Erma di Bacco in bronzo e alabastro a lungo ritenuta antica grazie alla patinatura in verde rame e dorata. Sempre per il principe Borghese eseguì due candelabri in porfido con figure bronzee della Venere callipigia, dell’Amazzone Mattei e di Diana, oggi al Metropolitan Museum of art di New York (Gonzáles-Palacios, 1995). La ricorrenza di alcune figure classiche nel suo repertorio dimostra la presenza nella bottega di modelli replicabili in misure varie, documentata anche da un Registro compilato dal figlio Giuseppe nel 1810, quando cercò di venderli (Winter, in Gonzáles-Palacios, 1997).
Una delle produzioni più originali dell’officina Valadier fu la creazione di spettacolari centrotavola, a Roma detti deser, riproducenti monumenti della Roma antica, secondo un gusto legato all’insegnamento di Giovan Battista Piranesi. La ricomposizione in piazze immaginarie di templi classici, archi trionfali e obelischi, in marmi antichi colorati, decorati con pietre dure e rifiniti in oro, argento e bronzo, generò una moda che ne fece uno degli oggetti più ambiti dalle famiglie aristocratiche.
Il deser esposto nel 1778, prima nella bottega e dopo nella residenza pontificia al Quirinale (Chracas, Diario ordinario, nn. 362, 370), fu acquistato da Jacques-Laure Le Tonnelier de Breteuil balì dell’Ordine dei Cavalieri di Malta (Madrid, Prado), il quale ne aveva già comprato un altro, poi ceduto alla zarina Caterina nel 1777 e ora all’Ermitage (I Valadier, 2015, pp. 160-170). Nel 1780 Luigi eseguì un deser per l’arciduca Ferdinando d’Austria e nel 1784 un altro per il portoghese Henrique de Meneses marchese di Louriçal; mentre del 1783 è «il superbo deser» (Chracas, Diario ordinario, n. 866) per il principe Luigi Braschi Onesti, nipote di Pio VI, portato a Parigi nel 1798, ma ormai ridotto alla sola base (Luigi Valadier au Louvre, 1994). Non del tutto definita in queste opere è la misura del contributo dei collaboratori, quali per esempio Carlo Albacini per i marmi e Francesco Righetti per i bronzi (Gonzáles-Palacios, 2008).
Con l’elezione di Pio VI Braschi (1775) Valadier iniziò un’intensa produzione di opere di oreficeria e argenteria per il Vaticano e nel 1799 fu nominato sovrintendente dei restauri per le collezioni di bronzi e cammei nei Musei Sacro e Profano, oltre a essere insignito del titolo di cavaliere (Chracas, Diario ordinario, n. 504). Iniziò così a montare i cammei d’epoca imperiale della collezione del cardinale Gaspare di Carpegna in piccoli monumenti in marmo (Parigi, Louvre), ornati di pietre dure, perle e oro, tra il barocco e il neoclassico, dimostrando di dominare perfettamente il linguaggio dell’antichità, cui conferiva un valore non tanto filologico, quanto di exempla della magnificenza delle arti nella Roma antica (Malgouyres, 2013).
La raccolta, per la quale Luigi si occupò anche degli armadi atti a contenerla, eseguiti dall’ebanista Andrea Mimmi (Gonzáles-Palacios, 1997, pp. 29, 36), fu completata dal figlio Giuseppe e sebbene sia in gran parte scomparsa è nota dai disegni eseguiti per una pubblicazione di Ennio Quirino Visconti (Malgouyres, 2013).
Nel 1779 Pio VI ammirò nello studio di Valadier un modello della Colonna Traiana (Chracas, Diario ordinario, n. 502), forse quella oggi al Residenzmuseum di Monaco, realizzata con la collaborazione di Peter Ramoser e Bartholomäus Hecker e acquistata nel 1783 dall’elettore Carlo Teodoro di Baviera (Hageneuer - Heyden, 2019). Il piedistallo includeva un orologio «a cicloide, sul modello di quelli di Giuliano le Roy e di Graham inventato dall’ingegnosissimo artefice cav. Luigi Valadier» (Cancellieri, 1806, p. 88). Un altro orologio con la Colonna Traiana gli fu ordinato dal pontefice e inviato in dono alla contea d’Istria nel 1781 (Valadier, 1991, pp. 8 s.).
Negli stessi anni Valadier fuse in bronzo varie sculture, sia d’interesse archeologico, come le quattro statue per il conte Pierre Grimod d’Orsay, il Marte Ludovisi, l’Antinoo del Campidoglio, l’Amazzone Mattei e l’Apollo del Belvedere (le prime tre al Louvre e la quarta a Versailles), firmate e datate 1780; sia ritratti di contemporanei, come i busti di Johann Joachim Winckelmann, copia da Friedrich Wilhelm Doell (Pellini, in Il tesoro di Antichità, 2017), e di Sir Thomas Gascoigne, e Henry e Mary Swinburne, a Lotherton Hall nello Yorkshire, dai modelli di Christopher Hewetson, nel 1778-80 (Art in Rome..., 2000, p. 254), oppure i ventiquattro piccoli busti dei Bibliotecari apostolici, commissionatigli dal cardinale Francesco Saverio de Zelada nel 1783 (Vaticano, Museo Cristiano). All’eccellente rifinitura delle statue classiche non corrisponde tuttavia la stessa qualità nei busti, per i quali è stato ipotizzato un intervento del giovane Francesco Righetti, suo allievo (Winter, in Gonzáles-Palacios, 1997).
Giancarlo Rossi, biografo dell’incisore Tommaso Mercandetti, nel ricordare l’amicizia e la protezione che gli accordò Luigi Valadier, attribuiva a quest’ultimo la modellazione e la fusione del cosiddetto Cavallo anatomico, nella collezione di monsignor Pietro Taggiasco (Rossi, 1881).
Gli ordinativi sempre più gravosi indussero Valadier a entrare in società con Giuseppe Amici, che nel 1780 incrementò il capitale con diecimila scudi, a fronte di un elevato interesse annuo. L’attività nel suo ultimo lustro di vita fu infatti intensissima, con le numerose creazioni per il Vaticano e per il principe Borghese, il paliotto d’altare per il duomo di Siena, un calice d’oro per il cardinale Franziskus Herzan von Harras, i vasi per il cardinale Giuseppe Maria Doria Pamphilj, per citarne solo alcune (Gonzáles-Palacios, 1997, pp. 36 s., e 2008).
Nel 1784 Luigi iniziò la complessa fusione di una campana per la basilica di S. Pietro, preceduta da quella in S. Prassede a Roma nel 1774 (Forcella, 1873, II), e da quelle dei Borghese per i feudi di Poggio Nativo e di Norma. Il processo di lavorazione fu documentato dal figlio Giuseppe in un Taccuino, fino al solenne trasporto in Vaticano, curato dal medesimo dopo la morte del padre (Valadier, 1985, pp. 37 s., 398-406).
Furono forse le preoccupazioni lavorative e finanziarie, con i debiti accumulati a causa dei mancati pagamenti di alcuni facoltosi clienti, a portare Valadier, il 15 settembre 1785, a gettarsi nel Tevere morendo annegato. La «smania» (Chracas, Diario ordinario, n. 1120) che lo spinse al gesto estremo ricevette comunque l’assoluzione e la salma, da S. Maria in Trastevere, fu portata nella tomba in S. Luigi dei Francesi, acquistata da Valadier già nel 1764 (Forcella, 1873, III).
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio storico del Vicariato, Parrocchie, Andrea Valadier: S. Lorenzo in Damaso, Anime, 1723-28; S. Luigi dei Francesi, Anime, 1732-59; Morti, 1759-1801, c. 2v; Luigi Valadier: S. Lorenzo in Damaso, Battesimi, 1714-27, c. 323r; S. Susanna, Matrimoni, 1756, n. 1572; S. Maria in Trastevere, Morti, 1773-97, c. 97v; S. Luigi dei Francesi, Morti, 1759-1801, c. 98v; figli di Luigi: S. Luigi dei Francesi, Battesimi, 1701-60, c. 240r (Giuseppe I), c. 247r (Andrea I); 1760-1802, c. 1r (Andrea II), c. 7r (Giuseppe II); S. Lorenzo in Lucina, Battesimi, 1760-64, c. 194v (Maria Clementina); 1765-71, c. 27r (Andrea III), c. 98r (Filippo), c. 152v (Maria Anna), c. 242v (Antonio); 1771-76, c. 82v (Silvia); S. Luigi dei Francesi, Morti, 1759-1801, c. 4r (Andrea I), c. 9r (Giuseppe I), c. 38r (Andrea III), c. 59r (Silvia), c. 77r (Clementina), c. 98r (Filippo), c. 98v (Luigi), c. 104v (Antonio); 1837-55, c. 21 (Giuseppe II); S. Lorenzo in Lucina, Morti, 1753-64, c. 189v (Andrea II); Chracas, Diario ordinario: n. 7344, 28 luglio 1764; n. 7989, 17 settembre 1768; n. 8124, 6 gennaio 1770; n. 362, 20 giugno 1778; n. 370, 18 luglio 1778; n. 502, 23 ottobre 1779; n. 504, 30 ottobre 1779; n. 886, 28 giugno 1783; n. 1120, 24 settembre 1785.
F. Cancellieri, Le due nuove campane di Campidoglio..., Roma 1806, pp. 88 s.; G. Servi, Notizie intorno alla vita del cav. Giuseppe Valadier architetto romano, Bologna 1840, p. 7; I. Ciampi, Vita di Giuseppe Valadier architetto romano, Roma 1870, p. 8; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d’altri edificii di Roma, Roma 1873, II, p. 521, n. 1370, III, p. 54, n. 140; G. Rossi, Alcuni cenni sulla vita di Tommaso Mercandetti..., Roma 1881, p. 12; D. Angeli, Le chiese di Roma, Roma [1903], p. 186; C.G. Bulgari, Argentieri, gemmari e orafi d’Italia. Roma, II, Roma 1958, pp. 495-499; V.: segno e architettura (catal.), a cura di E. Debenedetti, Roma 1985; V.: three generations of Roman goldsmiths (catal.), a cura di J. Winter - E. Thompson - J. Mennel, London 1991; L. V. au Louvre ou l’Antiquité exaltée (catal.), a cura di D. Alcouffe, Paris 1994; A. Gonzáles-Palacios, Two candelabra by L. V. from Palazzo Borghese, in Metropolitan Museum Journal, XXX (1995), pp. 97-102; Id., L’oro di V. Un genio nella Roma del Settecento (catal.), Roma 1997 (in partic. E. Thompson - J. Winter, p. 200; J. Winter, Bronzi e modelli, pp. 164-168); Art in Rome in the eighteenth century (catal., Philadelphia), a cura di E.P. Bowron - J.J. Rishel, London 2000, passim (in partic. S. Susinno, pp. 62, 335 s.); A. Gonzáles-Palacios, Souvenirs de Rome, in Ricordi dell’antico (catal., Roma), a cura di A. D’Agliano - L. Melegati, Cinisello Balsamo 2008, pp. 14-59; P. Malgouyres, Les montures de L. V., in Antiquité précieuses. Le Musée Profane au temps de Pie VI, a cura di G. Cornini - C. Lega, Città del Vaticano 2013, pp. 99-110; I Valadier. L’album di disegni del Museo Napoleonico (catal.), a cura di A. Gonzáles-Palacios, Roma 2015; Il tesoro di Antichità. Winckelmann e il Museo Capitolino nella Roma del Settecento (catal.), a cura di E. Dodero - C. Parisi Presicce, Roma 2017, passim (in partic. G. Pellini, p. 65; F. Papi, pp. 288-292); S. Hageneuer - S. Heyden, Perceiving monumentality, in Size matters, Bielefeld 2019, pp. 77, 79; V. Splendore nella Roma del Settecento (cat.), a cura di G. Leardi, Roma 2019.