TOSI, Luigi
– Nacque a Busto Arsizio il 6 luglio 1763.
Avviato dalla facoltosa famiglia alla carriera ecclesiastica, negli anni giovanili frequentò il collegio somasco di Lugano. Dopo un breve periodo di permanenza nel seminario di Milano, nel 1782 si trasferì a Pavia dove completò la sua formazione filosofica e teologica nel seminario generale, che nel 1786 il governo asburgico aveva individuato come centro di alta formazione per il clero di tutta la Lombardia austriaca. In questo istituto, la cui impostazione e i cui metodi risentivano fortemente del pensiero giurisdizionalista, filogiansenista, regalista e anticuriale allora radicato nell’Università di Pavia, Tosi – che intanto, il 10 giugno 1786, si era laureato in teologia e diritto canonico – venne a contatto con diverse personalità di spicco della cultura ecclesiastica del tempo, fra le quali Giuseppe Zola e Pietro Tamburini. I due teologi, di aperto orientamento giansenista e antigesuitico, erano infatti stati chiamati dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria per rivestire ruoli accademici di primo piano nell’ateneo pavese, dove esercitarono un marcato influsso sulle giovani leve del clero lombardo. Tosi, che a Pavia aveva stabilito stretti legami di amicizia con il seminarista milanese Gaetano Giudici, poté assistere al mutamento del quadro politico generale dovuto allo scoppio della Rivoluzione francese e al conseguente più rigido atteggiamento del nuovo imperatore Leopoldo II (salito al trono nel 1790 dopo la morte di Giuseppe II), che decretò, fra l’altro, anche la chiusura del seminario pavese. Ordinato sacerdote il 29 maggio 1790 e nominato canonico coadiutore nella basilica di S. Ambrogio di Milano Tosi si segnalò per la solida preparazione teologica e filosofica, per la spiccata attitudine alla predicazione, ma anche per la propensione all’apostolato attivo, che ebbe modo di sperimentare direttamente sullo scorcio del secolo, quando, fra il 1796 e il 1799, Milano fu occupata dalle truppe repubblicane francesi.
Risale ai primi anni dell’Ottocento la conoscenza di Tosi con il giovane Alessandro Manzoni, ritornato nel 1810 a Milano da Parigi dov’era maturata (anche per influsso del sacerdote giansenista Eustachio Degola, confessore della moglie dello scrittore, Enrichetta Blondel) la sua conversione al cattolicesimo. Per tramite del comune amico Giudici l’ecclesiastico e il letterato ebbero modo di frequentarsi spesso e di alimentare una relazione destinata a corroborarsi nel tempo. Ben presto, infatti, Manzoni, su consiglio anche di Degola, scelse Tosi come direttore spirituale della moglie Enrichetta e della madre Giulia Beccaria, nonché come suo confidente personale: tali mansioni fecero del sacerdote una presenza familiare in casa Manzoni, tanto nella residenza di Milano come nella villa extraurbana di Brusuglio. L’ascendente di Tosi sullo scrittore milanese emerge nelle opere di più evidente impegno religioso, come gli Inni sacri (1812-1815) e Sulla morale cattolica. Osservazioni (1819), delle quali parrebbe essere stato l’ispiratore. Il rapporto non si interruppe neppure in occasione del secondo soggiorno parigino dei Manzoni (1819-20), com’è dimostrato dal fitto carteggio intercorso in quegli anni. Da esso si apprende che nel 1820 si era pensato di promuovere Tosi alla cattedra vescovile di Mantova. Benché tale elezione episcopale non fosse poi andata in porto (come avvenne anche per il vescovado di Padova, di cui si vociferava una possibile assegnazione a Tosi) il nome del canonico di S. Ambrogio cominciò tuttavia a circolare con sempre maggior insistenza fra le rose dei candidabili al ruolo di ordinario nelle diocesi lombardo-venete vacanti. Ciò era dovuto, soprattutto, all’impegno di Giudici che, divenuto con la Restaurazione consigliere del governo austriaco nelle questioni ecclesiastiche, aveva cercato di ottenere che nelle diocesi del regno asburgico non ancora provviste venissero destinati vescovi di formazione o di orientamento giansenista. È quanto si verificò nel 1822 con Tosi, designato il 22 febbraio dall’imperatore Francesco I per il vescovado di Pavia.
Prima del solenne ingresso in diocesi, avvenuto il 31 agosto 1823, il prelato si recò a Roma per l’ordinazione e la consacrazione, celebrata il 16 maggio. Nell’Urbe la promozione di Tosi venne accolta con perplessità «e siccome passava per un uomo di opinioni liberali, così l’accoglienza che s’ebbe in quella corte fu sulle prime alquanto fredda» (Magenta, 1876, p. 57). Sul conto del nuovo vescovo voluto dall’imperatore gravavano inoltre i pregiudizi alimentati dall’antica e ben nota amicizia con Giudici, Zola e Tamburini le cui idee gianseniste – si temeva nella Curia papale – avrebbero finalmente potuto trovare puntuale riscontro e persino concreta applicazione proprio nel vertice della Chiesa pavese. Infatti, il primo pensiero del nuovo vescovo, che come segretario scelse il piemontese Giovanni Emmanuel, di note simpatie gianseniste, andò non casualmente a s. Agostino, invocato nella lettera pastorale con la quale Tosi si presentò alla diocesi come «guida», «padre», «esempio dei vescovi» (Magnani, 2012, p. 151). Se sotto la conduzione di Tosi quella di Pavia non tardò ad apparire come «una Chiesa agostiniana», l’attenzione riservata al culto del santo di Ippona (le cui reliquie nel 1832 vennero solennemente traslate in una cappella fatta appositamente costruire nella cattedrale) va interpretata alla luce di «un itinerario spirituale preciso, ispirato non solo dalle sorgenti agostiniane ma anche dai classici di Port-Royal» (Rosa, 2014, p. 237).
Anche l’interesse di Tosi per Agostino, concretizzatosi attraverso la promozione di un’intensa attività editoriale volta a diffondere il pensiero e la fama del Padre della Chiesa, si mostra infatti influenzato da quella cultura filogiansenista dalla quale era partito il «revival agostiniano tardo-seicentesco e primo-settecentesco», dei cui artefici, da Pasquier Quesnel a Felice Mayr, la biblioteca del vescovo risultava particolarmente fornita (ibid.). D’altro canto, le letture di Tosi evidenziavano un’attenzione anche per le teorie millenaristiche, con le quali era venuto a contatto per tramite dell’abate Luigi Giudici (fratello di Gaetano) sin dagli anni giovanili. Ai suoi occhi la visione (mediata dal pensiero millenarista del giansenista Jacques-Joseph Duguet) del «ritorno» degli ebrei, dei quali si riteneva ormai prossima la conversione, assumeva una funzione consolatoria per i cristiani di fronte ai mali della Chiesa (Magnani, 1986, p. 202).
Pur non condividendo gli esiti antiecclesiastici del millenarismo di impronta giansenista Tosi non rimase immune al fascino spirituale e alla tensione morale che queste teorie sapevano esercitare, tanto più se si pensa che, arrivato a Pavia, il nuovo vescovo dovette confrontarsi con una Chiesa che versava in condizioni tutt’altro che rosee. Per una popolazione diocesana di circa 84.000 abitanti, il vescovo poteva infatti contare su 313 sacerdoti: un numero quasi dimezzato rispetto a quello (555) riscontrabile mezzo secolo prima.
In soli otto anni, dal 1815 (quando i preti censiti erano stati 397) al 1823, il clero diocesano aveva perso oltre un quinto delle sue forze (Toscani, 1979, p. 329). Anche l’estensione territoriale della Chiesa pavese aveva conosciuto un drastico ridimensionamento a partire dagli inizi dell’Ottocento, quando, a seguito di quattro successivi smembramenti (due avvenuti in epoca francese, due nella Restaurazione), ben 117 parrocchie su 188 un tempo appartenenti a Pavia erano state assegnate ad altre diocesi. Le 71 parrocchie restate in capo al vescovado di cui Tosi era divenuto il titolare (e di cui cercò, ripetutamente ma invano, di ridefinire i confini) risultavano essere, inoltre, le più povere, spopolate e insalubri dell’antica circoscrizione ecclesiastica. Terre abitate da «miserabili contadini, mercenariamente mantenuti dagli affittuari», quelle rimaste sotto la giurisdizione pavese non potevano che offrire un clero scarso «così in numero come in ingegno» (Toscani, 1982, p. 68). La mancanza di un ceto medio, dal quale normalmente proveniva la maggior parte di coloro che intraprendevano la carriera ecclesiastica, veniva ritenuta, insieme alla scarsità della popolazione, la causa principale del crollo delle vocazioni in diocesi. Non faceva del resto eccezione neppure Pavia, città che – ricordava il vescovo – «decaduta dal suo antico splendore», non poteva che contare su «pochissimi possidenti mediocri in paragone di tutte le altre di Lombardia» (ibid., p. 71).
Il disagio economico e sociale in cui versavano Pavia e il suo territorio in quella difficile congiuntura avevano del resto ispirato significative forme di apostolato, come quella realizzata da Benedetta Cambiagio (1791-1858), fondatrice delle suore di Nostra Signora della Provvidenza e futura santa, la cui prima sede (dov’erano accolte e assistite le «derelitte», ragazze povere, fanciulle abbandonate e donne di strada) venne aperta con il sostegno e l’incoraggiamento del vescovo Tosi. Il quale, dal canto suo, decise di potenziare, sul piano edilizio come su quello organizzativo, il seminario del clero, per il quale ottenne dal governo nuovi e ampi locali, già appartenuti ai canonici lateranensi, presso la chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro. Agli occhi del vescovo il rinnovato seminario, capace di ospitare un centinaio di studenti, doveva apparire segno tangibile della presenza culturale della Chiesa in una città universitaria, nonché fungere da strumento di formazione di un clero che, oltre a esplicitare la sua mansione principale (ovvero la cura d’anime), si mostrasse anche in grado di svolgere un compito di «apostolato intellettuale» tra gli studenti (ibid., p. 75). Così pensato il seminario, al quale fu presto abbinato un ginnasio diocesano, divenne fucina di vocazioni. Esse andarono aumentando sensibilmente e riportarono la diocesi di Pavia, che dopo la Restaurazione risultava quella con il tasso di vocazioni più basso dell’intera Lombardia, su livelli medio-alti. All’incremento quantitativo del clero pavese, particolarmente evidente in città, non corrispose un automatico miglioramento della sua qualità. Pochissimi erano infatti fra i chierici i giovani «dotati di ingegno distino», i quali – annotava Tosi – preferivano invece percorrere le strade loro aperte dall’Università, «in cui sperano di trovare un più lauto e più onorato stabilimento» (ibid., p. 81). Fra le nuove forme di apostolato «pionieristicamente» introdotte da Tosi a Pavia va segnalata l’apertura di un istituto di formazione per ragazzi (l’«oratorio maschile», o «congregazione dei giovani artieri») e del primo asilo aportiano in città (Guderzo, 1995, p. 382).
Nel 1843, sempre più affaticato dall’età e provato dalla malattia, Tosi decise di farsi affiancare da tre sacerdoti ritenuti i più idonei a coadiuvarlo nella guida della diocesi. La scelta ricadde su Siro Landriani, Pietro Lanfranchi e Federico Cattaneo, i quali, oltre alla chiara integrità morale e alla solida preparazione teologica, manifestavano una sensibilità rigorista e filogiansenista che li poneva in sintonia con i noti orientamenti del vescovo. Ciò non mancò di suscitare malumori e sospetti che, peraltro, erano già emersi qualche anno prima quando, nel 1838, Cambiagio aveva deciso di abbandonare Pavia dove la sua fondazione assistenziale non riscuoteva più il consenso e l’appoggio delle autorità civili ed ecclesiastiche. Nel venir meno in Tosi della fiducia nella religiosa sembrerebbe aver avuto un ruolo decisivo la diffidenza maturata verso le sue iniziative nella cerchia degli ecclesiastici filogiansenisti più vicini al vescovo. Il crescente peso da essi assunto con il peggioramento delle condizioni di salute di Tosi contribuì a deteriorare un clima già condizionato da latenti contrasti, i quali emersero clamorosamente nella primavera del 1843 quando un sacerdote, già noto per i suoi gesti squilibrati, in ripetute occasioni pubbliche contestò il predicatore quaresimalista prescelto da Tosi, tacciando i vertici della chiesa pavese di eresia. La scia di polemiche lasciata da tale accusa fa trapelare quanto fosse ancora forte a Pavia il peso dell’eredità di Tamburini, figura che in diocesi continuava a suscitare ammirazione, ma anche divisioni e faziosità. Ne fu testimone diretto (e, in un certo senso, anche vittima) lo stesso Tosi, benché le sue simpatie portorealiste, al di là dell’immagine trasmessa da amici e confidenti «troppo infervorati da entusiasmi giansenitsti», si fossero poste «più sul versante spirituale che su quello dottrinale» (Magnani, 1986, p. 206). Gli ultimi anni di Tosi furono segnati dall’infermità che ne ridusse notevolmente l’autonoma capacità di pensiero e di azione.
Morì a Pavia il 13 dicembre 1845. Le esequie solenni (durante le quali l’orazione funebre venne tenuta dall’arciprete Lanfranchi, uno fra i più stretti collaboratori di Tosi) furono celebrate il 18 dicembre nel duomo di Pavia.
Fonti e Bibl.: Pavia, Archivio storico diocesano, Vescovi pavesi, 19, Luigi Tosi (1823-1845); R. Ritzler - P.Sefrin, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi: sive summorum pontificum, S.R.E. cardinalium ecclesiarum antistitum series, VII, Patavii 1968, p. 298.
Scritti di L. T. vescovo di Pavia (1823-1845), a cura di P. Magnani, Viboldone di San Giuliano Milanese s.d.; P. Lanfranchi, Orazione funebre recitata dal canonico arciprete Pietro Lanfranchi nelle solenni esequie di monsignor L. T., Pavia 1845; C. Magenta, Monsignor L. T. e Alessandro Manzoni. Notizie e documenti inediti, Pavia 1876; R. Rogora, lI bustese mons. L. T. vescovo di Pavia: il suo giansenismo variamente giudicato, Busto Arsizio-Pianezza 1970; X. Toscani, Il clero lombardo dall’Ancien Regime alla restaurazione, Bologna 1979, pp. 328-330; Id., Secolarizzazione e frontiere sacerdotali: il clero lombardo nell’Ottocento, Bologna 1982; P. Magnani, Un vescovo tra rinnovamento e millenarismo. Lettere di L. T. a Federico Cattaneo, in Bollettino della Società pavese di storia patria, LXXXVI (1986), 38, pp. 193-241; G. Guderzo, La Chiesa pavese dall’età delle riforme alla seconda guerra mondiale, in Diocesi di Pavia, a cura di A. Caprioli - A. Rimondi - L. Vaccaro, Brescia 1995, pp. 376, 379-387, 389 s., 392, 397-399; P. Magnani, Il vescovo L. T. a Pavia. Una Chiesa agostiniana (1823-1845), in Il giansenismo e l’Università di Pavia. Studi in ricordo di Pietro Stella, a cura di S. Negruzzo, Milano 2012, pp. 151-160; M. Rosa, Il giansenismo nell’Italia del Settecento. Dalla riforma della Chiesa alla democrazia rivoluzionaria, Roma 2014, pp. 154, 224, 231, 237-239, 244, 246, 272.