TARTUFARI, Luigi
– Nacque a Macerata il 16 novembre 1864 da Luciano e da Adelaide Patrini, agiati possidenti.
Laureato in giurisprudenza a Parma il 2 luglio 1888 con una tesi che gli valse il premio Romagnosi, nel dicembre dello stesso anno superò a pieni voti l’esame di procuratore. L’anno successivo ottenne un assegno per svolgere un corso di perfezionamento a Pavia, ma vi rinunciò per la contemporanea nomina a supplente di introduzione alle scienze giuridiche e istituzioni di diritto civile nella facoltà parmense, incarico che gli venne confermato anche nei due anni accademici successivi.
Appartiene a questa prima fase la monografia dedicata al contratto a favore di terzi, nella quale, con la stessa ottica attenta alla formazione storica del diritto e alla sua funzione pratica che divenne poi tipica del suo pensiero, Tartufari tentò di affrancare l’istituto dai vecchi paradigmi romanistici (Dei contratti a favore di terzi, Verona 1889). Partendo dalle deroghe già ammesse dal diritto romano al principio del nemo alteri stipulari potest – la cui ragione considerava essenzialmente storica e legata all’indole e alla natura stessa della stipulazione romana – e passando per una serrata critica alla dottrina francese e a Charles Demolombe in particolare, il giurista marchigiano arrivava infatti a conferire a tale figura contrattuale un carattere generale che andava oltre le timide ammissioni fatte dal legislatore del 1865.
Per contrastare sul piano teorico il principio base secondo il quale il contratto aveva valore di legge soltanto per le parti e riconoscere così validità a quello stipulato a favore di terzi, egli si appoggiava alla dottrina pandettistica, e alla monografia di Karl von Gareis (Die Verträge zu gunsten Dritter, 1873) in particolare, che aveva posto l’accento sulla centralità dell’elemento volontaristico per riconoscere ai privati la possibilità di produrre, mediante lo strumento contrattuale, effetti negoziali diretti nella sfera giuridica di terzi. Una posizione, quella adesiva alla dottrina tedesca, poi contestatagli dalle commissioni messinese e catanese per i concorsi a professore ordinario di diritto civile del 1893 e del 1897, che stigmatizzarono l’acritico appiattimento sulle costruzioni concettuali alemanne senza averne preliminarmente assodato l’effettiva rispondenza alle disposizioni del codice italiano (Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia, 6 settembre 1893, n. 210, p. 3930, e 2 luglio 1897, n. 152, p. 3207).
Nello stesso 1889, con l’intento di sistematizzare alcuni istituti sparsi nel codice, Tartufari cominciò anche la stesura di un lungo saggio che, inizialmente apparso a puntate sulle pagine dell’Archivio giuridico (1889, vol 43, pp. 61-149; 1890, vol. 44, pp. 67-134; 1890, vol. 45, pp. 421-598; 1891, vol. 46, pp. 106-145), fu poi pubblicato in volume (Della rappresentanza nella conclusione dei contratti in diritto civile e commerciale, Bologna 1890) e indi rifuso in una più vasta opera edita a Torino nel 1892.
Seguace convinto della dottrina della cooperazione della volontà del rappresentante e del rappresentato nella formazione del negozio giuridico – che riprese in tutte le sue conseguenze e che sostenne non soltanto nell’ambito della rappresentanza civile, ma anche di quella commerciale, di impresa e di società –, Tartufari introdusse tuttavia nella teoria del concorso elaborata da Ludwig Mitteis alcuni elementi di novità, specialmente nella parte in cui questi riteneva l’apporto della volontà del rappresentato come un elemento attivo e concomitante che caratterizzava l’intero processo negoziale. Lo studioso maceratese, al contrario, considerava la volontà del rappresentato come una dichiarazione preventiva in base alla quale quest’ultimo si obbligava a riconoscere come propri tutti gli atti giuridici compiuti dal suo rappresentante in conformità dei poteri conferitigli; essa costituiva perciò di fronte ai terzi «una vera e propria dichiarazione unilaterale di volontà», la cui efficacia contrattuale obbligatoria cominciava ad avere vita dal momento in cui i terzi avessero concluso con il rappresentante l’atto giuridico in oggetto (Della rappresentanza..., cit., cap. VII, sez. III, n. 298, pp. 351 s., ed. 1892).
Lodato per la completezza della trattazione, ma tacciato al contempo di scarsa originalità negli approdi dalle diverse commissioni di concorso ai quali Tartufari prese parte, il lavoro si impose comunque all’attenzione della dottrina (Francesco Saggese, Alessandro Graziani, Salvatore Pugliatti), contribuendo a gettare le basi di quella teoria italiana formale della rappresentanza che sarebbe divenuta presto maggioritaria nel panorama degli studi sulla materia.
Fu grazie a questi due contributi che con decreto ministeriale del 22 maggio 1890 ottenne, per titoli, la libera docenza a Parma in diritto civile. Tartufari aveva in realtà presentato domanda per diritto commerciale, aggiungendovi tuttavia una postilla: «data la difficile distinzione tra le due materie civile e commerciale, [...] il sottoscritto dichiara che, ove per avventura la sua domanda apparisse alle competenti autorità meglio giustificata per la libera docenza in diritto civile, si riterrebbe tuttavia soddisfatto se questa, anziché quella a cui principalmente aspira, gli fosse accordata» (Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale Istruzione superiore, Università e Istituti superiori: affari generali, Serie I (1882-1890), b. 890, f. 2). Mosso dalla convinzione dell’unitarietà di fondo della scienza giuscivilistica, egli aveva d’altra parte concentrato fin da subito la propria riflessione dogmatica su temi al confine tra le due discipline, come testimoniano le Note ed appunti critici di diritto civile e commerciale (Macerata 1890), per le quali fu, non a caso, paternalisticamente redarguito da Ercole Vidari – impegnato ormai da un ventennio in un programma di costruzione dell’autonomia giuridica della giuscommercialistica e di difesa dei suoi peculiari istituti – che attribuì alcuni richiami all’unità ivi contenuti alla «balda sicurezza sua giovanile» e destinati perciò a divenire con il tempo «meritevoli di maggiore ponderazione» (recensione in Il Filangieri, XVI (1891), 1, p. 250).
Nel 1890 Tartufari partecipò anche ai due concorsi (i primi di una lunga serie: nove nell’arco della carriera) a professore straordinario di diritto civile svoltisi in quell’anno a Macerata e a Siena, ottenendo in entrambi l’eleggibilità. Straordinario di diritto commerciale nell’Ateneo della città natale nel 1892, il 31 ottobre dell’anno successivo, forte dell’idoneità conseguita a Messina e a Pavia per un posto da ordinario di diritto civile, chiese e ottenne il trasferimento sulla cattedra civilistica. Nella prolusione con la quale il 5 novembre successivo inaugurò l’anno accademico maceratese (Del contratto di lavoro nell’odierno movimento sociale e legislativo, Macerata 1893), il neocivilista scelse di affrontare i problemi suscitati dalla questione del contratto di lavoro nella coeva realtà economica, analizzando il tema dei rapporti tra capitale e lavoro con un’inedita lente giuridica. Senza pretendere di trovare una soluzione alle contraddizioni e ai tanti quesiti che la questione sociale poneva al giurista, Tartufari manifestò comunque l’esigenza di procedere a una riforma del diritto civile che tenesse conto dei mutamenti socio-economici in corso. Riconosciuto come lo schema romanistico della locazione d’opere fosse ormai incapace di regolamentare la realtà di quel genere di rapporti e individuata la peculiarità del contratto di lavoro, il giurista non si spinse tuttavia a individuare un tipo contrattuale nuovo, limitandosi ad auspicare un pronto intervento del legislatore in tal senso.
Confermato straordinario anche nell’anno successivo, con decreto del 1° dicembre 1895 fu promosso per titoli ordinario di diritto civile nella facoltà giuridica maceratese, dove tenne anche l’incarico di istituzioni di diritto romano. Nel 1897, ambendo a un passaggio in un’università primaria, dopo aver preso parte alle competizioni di Messina e di Palermo, partecipò al concorso bandito a Catania. Primo fra gli eleggibili, fu chiamato in quell’Ateneo, ma rinunciò a prendere servizio per non allontanarsi dai genitori anziani e bisognosi di cure; per questa ragione ricusò poco dopo anche il trasferimento a Messina, dove nel frattempo la cattedra si era resa vacante. Per Il codice di commercio coordinato da Leone Bolaffio e Cesare Vivante aveva intanto commentato i titoli VII e VIII del libro I corrispondenti rispettivamente alla vendita e al riporto (Verona 1897, Torino 1936).
Eletto rettore dell’Ateneo maceratese nel 1898 (dal 1899 fu anche preside della facoltà di giurisprudenza), nel dicembre del 1901 rassegnò le dimissioni per trasferirsi a Parma come titolare della cattedra civilistica. Qui insegnò anche istituzioni di diritto romano (1902-03) e procedura civile (1908-10). La produzione scientifica subì in quegli anni una battuta d’arresto. I contributi degli anni Dieci si limitarono infatti essenzialmente a una serie di note a sentenza che, ospitate sulle pagine della neonata Rivista di diritto commerciale, rivelavano comunque l’attenzione dello studioso marchigiano alle cose nuove della modernità: dalle servitù di passaggio delle condutture elettriche (II (1904), parte II, pp. 31-34) alla commercialità dei depositi nelle Casse di risparmio (pp. 109-116), dalla formalità del buono e approvato (III (1905), parte II, pp. 560-565) all’intestazione e possesso dei libretti di risparmio postali (VIII (1910), parte II, pp. 19-30).
Eletto rettore anche dell’Ateneo parmense nel 1911, il 29 marzo 1914 rassegnò le dimissioni per restare a fianco della moglie Elena Corti, sposata nel marzo del 1900, già gravemente malata. Provato dalla scomparsa della consorte, avvenuta due anni dopo, si chiuse in una dolorosa solitudine. Nell’ottobre del 1920, meditando un allontanamento dalla cattedra, Tartufari chiese così un primo periodo di aspettativa, afflitto ormai «da parecchio tempo» da «uno stato di profonda depressione e stanchezza nervosa» che non gli consentiva di studiare e di svolgere con zelo l’attività didattica, come riportava il certificato medico annesso alla richiesta (Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale Istruzione superiore, Fascicoli personali professori ordinari, Serie I (1900-1940), b. 141). Era il preludio del definitivo ritiro dall’insegnamento: il 1° novembre 1922 «per essere divenuto a causa d’infermità permanentemente inabile al servizio» fu collocato a riposo. Il pensionamento segnò anche la fine dell’attività scientifica, peraltro già ulteriormente affievolitasi nel corso dell’ultimo decennio. Nominato professore emerito della facoltà di giurisprudenza parmense l’8 marzo 1923, si spense a Macerata il 19 agosto 1931.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale Istruzione superiore, Fascicoli personali professori ordinari, Serie I (1900-1940), b. 141; Università e Istituti superiori: affari generali, Serie I (1882-1890), b. 922, f. 760/3, b. 890, f. 2, b. 930, f. 772/2; A. Candian, L. T., in Temi emiliana, VIII (1931), 2, coll. 129-134; L. T., in Rivista di diritto privato, II (1932), 1, p. 65.
P. Grossi, Scienza giuridica italiana. Un profilo storico 1860-1950, Milano 2000, pp. 57-59; P. Marchetti, L’essere collettivo. L’emersione della nozione di collettivo nella scienza giuridica italiana tra contratto di lavoro e Stato sindacale, Milano 2006, pp. 17-19; P. Passaniti, Storia del diritto del lavoro, I, La questione del contratto di lavoro nell’Italia liberale (1865-1920), Milano 2006, pp. 126-129; G. Cazzetta, Scienza giuridica e trasformazioni sociali. Diritto e lavoro in Italia tra Otto e Novecento, Milano 2007, pp. 138-141; L’Università di Macerata nell’Italia unita (1861-1966). Un secolo di storia dell’ateneo maceratese attraverso le relazioni inaugurali dei rettori e altre fonti archivistiche e a stampa, a cura di L. Pomante, Macerata 2012, pp. 333 s.; P. Passaniti, T., L., in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), diretto da I. Birocchi et al., II, Bologna 2013, pp. 1944 s.