TANSILLO, Luigi
– Figlio di Vincenzo e di Laura Del Cappellano, nacque a Venosa probabilmente nel 1510.
Il padre, mai nominato nella documentazione superstite, fu identificato da Vincenzo Spampanato (1921, pp. 12 s., 26) nel Vincentius «philosophus ac medicus» ricordato da Ambrogio Leone nel De Nola (Venezia 1514, c. 46r), che annovera i Tansillo tra le famiglie nobili di Nola. I Del Cappellano, venuti nel Regno al seguito di Carlo II d’Angiò (Del Cappellano, 2008, pp. 79, 99), si stabilirono nel territorio di Lauro, a poche miglia da Nola, fino a che Tomaso Del Cappellano, che aveva sposato una donna nolana di casa Albertini, si trasferì a Venosa nella seconda metà del XV secolo. Si può ipotizzare che Laura Del Cappellano, rimasta vedova, tornasse a Venosa prima della nascita del figlio, alla luce di un sonetto in cui Tansillo ricordò Nola come il luogo «ove nacque e morio chi l’altrui seno / di me fe’ grave e non godeo del parto» (Rime 338, 6-7).
L’anno di nascita fu fissato al 1510 da Francesco Fiorentino (in L. Tansillo, Poesie liriche edite e inedite, Napoli 1882, pp. XXIV-XXV) sulla scorta della Numerazione de’ fuochi di Nola dal 1522 al 1666, conservata fino all’incendio del 1943 nell’Archivio di Stato di Napoli (Lavori, vol. 128), dove risultava censito per l’anno 1545 (n. 678) il «Magnificus Loysius Tansillus a. 35».
Tansillo aveva ereditato i beni paterni in Nola e da trent’anni (quindi all’età di cinque anni) si era trasferito a Napoli, aggregato alla famiglia Sanseverino e nel frattempo era stato nominato continuo del viceré. È possibile che, avendo abbastanza presto la madre sposato in seconde nozze un venosino della famiglia Solimele, Tansillo tornasse a Nola ancora fanciullo presso i parenti paterni al tempo in cui la città era feudo di Enrico Orsini, dal 1513 sposato a Maria Sanseverino, sorella di Pietro Antonio, IV principe di Bisignano, destinatario dell’XI dei Capitoli giocosi e satirici in cui il poeta ribadì l’impegno di «far palese a tutto ’l mondo come / sotto il favor di questa illustre insegna / io nacqui e vissi et imbiancai le chiome» (73-75).
Tra Nola e Napoli quindi Tansillo trascorse la fanciullezza e la giovinezza sotto la protezione della famiglia Sanseverino, mancando peraltro notizia precisa sugli studi e sulla formazione (in Capitoli XIII, 97 si lamentò di essere stato costretto a lasciare «i dolci studi» per le incombenze della vita cortigiana), sebbene nelle filigrane della sua multiforme opera poetica si scorgano tracce di una consolidata consuetudine con i classici della letteratura volgare, dai canonici Petrarca, Dante e Boccaccio ai moderni Sannazaro, Ariosto, Bembo, Castiglione, con le aperture, ovvie per un regnicolo, sulla poesia dei canzonieri iberici bene ambientata a Napoli tra regno aragonese e viceregno spagnolo. A differenza dei suoi quasi coetanei Angelo Di Costanzo e Berardino Rota, Tansillo non scrisse versi in latino, pur mostrando, nella sua produzione in volgare, sicura e approfondita conoscenza soprattutto di Virgilio, Orazio e Ovidio, nonché della più recente produzione neolatina (Giovanni Pontano, Iacopo Sannazaro, Pietro Gravina, Girolamo Angeriano).
Tra il 1527 e il 1528 va collocata l’opera di esordio: l’egloga drammatica I due pellegrini, probabilmente rappresentata a Nola nel palazzo degli Orsini, in cui l’elogio dell’antico valore della città, fedele alleata di Roma nella seconda guerra punica, si fonde con quello dei suoi feudatari, soprattutto Maria Sanseverino, nel contesto di un’invenzione narrativa scopertamente in debito con la Cuestión de Amor, romanzo edito a Valencia nel 1513, ma di ambientazione napoletana, in cui su un lessico sostanzialmente petrarchesco si innestano frequenti citazioni della Cecaria di Marcantonio Epicuro (1ª edizione Venezia 1526 con il titolo Dialogo di tre ciechi). Trattandosi tuttavia di opera trasmessa esclusivamente da una tarda stampa del 1635, risulta difficile valutare la lingua e lo stile del poeta esordiente.
L’arrivo a Napoli nel settembre del 1532 del viceré don Pedro Álvarez de Toledo determinò, in breve volgere di anni, una svolta decisiva nella vita di Tansillo, che insieme ad altri concittadini influenti si adoperò perché fosse restituito a Nola lo status di città demaniale già acquistato dopo la fine della signoria degli Orsini, ma vanificato da un nuovo infeudamento. In un capitolo in terza rima del 1550 egli avrebbe rievocato l’episodio legandolo alla fase iniziale del governo toledano («Quando Vostra Eccellentia venne al Regno / [...] / io ebbi ardir raccommandarvi Nola, / che stava alor come in catena servo / et ebbe alcun vigor la mia parola»: Capitoli XXIV, 127 e 133-135). A prescindere dal peso effettivo della supplica di Tansillo, nel 1533 Nola fu liberata dal potere feudale e in quello stesso anno si registra la prima apparizione del suo nome nel Variorum poematum liber di Giano Anisio (in Cosmi Anysii, Poemata, Napoli, Sultzbach, 1533, cc. 76-100, in partic. c. 87), in un contesto in cui accanto ai maggiorenti della città largo spazio è riservato a don Pedro de Toledo e a Garcilaso de la Vega. A quest’ultimo Tansillo, nel giovanile sonetto 181 (Rime, a cura di T.R. Toscano - E. Millburn - R. Pestarino, 2011, pp. 601 s.), riconobbe il merito di averlo introdotto, novello Mecenate, nella cerchia del viceré: il riferimento alla difficoltà di cantare adeguatamente il nuovo Augusto, vivendo il poeta «in questo angusto / angol d’Italia» (12-13), indurrebbe a collocarne la composizione in ambito nolano. Ancora in occasione della prima sortita tipografica (i sonetti 22, 25, 379 e il madrigale 380) nel Vocabulario di cinquemila vocabuli toschi di Fabricio Luna (Napoli, Sultzbach, 1536) egli fu indicato come il «Tancillo di Nola» (c. L4v). Probabilmente nello stesso 1536 Tansillo fu nominato continuo («la guardia d’onore del viceré, in numero di cento cavalleggeri, cinquanta italiani e cinquanta spagnoli», tutti «gentiles hombres» di nascita e «muy bien proveydos de armas y cavallos», cui potevano essere affidati in tempo di guerra funzioni di capitano e otros cargos importantes: Rosalba, 1903, pp. 180-183). In mancanza del documento di nomina, né risultando pagamenti a beneficio di Tansillo prima del 7 settembre 1543 (p. 198), sopperisce la testimonianza di Capitoli XXIII 88, composto nell’autunno del 1550, in cui rammenta al viceré che erano trascorsi quasi quindici anni da quando era entrato al suo servizio «sempre cavalcando in pace e in guerra» al suo fianco. Nel 1537 fu stampata da Marcolini a Venezia la prima redazione in 79 ottave delle Stanze di cultura sopra gli orti delle donne, varie volte replicata negli anni successivi, prima della stampa della redazione definitiva in 171 stanze pubblicata da Baldassarre Costantini a Venezia nel 1549 con il titolo Il vendemmiatore e la lettera di dedica datata Nola 1° ottobre 1534.
Nell’estate del 1537 fu al seguito del viceré nella spedizione per il recupero di Ugento e Castro occupate dai turchi. Tra l’estate e l’autunno del 1538 va collocato, sebbene manchino testimonianze dirette, il primo viaggio per mare sulla galea di don García de Toledo, figlio del viceré, impegnato nella campagna navale che si concluse con la battaglia di Prevesa del 27 settembre (E. Pèrcopo, in L. Tansillo, Il canzoniere edito ed inedito..., Napoli 1926, p. XCV). È certo che qualche mese più tardi, a Messina, Tansillo adattò il testo dei Due pellegrini rappresentati la sera del 26 dicembre nel contesto dei festeggiamenti organizzati da don García in onore di Antonia de Cardona.
Il tema della navigazione e dei vari disagi che essa comporta (la forzata compagnia con la ciurma dei galeotti e la naupatia, insieme alla lontananza dalla donna amata) ritorna sovente nella sua produzione poetica, modulato sia sul registro ‘comico’ della conversazione in versi affidata ai capitoli in terza rima sia su quello più sostenuto dell’evocazione lirica di Napoli e della donna lontana, come in varie rime (si veda soprattutto la sestina 72 Da che si desta in Oriente il sole) e nelle Stanze a Bernardino Martirano, la cui prima redazione di 42 ottave (princeps del 1553 nel Sesto libro delle rime di diversi eccellenti autori, Venezia, Al segno del pozzo, allestito da G. Ruscelli, cc. 39r-45v) risale agli ultimi anni Trenta e ai primi Quaranta, mentre la seconda di 61 ottave, rielaborata non oltre il 1548, anno della morte del dedicatario, fu stampata nel 1563 nella Seconda parte delle stanze di diversi autori approntata da Antonio Terminio per Giolito (pp. 133-150).
Alla luce dei Capitoli II, IV e V, il secondo viaggio per mare va collocato nel 1540: Tansillo lasciò Nola il 26 maggio per seguire don García che doveva unirsi all’armata imperiale; costeggiò la Sicilia, fece sosta a Malta, fu poi in Barberia, da Cartagine fino a Béjaïa (Bugia), e quindi passando per Reggio Calabria e Brindisi risalì fino a Manfredonia e Valona, trascorrendo quasi tutta l’estate navigando spesso lungo costa e avendo modo di constatare gli effetti delle scorrerie dei corsari turchi e delle rappresaglie dei cristiani, da lui esecrate in egual misura. Nel corso di questa campagna navale Tansillo veleggiò lungo le coste della Dalmazia (Capitoli II, 91-93), potendo osservare a Castelnuovo i resti insepolti dei tremila fanti spagnoli trucidati dai turchi comandati da Barbarossa nell’agosto del 1539, esaltati quali nuovi martiri della Fede in un trittico di sonetti (Rime 5-7), variamente imitati dai poeti spagnoli del Siglo de oro (González Miguel, 1979).
Nell’agosto del 1541 fu a Lucca e quindi a La Spezia (Capitoli XIX, 124) al seguito del viceré che incontrò Carlo V in procinto di partire per la spedizione di Algeri, poi conclusasi con la disfatta dell’armata spagnola. A distanza di anni, nel 1555, Tansillo avrebbe ricordato a Ruy Gómez de Silva di averlo visto «a tempo ch’eravamo con l’Imperadore a Bugia» (Rime, cit., p. 497), il porto dove aveva trovato riparo Carlo V, donde ripartì il 28 novembre 1541. A giudizio di Erasmo Pèrcopo (1926, p. XCIX) Tansillo non parlò mai di questa sua partecipazione (adombrata forse in Rime 316), «perché, suddito fedele e partigiano degli Spagnuoli, non volle menomamente rammentar loro pubblicamente una così tremenda sconfitta». Il 18 maggio 1544 fu ascritto all’Accademia Fiorentina (cfr. Rime 298 e 299), stringendo duratura amicizia con Benedetto Varchi (cfr. Rime 73 e 297). Nel 1545 tra le Rime diverse di molti eccellentissimi autori (Venezia, Giolito) fu stampato il sonetto contro la gelosia O d’Invida e d’Amor figlia sì ria (Rime 25) con attribuzione a Giovanni Della Casa (fino al 1550 si stamperanno in antologia varie composizioni spicciolate di Tansillo attribuite ad altri: cfr. Rime, cit., pp. 72-74).
Nel 1546, con lettera di dedica datata Napoli 20 gennaio, inviò un manoscritto di 74 rime (ora a Coimbra, Biblioteca geral da Universidade, 888) a Gonzálo Fernández de Cordoba, III duca di Sessa, omonimo nipote del gran capitano, tra l’altro anche duca di Venosa, probabilmente conosciuto da Tansillo nel corso della campagna di Algeri (Rime, cit., p. 191). La stessa raccolta, incrementata di sei unità, e arricchita dall’aggiunta di altra raccolta di minore estensione (18 rime) preceduta da una lettera datata Napoli 22 marzo 1550 (ora a Madrid, Biblioteca del Instituto de Valencia de Don Juan, 26.IV.26), fu offerta direttamente al dedicatario nel corso di un suo soggiorno a Napoli (Rime, cit., pp. 16-20 e 399).
I ‘libri’ offerti al duca di Sessa sono le uniche raccolte che rivelano una coerente struttura d’autore (Toscano, 1995; Pestarino, 2018), in processo di tempo abbandonate ma non sostituite dalla costruzione di un canzoniere definitivo, e rivelano che all’altezza del 1546 Tansillo lirico aveva attinto una sua peculiare misura, caratterizzata, pur nell’ambito di una sostanziale adesione alla linea Petrarca-Bembo, da una assidua ricerca di effetti coloristici e musicali, riconducibile al magistero di Sannazaro, con una più accentuata modalità epigrammatica nel trattamento del sonetto e la ricerca, nei numerosi madrigali, di arguzie concettuali in parte derivate dalla poesia cancioneril ancora bene ambientata nella Napoli spagnola di primo Cinquecento. Il ‘libro’ del 1546 esibisce una selezionata rete di rapporti letterari, in cui accanto al fiorentino Varchi (sodale dell’Accademia Fiorentina: Rime 73) spazio più rilevato è riservato ai corifei della poesia castigliana italianizzante, Garcilaso de la Vega (Rime 39 e 40) e Juan Boscán (Rime 2 e 60), ai quali sono indirizzati anche altri sonetti (Rime 181 e 222 a Garcilaso; 223, 224, 262 e 263 a Boscán) esclusi dalla raccolta, sebbene già composti, essendo morto il primo nel 1536, il secondo nel 1542. I lettori spagnoli avevano già incontrato il nome di Tansillo nella princeps (stampata a Barcellona nel 1543) delle Obras di Boscán e di Garcilaso, nel cui sonetto 24, indirizzato a Maria de Cardona, è elogiato insieme ad Antonio Minturno e a Bernardo Tasso. Prima e più delle selezioni di rime stampate nelle antologie a partire dal 1552, furono i manoscritti donati al duca di Sessa all’origine della rigogliosa fortuna di Tansillo lirico in Spagna presso i poeti del Siglo de oro e oltre (González Miguel, 1979; Toscano, 2018, pp. 297-320).
Il 20 febbraio 1547 sottoscrisse la lettera a don Pedro de Toledo che accompagna il manoscritto di dedica della Clorida (ora a Napoli, Biblioteca statale oratoriana del Monumento nazionale dei Girolamini, 28.1.61), poemetto in ottava rima di 170 stanze, in processo di tempo rielaborato e incrementato di tre stanze nella redazione stampata nella ricordata Seconda parte delle stanze di diversi autori (1563, pp. 83-150). Servendosi dello schermo di Clorida, ninfa abitatrice del parco annesso alla villa di don García a Chiaia, che, pur diffondendosi nella descrizione dei luoghi e traendo spunto dalla descrizione dei cicli pittorici delle logge per celebrare le imprese dei Toledo padre e figlio, si lamenta di essere stata abbandonata dal viceré a beneficio delle ninfe della villa di Pozzuoli, Tansillo sembra dar voce alla preoccupazione di quanti giudicavano politicamente rischiose le prolungate assenze da Napoli di don Pedro, accentuandosi un distacco che sarebbe esploso drammaticamente di lì a qualche settimana nella rivolta contro il tentativo di introdurre nel Regno l’Inquisizione al modo di Spagna. Due anni dopo avrebbe ricordato i rischi corsi in quei mesi, in qualità di continuo invocando in varie rime, a rivolta sedata, la clemenza del viceré a beneficio della città e dei suoi abitanti (Toscano, 2016). Nell’autunno del 1549, nel corso dell’ultimo viaggio per mare, indirizzò un’epistola in versi al viceré (Capitoli XVIII) chiedendogli in moglie una delle damigelle di corte: la prescelta fu Luisa Puccio (Puzzo) di Teano e il 24 settembre 1550, annunciando il matrimonio imminente, invitò Varchi e, per suo tramite, i «nobilissimi spirti della Academia» a comporre rime per solennizzare l’evento (Fiorini, 1886, p. 56). Sempre a Varchi, il 28 maggio 1552, Tansillo comunicò che la moglie si andava ristabilendo da una grave malattia occorsale dopo la nascita di una figlia, l’11 marzo, la cui causa è ricondotta al blocco della lattazione, come più esplicitamente ricorderà nel primo dei due capitoli di La balia (I, 82-90), ‘capriccio’ composto qualche anno dopo «nel quale si essortan le donne nobili che elle stesse debban allattare i lor figliuoli». Più difficile è la collocazione cronologica della morte del figlio maschio compianto in Rime 188-190 e 397, quest’ultimo in risposta a Ludovico Paterno, che nel Nuovo Petrarca (Venezia 1560) gli aveva indirizzato un sonetto consolatorio. Trascorreranno vari anni prima della nascita di un altro erede maschio, Mario Antonio: nei capitoli del Podere (III, 109-110), la cui dedica è datata 15 agosto 1560, si esprime il desiderio di poter condividere il desco della casa di campagna «[...] con le care figlie e, se ’l Ciel vole, / spero coi figli».
Il 18 giugno 1551 firmò la dedica al duca di Sessa dei Sonetti per la presa d’Africa (Napoli [Cancer]): una plaquette di 29 pezzi per celebrare la conquista di Mehedia da parte degli imperiali (10 settembre 1550) in cui si enfatizza, ben al di là dei meriti reali, il ruolo di don García de Toledo. Tansillo appare in veste di regista delle celebrazioni, descrivendo, nel Discorso che si legge dopo i sonetti, le imprese da lui inventate per essere incise nella collana d’oro offerta al vincitore dalla città di Napoli. Nello stesso anno stampò una epistola in terza rima indirizzata a don Pedro de Toledo (Capitoli XXIV), preceduta da una lettera agli eletti di Venosa (Napoli, 30 settembre 1551) in cui rivendica l’orgoglio di condividere la stessa patria di Orazio, per la quale ha ottenuto dal viceré la liberazione dal peso della guarnigione spagnola che vi era acquartierata.
L’esordio a stampa di Tansillo lirico avvenne nel 1552: un piccolo canzoniere di 24 rime (Milburn, 2003) nelle Rime di diversi illustri signori napoletani, curate da Lodovico Dolce per Gabriele Giolito, cui fecero seguito nel 1553 altri 24 pezzi (più la prima redazione delle Stanze a Bernardino Martirano) nel Sesto libro delle rime di diversi eccellenti autori (Venezia, Al segno del pozzo). Si tratta delle uniche sillogi di una certa estensione conferite alle raccolte antologiche: a partire dal 1554 (1 canzone e 5 sonetti nel Tempio per Giovanna d’Aragona, Venezia, Pietrasanta) e fino all’anno della morte, Tansillo somministrò sporadicamente rime spicciolate a raccolte funebri e/o encomiastiche (Rime, 2011, pp. 78-98). Anche la silloge di 44 rime pubblicata nel 1558 da Girolamo Ruscelli nei Fiori delle rime dei poeti illustri (Venezia, Sessa) è la somma, con qualche decurtazione, delle rime già apparse nel 1552 e 1553.
Il 12 febbraio 1555 Tansillo inviò una raccolta (ora a Madrid, Biblioteca de la Academia de la historia, 9-2160) di 28 rime (allo stato 26 per caduta di una carta) al potente ministro di Filippo II Ruy Gómez de Silva, allestita per compiacere Maria d’Aragona (Rime, cit., pp. 31-33). Il 20 marzo 1558 il libraio napoletano Marcantonio Passaro fece stampare a insaputa dell’autore le Stanze per gli intermedi composte in occasione di una rappresentazione napoletana dell’Alessandro di Alessandro Piccolomini.
Nell’Index librorum prohibitorum del 1559 fu inclusa l’intera, per quanto esigua, produzione di Tansillo, che a stretto giro implorò il perdono di Paolo IV (morto nell’agosto dello stesso anno) con la canzone Eletto in ciel, possente e sommo padre (Rime 406) in cui fa ammenda del giovanile Vendemmiatore, impegnandosi a portare a compimento Le lagrime di san Pietro, il cui primo nucleo (61 stanze), già composto prima del 1550, era stato trascritto nel manoscritto donato al duca di Sessa, mentre da una redazione anteriore sembrano dipendere le 42 ottave, falsamente attribuite al cardinale de’ Pucci, stampate a Venezia nel 1560 (Salmi penitenziali..., 2016, Appendice). Grazie ai buoni uffici di Paolo Manuzio e di Girolamo Seripando il suo nome non ricomparirà nell’Index di Pio IV del 1564.
Dal dicembre del 1561 all’aprile del 1563 e dall’ottobre del 1566 al novembre del 1567 esercitò in Gaeta le funzioni di capitano di giustizia, un incarico che, con l’ufficio di guardiano della dogana Maggiore conferitogli dal viceré Toledo nel 1545, si affiancava alla funzione di continuo, esercitata vita natural durante e la cui ultima rata «per tutto Novembre 1568 che passò di questa vita» fu riscossa dai tutori del figlio il 28 aprile 1569 (Rosalba, 1903, pp. 167 e 194).
Negli anni seguiti al matrimonio e alla morte di don Pedro de Toledo (1553) l’attività lirica, tranne sporadici episodi, lasciò progressivamente spazio alla composizione dell’impegnativo e inconcluso poema religioso e di opere di carattere didascalico-morale, Il podere e La balia, non esenti da punte di risentita polemica sociale. Entrambi i poemetti furono inviati il 1° gennaio 1566 al vescovo di Nola Antonio Scarampo. Il 10 maggio 1568 un Tansillo, ormai malandato in salute, insieme al suocero Pietro Paolo Pucci rogò una «reemptio» di un terreno in territorio di Teano con l’intenzione forse di costruirvi la casa di campagna vagheggiata nel Podere. Aspirazione frustrata dalla morte seguita il 30 novembre. Il giorno successivo fu aperto il testamento (Perito, 1914), dettato in casa del suocero il 28 novembre, in cui chiedeva di essere sepolto «nocturno tempore» e «cum una luce tantum». I resti furono tumulati nella cappella del Presepe della chiesa della Ss. Annunziata di Teano (il testo delle epigrafi funerarie in L. Tansillo, Poesie liriche edite e inedite, cit., p. XCIII). Tansillo affidò i suoi manoscritti alle cure congiunte di monsignor Scarampo e di Baldassarre de Torres, maggiordomo del viceré duca di Alcalà, e, in assenza di questi, «ad totum aribitrium praedicti Rev. Episcopi».
Alla morte del poeta gli scritti inediti erano di gran lunga più numerosi rispetto alle poche cose affidate alle stampe: appena 109 rime rispetto alle 419 che figurano nel corpus fin qui ricostruito, il cui testimone più ricco, sebbene segnato da vuoti significativi, è costituito dal codice Casella, apografo tardocinquecentesco di un autografo perduto su cui Tansillo aveva registrato varianti e lezioni superate, appartenuto al bibliofilo Francescantonio Casella, per interessamento di chi scrive donato dagli eredi di Pèrcopo alla Biblioteca di area umanistica (BRAU) dell’Università Federico II di Napoli. Più complessa vicenda editoriale interessò la stampa postuma delle Lagrime di san Pietro, edita una prima volta in 13 ‘pianti’ per le cure di Giovan Battista Attendolo con tagli e rimaneggiamenti imposti dalla censura ecclesiastica (Vico Equense, Cacchi, 1585) e quindi nel 1606, ampliata in 15 ‘canti’, a cura di Tomaso Costo (Venezia, Barezzi), che aggiunse un polemico Discorso in cui, non senza arbitrarietà, demolì la princeps del 1585 (T.R. Toscano, Note sulla composizione..., 1987).
Opere. A partire dal 2010, quinto centenario della nascita di Tansillo, è in corso di pubblicazione l’edizione delle Opere in quattro volumi, diretta da T.R. Toscano. Volumi pubblicati: Capitoli giocosi e satirici, a cura di C. Boccia - T.R. Toscano, Roma 2010: comprende 26 capitoli in terza rima, per i quali, in base ai temi trattati, Tansillo adotta varie denominazioni: ‘satira’, ‘lettera’ e, in misura prevalente, ‘capriccio’. Tranne il XXIV, a stampa nel 1551, gli altri rimasero inediti fino all’Ottocento e, dopo pubblicazioni parziali, furono raccolti e commentati da Scipione Volpicella (Napoli 1870); Rime, introduzione e testo critico a cura di T.R. Toscano, commento di E. Milburn e R. Pestarino, 2 tomi, Roma 2011: 419 rime ordinate sulla base delle raccolte d’autore (1546-1555) con corredo di apparato evolutivo (pp. 241-528), seguite dalle rime trasmesse dal codice Casella (pp. 529-856) e dalle rime a testimonianza unica (manoscritti, pp. 857-894; stampe, pp. 895-966), corredate (pp. 1007-1017) da incipitario alfabetico con rinvio per i singoli componimenti alle precedenti numerazioni delle edizioni a cura di F. Fiorentino (Napoli 1882), E. Pèrcopo (I, Napoli 1926) ed E. Pèrcopo - T.R. Toscano (II, Napoli 1996); L’egloga e i poemetti, testi a cura di T.R. Toscano, commento di C. Boccia - R. Pestarino, Napoli 2017: raccoglie le composizioni di metro vario recuperando, tranne l’aggiunta delle Stanze per gli intermedi, titolo e ordine fissati da F. Flamini nell’edizione Napoli 1893 (I due pellegrini, Il vendemmiatore, Stanze a Bernardino Martirano, Clorida, Stanze per gli intermedi, Il podere, La balia). A questi volumi si rinvia per la bibliografia su edizioni e studi precedenti. Per la tradizione manoscritta e a stampa delle Lagrime di san Pietro, la cui ultima edizione apparve a Venezia nel 1847 nel IX volume del Parnaso italiano stampato da Giuseppe Antonelli, cfr. la citata edizione dell’Egloga e i poemetti di F. Flamini, pp. CXLI-CL e T.R. Toscano, Note sulla composizione e la pubblicazione de «Le lagrime di San Pietro» di L. T. (con inediti), in Rinascimento meridionale e altri studi in onore di Mario Santoro, a cura di M.C. Cafisse et al., Napoli 1987, pp. 437-461.
Fonti e Bibl.: Per una ricognizione complessiva sulla bibliografia fino al 1978, cfr. la voce di R. Cremante nel Dizionario critico della letteratura italiana, diretto da V. Branca, III, Torino 1986, pp. 239-242. V. Fiorini, Tre lettere ed un capitolo di L. T., Bologna 1886; G. Rosalba, Nuovi documenti sulla vita di L. T., in Studi di letteratura italiana, V (1903), pp. 166-225; E. Perito, Il testamento di L. T., in Rassegna bibliografica della letteratura italiana, 1914, vol. 22, pp. 25-28; V. Spampanato, Vita di Giordano Bruno con documenti editi e inediti, Messina 1921; J.-G. González Miguel, Presencia napolitana en el siglo de oro español. L. T. (1510-1568), Salamanca 1979; T.R. Toscano, Due nuovi manoscritti di rime di L. T. in Spagna e una notizia sul recupero del codice Casella, in Filologia e critica, XX (1995), pp. 80-126; E. Milburn, L. T. and lyric poetry in sixteenth-century Naples, Leeds 2003, pp. 84-107; G. Del Cappellano, Trattato della famiglia Del Cappellano (manoscritto del 1668), a cura di P. Colucci, Avellino 2008; T.R. Toscano, L. T., in Autografi dei letterati italiani. Il Cinquecento, t. I, a cura di M. Motolese - P. Procaccioli - E. Russo, Roma 2009, pp. 319-325; Id., Tra don Pedro e don García de Toledo: L. T. cortegiano e precettore, in Rinascimento meridionale: Napoli e il viceré Pedro de Toledo (1532-1553), a cura di E. Sánchez García, Napoli 2016, pp. 457-475; Salmi penitenziali di diversi eccellenti autori [Giolito 1568], introduzione e testo critico a cura di R. Morace, Pisa 2016; R. Pestarino, Tra amori e armi: sulla lirica di L. T., Napoli 2018; T.R. Toscano, Tra manoscritti e stampati. Sannazaro, Vittoria Colonna, T. e altri saggi sul Cinquecento, Napoli 2018.