STEFANONI, Luigi
– Nacque a Milano il 19 febbraio 1841 da Alessandro e da Maria Colombo.
Fu rapito fin da giovanissimo dalla fede mazziniana e ancora adolescente partì volontario al seguito di Giuseppe Garibaldi nella campagna del 1859. Subito dopo l’unificazione cominciò a collaborare con il periodico repubblicano L’Unità italiana, ma ben presto i rapporti con Giuseppe Mazzini si complicarono a causa dell’attrazione di Stefanoni per le correnti razionaliste e antireligiose che in quegli anni cominciavano a lambire le file giovanili dell’area democratica. Al pensiero del filosofo razionalista Ausonio Franchi faceva infatti riferimento la prima opera importante di Stefanoni, intitolata La scienza della ragione e pubblicata con un certo clamore a Milano nel 1862: l’autore, allora ventenne, vi faceva aperta professione di ateismo, delineando i contorni di una pur vaga e semplicistica filosofia materialistica.
Se però Stefanoni riconosceva in Franchi il proprio ‘maestro in filosofia’, in politica il punto di riferimento rimaneva Mazzini, come risultava evidente dal saggio Giuseppe Mazzini. Note storiche (Milano 1863). Un segno di continuità nel solco mazziniano fu anche Le due repubbliche e il due dicembre (Milano 1864), nonché l’attenzione verso la questione polacca, testimoniata dall’opuscolo su Francesco Nullo, pubblicato a pochi mesi di distanza dall’uccisione del patriota democratico per mano dei russi (Francesco Nullo martire in Polonia. Notizie storiche, Milano 1867).
Il dissidio con Mazzini si aggravò nel 1865, quando Stefanoni si impegnò in prima persona nella fondazione a Milano di una Società di liberi pensatori: l’iniziativa, tenacemente avversata dal maestro, provocò la rottura fra i due. Nel gennaio del 1866 vide la luce in quest’ambito la rivista settimanale Il libero pensiero. Giornale dei razionalisti, di cui Stefanoni fu l’animoso direttore fino all’ultimo numero, nel 1876.
La rivista era dedicata alla demolizione dei dogmi e dei culti cattolici, nonché più in generale alla critica delle superstizioni e dell’intolleranza religiosa, cui si contrapponevano l’esaltazione del pensiero scientifico, la tradizione razionalista, la nuova dottrina materialista. Il frequente ricorso alla «derisione» e alla «contumelia» insieme alla «forma caustica, passionata, rabbiosa» (F. Uda, Magnetismo, in Il libero pensiero, 1° agosto 1867) della polemica, che talvolta colpirono anche gli amici e procurarono alla rivista diversi sequestri per offese alla religione dello Stato, le assicurarono d’altro canto una certa capacità di penetrazione tra il ceto popolare urbano. Alla rieducazione in senso anticlericale e antireligioso delle masse mirava anche l’Almanacco popolare del libero pensiero (1869-1879/1980), che ai temi della rivista aggiungeva un calendario laico, composto dai nomi di personaggi cari alla tradizione razionalista, democratica e patriottica.
Nel frattempo, la vena poligrafa di Stefanoni si dimostrava inesauribile. Sono di quegli anni la Storia critica della superstizione (I-II, Milano 1869) e il Dizionario filosofico (I-II, Milano 1873-1875), nonché alcuni romanzi di ispirazione anticlericale (I rossi ed i neri di Roma, I-V, Milano 1863), L’Inferno (I-IV, Milano 1865), Il Purgatorio (I-IV, Milano 1866), Il Paradiso (I-III, Milano 1867), per un totale di sedici volumi.
Ben più importante fu l’attività di traduzione: nel giro di una manciata di anni Stefanoni tradusse una quantità impressionante di pagine, a cominciare da quelle del tedesco Ludwig Büchner, un divulgatore scientifico di ampio successo che sosteneva una concezione integralmente materialistica e atea della realtà. Forza e materia (Kraft und Stoff, 1855) – la cui prima edizione comparve a Milano nel 1867 (e che tutt’oggi rimane l’unica traduzione italiana disponibile) – ebbe un forte impatto sul piano culturale e su quello politico. Per i giovani ribelli stanchi del misticismo mazziniano nonché di un’educazione bigotta e repressiva, Büchner – di cui Stefanoni tradusse anche Scienza e natura (Milano 1868) e L’uomo considerato secondo i risultati della scienza. Donde veniamo? (I-III, Milano 1871-1882) – fu una rivelazione, una liberazione e una chiamata a raccolta, che concorse peraltro allo slittamento della ribellione politica sul terreno dell’internazionalismo anarchico-socialista. Nello stesso breve giro di anni Stefanoni tradusse anche la Fisiologia delle passioni (Milano 1869) dell’antropologo materialista Charles Letourneau, le Trenta lezioni sull’essenza della religione (Milano 1872) di Ludwig Feuerbach, diverse opere dello scrittore razionalista francese André Saturnin Morin e, nella prospettiva del recupero del filone materialista dell’illuminismo francese, L’uomo macchina (Milano 1867) di Julien Offray de La Mettrie.
Nel 1871 Stefanoni si trovava Firenze, dove per sua iniziativa si era trasferita la sede del giornale e si era costituita una Società del libero pensiero, con cui si fuse la Società della onoranza funebre, vicina agli ambienti massonici e volta a promuovere il funerale laico e la cremazione. Ciononostante, verso la massoneria Stefanoni ebbe un atteggiamento critico, contestandone il carattere segreto e il legame di obbedienza imposto ai suoi membri. Nella primavera di quello stesso anno entrò in contatto con Carlo Cafiero, allora emissario di Karl Marx in Italia, e indurì i toni della polemica con Mazzini per la sua condanna della Comune. A partire dalla fine di agosto Il libero pensiero prese a seguire da vicino la vita dell’Internazionale, pubblicandone regolarmente gli atti. Stefanoni fu in prima fila nella costituzione della sezione internazionalista di Firenze e, nell’aprile del 1872, in quella del Fascio Operaio cittadino, sorto con l’obiettivo di coordinare le diverse società operaie già esistenti e di indirizzarle in senso internazionalista, sfidando l’egemonia mazziniana.
La convergenza tra i liberi pensatori – ai quali, in una lettera a Celso Ceretti, Michail Bakunin riconosceva il merito di essere stati «i primi a levare lo stendardo della rivolta contro l’autorità teologica di Mazzini» (Il libero pensiero, 29 febbraio 1872) – e gli internazionalisti nascondeva però una divergenza di fondo, destinata ad affiorare presto. La polemica più lunga e astiosa, con risvolti personali anche pesanti, fu quella che tra il 1871 e il 1872 Stefanoni ingaggiò verso il duo Marx - Engels (da parte sua, in Les prétendues scissions dans l’Internationale Marx definì il circolo dei liberi pensatori «un convento di monaci e di suore atee», Genève 1872, p. 35); ma anche rispetto ai bakuninisti Stefanoni manifestò un atteggiamento critico, respingendone la prospettiva insurrezionalista.
Negli stessi mesi egli portava avanti, in sintonia con Garibaldi, il tentativo di unificare la frastagliata area democratica, razionalista, socialista: nel gennaio del 1872 entrò a far parte di un comitato provvisorio che, in vista della convocazione di un congresso unitario, rivolse un appello a «tutti gli onesti democratici uniti in fratellevoli consorzi aventi per scopi precipui il miglioramento delle classi diseredate ed il trionfo della ragione sulla rivelazione» (Il libero pensiero, 1° febbraio 1872). All’appello era unita una Proposta di Garibaldi per «l’aggregazione di una sola – quale centro direttivo – di tutte le società esistenti, che tendono al miglioramento morale e materiale della famiglia italiana» (ibid., 15 febbraio 1872). Seguiva alla Proposta uno schema di statuto di quella supposta società, chiamata «Ragione»: lo statuto portava in calce la firma di Garibaldi, ma in realtà era opera di Luigi Castellazzo e Stefanoni. Pochi giorni dopo avevano aderito già cinquantasette associazioni democratiche, repubblicane, socialiste e razionaliste, ma a causa dell’opposizione dei mazziniani e dei gruppi internazionalisti napoletani e lombardi, l’iniziativa si risolse in un nulla di fatto.
Progressivamente defilato dall’attività politica, negli anni Ottanta Stefanoni si dedicò alla divulgazione storica, confermando in pieno il carattere fluviale della sua produzione.
Fu la stagione delle Storie d’Italia illustrate e «narrate al popolo» nel segno dell’antimoderatismo e dell’anticlericalismo; nel complesso quindici volumi cumulativi distribuiti su tre opere (tutte pubblicate dall’editore Perino di Roma tra il 1882 e il 1888), in cui la narrazione, improntata a una chiave laica e democratica, cominciava dai re di Roma e arrivava fino alla contemporaneità.
Intanto, negli anni Settanta Stefanoni era stato assunto come impiegato presso il ministero delle Finanze, dove divenne intendente; ma nel giugno del 1895 fu forzatamente collocato a riposo, nel corso di un lungo contenzioso con la pubblica amministrazione generato da un trasferimento e portato avanti per anni a suon di memorie, petizioni e ricorsi.
L’intera vicenda fu minuziosamente ricostruita nel pamphlet intitolato Tristi effetti del governo parlamentare (Roma 1902), dove il suo caso personale assurse a prova del carattere patogeno dei governi parlamentari e in cui, in linea con la vague antiparlamentarista di quegli anni, si invitava il re a prendere in mano il controllo dell’esecutivo.
La tendenza a portare avanti controversie senza fine, intrecciando alle ragioni pubbliche del contrasto aspetti personali e atteggiamenti provocatori si era acuita con il passare degli anni, ed emerse con forza nell’accanitissima battaglia ingaggiata nei primi anni del nuovo secolo contro Guglielmo Marconi e il telegrafo. Nel 1903 Stefanoni indirizzò al Senato una petizione contro il finanziamento di una stazione radiotelegrafica; parallelamente inviò un diluvio di lettere a tutti coloro che a vario titolo erano coinvolti nell’iter di approvazione parlamentare, compreso il presidente della commissione incaricata di relazionare sulla questione, e pubblicò memorie e pamphlet in cui, richiamandosi alla propria annosa polemica contro il magnetismo, il «sistema Marconi» veniva definito una «pubblica e vergognosa mistificazione» che non avrebbe dimostrato altro, se non «la leggerezza della nazione italiana, così facile ad essere fatta zimbello dai furbi» (Contro la radiotelegrafia Marconi. Memoria, Roma 1903, pp. 1 s.). Fu questa la sua ultima battaglia, compendiata in un altro testo: Marconigrafia e marconimania (Roma 1903).
Morì a Roma e fu inumato al cimitero del Verano il 6 marzo 1918.
Fonti e Bibl: Milano, Archivio storico comunale, Stato civile, Ruolo generale di popolazione 1835, vol. 55; Roma, Cimiteri Capitolini, Cimitero monumentale del Verano, Anagrafe mortuaria. Sull’attività di Stefanoni come direttore del Libero pensiero si trovano diverse notizie nel gruppo di lettere conservate a Milano presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Fondo Mauro Macchi, b. 6, f. 34. Un gruppo di lettere degli anni Sessanta e Settanta indirizzate a corrispondenti diversi è conservato nell’Archivio del Museo centrale del Risorgimento di Roma, b. 336. Per un breve profilo biografico: A. De Gubernatis, Dizionario biografico degli scrittori contemporanei, Firenze 1879, p. 961 (ma la voce fu composta molti anni prima della morte di Stefanoni); più estesa la voce di E. Civolani, S. L., in Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, a cura di F. Andreucci - T. Detti, IV, Roma 1975, pp. 703-705. Molto ricchi di informazioni sono: R. Zangheri, Storia del socialismo italiano, I, Dalla Rivoluzione francese a Andrea Costa, Torino 1993, ad ind.; G. Verucci, L’Italia laica prima e dopo l’Unità, 1848-1876, Roma-Bari 1996, ad indicem. Sull’attività politica degli anni Settanta: E. Conti, Le origini del socialismo a Firenze, Roma 1950, ad indicem. Sulla polemica con Marx ed Engels: K. Marx - F. Engels, Scritti italiani, a cura di G. Bosio, Roma 1972, pp. 43-61, 217 s., 269 s. Per i rapporti con Cafiero: P.C. Masini, Cafiero, Milano 1974, pp. 43 s.