SILVESTRELLI, Luigi
– Nacque a Roma il 21 giugno 1827, primogenito di Gian Tommaso e di Teresa Gozzani. Tra i fratelli si segnalano Augusto, patriota anch’egli e poi deputato, e il beato Bernardo Maria di Gesù, padre passionista nato Cesare Silvestrelli.
Agiata famiglia di mercanti provenienti da Tuscania e trasferitisi in città, i Silvestrelli, grazie alla fortuna accumulata, non faticarono a integrarsi nella società romana. Luigi entrò presto in contatto con le idee patriottiche e i comitati che se ne facevano promotori nella capitale dello Stato pontificio. In particolare si distinse durante la Repubblica romana occupandosi dell’approvvigionamento della città, soprattutto nel difficile periodo dell’assedio. Negli anni della restaurazione seguita alla caduta della Repubblica, Silvestrelli continuò la sua militanza patriottica confluendo, con l’incarico di tesoriere, all’interno del gruppo dirigente del comitato romano dell’Associazione nazionale italiana. Anch’egli, infatti, prese via via le distanze dal mondo mazziniano per ricollocarsi su posizioni più moderate in nome del motto «Italia e Vittorio Emanuele». Dopo le battaglie del 1859 si fece promotore di un comitato per offrire al re di Sardegna una spada d’onore, fatto che rafforzò le ‘attenzioni’ che le autorità pontificie da tempo gli riservavano. All’inizio del 1860, infatti, si trovò costretto ad abbandonare Roma soggiornando dapprima in Umbria, ove fu vicecommissario, poi in Toscana, a Firenze. Durante quei primi mesi d’esilio, Silvestrelli iniziò a nutrire dubbi circa i reali obiettivi della politica cavouriana riguardo Roma e lo Stato pontificio.
A suo giudizio Camillo Benso di Cavour gestì sapientemente i difficili frangenti del 1859 fino alle dimissioni dopo Villafranca. La politica inaugurata dal conte una volta tornato al governo, nel gennaio del 1860, però, non lo convinse. Come scrisse il 15 maggio a Giuseppe Massari, con il quale era entrato in contatto a Firenze, Cavour gli pareva «essere avaro di parole e d’indirizzo a tutti quelli che vogliono sotto di lui e non altrimenti effettuare il compimento dell’Unità italiana» (Bartoccini, 1971, p. 166). A suo avviso, invece, sarebbe occorso rompere gli indugi con un’azione radicale che trascinasse sia Cavour sia Napoleone III all’annessione di Roma.
In quei mesi entrò in contatto con Bettino Ricasoli, allora a capo del governo provvisorio toscano, e ne divenne, insieme a Giuseppe Checchetelli, il tramite principale con gli ambienti patriottici romani, rimettendogli notizie circa l’organizzazione del Comitato nazionale liberal-moderato, lo spirito pubblico e le possibilità di iniziativa. Tale rapporto si rafforzò sia durante i mesi del primo ministero Ricasoli, sia durante quelli del secondo mandato del barone. Nel corso del tempo Silvestrelli, dunque, si sarebbe sempre più integrato nella schiera ricasoliana sostenendo puntualmente i suoi esecutivi dai banchi della Camera e approfondendo i contatti con la cerchia de La Nazione, soprattutto con Celestino Bianchi.
Eletto deputato per il collegio di Terni alle elezioni del 1861, venne quindi confermato nelle successive tornate elettorali del 1865 e del 1867. Alla Camera Silvestrelli fece anche parte dell’ufficio di presidenza dal 18 novembre 1865 al 15 dicembre 1866. Condensò le sue idee e il suo programma in una lettera-opuscolo, datata Livorno 18 settembre 1865, indirizzata a Giuseppe Marfori, presidente del comitato elettorale ternano: si trattava della lettera agli elettori pubblicata, come voleva la consuetudine dell’epoca, in vista delle consultazioni del 22 e 29 ottobre 1865, e costituì sicuramente una delle più interessanti riflessioni politiche pubbliche di Silvestrelli che in quelle pagine rivendicò la piena adesione al «grande programma liberale e nazionale con il quale nel 1859 si emancipava la più gran parte della penisola» (Silvestrelli, Sulla elezione politica..., 1865, p. 6).
Egli poneva al primo posto il completamento territoriale dell’Unità con l’annessione di Roma e Venezia, da perseguirsi però, secondo quanto auspicava la destra, senza agitazioni rivoluzionarie incontrollate. Bisognava invece percorrere la via della prudenza e della diplomazia, decisive per «i felici resultati» del 1859-61, poiché «sgraziatamente la generosità sola dei propositi non basta a render libera una nazione» (p. 7). Difese sempre in quella sede la bontà della Convenzione del 15 settembre 1864: a suo avviso essa non aveva obbligato l’Italia a garantire il potere temporale; aveva invece creato le condizioni affinché il governo papale potesse finalmente essere messo di fronte ai propri sudditi solo, senza sostegno militare francese. L’Italia, dunque, con quel trattato si astenne sì dal conquistare Roma con la forza; se però i romani avessero manifestato con fatti e opere una volontà italiana nessuno avrebbe potuto opporsi all’annessione, men che meno l’imperatore. Insomma, secondo Silvestrelli, la Convenzione di settembre preparava il terreno a un esperimento politico dal quale aspettarsi un fausto esito per l’Italia. Anche in queste idee riecheggiavano largamente quelle di Ricasoli che, nel settembre del 1864, molto si spese per convertire alla sua linea i contatti romani in un primo tempo delusi da quella Convenzione in cui avevano colto una rinuncia all’Urbe. Come scrisse proprio a Silvestrelli il 18 settembre, Ricasoli era certo che «non convenga fare alcun moto né in Roma, né in Italia, perché potrebbe trattenere l’esecuzione delle cose disposte nel Trattato» (Carteggi di Bettino Ricasoli, XXI, t. 1, a cura di G. Paolini, Roma 2011, p. 476). Silvestrelli si convinse e continuò a seguire la linea dettata da Ricasoli.
Da segnalare, altresì, l’attenzione di Silvestrelli per l’allevamento equino, di cui si occupò in alcuni opuscoli. Per questo suo interesse La civiltà cattolica lo definì cavaliere «per i suoi discorsi magniloquenti sopra la razza cavallina» (s. 6, VIII, 1866, p. 630).
Sposato con Francesca Tittoni, ebbe un figlio, Giulio (1853-1938), che seguì la carriera diplomatica.
Ammalatosi nel corso del 1866, morì a Firenze il 20 settembre 1867, esattamente tre anni prima che il suo obiettivo di vedere Roma finalmente capitale d’Italia fosse realizzato.
Opere. Sulle razze dei cavalli in Italia e sui provvedimenti da invocarsi a proposito. Al sig. barone Gaetano Ricasoli, lettere due, Firenze 1863; Sopra due nuove proposte relative alle razze dei cavalli in Italia, Firenze 1864; Sulla produzione cavallina in Italia..., in La Nazione, 5 aprile 1864; Sulla elezione politica. Al chiarissimo signor dottor Giuseppe Marfori, presidente del comitato elettorale di Terni, Firenze 1865.
Fonti e Bibl.: Inediti di Silvestrelli si conservano in Roma presso l’archivio del Museo centrale del Risorgimento, nelle carte di Giuseppe Checchetelli; nonché nei fondi Ricasoli. Carteggio 1-144, Ricasoli Carteggio A/I-Z/I e Ricasoli. Carteggio A/II-Z/II custoditi nell’Archivio di Stato di Firenze. Numerose lettere sono state pubblicate nelle Lettere e documenti del Barone Bettino Ricasoli, a cura di A. Gotti - M. Tabarrini, I-X, Firenze 1887-1895 (poi nei Carteggi di Bettino Ricasoli, a cura di S. Camerani et al., I-XXIX, Roma 1939-2014).
I 450 deputati del presente e i deputati dell’avvenire per una società di egregi uomini politici, letterati e giornalisti, diretta da C. Arrighi, IV, Milano 1865, s.v.; S., L., in M. Rosi, Dizionario storico del Risorgimento nazionale, IV, Le persone, Milano 1937, p. 291; La formazione della diplomazia nazionale (1861-1915). Repertorio bio-bibliografico dei funzionari del Ministero degli Affari esteri, Roma 1987, pp. 681-683; Portale storico della Camera dei deputati (http://storia.camera.it/deputato/luigi-silvestrelli-18270621#nav). Notizie anche in: F. Bartoccini, La Roma dei Romani, Roma 1971; F. D’Amando, P. Bernardo M. Silvestrelli passionista. A sessant’anni dalla morte..., Macerata 1971; N. Roncalli, Cronaca di Roma, I, 1844-1858, a cura di M.L. Trebiliani, Roma 1972; II, 1848-1851, a cura di A.F. Tempestoso - M.L. Trebiliani, 1997; III, 1852-1858, a cura di D.M. Bruni, 2006; IV, 1859-1861, a cura di D.M. Bruni, 2009, ad indices.