SETTEMBRINI, Luigi
– Nacque a Napoli il 17 aprile 1813, primogenito di Raffaele e di Francesca Vitale.
Nel 1820 la famiglia si trasferì a Caserta, dove il padre – avvocato, discendente da un casato dedito alle professioni forensi, già rivoluzionario del 1799 e imprigionato nell’isola di Santo Stefano per alcuni mesi – frequentava riunioni della carboneria durante il periodo costituzionale (luglio 1820-marzo 1821). Agli incontri assisteva spesso il giovanissimo Luigi, che già durante l’infanzia veniva a conoscenza della causa liberale radicale.
Dal novembre 1821 alla fine del 1826 si formò nel collegio di Maddaloni e poi, tornato in famiglia, presso professori privati. Nel novembre del 1828 fu mandato a Napoli a studiare legge, e poi – dopo la morte del padre (settembre 1830) – fece pratica forense a Santa Maria Capua Vetere. Presto però decise che l’avvocatura non gli si confaceva e nel 1831 tornò a Napoli, dove si mantenne dando lezioni private e seguì con viva attenzione i momenti rivoluzionari – nell’Italia centrale e nel Mezzogiorno – dei primi anni Trenta. Frattanto si era iscritto all’Università per studiare latino, filosofia e letteratura italiana.
In questa fase della sua vita andò affermandosi nel suo pensiero «un nucleo di dottrine sensistiche e naturalistiche» (Themelly, in L. Settembrini, Opuscoli..., 1969, p. IX), mentre in campo letterario sentiva l’influenza del pensiero di Pietro Giordani: «erano entrambi [...] anticattolici, anticlericali ed insieme assertori d’una riforma religiosa» (p. XIV). Sono tutti aspetti del suo pensiero non menzionati nelle Ricordanze, che emergono dalla lettura degli scritti giovanili (1837-1844) rimasti inediti o pubblicati postumi, d’argomento prevalentemente estetico e letterario: Del Bello, Del Grande, Del Sublime; la commedia La donna del proscritto; Poesie dal carcere; alcuni Dialoghi.
Nel 1834 Settembrini fu iniziato da Benedetto Musolino alla Giovine Italia di Giuseppe Mazzini e poi a una setta denominata Figliuoli della Giovane Italia, di ispirazione illuminista, intrisa della tradizione democratica meridionale, giacobina e carbonica, che si poneva fini indipendentistici, unitari e repubblicani con finanche propositi di riforma sociale (eliminazione delle sperequazioni).
Nell’agosto del 1835 vinse il concorso per la cattedra di «rettorica e poesia latina e italiana ed applicazione delle regole grammaticali e classici greci» presso il liceo di Catanzaro, uno dei quattro licei del Regno. Prima di trasferirvisi, a ottobre sposò Raffaella Luigia Faucitano, di diciassette anni, da lui chiamata Gigia. Da Catanzaro Settembrini aveva rapporti epistolari con Musolino e altri membri della setta, finché nel maggio del 1839 fu denunciato da un prete, latore di due sue lettere compromettenti, e arrestato. Riuscì a difendersi negando di esserne l’autore e fu assolto insieme agli altri congiurati nel luglio del 1841, dopo aver trascorso oltre due anni nelle carceri napoletane. Dopo l’assoluzione però non fu liberato, ma rimase per altri quindici mesi in prigione per volontà del ministro di polizia Francesco Saverio Del Carretto. Nel corso di quella lunga detenzione scrisse molte lettere alla moglie, che allevava da sola due bambini: Raffaele, nato a Catanzaro nell’aprile del 1837, e Giulia, nata durante la sua detenzione nell’agosto del 1839.
Tornato in libertà nell’ottobre del 1842, visse modestamente impartendo lezioni private e partecipando in sordina ad attività cospirative. Frequentava alcuni amici democratici, come Francesco De Sanctis, e soprattutto il purista della lingua italiana Basilio Puoti, già conosciuto negli anni universitari, con il quale ebbe un rapporto speciale. Seguiva con attenzione gli sviluppi del pensiero unitario italiano e inizialmente aderì al neoguelfismo giobertiano, ma poi lo rinnegò, considerandolo un’utopia. Seguiva anche gli esiti dei tanti moti antiborbonici, scoppiati negli Abruzzi, in Calabria e in Sicilia, che non approvò perché sfociavano inevitabilmente in una dura repressione e in diverse condanne a morte.
Proprio in risposta alla repressione, nell’estate del 1847, pubblicò un libello anonimo, intitolato Protesta del popolo delle due Sicilie: una violenta requisitoria contro la dinastia, in cui Ferdinando II veniva definito «il verme più grosso e più schifoso» (p. 21), e contro tutta la classe dirigente borbonica. Il libello circolò moltissimo in Italia e in Europa, attraverso la traduzione in francese per un’edizione parigina, e contribuì efficacemente alla diffusione di un sentimento antiborbonico in una parte consistente dell’opinione pubblica continentale. A Napoli circolava anche una sua lettera manoscritta indirizzata a Ferdinando II per indurlo ad accordare riforme.
Il 3 gennaio 1848 Settembrini, temendo di essere stato individuato come autore della Protesta, si rifugiò a Malta, ma vi dimorò solo tre settimane, perché tornò a Napoli dopo la concessione della costituzione da parte di Ferdinando II. Nella capitale collaborò con il governo costituzionale come capo dipartimento della Pubblica Istruzione, ma si dimise dopo solo due mesi perché nella ‘baraonda’ del momento riteneva impossibile operare efficacemente. Frattanto visse i profondi contrasti nel fronte rivoluzionario a proposito della legge elettorale, che escludeva dal voto la borghesia professionale e commerciale, e poi la repressione di Ferdinando II del 15 maggio 1848 cui seguì la progressiva ripresa dell’assolutismo, fino al definitivo scioglimento del Parlamento nel marzo 1849. Scrisse perciò una lunga Cronaca degli avvenimenti di Napoli nel 1848, e altri scritti politici, tra cui una Lettera ai ministri del re delle Due Sicilie, in cui si schierò decisamente con l’ala sinistra del movimento liberale. Si impegnò pertanto nell’organizzazione di una setta segreta denominata L’unità italiana, ma il 23 giugno 1849 fu arrestato insieme ad altri quarantuno indiziati. Dopo un lungo processo, durante il quale scrisse un’appassionata Difesa per gli uomini di buon senso, fu condannato a morte il 1° febbraio 1851, insieme a Filippo Agresti e a Salvatore Faucitano. Durante i tre giorni trascorsi nel cosiddetto confortatorio, in attesa dell’esecuzione, scrisse una lunga e serena lettera d’addio alla moglie, che fu trascritta, fatta circolare clandestinamente e conosciuta anche all’estero. Tre giorni dopo, le condanne a morte furono commutate in ergastolo e Settembrini fu deportato nel penitenziario di Santo Stefano.
Qui trascorse otto anni, discutendo con i suoi compagni di prigionia, in particolare Silvio Spaventa, che lo raggiunse nel 1852, dedicandosi ad attività intellettuali che rappresentarono l’antidoto da contrapporre alle sofferenze dell’ergastolo: la lettura di scrittori italiani, latini e greci; la traduzione dei dialoghi di Luciano; la stesura nel 1851 di opere di tenore filosofico o politico tra cui le Meditazioni, trattatello di filosofia morale di ispirazione stoica, e la Lettera di Carlo III a Ferdinando II di Borbone, con i rimproveri del fondatore della dinastia al pronipote, incapace di cogliere le novità del momento storico. In questo scritto Settembrini si avvicinò a «quel partito borbonico-liberale che dopo il 1848 continuerà ad avanzare un programma di trasformazione costituzionale della dinastia» (Themelly, in L. Settembrini, Opuscoli..., cit., p. CI). Solo in seguito aderì alla soluzione unitaria, ma sempre non perdendo di vista l’importanza dell’autonomia meridionale; fu chiaramente un liberale moderato e condannò i movimenti democratici e repubblicani.
Scrisse inoltre un Diario (1854-1855) e una gran quantità di lettere, di cui più di 350 conosciute, lungo tutto il periodo di detenzione, in grande prevalenza indirizzate alla moglie, ma anche al fratello Giuseppe, ai due figli, ad alcuni nipoti e amici, al genero Enrico Pessina, ad Antonio Panizzi, che si occupava a Londra dell’educazione di Raffaele e nel 1856 organizzò l’evasione di Settembrini e Spaventa, fallita a causa del naufragio della nave inglese che doveva prenderli. Nelle lettere, marcate dal tormentato ricordo della famiglia, si colgono la difficile mescolanza con violenti – seppur rispettosi – carcerati comuni e la mancanza di dialogo umano; «attraverso una serie di bozzetti si delinea la vita dell’ergastolo: il via vai incessante dell’orribile folla nella vasta voragine, lo strepito, il vocio, le bestemmie, il fumo delle fornacette, le sozze abitudini, la lascivia, i ferimenti e gli assassinii, [...] la perquisizione nelle celle per la ricerca delle armi clandestine [...], le delazioni, le battiture degli aguzzini, il colera, la carestia, le tempeste» (Themelly, in L. Settembrini, Lettere dall’egastolo, 1962, p. XVI). Infine, la difficile vita quotidiana in una cella stretta e superaffollata, dove si faceva tutto nel letto: dormire, mangiare, leggere e scrivere.
Nonostante i patimenti nel 1856 respinse, con molti altri ergastolani, la possibilità di presentare domanda di grazia. Nel gennaio del 1859 fu decisa la deportazione negli Stati Uniti di Settembrini e di altri sessantacinque prigionieri politici (provenienti non solo da Santo Stefano). Furono perciò imbarcati su una nave che li portò a Cadice e qui trasferiti su un veliero americano, che doveva condurli a destinazione. Su questa imbarcazione salì però, sotto mentite spoglie, Raffaele Settembrini, ufficiale della marina mercantile inglese, che per caso era a Cadice. Questi, minacciando di prendere con la forza la nave, convinse il comandante a portare il padre e i suoi compagni in Gran Bretagna, dove giunsero il 16 marzo 1859. In questo modo aveva termine la vita carceraria di Settembrini, durata complessivamente circa tredici anni.
Nei dodici mesi che trascorse a Londra Settembrini si dedicò alla stesura dei primi capitoli delle Ricordanze (riprendendo appunti di memorie scritti giù durante l’ergastolo), mentre, dal punto di vista politico, dopo un’iniziale dichiarazione di fiducia nella dinastia borbonica con la speranza di una sua prossima costituzionalizzazione, si allineò con la politica moderata piemontese e meridionale.
Visse da Londra la seconda guerra d’indipendenza e le conseguenti annessioni al Piemonte di Lombardia, Toscana, Emilia e Romagna (aprile 1859-marzo 1860). Dopo questi avvenimenti, nell’aprile del 1860, tornò in Italia e soggiornò prima a Torino e poi a Firenze, dove in due brevi scritti manifestò chiara la sua adesione alla soluzione sabaudistica per il Meridione: Di ciò che hanno a fare i napoletani (foglio volante, 4 luglio 1860) e Dell’annessione di Napoli al Regno d’Italia (opuscolo di otto pagine s.d., ma luglio 1860). Tornò a Napoli nel settembre del 1860, pochi giorni dopo l’ingresso di Giuseppe Garibaldi, e durante la luogotenenza (fino al marzo 1861) fu ispettore generale degli Studi, una carica che gli consentiva di ribadire il suo antico ideale di diffusione popolare della cultura. Nell’ottobre 1861 fu nominato professore di letteratura italiana all’Università di Napoli, incarico che mantenne fino alla morte.
A Napoli Settembrini si reinserì pienamente nella vita culturale, da raffinato traduttore dal greco, autobiografo, critico letterario, uomo dalla personalità avventurosa e affascinante ma non semplice, la cui produzione intellettuale rispecchiò un compatto programma pedagogico e civile, che mirò a trasmettere il patrimonio culturale organizzandolo sistematicamente.
Si dedicò con passione all’attività didattica e il 15 novembre 1862 lesse all’Università l’orazione inaugurale Dell’indirizzo del sapere nel secolo XIX. In quello stesso anno fu designato quale membro della commissione incaricata di illustrare e conservare le opere d’arte degli antichi monasteri. In tale veste si occupò della chiesa trecentesca di Donnaregina e del suo, allora sconosciuto, ciclo di affreschi.
Nel luglio del 1863 s’iscrisse alla Libbia d’oro, loggia massonica presieduta da Vittorio Imbriani, e fondò con De Sanctis l’Associazione unitaria costituzionale, che mirava a ricostruire al Sud un ampio fronte di moderati a sostegno della politica governativa. Insieme fondarono anche il quotidiano L’Italia, diretto da De Sanctis, il quale da Torino inviava disposizioni a Settembrini, presidente dell’Associazione e principale redattore del giornale. La posizione critica assunta verso la Convenzione del settembre 1864, con cui Francia e Italia si accordarono sul ritiro delle truppe transalpine da Roma, incrinò il sodalizio ideologico con De Sanctis e Settembrini anni dopo fondò un nuovo quotidiano, Lo Stivale. Cronaca giornaliera che non ha colore ma sapore, mutuandone il titolo da una poesia di Giuseppe Giusti. Le pubblicazioni ebbero inizio il 15 marzo 1866, ma si arrestarono presto (nelle biblioteche pubbliche sono stati censiti solo 27 numeri). Dalle colonne dello Stivale attaccò violentemente il Parlamento e i partiti, rifiutando in nome della morale la distinzione tra destra e sinistra e preferendo quella tra «onesti e disonesti, sciocchi e sennati [...] il partito nostro [...] si compone degli onesti di destra, di sinistra, di sopra, di sotto: e fa guerra a tutti i disonesti dovunque si trovino» (23 marzo 1866); difese l’Unità quale fusione di tutte le identità regionali e al contempo tutela delle tradizioni locali; celebrò Vittorio Emanuele, ‘re galantuomo’.
Frutto degli interventi universitari furono i tre tomi delle Lezioni di letteratura italiana (I-II, Napoli, 1866-1868; ristampa dei due volumi e III, Napoli 1872).
Le Lezioni erano strutturate su uno schema tripartito, che distingueva tre periodi della vita italiana (antico «greco-latino», medio «di trapasso», nuovo «italiano»). Una simile tripartizione presiedeva anche allo schizzo sui costumi, sulla religione e sul sapere, che introduceva il Discorso intorno la vita e le opere di Luciano (pubblicato come introduzione alla traduzione, Firenze 1861), alla cui origine è stato individuato il Discorso sull’indole e le vicende della letteratura greca di Silvestro Centofanti, che aveva l’intento di rintracciare nella storia l’educazione progressiva dello spirito umano. A giudizio di De Sanctis, che definì Settembrini un «pagano puro sangue» (Settembrini e i suoi critici, in Verso il realismo, Torino 1965, p. 310), le Lezioni furono la premessa della storia nazionale e un appello alla storia come fondamento etico della nuova Italia, sempre più necessaria alla giovane formazione unitaria. In esse Settembrini rivalutò l’umanesimo latino e dedicò ampio spazio al Quattrocento, secolo in cui aveva riconosciuto una forte carica ideologica.
Tra il 1863 e il 1870 firmò un nutrito gruppo di articoli, raccolti da Francesco Fiorentino negli Scritti vari, tra i quali quello su palazzo Como (oggi museo Filangieri) di cui, con il sostegno di Carlo Tito Dalbono, impedì la devastazione, riuscendo a ottenere che fosse smontato per salvarne la facciata monumentale.
Il 10 maggio 1868 affidò all’Universo illustrato una lettera indirizzata al ministro Emilio Broglio, Della lingua italiana, il primo intervento in risposta alla relazione Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla, licenziata dalla commissione presieduta da Alessandro Manzoni.
Avanzò argomenti assai acuti, che in parte precorsero le tesi proposte qualche anno più tardi da Graziadio Isaia Ascoli, staccandosi «del tutto dai pregiudizi puristici e dai fraintendimenti della teoria manzoniana» (Marazzini, 1977, p. 63) e aprendo un dibattito che si sarebbe rinfocolato a partire dal 1872. Ponendo in evidenza che il primo vincolo di nazionalità risiede nella lingua, spiegò che i problemi linguistici erano intrinsecamente collegati a quelli sociali e che era necessario un propulsore morale e linguistico. Propose, perciò, di promulgare delle leggi stabili che entrassero e rimanessero nella coscienza del popolo e diventassero costume.
Dal dicembre del 1868 lavorò come membro del Consiglio provinciale scolastico, ma l’impegno non lo distolse dall’attività letteraria. Nel 1869, con Il Novellino di Masuccio restituito alla sua antica lezione, inaugurò la Biblioteca napoletana, da lui stesso fondata per Morano, editore amico, nella cui libreria egli fu solito trascorrere molto tempo.
Nella tarda primavera del 1870 si recò in Toscana per visitarne i licei e provò grande emozione all’Osservatorio astronomico di Firenze. In quegli stessi anni si dedicò alla composizione o, comunque, alla revisione dei suoi dialoghi, in alcuni dei quali tanto spazio trovarono proprio le nuove scoperte astronomiche.
Nel novembre del 1871 fu nominato rettore dell’Università di Napoli e nell’ottobre del 1872 membro della commissione d’inchiesta per l’insegnamento secondario e fino a dicembre visse a Roma, in ristrettezze economiche, per partecipare ai lavori della commissione.
Durante l’inverno del 1873, fu nominato senatore e giurò nel marzo 1874, un anno per lui importante anche perché segnò l’ultima revisione del manoscritto delle Ricordanze.
Nel 1875 sul Giornale napoletano di filosofia e lettere pubblicò Le Origini, in cui dialogò sull’origine della vita con l’amato nipote Geppino Pessina. Il testo, che partecipò alle discussioni sull’evoluzionismo – stimolate ma non innescate esclusivamente dalle teorie darwiniane – suscitò un tale dissenso che l’autore mise da parte gli altri dialoghi, pubblicati solo postumi.
Continuò a trascinarsi all’Università per non perdere lo stipendio necessario a sostenere la famiglia. Dopo una breve agonia, si spense a Napoli il 4 novembre 1876.
L’editore Morano nel 1879 pubblicò a cura di De Sanctis i primi ventitré capitoli delle Ricordanze. Nel ristabilire l’integrità e la correttezza del testo, sulla base del manoscritto custodito dalla Biblioteca nazionale di Napoli, MarioThemelly ha dimostrato che il titolo di Ricordanze della mia vita spetta solo a questi capitoli. Nel 1880 fu pubblicato un secondo volume di scritti autobiografici, lettere e bozzetti. Francesco Torraca curò un’edizione a uso delle scuole che conobbe innumerevoli ristampe. Nella scrittura autobiografica, in quella dei Dialoghi e delle Lezioni campeggia l’io protagonista titanico ed eroico dei modelli autobiografici e narrativi di Alfieri, Rousseau e Foscolo. Nel 1892 a Berlino fu pubblicata la traduzione delle Ricordanze.
Nel 1909 Torraca pubblicò alcuni dei dialoghi di Settembrini, specificando nella prefazione che restavano ancora degli inediti.
Questi scritti risentono del dialogismo filosofico-letterario, satirico e demistificante delle Operette morali di Giacomo Leopardi. Settembrini, che aveva metabolizzato il metodo attivo e dialogico alla scuola di Puoti, s’interrogava sul vero e riponeva una fede cieca nella scienza. Nel 2010 è stato pubblicato il dialogo Gaspare Gozzi, conservato manoscritto tra le Carte Pessina della Biblioteca nazionale di Napoli, composto molto probabilmente nel 1844 sul modello del dialogo con i morti, in difesa del lavoro intellettuale di Puoti, attaccato dopo la pubblicazione del Vocabolario domestico napolitano e toscano. Puoti impedì che il dialogo «ben impepato» (Lezioni..., a cura di G. Innamorati, 1964, p. 1148) fosse stampato, per evitare nuovi guai all’allievo che aveva da poco riconquistato la libertà.
Alla scuola di Puoti Settembrini si era formato al «gusto discriminato e alla intransigenza stilistica» (Gigante, 1987, p. 411), imparando che «chi studia nei grandi scrittori non apprende sola lingua, ma cose massicce, e si avvezza ad esser galantuomo» (Dialoghi, a cura di N. D’Antuono, 2010, p. 6). Ecco perché non fu una scuola di sola lingua, «come alcuni sciocchi han creduto», ma fucina di «rivoluzionari» (Lezioni..., cit., p. 1148). Nell’Elogio del marchese Basilio Puoti (1847) aveva ricordato che questi aveva insegnato a usare la lingua non solo quale espressione di regole, ma soprattutto per trasmettere idee personali, affinché «lo stile fosse la libera espressione di quello che ognuno sente» (Scritti vari, cit., p. 134). Puoti, Giordani, Luciano di Samosata insegnarono a Settembrini non soltanto la «trasparenza del concetto nella forma», ma furono maestri «di libertà e verità, di franchezza e lealtà» (Gigante, 1987, p. 429). Durante gli anni dell’ergastolo Settembrini trovò conforto della vita nell’opera di Luciano, della quale procurò una versione ancora oggi valutata come una delle più raffinate e attente. Cesare Dalbono (1891), che ne corresse le bozze, avvertì il lettore che vi avrebbe trovato «la purezza della forma che il lungo uso de’ classici ha lasciata impressa ne’ suoi libri» (p. 271).
Thomas Mann studiò la figura storica e le opere di Settembrini, che rivelano l’educazione illuministica e la concezione impegnata della letteratura, divenuta strumento di lotta contro l’oscurantismo e per la libertà. La sua figura fu trasposta in quella del nonno patriota di Lodovico Settembrini che, nella Montagna incantata (1924), si proponeva quale formatore pedagogico del giovane Hans Castorp.
A cento anni dalla morte fu pubblicato il manoscritto dei Neoplatonici, a cura di Raffaele Cantarella che, pur avendolo ritrovato molti anni prima nella Biblioteca nazionale di Napoli, aspettò prima di darlo alle stampe, perché il contenuto era stato reputato ‘scandaloso’. Il nipote di Settembrini, Pietro, già nell’agosto del 1908, aveva ceduto a Morano i diritti sui Neoplatonici, come attestato da Luigi Mascilli Migliorini (Una famiglia di editori, Milano 1999, p. 135). Molti lettori, tra i quali Enzo Siciliano e Giorgio Manganelli, ravvisarono un contenuto autobiografico con implicazioni omosessuali, mentre Marcello Gigante fornì elementi filologicamente inoppugnabili per una lettura proficua del testo. Prima ancora che all’interpretazione, Gigante si dedicò alla cura filologica, correggendo l’editio princeps e dimostrando che la data di composizione può precedere il 1858 indicato da Cantarella. Per inquadrare nella giusta prospettiva I neoplatonici è utile raccogliere gli indizi disseminati dall’autore, che si traveste da traduttore di un inesistente Aristeo di Megara, non lasciando cadere allusioni, citazioni e antifrasi. La falsa traduzione, quindi, va inserita nell’ambito dell’attività di grecista di Settembrini, che tentò di «emulare l’arte antica su un soggetto antico» (Gigante, 1977, p. 35). La favola di Aristeo, inoltre, esplicazione del concetto di educazione in cui è possibile riconoscere il modello degli Amores di Luciano, può essere letta in relazione con il Ditirambo di Eraclito sull’amore del Platone di Italia di Vincenzo Cuoco.
Opere. Manoscritti sono conservati a Napoli tra le Carte Pessina della Biblioteca nazionale e nell’Archivio del Museo di San Martino oltre che nel Fondo Bulferetti dell’Archivio di Stato di Varese. Molti testi sparsi furono raccolti e pubblicati nei due volumi di Scritti vari di letteratura, politica ed arte, riveduti da F. Fiorentino, Napoli 1879-1880. Torraca pubblicò numerosi Scritti inediti (Napoli 1909), Themelly gli Opuscoli politici editi e inediti 1847-1851, Roma 1969. L’edizione più recente delle Ricordanze è Ricordanze della mia vita e scritti autobiografici, a cura di M. Themelly, Milano 1961; quella delle Lezioni di letteratura italiana è a cura di G. Innamorati, Firenze 1964. Della falsa traduzione di I neoplatonici. Racconto inedito (a cura di R. Cantarella, con una nota di G. Manganelli, Milano 1977) si contano recenti riedizioni: con una nota di B. Benvenuto, Palermo 2001; a cura di P. Zanotti, Milano 2006; a cura di V. Palladino, Napoli 2010. I Dialoghi, originariamente editi da Torraca nel 1909, sono stati ripubblicati (con l’inedito Gaspare Gozzi), a cura di N. D’Antuono, Bologna 2010.
Fonti e Bibl.: Uno strumento utile per lo studio della vita e del pensiero di Settembrini è il densissimo epistolario: Epistolario, a cura di F. Fiorentino, Napoli 1883 (seconda edizione accresciuta e corretta da F. Torraca, Napoli 1894, poi terza edizione, Napoli 1898); Lettere dall’ergastolo, a cura di M. Themelly, Milano 1962; Lettere edite e inedite 1860-1876, a cura di A. Pessina, Napoli 1983; Lettere ad Adelaide Capece Minutolo e a Raffaele Masi, Napoli 1990; Lettere e scritti familiari, Napoli 1993. Gli studi su Settembrini sono innumerevoli. Qui ci si limita a riportare quelli principali, ma per un accurato repertorio bibliografico si veda: N. D’Antuono, L’Asino che ride. Saggi e ricerche su L. S., Angri 2012, pp. 177-191. Una prima organizzazione del profilo storico-critico di Settembrini si deve a F. Torraca, Notizie su la vita e gli scritti di L. S., Napoli 1877, seguito da C. Dalbono, L. S., in Id., Scritti varii, Firenze 1891, pp. 265-281.
Per l’evoluzione del suo pensiero politico sono fondamentali quattro saggi di M. Themelly: Introduzione a Ricordanze, cit., pp. IX-XLIX; Introduzione a Lettere dall’ergastolo, cit., pp. IX-XXXI; La formazione intellettuale di L. S., introduzione a Opuscoli politici..., cit., pp. VII-CXI; L. S. nel centenario della morte. Note e proposte per una biografia politica, Napoli 1976. Il centenario della morte offrì nuova linfa agli studi: il convegno organizzato a Napoli, i cui atti, dal titolo Per il centenario di L. S., sono in Esperienze letterarie, II (1977), 2-3; M. Gigante, S. e l’antico, Napoli 1977. Per la valenza degli interventi linguistici di Settembrini, si vedano almeno: C. Marazzini, La lingua come strumento sociale, Torino 1977, pp. 62-65; C. Dionisotti, La lingua dell’Unità, in Id., Ricordi della scuola italiana, Roma 1998, p. 315. Imprescindibili restano M. Gigante, L. S., in La cultura classica a Napoli nell’Ottocento, a cura di M. Gigante, Napoli 1987, pp. 405-437. Tra i contributi più recenti si vedano: N. D’Antuono, Una “buona Italia” per una “buona lingua”. L. S. e la lingua d’Italia, in Saggi e ricerche di letteratura italiana, a cura di N. D’Antuono - V. Vianello, Bologna 2010, pp. 49-66; Ead., La «scienza è dolore, la verità è frutto amaro assai»: Francesco De Sanctis e L. S., in Studi desanctisiani, 2017, vol. 5, pp. 153-164. Infine, si veda l’Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, s.v., http://notes9.senato.it/Web/senregno.nsf/S_l2? OpenPage.