SCHIAPARELLI, Luigi
– Nacque a Cerrione (Biella) il 2 agosto 1871 da Giovanni Battista, farmacista, e da Celestina Maffei.
La famiglia paterna era solidamente affermata in campo accademico: lo zio Luigi (antichista) e il di lui figlio Ernesto, egittologo; l’altro cugino Giovanni Virginio, astronomo a Brera, e suo fratello Celestino, arabista allievo di Michele Amari e padre della stilista Elsa Schiaparelli.
Laureatosi nel luglio del 1894 a Torino con Carlo Cipolla con una tesi sulle origini del Comune di Biella, fu dal maestro veronese – cui restò sempre legatissimo – avviato agli studi di diplomatica, grazie a un perfezionamento a Monaco di Baviera (settembre 1894-luglio 1895), dove non fu, come vuole una diffusa vulgata, allievo del filologo e paleografo Ludwig Traube, ma piuttosto degli storici Hermann Grauert, Harry Simonsfeld, Karl Theodor von Heigel. Il rientro in Italia coincise con l’inizio del lavoro per l’edizione dei diplomi dei re d’Italia, propostagli da Cipolla (con il sostegno anche finanziario di Giovanni Virginio Schiaparelli): viaggi e soggiorni di studio a quello scopo misero Schiaparelli in contatto con Franz Ehrle (Biblioteca apostolica Vaticana), Ignazio Giorgi, Theodor von Sickel, Ugo Balzani a Roma; con Antonio Maria Ceriani e Giovanni Mercati alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, e lo condussero in molte altre città lombarde. Grazie alla mediazione di Cipolla, inoltre, Schiaparelli si accordò con Paul Fridolin Kehr (e di conseguenza con l’Accademia di Göttingen) per collaborare all’Italia pontificia. Nel primo semestre del 1897 perlustrò archivi toscani ed emiliano-romagnoli, insieme con Kehr e con Melle Goeman Klinkenborg, poi archivista a Berlino.
Questa precoce proiezione internazionale dell’attività dell’allievo fu grande merito di Cipolla, che fece lo stesso, d’altronde, con altri scolari come Carlo Merkel. Con ironia Kehr gli avrebbe scritto qualche anno dopo da Göttingen che probabilmente il ministro italiano della Pubblica Istruzione non lo conosceva, «mentre il ministro Prussiano mi ha parlato con molta stima di Lei. Anche il Dümmler ha parlato di Lei e della sua pubblicazione». A Cipolla si deve inoltre la proposta di inserire i Diplomi dei re d’Italia nelle fonti dell’Istituto storico italiano, accettata dalla Giunta centrale per gli studi storici dopo qualche esitazione dovuta all’infondato timore di dispendiosi soggiorni a Londra.
L’intensissimo Italienreise di Schiaparelli per i Diplomi e l’Italia pontificia durò sino alla fine del 1900. Il clan Schiaparelli non cessò di sostenerlo, aiutandolo anche a stendere il piano definitivo per l’edizione dei Diplomi (gli studi preparatori sul Bullettino dell’Istituto, l’edizione nelle Fonti dell’Istituto).
Non diversamente da altri coetanei, Schiaparelli ebbe qualche difficoltà a trovare una sistemazione professionale stabile. Perse un concorso per bibliotecario; fu vicino a diventare archivista di Stato a Reggio Emilia (maggio 1900), ma proprio in occasione di quel concorso Pasquale Villari sostenne che con le sue ricerche avrebbe potuto «fare onore al paese», favorendo di fatto il suo alunnato triennale (dal febbraio 1901) nella Scuola storica presso la Società romana di storia patria, diretta da Balzani: con Pietro Egidi, Schiaparelli sostituì Vincenzo Federici e Pietro Fedele (entrambi poi a lui legatissimi).
Il periodo romano (fino al novembre 1902) fu per molti versi decisivo. Schiaparelli lavorò sugli archivi di San Pietro in Vaticano, sull’archivio di Castel Sant’Angelo, su altri archivi di corporazioni religiose. Predispose anche il materiale per raccolte di facsimili di Diplomi imperiali e reali delle cancellerie italiane, poi portate a compimento molti anni più tardi.
I suoi rapporti con gli studiosi tedeschi e in particolare con Kehr gli procurarono allora seri guai, esponendolo alle ostili insinuazioni di Ferdinando Gabotto, che reagì ad alcune recensioni negative facendo leva su umori nazionalistici e scagliandosi con violenza contro Schiaparelli e Kehr, e in ultima analisi contro il modello di perfetta professionalizzazione e tecnicizzazione della ricerca storica propugnato dalla scuola tedesca. Kehr non partecipò poi, per questo, al Congresso internazionale di scienze storiche (Roma, aprile 1903), e solo dopo pressioni Schiaparelli accettò di intervenirvi con una relazione sul tema Proposte per un Corpus Chartarum Italiae.
Agli inizi del biennio romano risale anche l’abbozzo dell’altra grande impresa cui Schiaparelli legò il suo nome: preparò (nonostante le perplessità di Cipolla, cui peraltro si doveva l’idea originaria) il progetto per un codice diplomatico longobardo, che la giunta dell’Istituto storico approvò; nel novembre del 1901 l’Istituto deliberò anzi la sua assunzione quale collaboratore scientifico, impegnandosi a trovargli un collocamento stabile in futuro. Schiaparelli si era tenuta aperta (tra luglio e ottobre 1901) anche un’altra possibile sistemazione, costituita dall’offerta di padre Ehrle di un posto di scriptor alla Biblioteca Vaticana. La proposta causò grande agitazione negli ambienti della Società Romana, dove si sosteneva che, accettando, Schiaparelli sarebbe morto per gli studi italiani (lettera a Cipolla dell’ottobre 1901).
L’Università non era dunque il solo luogo possibile o privilegiato dove si svolgeva la ricerca, ma fu proprio all’Istituto superiore di Firenze che Schiaparelli si indirizzò su consiglio di Villari presentandovi, nel marzo del 1902, domanda di libera docenza per l’insegnamento di paleografia e diplomatica (già di Cesare Paoli, morto nel gennaio 1902).
Relatore della domanda nel Consiglio della facoltà di lettere e filosofia fu Girolamo Vitelli, il celebre papirologo, futuro suocero di Schiaparelli, che sposò Maria Vitelli nel dicembre del 1904. Da lei ebbe Lorenzo, nato al principio del 1906, e nello stesso anno i gemelli Paolo e Anna, nati il 27 novembre.
Vinta la concorrenza, la cattedra fu bandita rapidamente. Il docente biellese – che aveva iniziato l’insegnamento nel 1902, con un programma già assai ampio – vinse il concorso nell’autunno del 1903 nonostante il disturbo di nuove polemiche di Gabotto. Ottenne l’ordinariato nel 1907. Contemporaneamente usciva (subito recensito da Harry Bresslau) il primo volume dei diplomi dei re d’Italia, quelli di Berengario I; la serie dei diplomi era destinata a concludersi – con uscite irregolari – molto più avanti, nel 1924, con i diplomi di Ugo e Lotario, Berengario II e Adalberto.
Il trentennio fiorentino di Schiaparelli può essere esaminato da diverse prospettive. Sotto il profilo scientifico, il tratto fondamentale fu la piena maturazione degli interessi paleografici, che culminarono con l’affidamento a lui della voce Paleografia nell’Enciclopedia Italiana (uscita postuma nel 1935), affiancandosi alla produzione diplomatica conclusa con i due volumi, di lunghissima gestazione, del Codice diplomatico longobardo (I, 1929; II, 1933). I primi contributi paleografici sono del 1906: un articolo sulle note tachigrafiche dei diplomi, che aprì un filone di studi sulla tachigrafia sillabica e sfociò nel 1928 in una sintesi (Tachigrafia sillabica in Italia. Appunti). Ancor più specificamente di storia della scrittura si occupò con la serie delle Note paleografiche pubblicate sull’Archivio storico italiano; tra queste di particolare importanza il saggio Intorno all’origine e ad alcuni caratteri della scrittura e del sistema abbreviativo irlandese, del 1916. Come già per la diplomatica, Schiaparelli impresse alla ricerca italiana un progresso che la portò a livello internazionale, come mostra la sua corrispondenza con Paul Lehmann, Elias A. Lowe, Edward K. Rand, Mario Esposito. Questa fama si consolidò con i contributi «meditatissimi» (Cencetti, 1997, p. 16) degli anni Venti: a partire da La scrittura latina dell’età romana, del 1921, «vigorosa e originale ricostruzione storica» (Un secolo di paleografia..., 1988, p. 29), ben di più di un semplice Avviamento allo studio della scrittura latina del medio evo, come recita con tipico understatement schiaparelliano il sottotitolo. Le fece da pendant, due anni dopo, la Raccolta di documenti latini, I (Documenti romani), anch’essa pensata per la scuola.
Questi due volumi risentono inoltre degli stretti rapporti con Vitelli e con la collaboratrice di quest’ultimo, Medea Norsa.
Gli interessi longobardistici influenzarono anche il côté paleografico di Schiaparelli, che si dedicò a indagini su manoscritti dell’VIII-IX secolo (l’orazionale mozarabico veronese con il suo indovinello, il cod. 490 di Lucca al quale dedicò uno studio ammiratissimo e preso a modello da Rand). Contaminò così lo studio delle scritture delle cartule longobarde e carolinge (e delle loro sottoscrizioni autografe) con lo studio delle scritture dei manoscritti: una direzione innovativa, cui si ricollega anche il celebre saggio Influenze straniere nella scrittura italiana dei secoli VIII e IX (Roma 1927), dedicato agli influssi visigotici, insulari e merovingici che aveva individuato nelle scritture italiane, parte dei quali vengono oggi visti «con generale e spesso fondato scetticismo» (Bassetti - Ciaralli, 2010), dato che i fatti ricondotti a influenze grafiche straniere sono stati poi giudicati «sviluppi paralleli della comune matrice corsiva» (Un secolo di paleografia..., 1988, p. 30). Le altre Note paleografiche uscite in quegli anni (dal 1926 al 1932, nell’Archivio storico italiano) sono tutte legate a uno stesso ordine di problemi di storia della scrittura, quello delle minuscole altomedievali variamente atteggiate e variamente tipizzate.
In sostanza a Schiaparelli – che diventò paleografo in età matura – si deve la rivendicazione dell’«unità del fenomeno grafico» contro la visione parziale della storia della scrittura, limitata alle sole scritture librarie, propria dell’impostazione filologica degli studi paleografici della scuola di Traube (Cencetti, 1997, p. 15); a lui «si deve l’elaborazione di alcuni concetti di fondo e di alcuni termini che sono rimasti alla base della ricerca grafica più moderna» (Un secolo di paleografia..., 1988, p. 30).
Sul piano della ricerca diplomatistica, una lunga serie di saggi accompagna i progressi del grande lavoro sul codice diplomatico longobardo, ma non mancano altri filoni in qualche misura autonomi.
Nella prima fase, per esempio, Schiaparelli dedicò attenzione all’impegnativo tema della charta augustana (1907). Gli studi sulle carte longobarde, a partire dalle ricerche sulla documentazione piacentina (1909), furono poi riuniti – a eccezione di un lavoro del 1925 sui falsi cremonesi – sotto il titolo di Note diplomatiche sulle carte longobarde. Si tratta di una serie di sei saggi (gli ultimi due postumi) intesi a illustrare il ruolo dei notai, le tracce di formulari nelle cartule (come la mancipatio romana nei più antichi documenti piacentini), il significato di formule particolari (quella della traditio cartae, quella cum stipulatione subnixa, della formula dictare o ex dictato), di note tergali e di dicta.
Sul piano accademico e dell’organizzazione della ricerca, Schiaparelli svolse un ruolo vario e influente, in forza di una statura scientifica indiscussa, consacrata nel 1910 dalla celebre prolusione Diplomatica e storia e poco dopo dal premio reale dell’Accademia dei Lincei per la storia (1914). Qualche anno prima aveva condotto con successo la delicata operazione di trasferimento di Cipolla alla cattedra di storia moderna dell’Istituto superiore di Firenze, già di Villari; fondò nel 1920 e diresse il Gabinetto di paleografia della facoltà di lettere di Firenze; lavorò per la fondazione della Scuola per bibliotecari e archivisti paleografi presso l’Università di Firenze, istituita nel 1925 su suo suggerimento dal ministro Pietro Fedele.
L’interesse per gli archivi fu coronato dalla direzione della Guida storica e bibliografica degli archivi e delle biblioteche d’Italia edita dall’Istituto storico italiano, di cui poté vedere un solo volume (quello su Prato, a cura di Renato Piattoli, 1932), e dalla elezione a membro del Consiglio degli archivi del Regno per il quadriennio 1932-35. Alla morte di Alberto Del Vecchio (1922) Schiaparelli lo sostituì come delegato della Deputazione toscana nell’Istituto storico italiano e diresse l’Archivio storico italiano, dapprima come componente di un comitato di redazione e poi di una direzione a tre (con Bernardino Barbadoro e Antonio Panella, dal 1927).
L’attività fuori patria non corrispose alla sua alta fama internazionale, pur dopo avere rappresentato l’Italia al congresso di scienze storiche di Berlino del 1908; fu vicepresidente della Commission pour la revision des listes cronologiques (dalla quale nel 1932 espresse a Fedele l’intenzione di dimettersi). Fu però membro del Comitato nazionale di scienze storiche, in corrispondenza con il Comitato internazionale di scienze storiche.
Riservato e schivo, Schiaparelli si tenne ai margini dalla politica. Certo non oppositore del fascismo, non prese posizioni nette in occasione dell’allontanamento dalla cattedra di Gaetano Salvemini, del quale pure fu amico (e la successione del quale a Cipolla, nel 1916, aveva favorito). Nel 1923 rifiutò l’offerta di Fedele di essere il primo direttore della Scuola storica nazionale che Giovanni Gentile stava per istituire. Tra il 1930 e il 1932 – forse in connessione con il tentativo di Cesare Maria De Vecchi di mettere le mani sulle principali riviste storiche italiane – respinse la richiesta di Armando Sapori di far parte della direzione dell’Archivio storico italiano (per quest’ultima informazione sono da vedere le lettere di Sapori a Schiaparelli, comprensive delle minute di risposta di quest’ultimo a Sapori, e le informazioni offerte da Renzo De Felice, Intellettuali di fronte al fascismo: saggi e note documentarie, Roma 1985, pp. 190-242, in partic. p. 201).
Schiaparelli morì dopo breve malattia a Firenze il 26 gennaio 1934.
La più completa bibliografia di Schiaparelli è quella di Silio Scalfati (Carlo Cipolla..., 1994), che conta 65 voci, alle quali vanno aggiunte molte notizie di pubblicazioni di paleografia apparse anonime sull’Archivio storico italiano.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Fondo Schiaparelli Luigi, 20 buste (delle quali 6 di corrispondenza: bb. 1-5 ordinate, sino al 1930; b. 19, relativa al 1931-34, non ordinata); Verona, Biblioteca Civica, Carte Cipolla, Corrispondenza con Schiaparelli Luigi (lettere, fondamentali specie per il periodo della formazione); P. Fedele - P. Torelli, Onoranze a L. S., in Archivio storico italiano, s. 7, 1934, vol. 22, n. 2, pp. 165-195 (atti della cerimonia commemorativa del 17 febbraio 1935, anche in Bullettino dell’Istituto storico italiano del 1935, pp. 79-102); B. Barbadoro - A. Panella (necr.), ibid., s. 7, XX (1933, ma 1934), pp. 165 s.; A. Panella, Ricordo di L. S., in Pan, I-II (1933-1934), pp. 601-604; V. Federici (necr.), in Archivio della Società romana di storia patria, LVI-LVII (1933-1934), pp. 390 ss.; B. Barbadoro (necr.), in Aegyptus, XIV (1934), pp. 127 s.
L. Schiaparelli, Note paleografiche (1910-1932), Torino 1969 (riedizione a cura di G. Cencetti) e le successive Note di diplomatica (1896-1934), a cura di A. Pratesi, Torino 1972; Un secolo di paleografia e diplomatica (1887-1986). Per il centenario dell’Istituto di paleografia dell’Università di Roma, a cura di A. Petrucci - A. Pratesi, Roma 1988, per i contributi dei due curatori; Carlo Cipolla e la storiografia italiana tra Otto e Novecento. Atti del Convegno..., 1991, a cura di G.M. Varanini, Verona 1994, ad ind. (in partic. S.P.P. Scalfati, Carlo Cipolla, L. S. e la scienza del documento, pp. 145-167, con bibl.); G. Cencetti, Lineamenti di storia della scrittura latina, a cura di G. Guerrini Ferri, Bologna 1997, pp. 15 s.; A. Olivieri, Il metodo per l’edizione delle fonti documentarie tra Otto e Novecento in Italia. Appunti su proposte e dibattiti, in Bollettino storico-bibliografico subalpino, CVI (2008), pp. 563-615 (in partic. pp. 593 ss.); M. Bassetti - A. Ciaralli, Sui rapporti tra nazionalità e scrittura, in Il patrimonio documentario della Chiesa di Lucca. Prospettive di ricerca, Atti del Convegno internazionale di studi, Lucca... 2008, a cura di S. Pagano - P. Piatti, Firenze 2010, pp. 285-311; A. Olivieri, Il Corpus chartarum Italiae e i Regesta chartarum Italiae. Progetti e iniziative di collaborazione internazionale per la pubblicazione delle chartae medievali italiane al principio del Novecento. Con una appendice di lettere di e a Paul Kehr, in Contributi. IV Settimana di studi medievali, a cura di V. de Fraja - S. Sansone, Roma 2012, pp. 93-131. Sulla lettura torelliana delle opere di Schiaparelli cfr. G. De Angelis, Pietro Torelli paleografo e diplomatista, in Notariato e medievistica. Per i cento anni di Studi e ricerche di diplomatica comunale di Pietro Torelli, a cura di I. Lazzarini - G. Gardoni, Roma 2013, pp. 73-85.