ROSSI, Luigi
ROSSI, Luigi. – Nacque a Verona il 29 aprile 1867 da Carlo e Amelia Merchiori. Si laureò in giurisprudenza a Bologna nel 1889 con una dissertazione su Giurisprudenza e politica di Dante, dichiarata meritevole della pubblicazione; nel 1890 ottenne la libera docenza e nel 1891 l’incarico di diritto costituzionale presso l’ateneo felsineo.
Nell’ambito della fase di formazione e di consolidamento della scuola giuspubblicistica nazionale sulla scia dell’opera di Vittorio Emanuele Orlando, il contributo di Rossi risulta rilevante. Il suo nome indubbiamente è legato al sorgere della scuola italiana di diritto pubblico, come sostenne Amedeo Giannini, ma non sembra esatto assumere in maniera drastica il giudizio per il quale egli avesse «ripetutamente insistito sulla questione metodologica nello studio del diritto pubblico, e cioè che il diritto pubblico [anda]va studiato unicamente dal punto di vista giuridico» (A. Giannini, L. R. nel suo ultimo anno di insegnamento (1937), ora in L. R., Scritti vari di diritto pubblico, V, Milano 1939, p. IX). Si tratta infatti di una ricostruzione funzionale alla agiografia e alla persistenza della scuola giuspubblicistica nazionale in un momento in cui la stessa veniva contestata dalle innovazioni del regime fascista. Lo stesso Santi Romano, nella commemorazione di Rossi tenuta nell’aprile del 1943, fu molto più cauto, rilevando invece gli elementi di alterità del giurista veronese rispetto al filone principale della scuola giuspubblicistica (S. Romano, L. R., in Studi in memoria di L. R., Milano 1952, p. 7).
In effetti l’opera di Rossi, dall’inizio alla fine della parabola cinquantennale della sua produzione, risulta intrisa dalla significativa consapevolezza che un metodo giuridico che non tenga conto della prospettiva storica e comparatistica rischia di divenire distorcente e deleterio. Allievo di Cesare Albicini e di Domenico Mantovani Orsetti, ancora giovanissimo egli provvide a sottolineare come «il dogmatismo nelle scienze giuridiche e politiche [fosse] un parto necessario della mancanza di storia e di criteri storici, [ed] era fatto troppo complesso per potersi provare a brevi parole» (Prelezione e programma al corso di storia della scienza costituzionale e politica italiana, Bologna 1891, p. 9). A una simile assunzione corrispondeva simmetricamente il distacco e il rifiuto per la scuola ideologica del diritto costituzionale, di cui lo stesso Albicini era stato un tipico rappresentante. Nella Prolusione al corso di diritto costituzionale del dicembre 1891 (in Discorsi pronunziati a commemorazione del Conte Professore Cesare Albicini raccolti e pubblicati nel primo anniversario della sua morte, Forlì 1892, pp. 40 ss.) Rossi ribadì, infatti, l’opposizione all’impostazione che vedeva nella cattedra costituzionalistica il pulpito dello Stato rappresentativo unitario ed evidenziò il proprio profondo interesse per la letteratura tedesca e nello stesso tempo per la storia e il metodo comparato. Si trattava di un taglio metodologico che risultava già in modo chiaro sia dal volume sugli Gli scrittori politici bolognesi: contributo alla storia universale della scienza politica (Bologna 1888), sia dallo studio relativo alla collazione, contributo di diritto privato prodotto nell’ambito della scuola di legislazione comparata di Mantovani Orsetti che si collegava con l’accettazione della specificità del diritto costituzionale e con la necessità che lo stesso si integrasse con le altre scienze sociali.
Durante tutti gli anni Novanta, Rossi, dedito – sulla base di soggiorni all’estero – ad ampie ricognizioni sullo sviluppo del diritto straniero, mantenne e implementò questa precisa posizione personale che lo accompagnerà nel tempo (La letteratura del diritto pubblico. A proposito di recenti pubblicazioni, in Archivio di diritto pubblico, III (1893), pp. 177-189 e IV (1894), pp. 161-190); Die neuere Literatur des Verfassungsrechts bei den romanischen Voelkern, I, Frankreich, Tübingen und Leipzig 1902), ma che ebbe un significativo affievolimento nel periodo in cui fu coinvolto nell’attività politica. In particolare nell’analisi di opere autoritative della dottrina giuspubblicistica straniera Rossi dimostrò la propria autonomia metodologica e un intenso interesse per il diritto comparato. Esaminando lo Staatsrecht des Deutschen Reiches di Paul Laband, egli mise in evidenza che, al di là dell’importanza delle categorie del nuovo diritto pubblico tedesco, la teoria delle leggi formali e materiali, «non p[oteva] avere lo stesso valore costituzionale p.e. in Russia e nella Svizzera, e che [...] i principi giuridici [sarebbero variati]» in relazione all’assetto dei singoli ordinamenti. Contro ogni ipostatizzazione riaffermò, insomma, che la scienza del diritto pubblico «s’informa[va] alla evoluzione mutevole dei diversi popoli» (La letteratura del diritto pubblico, cit., 1893, p. 170]. Nell’analisi del Derecho politico di Adolfo Posada teorizzò, invece, in maniera originale l’importanza e la posizione del diritto costituzionale comparato «tra il diritto pubblico generale ed il diritto pubblico speciale […] che non si confonde né con il primo né con il secondo, e che tramezza i due, pur senza riuscire alla loro commistione, [poiché] forma un tipo scientifico del tutto speciale» (La letteratura del diritto pubblico, cit., 1894, p. 175). Esso «si avvicinerà al diritto pubblico speciale [...] se si darà la prevalenza ai fatti giuridici diversi, ai particolari analitici delle varie costituzioni; si avvicinerà al diritto pubblico generale se i fatti speciali serviranno di strumento e di base per trovar l’aspetto giuridico dello Stato moderno in genere», e potrà essere considerato come «uno strumento scientifico del diritto costituzionale in genere», che «in unione con la storia della scienza politica e delle costituzioni, forma il corredo sperimentale della scienza nostra, illuminando per mezzo dell’esempio altrui la dottrina ai vari diritti positivi» (ibid., p. 176).
In questa specifica dimensione il diritto costituzionale comparato, oltre a essere uno strumento efficace per la differenziazione tra diritto pubblico generale e quello particolare, ad avviso di Rossi avrebbe dovuto contribuire all’evidenziazione sia dei principi comuni ai diversi ordinamenti politici, sia di quelli particolari a ogni ordinamento nazionale. Una simile posizione era coscientemente alternativa a quella di Orlando che, recensendo il primo volume dell’opera di Posada, aveva invece espresso il timore che si potesse ricadere nel sincretismo e nella confusione del metodo precedentemente adottato. Rossi cercava infatti di recuperare in maniera sistematica i principi fondamentali dello «Stato giuridico», cosicché il diritto comparato potesse «perfino risalire alle leggi che presied[evano] l’evoluzione costituzionale dei popoli» (La letteratura del diritto pubblico, cit., 1894, p. 177), sempre sulla base della sistematizzazione del materiale empirico.
Una simile posizione era evidentemente influenzata anche dalle tendenze comparativistiche esistenti in campo privatistico e tendenti alla costruzione di un droit commun législatif, ma se ne differenziava per la consapevolezza dell’importanza del principio politico caratterizzante gli ordinamenti del cosiddetto Stato giuridico. Rossi sembrava, inoltre, ben consapevole non solo della necessità di un metodo rigoroso, ma anche della peculiarità della materia coinvolta dal diritto costituzionale, sempre soggetta alle fluttuazioni della politica, e delle necessità di utilizzare tutti gli strumenti e i materiali per pervenire all’individuazione e allo sviluppo della scienza stessa. Egli, pur caratterizzando la propria opera con l’adesione convinta ma eccentrica, al programma originario della scuola giuridica nazionale, adottò due delle prospettive classiche del metodo comparatistico al fine di non perdere nessun elemento per arrivare alla comprensione della realtà effettuale: da un lato l’indagine diacronica (storia costituzionale), dall’altro quella sincronica, con una particolare attenzione alla ricostruzione del pensiero politico-costituzionale.
Nel 1894 Rossi pubblicò il volume su I principi fondamentali della rappresentanza politica (Bologna 1894), opera che dimostra la policromia del suo approccio e la differenza dai contributi coevi di Orlando e di Vincenzo Miceli e che risulta di certo più ricca del successivo saggio Sulla natura giuridica del diritto elettorale politico (Bologna 1908), molto citato dalla dottrina positivistica del periodo, ma esercizio più ideologico e meno interessante dal punto di vista metodologico della complessa produzione degli anni Novanta. L’anno successivo fu nominato straordinario di diritto costituzionale, materia della quale divenne ordinario nel 1899.
Alla carriera accademica Rossi affiancò anche un’intensa attività politica: eletto deputato di Verona II e di Verona dal 1904 al 1923, fu sottosegretario all’Istruzione pubblica nel II governo Fortis (marzo-dicembre 1905) e nello stesso sottosegretario alla Giustizia (dicembre 1905-febbraio 1906), commissario generale all’emigrazione, ministro delle Colonie nel ministero Giolitti (giugno 1920-luglio 1921), ministro di Grazia e giustizia nel governo Facta I dal febbraio all’agosto1922. Fu anche vicepresidente della Camera e presidente della giunta Bilancio.
Rossi fu certamente un liberal conservatore. Con la crisi del regime liberal-democratico si ritirò dalla vita politica e non si iscrisse mai al partito nazionale fascista, osservando con attenzione lo sviluppo del compromesso diarchico e i limiti della elasticità della struttura statutaria nell’ambito delle riforme incrementali introdotte dal regime. Ritornò così a pieno regime alla vita accademica e nel 1924 fu assegnato alla Scuola di Scienze politiche e amministrative presso la facoltà di giurisprudenza di Roma e, poi, nel 1925 fu uno dei docenti fondatori della prima facoltà statale di scienze politiche in Italia, di cui diresse ininterrottamente l’Istituto di diritto pubblico e legislazione sociale, ruolo in cui costruì il settore pubblicistico della facoltà e contribuì ad arricchirlo con presenze antiformaliste (per es. Sergio Panunzio, Alfredo Rocco, Giuseppe Bottai, Maurizio Maraviglia, Pietro Chimienti).
In quegli anni egli applicò un metodo e un’opera didattica, frutto della sua attività precedente, che si riversarono in maniera particolare sui giovani giuspubblicisti del periodo (in particolare Massimo S. Giannini, Costantino Mortati, Vezio Crisafulli, Paolo Biscaretti, Agostino Origone, Carlo Lavagna, ecc.). I suoi corsi universitari e la promozione scientifica, attuata in collaborazione sostanziale con Panunzio, fecero dell’Istituto un luogo peculiare, dove l’impegno all’interno del regime non andava a scapito della scientificità, ma anzi veniva corroborato attraverso l’analisi approfondita di ciò che stava accadendo in Italia e in Europa.
Per la valutazione del contributo di Rossi risultano di particolare importanza, da un lato, l’impostazione tenuta negli Appunti di diritto pubblico comparato (Roma 1935) e la costante attenzione per la dottrina tedesca (soprattutto quella antiformalistica) del periodo weimariano; dall’altro la sua riflessione sulla elasticità dello Statuto, che può essere considerata come l’interfaccia della costituzione in senso materiale di Mortati. Negli Appunti, raccolti dagli allievi, si individua una posizione matura nella valutazione della disciplina e un implicito allargamento della visuale del diritto pubblico, che influenzarono in maniera rilevante i successivi manuali di Antonio Amorth, Biscaretti, Riccardo Monaco e Mortati. È anche vero che Rossi viveva ancora nell’ambito dello Stato rappresentativo e non articolava in modo completo l’analisi concreta e quindi le classificazioni sulla base del principio politico prevalente così come avrebbero fatto, in maniera statica, Emilio Crosa e, in modo più dinamico, Mortati proprio in quegli anni. Rossi però sottolineò la peculiarità dell’analisi giuridica all’interno del diritto pubblico dove lo stesso è caratterizzato dall’elemento politico, il quale condiziona l’indagine. D’altra canto la sua concezione ‘elastica’ si evidenzia quando si consideri che egli pensò al diritto come un sistema aperto, «un organismo vivente che si trasforma, che assorbe quindi nutrimento da tutta la massa e da tutte le forze sociali, e anche dagli stessi organi politici, che influiscono su di esso» (Appunti, cit., pp. 14 ss.).
In questa prospettiva due ultime, ma importanti osservazioni, si legano all’indagine di quest’autore: in primo luogo, per quanto attiene la classificazione degli ordinamenti l’interesse di Rossi si concentrò sullo Stato moderno, denominazione preferita ad altre correnti (libero, democratico, rappresentativo, giuridico, costituzionale). Si evidenzia in ciò una rigidità classificatoria che sottendeva l’incapacità di riconoscere il cambiamento di alcuni caratteri fondamentali dell’esperienza costituzionalistica sulla base dell’espansione del suffragio. La categoria dello Stato moderno si identificava per Rossi, come per la maggioranza della dottrina del suo tempo, con lo Stato di diritto rappresentativo. L’affermazione che nell’immediato dopoguerra, in alcuni Stati si fosse accentuata «un’evoluzione in senso rapidamente democratico», con un ritorno al principio di autorità si correlava con la constatazione della permanenza, «almeno in gran parte», del «fondo comune che caratterizza le strutture dello Stato moderno» (Appunti, cit., pp. 19 ss.). Si trattava, però, di una precisa presa di posizione nel dibattito sul rapporto continuità/rinnovamento tra Stato liberale e fascista che occupò la dottrina giuspubblicistica proprio in quegli anni, che introduce da un lato alla distinzione (ma solo dal punto di vista analitico) tra analisi giuridica (l’anatomia) e politica (la fisiologia), dall’altro all’esame del criterio della elasticità, un elemento che in realtà è costituzionale nel senso più intimo e coinvolgente la struttura (L’elasticità dello Statuto, in Scritti giuridici in onore di Santi Romano, I, Padova 1940, pp. 25 ss.). Sulla base di alcune suggestioni di James Bryce, l’elasticità, la snervatura e la rottura della costituzione analizzate da Rossi richiamano la riflessione sulla costituzione in senso materiale di Mortati e costituiscono uno dei contributi più preziosi della sua opera, come confermò la stessa discussione avvenuta nell’ambito degli studi in memoria a lui dedicati negli anni immediatamente successivi all’approvazione del nuovo testo costituzionale (Studi di diritto costituzionale in memoria di L. R., Milano 1952).
Rossi morì a Verona il 29 ottobre 1941.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio Università La Sapienza, f. AS 1689; M. Galizia, Profili storico-comparativi della scienza del diritto costituzionale, in Archivio giuridico, CLXIV (1963), pp. 3-110; G. Cianferotti, Il pensiero di V. E. Orlando e la giuspubblicistica italiana fra Ottocento e Novecento, Milano 1980, ad indicem; M. Fioravanti, La scienza del diritto pubblico: dottrine dello Stato e della Costituzione tra Otto e Novecento, Milano 2001, ad indicem; F. Lanchester, Pensare lo Stato: i giuspubblicisti nell’Italia unitaria, Roma-Bari 2004, ad indicem; Id., R. L., in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), diretto da I. Birocchi et al., II, Bologna 2013, pp. 1738-1741.