RODRIGUEZ, Luigi
– Nacque a Messina in data sconosciuta. Al di là del referto inattendibile di Bernardo De Dominici (1742-1745 ca., 2008, pp. 44 s.), Rodriguez viene citato da Placido Samperi (1654, 1742) – «circa annum 1590» – tra gli illustri messinesi «qui pictura excelluēre» (p. 611), mentre Francesco Susinno (1724, 1960, p. 130) lo ricorda figlio del «capitan di cavalli» Antonio, originario di «Lione [León] di Spagna», e fratello dei pittori Alonso e Antonio.
A prestar fede al biografo siciliano, Luigi e Alonso avrebbero appreso i primi rudimenti del mestiere nella bottega di «Cumandeo professore messinese», verosimilmente il più anziano dei fratelli Comandè, Giovanni Simone (1558 ca.-1630). Più tardi, Alonso, presto biasimato da Luigi a causa della sua fede caravaggesca, da cui era solito trarre «tutte le sue idee», si sarebbe trasferito a Venezia, mentre il fratello lo avrebbe preceduto a Roma e poi a Napoli (pp. 130-132; F. Campagna Cicala, Alonzo Rodriguez (Messina 1578 circa-1648), in I Caravaggeschi. Percorsi e protagonisti, a cura di A. Zuccari, II, Milano 2010, pp. 609-619, in partic. pp. 609, 619 note 1-4).
A Napoli Luigi sarebbe giunto intorno al 1592 in compagnia di Giovan Bernardino Azzolino (Prota-Giurleo, 1953), l’altro «Siciliano» con cui è spesso confuso nelle fonti napoletane (F. Ferrante, Aggiunte all’Azzolino, in Prospettiva, 1979, n. 17, pp. 16-30, in partic. pp. 16-18, 27 s. note 1-19). A ogni modo, la sua prima traccia documentaria in città risale al 6 settembre 1594, quando il pittore fu pagato dagli amministratori della chiesa di S. Maria della Soledad «per la pittura» – perduta – «di Santo Pietro e Santo Paolo che ha fatto in la custodia» (D’Addosio, 1920, p. 183; Leone de Castris, 1991, p. 334).
Il 1° giugno 1597 fu celebrato nella chiesa napoletana di S. Giovanni Maggiore il matrimonio fra Luigi e la veneziana Chiara Bonelli, testimone il pittore Tommaso di Rosa (D’Alessandro, 2009, p. 137 nota 59). Poco dopo Rodriguez impiantò la propria bottega nel quartiere Carità, dove si radunava la gran parte della comunità artistica cittadina (Leone de Castris, 1991, p. 334). Nella parrocchia di S. Maria della Carità furono infatti battezzati Diana (1599), morta probabilmente in tenera età (D’Alessandro, 2009, p. 137 nota 59), Diana (1601), Francesco (1606) e Luigi (1607), questi ultimi tenuti a battesimo rispettivamente da Domenico Fontana, Giovan Battista Nauclerio e Fabrizio Santafede (Salazar, 1897; Leone de Castris, 1991, p. 334).
La prima grande impresa decorativa di Rodriguez a Napoli è rappresentata dagli affreschi del refettorio di S. Lorenzo Maggiore, raffiguranti le Dodici Province del Regno di Napoli e Virtù entro una sontuosa decorazione a grottesche, arricchita da figure araldiche e Scene guerresche a monocromo (G. Filangieri di Satriano, Documenti per la storia le arti e le industrie delle provincie napoletane, II, Napoli 1884, pp. 196-200). In assenza di documenti, il ciclo è generalmente datato allo scorcio del Cinquecento. Secondo le fonti napoletane, a partire da Cesare d’Engenio Caracciolo (Napoli sacra..., Napoli 1623, p. 104), fu infatti Enrique de Guzmán, conte di Olivares e viceré di Napoli dal 1595 al 1599, a commissionare l’opera, restandone poi tanto soddisfatto – per l’«unità del colore» e la «dolcezza di tinte ben disegnate e condotte con tanta perfezione» – «che rimunerò largamente il nostro pittore» (De Dominici, 1742-1745 ca., 2008, p. 50 nota 19).
La vasta impresa di S. Lorenzo Maggiore palesa quanto in quel momento la cultura decorativa del siciliano fosse debitrice degli insegnamenti di Belisario Corenzio, che le fonti vorrebbero suo maestro, e delle testimonianze di Giuseppe e Bernardino Cesari nel cantiere napoletano di S. Martino, dove Rodriguez stesso, stando a una fortunata tradizione periegetica poi rivelatasi priva di fondamento, avrebbe partecipato alla decorazione del pronao della chiesa (p. 48 nota 17).
Prossimi ai lavori di S. Lorenzo, i malridotti affreschi con Storie mariane della cappella Orefice in S. Maria di Monteoliveto possono datarsi indirettamente alla luce dei documenti di commissione della pala d’altare della medesima cappella (p. 48 nota 16), l’Annunciazione di Francesco Curia oggi in deposito al Museo nazionale di Capodimonte, per cui Giovan Francesco Orefice, vescovo di Acerno, versò al pittore, il 9 dicembre 1596, un anticipo di venticinque ducati a conto degli ottanta sull’«integro prezzo tra loro convenuto» (I. Di Majo, Francesco Curia. L’opera completa, Napoli 2002, pp. 131 s. nota 9).
A modelli arpineschi è senza dubbio improntata anche la notevole decorazione della cappella Montalto nella chiesa napoletana di S. Maria del Popolo agli Incurabili, riferibile su base documentaria al 1599-1603 (Leone de Castris, 1991, pp. 218, 225, 228, 245 nota 74, 334; E. Nappi, Incurabili. Nuovi documenti e precisazioni, in Quaderni dell’Archivio storico. Istituto Banco di Napoli - Fondazione. Napoli 2009-2010, Napoli 2011, pp. 237-281, in partic. p. 269 docc. 148-153).
Qui le monumentali figure di Profeti sembrerebbero davvero inspiegabili senza la conoscenza del Cavalier d’Arpino «‘classico’ ed eroico» della sacrestia di S. Martino, mentre le Storie mariane negli scomparti della volta paiono emulare la foga espressiva di Corenzio e della sua équipe negli affreschi del coro di S. Maria la Nova (ibid.).
Nel 1601 Rodriguez collaborò, sotto la direzione di Corenzio, al cantiere napoletano della cappella del Monte di Pietà, dove eseguì alcuni lavori in facciata, oggi perduti, ovvero «la pittura di chiaro scuro a fresco della Fede e della Speranza, con quattro puttini, fatta al frontespizio del muro» (E. Nappi, Documents of the «Archivio Storico» of the «Banco di Napoli», in Monte di Pietà, a cura di G. Alisio, Napoli 1987, pp. 147-155, in partic. p. 149 nota 9), e alcune Allegorie, di controversa attribuzione, nelle sale del Monte (F. Navarro, The pictorial cycle and the sacred furniture, ibid., pp. 35-74, in partic. pp. 58-63; Leone de Castris, 1991, pp. 225, 241 nota 29, 245 nota 76, 334).
Altrettanto problematica appare la distinzione della responsabilità del siciliano nella coeva decorazione del soffitto di S. Maria la Nova, dove Luigi dipinse verosimilmente la gran parte dei numerosi scomparti minori – con i Re di Giuda, Virtù e altre figure di Santi e Profeti – che incorniciano le tele centrali di Girolamo Imperato, Francesco Curia e Fabrizio Santafede (pp. 225, 245 note 78-80; S. De Mieri, Girolamo Imperato nella pittura napoletana tra ’500 e ’600, Napoli 2009, pp. 210-221, 301-303). Gli episodi del cassettonato a lui ascrivibili rivelano una lievità di tocco e una raffinatezza cromatica e chiaroscurale ormai estranee alla tradizione corenziana e consentanee, piuttosto, alla maniera di Giovanni Angelo e Giovanni Antonio d’Amato.
Tali valori sono chiaramente riconoscibili anche nelle pale napoletane di Rodriguez: la «Madonna con una gloria di tutti i santi», ovvero la Madonna della Vallicella per l’altare maggiore della chiesa dei Girolamini, pagata dal preposito della congregazione oratoriana, Antonio Talpa, tra il 1602 e il 1606 (Marino, 2013); la Madonna con i ss. Giovanni Battista, Benedetto, Romualdo e Andrea dell’eremo dei Camaldoli, documentata al 1605 (Leone de Castris, 1991, pp. 225, 233, 334); l’Apparizione di Cristo a s. Elisabetta d’Ungheria sul quinto altarino a cornu Epistolae della chiesa di S. Maria la Nova, databile tra il 1603 e il 1607 (pp. 233, 245; De Dominici, 1742-1745 ca., 2008, p. 45 nota 10); e infine, tra i suoi ultimi e più alti raggiungimenti, la celebre Trinità del Museo nazionale di Capodimonte, proveniente dalla Confraternita di S. Maria della Salvazione in S. Anna di Palazzo, firmata a tutte lettere «Aloysius Rodrigo Messinensis pingebat» (pp. 42 s.): splendido «esempio di pittura atmosferica, misteriosa, notturnale, quasi neoleonardesca, [che] meriterebbe di andar per i manuali» (Previtali, 1978, p. 116).
Le imprese decorative del primo decennio, di cui resta traccia quasi unicamente nei documenti e nelle fonti letterarie, confermano la piena affermazione di Luigi – capomastro ormai autonomo – nel giro della committenza pubblica cittadina. Tra il 1606 e il 1607 si datano gli affreschi, distrutti, nella tribuna della Concezione degli Spagnoli e nella cappella Riccardo allo Spirito Santo (Leone de Castris, 1991, pp. 225, 245 nota 82, 334; P. Giannattasio, La Santissima Trinità dei Cappuccini di Aversa e l’«Immacolata Concezione» di Fabrizio Santafede, in Bollettino d’arte, s. 6, 2001, n. 118, pp. 59-78, in partic. p. 71 nota 16), mentre negli stessi anni Rodriguez dovette portare a termine l’ambizioso ciclo ad affresco con Storie testamentarie, anch’esso perduto, nella navata del Carmine Maggiore (De Dominici, 1742-1745 ca., 2008, pp. 50 s. nota 22). De Dominici (pp. 52 s. nota 23) riferisce come Corenzio, «escluso per sua vecchiezza» dal prestigioso incarico, fu «sopraffatto da maligno livore», e «meditò toglier la vita all’odiato discepolo», avvelenandolo mentre era «a desinar seco». Tale ricostruzione, che non ha mai goduto di particolare credito, è stata smentita di recente dal ritrovamento del certificato di morte di Rodriguez, deceduto «de febre [...] qui in Napoli nella strada di Monteoliveto», e seppellito nella vicina chiesa di S. Maria della Carità il 28 aprile 1607 (D’Alessandro, 2009, pp. 131, 139 nota 76).
Fonti e Bibl.: P. Samperi, Messana S.P.Q.R. regumque decreto nobilis exemplaris et Regni Siciliae caput duodecim titulis illustrata opus posthumum R. P. Placidi Samperii Messanensis Societatis Jesu in duo volumina distributum... (1654), I, Messanae 1742, p. 611; F. Susinno, Le vite de’ pittori messinesi (1724), a cura di V. Martinelli, Firenze 1960, pp. 130-132; B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani (1742-1745 ca.), a cura di F. Sricchia Santoro - A. Zezza, III, 1, Napoli 2008, pp. 42-55 (note di commento a cura di R. De Gennaro); L. Salazar, Documenti inediti intorno ad artisti napoletani del XVII secolo, in Napoli nobilissima, 1897, vol. 6, n. 9, pp. 129-132 (in partic. p. 130); G.B. D’Addosio, Documenti inediti di artisti napoletani dei secoli XVI e XVII dalle polizze dei banchi, in Archivio storico per le province napoletane, XXXVIII (1913), pp. 36-72, 232-259, 483-524, 578-610 (in partic. pp. 495 s.); Id., Documenti inediti di artisti napoletani dei secoli XVI e XVII dalle polizze dei banchi, in Archivio storico per le province napoletane, XLV (1920), pp. 179-190 (in partic. p. 183); U. Prota-Giurleo, Pittori napoletani del Seicento, Napoli 1953, p. 132; G. Previtali, Dalla venuta di Teodoro D’Errico (1574) a quella di Michelangelo da Caravaggio (1607), in Storia di Napoli, V, 2, Napoli 1972, pp. 867-911 (in partic. pp. 867-869, 879 s., 906 note 64-65); Id., La pittura del Cinquecento a Napoli e nel vicereame, Torino 1978, pp. 115 s., 145 nota 73, figg. 149, 151; P. Leone de Castris, Pittura del Cinquecento a Napoli. 1573-1606. L’ultima maniera, Napoli 1991, pp. 218-237, 241, 244-246 note 68-94, 334; D.A. D’Alessandro, Appendice documentaria: trascrizioni e commento, in G. Porzio, Nuovi documenti per i soggiorni meridionali di Tanzio da Varallo e per il contesto pittorico napoletano di primo Seicento, in Ricerche sul ’600 napoletano. Saggi e documenti 2009, Napoli 2009, pp. 128-133, 137-139 (in partic. pp. 131, 137 nota 59, 139 nota 76); A.M.A. Marino, Proposte di lettura iconografica per la Madonna della Vallicella di L. R. nella basilica dell’Oratorio dei Girolamini di Napoli, in Cinquantacinque racconti per i dieci anni. Scritti di storia dell’arte, a cura del Centro studi sulla civiltà artistica dell’Italia meridionale Giovanni Previtali, Soveria Mannelli 2013, pp. 239-254.