ROBECCHI-BRICCHETTI, Luigi
ROBECCHI-BRICCHETTI, Luigi. – Nacque il 27 maggio 1855 a Pavia in una vecchia casa del corso di Porta Borgoratto, l’attuale corso Cavour, figlio illegittimo di una giovane sarta, Teresa Bricchetti, e del nobiluomo pavese Ercole Robecchi, membro di un’agiata famiglia di proprietari terrieri residenti a Zerbolò, che fu costretto a riconoscere il figlio nel 1874, dopo una lunga azione legale.
Con il suo sostegno finanziario il padre gli permise di compiere gli studi primari presso il Regio istituto tecnico di Pavia (in quel periodo fuggì anche da casa per tentare la fortuna in Svizzera), iscriversi prima all’Università di Pavia e quindi al Politecnico di Zurigo, perfezionare gli studi a Monaco e Dresda e a Karlsruhe. Al tempo stesso si dedicò anche allo studio delle principali lingue europee e orientali e ottenne infine la laurea di ingegnere meccanico-costruttore. Grazie a questo titolo poté cominciare a esercitare un’attività professionale come rappresentante di ditte tedesche e francesi. Successivamente si specializzò nell’installazione di impianti elettrici, attività che lo portò anche nel continente americano, esperienza della quale sono rimasti solo brevi cenni apparsi su alcuni quotidiani. All’inizio del 1884 si trasferì a Le Havre per verificare la possibilità di realizzarvi un impianto di illuminazione elettrica e nello stesso anno prese parte all’Esposizione internazionale di Torino, dove aprì uno ‘studio elettronico’.
La sua lunga esperienza in terra africana ebbe inizio nel 1885 quando, per occuparsi di un progetto di illuminazione delle stazioni militari inglesi, si recò in Egitto, cominciando a viaggiare per tutta la valle del Nilo per la consegna dei suoi materiali. Nell’aprile del 1886, tuttavia, rimase coinvolto assieme al suo compagno nel ripiegamento delle truppe inglesi attaccate dai dervisci a sud di Assuan, riuscendo a salvarsi fuggendo attraverso il deserto fino ad Alessandria, dove giunse incolume ma senza un soldo alla fine del maggio 1886. A quel punto coltivò l’idea di un viaggio attraverso il deserto libico dal Cairo a Tripoli, al quale dovette però rinunciare. Si spinse, invece, nell’estate del 1886, accompagnato da una piccola carovana di quattro cammelli, vestito da beduino e con scarse provvigioni, fino all’oasi di Siwa, nella quale poté visitare le rovine del tempio di Giove Ammone e la montagna di Carat el Mutsabarin, sede di numerose tombe scolpite nella roccia con elementi architettonici di uno stile misto dorico-egiziano.
Tornò in Africa due anni dopo, imbarcandosi per Massaua nella primavera del 1888 per giungere, l’8 luglio, ad Harar, nella parte orientale dell’altopiano etiopico, dove rimase fino al 25 marzo 1889 cercando di organizzare la ricognizione del territorio e di collaborare con ras Malone, per conto del quale costruì una chiesa abissina sui resti di un’antica moschea. In quel periodo frequentò Arthur Rimbaud, di cui elogiò le qualità di commerciante e con il quale trascorse il Natale del 1888, visitò Cialanco e compì diverse escursioni al lago Aramaja, al fiume Erer, alle valli dell’Argobba, al mercato di Bubassa e alle rovine di Bio-Kamona.
Fallita l’impresa di penetrare in Somalia attraverso la regione dell’Harar, dopo essere salpato da Brindisi il 9 marzo 1890, ritentò da sud compiendo, primo europeo, il tragitto da Obbia ad Alula con una traversata di duemila chilometri. Lasciata Obbia il 28 maggio, dopo brevi soste a Lugacabarà, tra i Rer Nehmala, e a Ilig, esplorò per la prima volta la foce del Nogal (20 giugno), risalendone il primo tratto, oltre Eil, ricco d’acqua. Ritornata sulla costa la spedizione, dopo avere toccato capo Hafun e capo Guardafui, giunse ad Alula il 29 agosto, avendo acquisito interessanti notizie sulle popolazioni locali e in particolar modo sui Giagi.
Rientrato in patria nell’ottobre del 1890, si imbarcò nuovamente per la Somalia nel gennaio 1891 per guidare una missione che si proponeva di attraversare tutta la penisola somala, appoggiata dal governo italiano e dalla Società geografica italiana. Dopo una sosta a Mogadiscio, dove arrivò il 22 aprile, raggiunse l’Uebi Scebeli a Hiram, passando per Uarandi; ma, a causa delle incursioni abissine, non poté spingersi fino ad Harar, ripiegando su Berbera, nel Golfo di Aden, dove giunse il 30 agosto, per poi tornare in Italia passando per Carram e Aden.
Fra i risultati più significativi di questa spedizione (si veda Somalia e Benadir, Milano 1899, un volume di ben 726 pagine, ricco di una grande quantità di annotazioni di carattere geografico, storico, archeologico, etnografico, antropologico, filologico, geologico, entomologico, botanico, zoologico, meteorologico e religioso) si devono collocare le accurate raccolte delle tradizioni orali delle popolazioni incontrate, assai importanti fra i somali per l’identificazione di parentela fra le varie ‘cabile’ o ‘rer’; oltre che i rilievi e le ricognizioni del territorio rivelatisi fondamentali per la realizzazione di carte relative alle aree visitate.
Cinque anni dopo, incaricato segretamente dal ministro degli Esteri Alberto Blanc di prendere contatto con capi qualificati e influenti e di tentare l’attraversamento della Tripolitania fino a raggiungere l’Uadai, giunse a Tripoli il 22 gennaio 1895, sotto le spoglie di un commerciante svizzero e con un passaporto intestato al dottor Otto Neustätter, ma per le imprudenze da lui commesse venne richiamato in Italia.
Nel 1903, come membro della Società antischiavista, venne incaricato di verificare se nel Benadir, una regione costiera allora controllata dagli italiani, si stesse effettivamente combattendo la schiavitù alimentata da europei, ma anche dalla stessa popolazione africana, un fenomeno che in passato Robecchi aveva giustificato come «servitù domestica» e che in questa circostanza cercò invece di osteggiare con grande passione e forza morale. Da questo suo ultimo viaggio in Africa, oltre a cimeli e documenti, portò con sé, assieme alla madre, uno schiavo liberato, il piccolo Mabruc, morto poi per tisi appena quattordicenne.
Morì a Pavia il 31 maggio 1926.
Pochi mesi prima aveva lasciato al Comune, oltre alla sua biblioteca, un fondo di 15 cartelle contenente taccuini, appunti, carnet di viaggio, schizzi, disegni, mappe, lettere, manoscritti relativi a raccolte antropologiche, botaniche, e zoologiche, studi linguistici. Materiale che testimonia la vastità e la varietà dei suoi interessi per l’Africa e ora custodito presso l’Archivio storico civico che si trova nella Biblioteca civica Carlo Bonetta (cfr. Zaffignani, 1987); lasciò anche una raccolta etnografica di oggetti africani (950 manufatti somali e abissini, crani dell’oasi egiziana di Siwa, pelli e zanne di animali e 36 disegni di soggetto africano) e una raccolta fotografica (1337 fotografie, 239 diapositive, 57 negativi e 30 cartoline), che contribuì a diffondere e alimentare il fascino esercitato dal continente africano in Europa, materiale conservato nell’omonima sezione a lui intitolata dei musei civici collocati nel castello visconteo di Pavia.
Opere. Nel contributo di M. Brignoli agli Atti del convegno su L. R.-B. e la Somalia (v. infra), pp. 59-64, viene fornito un preciso elenco, al quale rimandiamo, di 41 pubblicazioni di Robecchi-Bricchetti, in gran parte apparse su importanti giornali e riviste geografico-coloniali e scientifiche. Fra le più rilevanti, che si raccomandano per «una certa finezza narrativa» e «si distaccano dai rendiconti generalmente disadorni, monotoni e confusi» (Carazzi, 1972, p. 141) degli altri esploratori, per cui conobbero un apprezzabile successo, si segnalano: All’oasi di Giove Ammone: viaggio, Milano 1890; Nell’Harrar, Milano 1896; Somalia e Benadir. Viaggio di esplorazione nell’Africa orientale, Milano 1899; Nel Paese degli aromi. Diario di un’esplorazione nell’Africa Orientale da Obbia ad Alula, Milano 1903; Dal Benadir. Lettere illustrate alla Società Antischiavista d’Italia, Milano 1904.
Fonti e Bibl.: Documenti relativi a Robecchi sono conservati nell’archivio storico del soppresso ministero dell’Africa italiana (a Roma, presso l’Archivio del ministero Affari Esteri); nell’archivio storico della Società geografica italiana (cartelle IX A e B), a Roma, che conserva anche un ritratto dell’esploratore e alcuni oggetti da lui portati dalla Somalia; a Napoli, nell’archivio storico della Società africana d’Italia (cfr. Inventario, a cura di C. Intartaglia - C. Scaramella, Napoli 1992, e le Raccolte fotografiche e cartografiche, Napoli 1996, ad ind.).
C. Della Valle, I pionieri italiani nelle nostre Colonie. Appunti storico-bibliografici, Roma 1931, pp. 321-326 (per le indicazioni bibliografiche relative agli anni precedenti); G. Pollacci, L. R. B., estratto dagli Atti dell’Istituto Botanico dell’Università di Pavia, Pavia 1934; E. Fabietti, Un pioniere dell’impero: L. R. B. e la prima traversata della Somalia, Torino 1940; G. Dainelli, Esploratori italiani in Africa, II, Roma 1960, pp. 499-501, 556-562, 570-587; M. Carazzi, La Società Geografica Italiana e l’esplorazione coloniale in Africa (1867-1900), Firenze 1972, pp. 141-144; R. Traini, I manoscritti arabi esistenti nelle biblioteche di Pavia, in Rendiconti dell’Accademia nazionale dei lincei. Classe di scienze morali, storiche e filosofiche, XXVIII (1974), pp. 1-25; A. Del Boca, Gli Italiani in Africa Orientale dall’Unità alla marcia su Roma, Roma-Bari 1976, ad ind.; Atti del Convegno su L. R. B. e la Somalia, Pavia 1979; F. Surdich, L’immagine dell’Africa e dell’Africano nelle relazioni di L. R. B., in Miscellanea di Storia delle esplorazioni, V (1980), pp. 59-76; A. Del Boca, Gli Italiani in Libia. Tripoli bel suol d’amore, 1860-1922, Roma-Bari 1986, pp. 34 s.; G. Zaffignani, Le carte di L. R. B. presso l’archivio storico di Pavia. Inventario analitico, in Pavia economica, 1987, n. 3, pp. 117-123; G. Cammaichella, Un contributo alla storia dell’Egitto Nord-Occidentale: il viaggio di L. R. B. da Alessandria a Siwa, in L’Italia e l’Egitto. Dalle rivolte di Arabi Pascià all’avvento del fascismo (1882-1922), a cura di R.H. Rainero - L. Serra, Milano 1991; C. Zaghi, Rimbaud in Africa, Napoli 1993, ad ind.; F. Zucca, L. R. B. e la coscienza dell’Africa nella cultura coloniale italiana, in Storia della Lombardia, III (1994), pp. 43-79 (ricchissimo di indicazioni bio-bibliografiche desunte dall’archivio personale dell’esploratore e con numerose informazioni sul materiale di interesse sia etnologico sia naturalistico portato in Italia e conservato ora in diversi musei); S. Mazzotti, Esploratori perduti. Storie dimenticate di naturalisti italiani di fine Ottocento, Torino 2011, pp. 61-68.