PRIULI, Luigi
PRIULI, Luigi (Alvise). – Nacque a Venezia il 16 settembre 1650 da Marcantonio, del ramo a S. Barnaba, e da Elena Basadonna di Alvise di Pietro, il cui fratello, anch’egli di nome Pietro, sarebbe divenuto cardinale nel 1673.
Questo evento fu determinante per la vita di Priuli, che intraprese a sua volta la carriera ecclesiastica; la sua scelta infatti, con le rendite a essa collegate, consentì in seguito ai fratelli di conseguire cariche prestigiose nel governo marciano, nonostante la modesta figura del padre, uomo buono e religioso, ma di poco valore. Giovanni, ambasciatore a Vienna, divenne pertanto procuratore di S. Marco e Angelo Maria fece parte del Consiglio dei dieci. Tuttavia, poiché i matrimoni di entrambi (Giovanni con Cecilia Contarini di Simone, Angelo Maria con Marietta Marcello di Angelo, vedova di Giovanni Zulian) furono sterili, con loro questo ramo della famiglia si estinse.
Non appena l’età lo consentì, Priuli ottenne un canonicato nel Duomo di Treviso, ma senza cercare di ottenere il vescovato della diocesi, cui poteva aspirare senza grandi difficoltà, poiché ambiva piuttosto all’auditorato di Rota. Così nel 1668 Pietro Basadonna, in una lettera al cardinale e futuro papa Pietro Ottoboni, stigmatizzava il rifiuto del nipote, avvenuto «contro li desideri di suo padre e di tutta la casa […] e sebene l’Auditorato è un gran posto, se io fossi ne’ suoi piedi vorrei più tosto esser vescovo di Caorle che Auditore di Rota» (Menniti Ippolito, 1993, p. 180).
Tuttavia Priuli mirava evidentemente al gran mondo romano e alla Curia, per questo accompagnò l’ambasciatore Michele Morosini nella sua legazione presso la S. Sede tra la primavera del 1671 e quella del 1672; quindi, nel maggio 1674, ottenne che il suo nome fosse tra quelli proposti dal nunzio a Venezia per un posto all’Auditorato. Prescelto fu però Antonio Paolucci e solo dopo un decennio, nel 1684, Priuli poté almeno in parte compensare il mancato successo con la titolarità dell’abbazia veronese di S. Zeno in seguito alla morte di Vincenzo Molin; un’abbazia ricca e prestigiosa, che Priuli avrebbe conservato per tutta la vita. Infine, dopo essere stato insignito del carattere presbiteriale (10 marzo 1686), la morte di Paolucci parve dischiudere a Priuli la prospettiva di conseguire l’ambito auditorato. E così, il 23 ottobre 1688, l’ambasciatore Girolamo Lando scriveva al Senato che il papa Innocenzo XI gli aveva fatto comunicare che «era in risolutione di prescegliere tra li quattro nominati dall’EE.VV. all’auditorato di Rota il sig. abate Priuli» (Archivio di Stato di Venezia, Senato, Dispacci, Roma, f. 202, c. 24v). Due settimane dopo l’ambasciatore riferiva di aver espresso al pontefice la gratitudine della Repubblica per la nomina di un soggetto «che per la nascita, virtù et costumi non poteva essere più proportionato a così grand’ufficio» (c. 36r). Di tutt’altro avviso si mostrava però una scrittura anonima, uscita probabilmente dalla nunziatura veneziana, che ne stigmatizzava la scandalosa relazione con tre amanti, tutte di estrazione e stato sociale diversi: una donna, una monaca e una cortigiana (Pizzati, 1997, p. 193).
Prima di ricevere ufficialmente la nomina, Priuli ottenne a Padova, nel 1689, il dottorato in utroque jure conseguito more nobilium, ossia con un percorso didattico semplificato; in seguito, il 23 ottobre 1689, esattamente un anno dopo l’annuncio della decisione pontificia, Priuli divenne auditore con l’appoggio decisivo del futuro papa Ottoboni, vecchio amico dello zio di Priuli, il cardinale Basadonna.
Priuli avrebbe conservato l’auditorato per ben 23 anni, fino alla morte, ma non per questo cessò di acquisire ulteriori benefici: nel 1692 ottenne da Innocenzo XII il possesso dell’abbazia di Villanova di Camposampiero, che rendeva 2000 ducati. Fu peraltro anche un prelato sensibile alla cultura; in riconoscimento di ciò, l’8 maggio 1694 fu nominato prefetto della Sapienza.
Seppe inoltre abilmente adoperarsi a favore degli interessi della sua patria, sì da meritarsi l’elogio dell’ambasciatore Nicolò Erizzo – notoriamente poco indulgente verso gli ecclesiastici –, che il 12 marzo 1701 informava il Senato dell’operato di Priuli; un concetto ribadito con ampiezza di prospettive alcuni mesi più tardi, il 3 settembre dello stesso 1701: «[…] dopo molti anni d’assidua applicazione è passato per pochi giorni a riveder la patria et l’afflitta sua abbadia di San Zeno monsignor Auditor di Rota Priuli, per ripigliare poi a prima staggione la sua faticosa carriera et non intermetterla sin che non conseguisca il premio della porpora, che nella promocion delle corone, per quanto un giorno mi disse il pontefice, senza fallo le è risservata» (Archivio di Stato di Venezia, Senato, Dispacci, Roma, f. 217, c. 61v).
E tuttavia Priuli dovette attendere ancora a lungo la nomina, che gli venne assegnata da papa Clemente XI il 18 maggio 1712 con il titolo di cardinale prete di S. Marcello, traslato a quello di S. Marco il 28 maggio 1714, in seguito alla morte del cardinale Giovanni Badoer, vescovo di Brescia. Il nuovo titolo conferito a Priuli, solito risiedere a Roma, non mancò di preoccupare l’ambasciatore veneziano Nicolò Duodo, che il 1° settembre 1714 così scriveva al Senato: «Passato il sig. cardinale Priuli S. Marcello da questo titolo a quello di S. Marco, restò abilitato ad abitare una porzione del pubblico palazzo […]. Questo [l’attuale Palazzo Venezia] quanto comparisce maestoso per li grandi saloni, logge e cortili che lo compongono, altrettanto si trova ristretto d’abitazione, di maniera che non resta sufficiente a provedere d’alloggio a due gran corti, come quella d’un cardinale e d’un ambasciatore» (f. 229, ad diem).
Il rango così acquisito, non soltanto offrì a Priuli la disponibilità di una sede prestigiosa, ma gli dischiuse anche la cooptazione in diverse congregazioni, fra le quali quelle del Concilio, dei Vescovi e regolari, dell’Immunità; il 1° marzo 1719, inoltre, fu nominato protettore dell’Ordine della Ss. Trinità per il riscatto degli schiavi e il 4 marzo 1720 venne creato camerario del S. Collegio. Sarebbe stata l’ultima tappa della sua carriera, perché qualche giorno dopo, il 15 marzo 1720, Priuli morì a Roma.
Naturalmente Duodo non mancò di accusare come «sensibilissima» la perdita di un «soggetto d’esimia pietà, di virtù distinte e d’incredibile carità verso li poveri», ma in fondo non esagerava più di tanto: nel testamento, infatti, Priuli lasciò alle abbazie possedute i suoi libri e l’argenteria; inoltre disponeva un cospicuo legato per il mantenimento di alcuni giovani patrizi veneziani presso il collegio Clementino, retto dai somaschi.
Venne tumulato nella medesima chiesa di S. Marco, in un sontuoso sepolcro ornato di statue, con il suo busto in marmo e iscrizione.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A. M.Tasca, Arbori de’ patritii…, VI, p. 234; Senato, Dispacci, Roma, f. 176 (23 aprile 1672); f. 202 (23 ottobre 1688); f. 216 (12 marzo 1701); f. 217 (3 settembre 1701); f. 229 (18 novembre 1713, 26 maggio 1713, 1° settembre 1714); f. 236 (20 marzo 1720); Venezia, Biblioteca del civico Museo Correr, Archivio Morosini Grimani, b. 563, f. 3 (due lettere di Priuli auditore di Rota al procuratore Antonio Grimani, 1693-94).
M. Guarnacci, Vitae et res gestae pontificum […] et cardinalium…, II, Romae 1751, coll. 219-222; A.M. Querini, Tiara et purpura veneta…, Brixiae 1761, pp. 293 s.; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica…, LV, Venezia 1852, p. 254; XCI, Venezia 1858, p. 387; XCII, Venezia 1858, p. 565; E. Cerchiari, Capellani Papae et Apostolicae Sedis seu Sacra Romana Rota…, II, Romae 1920, pp. 200 s., 205, 211; R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia catholica…, V, Patavii 1952, p. 28; A. Menniti Ippolito, Politica e carriere ecclesiastiche nel secolo XVII. I vescovi veneti fra Roma e Venezia, Napoli 1993, pp. 174, 178-181; A. Pizzati, Commende e politica ecclesiastica nella Repubblica di Venezia tra ’500 e ’600, Venezia 1997, pp. 189, 193, 313, 336.