Pietrobono, Luigi
Dantologo (Alatri 1863 - Roma 1960), padre scolopio, insegnò a lungo nel collegio Nazzareno di Roma, di cui fu anche preside; amico del Pascoli, alla cui poesia dedicò saggi pregevoli, del Pistelli, del Nardi ecc. Della sua vasta attività di critico letterario gli studi danteschi rappresentano la parte più ampia e profonda. Il suo interesse a D., vivo sin dalla giovinezza (si laureò nel 1887 con una tesi su La teoria dell'amore in D.A., che fu subito pubblicata sulla rivista fondata dal Mamiani, " La filosofia nelle scuole italiane "), fu potenziato dall'amicizia col Pascoli, sotto il cui influsso si volse a indagare l'unità spirituale della Commedia, rifiutando sia il metodo positivo della scuola storica che quello estetico della scuola desanctisiana. Polemizzò pertanto col Croce sulle allegorie, non già astrazioni sovrapposte alla poesia, ma " metafore continuate ", espressione dell'idea (" Le allegorie e i concetti morali non son tutto D., ma senza quelle e questi D. non è più lui "). Studiò perciò soprattutto la struttura della Commedia e la corrispondenza di, questa con le altre opere dantesche nei suoi saggi fondamentali: Il poema sacro. Saggio d'una interpretazione generale della D.C., Bologna 1915; Dal centro al cerchio. La struttura morale della D.C., Torino 1923; Saggi danteschi, Roma 1936, dove spiccano quelli fondamentali sulla Vita Nuova, sulle Rime, sul problema della donazione di Costantino in D.; a questi vanno aggiunti i numerosi scritti sul " Giornale Dantesco ", che egli diresse dal 1921 al 1943, nei quali attraverso le polemiche col Barbi, il D'Ovidio, l'Ercole, ecc. il suo pensiero venne rinsaldandosi, e su " L'Alighieri ", da lui fondato nel 1960. Né sono da trascurare le numerose ‛ lecturae ' del poema (i canti IV, VIII, IX, XIX, XX, XXII, XXIII, XXV, XXVII dell'Inferno; i canti XI, XIV, XXII, XXVI, XXIX, XXXI del Purgatorio; i canti II, XIV, XIX del Paradiso), che completano il panorama di un'attività esegetica dantesca veramente prodigiosa, ovunque rivolta a ricostruire l'unità tra simbolo e figura, a illuminare dall'interno i significati reconditi del poema, restituito a chiarezza concettuale e del quale il P. rivendica la piena ortodossia cristiana, come documento di una vita rivolta tutta alla ricerca di Dio.
Le singole opere di D. sono per il P. le tappe di questo cammino, che si risolve nella Commedia, ma il cui " preludio " è la Vita Nuova, opera mistica, che " fu messa insieme nella sua forma definitiva non solo dopo che la concezione della Commedia sorrideva già alla fantasia di D. ma in servizio e chiarimento di essa ". Altro prologo alla Commedia è la Monarchia, scritta anteriormente ai primi canti dell'Inferno, se questi, specie l'VIII, le cui espressioni trovano riscontro in Ep V, VI, VII, " dimostrano che il poeta ha proiettato nello sfondo infernale del V cerchio i luoghi e i fatti più salienti dell'impresa di Arrigo, per insegnare come il Veltro avrebbe vinto ".
La struttura del poema si prospetta al P. come il massimo portato di un'ispirazione poetica unitaria in tutte le sue parti; quest'unità si rileva anche attraverso la gran quantità di corrispondenze e richiami, alcuni dei quali legano non meno il sostrato ideologico (ad es. il parallelo tra il peccato di Adamo e la donazione di Costantino) che la topografia morale dei tre regni tra loro e all'interno di ciascuno. La rigorosa intelaiatura concettuale non è però per il P. fuori della poesia, anzi è essa stessa costrutto dell'armonica fantasia di Dante. Allo stesso modo l'allegoria, differentemente da quelle con cui il Medioevo giustificò la poesia di Virgilio, o da quelle che D. stesso assume nel Convivio, " non consiste in una sovrastruttura che il poeta abbia imposto alle sue creazioni fantastiche, ma è la stessa creazione fantastica, la sua forma di espressione; non l'iponoia dei filosofi, ma l'inversio dei retori ". Perciò la maggior parte delle allegorie non sono da leggere come simboli, ma come vere e proprie metafore, che espongono da sé il concetto.
Altrettanto valido il commento alla Commedia (Torino 1924-30) riesce nel riscattare alla poesia il mondo morale di D.; non meno dei Saggi, dei quali riporta l'interpretazione di fondo, trascendendoli però nella puntualizzazione di una lettura sensibile anche all'esame della forma e soprattutto equilibrata nel giudizio su personaggi e fatti.
Il Barbi definiva il P. " il più avveduto seguace del Pascoli ". Invero il pascolismo del P. si riduce alla convergenza più che d'idee, di principi base (come la ricerca di simmetrie, l'affermazione di un'architettura unitaria della Commedia e della simbologia di If I, la limitata applicazione delle tre disposizioni aristoteliche, il riconoscimento della funzione parallela della Chiesa e dell'Impero al fine della redenzione); per il resto il P. è critico del tutto indipendente, e offre soluzioni lontane dalle pascoliane, come l'idea che la Commedia non rappresenta affatto l'abbandono della vita attiva per la contemplativa.
Bibl. - Un accurato elenco degli scritti del P. in S. Zennaro, in " L'Alighieri " I (1960) 34-46. Sul P. dantista vedi in particolare: A. Vallone, Una vita per D. e per la scuola: L.P., in " Idea " XVI (1960); ID., L.P., Torino 1961; ID., D. e Pascoli nelle lettere inedite di Pistelli a P., in Capitoli pascoliano-danteschi con inediti, Ravenna 1967; P. Vannucci, Ricordando L.P., in " L'Alighieri " I (1960) 25-36; G. Grana, Maestri del sapere. L.P., in " Responsabilità del Sapere " XII (1960) 67-72; ID., L.P. e l'allegorismo, Torino 1962; P. Vannucci, D. in P., in " L'Alighieri " II (1961) 62-64; G. Mormino, L.P., in Ritratti di autori, Milano 1961, 69-75; C. Minnocci, L.P., in " Palaestra " III (1964) 195-212; E. Caccia, I commenti danteschi del Novecento, in " Cultura e Scuola " IV (1965) 305-306; F. Lanzara, Pascoli e P. interpreti di D., in Per il VI centenario di D., Marcianise 1966.