PEZZANA, Luigi
PEZZANA, Luigi. – Nacque a Verona nel 1814 da Giuseppe, nobile veneziano che per far fronte ai rovesci finanziari aveva ottenuto un impiego giudiziario a Verona. Non si hanno notizie sulla madre.
A Verona, compiuti gli studi liceali, Pezzana conobbe la grande attrice Anna Fiorilli Pellandi (1772-1841), nota maestra di attori da cui ricevette le prime lezioni di declamazione, esercitandosi con le tragedie di Vittorio Alfieri e Voltaire e con i melodrammi di Pietro Metastasio. Fu frequentando la sua casa che venne in contatto con attori e artisti rinomati, per poi unirsi alla compagnia filodrammatica veronese. Tuttavia, spinto dal padre verso la carriera forense, si trasferì a Padova dove si iscrisse alla facoltà di legge, che abbandonò dopo due anni, nel 1833, per dedicarsi al teatro.
Fatto ritorno a Verona, si rivolse a Marco Fiorio, un capocomico quasi sconosciuto (Costetti, 1886, p. 85), ed entrò come primo amoroso nella sua compagnia, dove incontrò Carlotta Polvaro, attrice già affermata che era stata, dal 1829 al 1832, in società con Giacomo e Gustavo Modena. Pezzana la sposò probabilmente intorno al 1840.
Come per molti attori dell’Ottocento – persino nei casi più celebri com’è quello di Eleonora Duse – anche per Pezzana è difficile datare con precisione gli eventi, artistici o privati, dal momento che le fonti, le cronache e la narrazione sono spesso in contraddizione tra loro. Pur in assenza di date esatte, è possibile tuttavia affermare che, lasciata la compagnia Fiorio, Pezzana e Polvaro passarono a quella di Luigi Ghirlanda.
Già riconosciuto dalla stampa come attore capace di coniugare la raffinatezza dello stile con una spiccata cultura, nell’aprile del 1841 al teatro del Cocomero di Firenze, Pezzana, riprendendo le serate dantesche di Gustavo Modena – che nel 1839 al Queen’s Theatre di Londra alternò la singolare dizione della Divina Commedia e di Alessandro Manzoni ad arie liriche italiane – presentò uno spettacolo in cui interpolava a pezzi strumentali, la declamazione di canti danteschi e frammenti dai Sepolcri di Ugo Foscolo.
Nel repertorio di Pezzana confluirono altri cavalli di battaglia di Modena, fra tutti, il Saul di Alfieri e il Luigi XI di Casimir Delavigne; come ha scritto Giuseppe Costetti (1886, p. 91), il pubblico fiorentino, poco incline ad accettare le invenzioni stilistiche di Modena, gli preferì di gran lunga la norma nella quale si mosse il pur bravo attore Pezzana, dotato com’era di una bella voce e di un’indubbia presenza scenica. Tuttavia, a detta di uno dei suoi maggiori detrattori, Enrico Montazio (1845), fu proprio l’abuso di queste sue qualità fisiche a rendere la sua recitazione esteriore e a fare di Pezzana un attore mediocre e intollerabile per il manierismo delle sue azioni e dei suoi gesti, per le inflessioni forzatamente variate e canore della sua voce e per il ricorso frequente agli urli stentorei.
Dopo un passaggio con la moglie nella compagnia di Cesare Asti, fu poi scritturato, sempre con Polvaro, tra il 1842 e il 1844, da Luigi Domeniconi in una delle compagnie da lui dirette. Furono gli anni in cui Pezzana si affermò come primo attore e come interprete del repertorio tragico, in particolar modo quello alfieriano.
Tra il 1844 e il 1845 Pezzana e Polvaro si unirono in società con Cesare Marchi, ottenendo grandi successi e ottimi risultati economici. Alla morte della moglie (datata da alcuni nel 1851 e da altri nel 1853), condivise fino al 1859 il capocomicato con Marchi. Proprio il 1859 fu un anno importante, segnato dalla messa in scena de Il Conte di Montecristo, riduzione scenica in quattro parti dello stesso Dumas.
Sempre secondo Costetti, il conte di Montecristo era un ruolo per il quale Pezzana non nutriva particolare simpatia e cercò di privilegiare, ove possibile, il repertorio di autori italiani. Tuttavia, la figura di quell’eroe si prestava particolarmente alla sua fisionomia e rimase, a dispetto dei pareri negativi di parte della critica, una fra le sue più celebri e apprezzate interpretazioni attoriali. Con una recitazione stentorea e di grande vivacità seppe conquistare, per quattro sere consecutive e in ogni platea d’Italia, l’attenzione di un pubblico entusiasta: «Non c’era città deserta, o dal teatro aborrente, né gravità di pubblici casi, non escluse talora le epidemie, che resistesse alla attrattiva di quel cartellone che annunziava i quattro drammi» (Costetti, 1886, p. 94). A testimonianza del grande successo ottenuto tra gli spettatori, a Roma, nell’allora esistente anfiteatro ligneo Correa all’interno del Mausoleo di Augusto, dove lo spettacolo venne presentato, fu posta una lapide marmorea per ricordare gli straordinari incassi della compagnia Pezzana. La critica, al contrario, non fu altrettanto benevola: considerò la scelta di repertorio un facile espediente per far cassetta e trovò l’allestimento scenico sciatto e approssimativo. A tal proposito, è celebre l’episodio, forse un po’ aneddotico, riportato da Costetti (1886) e citato da Luigi Rasi (1905) sulla povertà di mezzi con cui Pezzana restituì il lusso orientale del palazzo di Montecristo limitando la scenografia a «[…] due moretti di stucco, che reggevano ciascuno un candelabro; e a un braciere di coccio dorato da cui usciva un fumo, poco voluttuoso, di mirra e di incenso, tal quale nelle chiese al momento della benedizione del Santissimo» (p. 95).
Nelle critiche mosse al suo Conte di Montecristo sembrano riassumersi pregi e difetti di Pezzana, in quanto attore e in quanto capocomico. Il primo seppe abitare con cultura, versatilità, preparazione tecnica e doti fisiche le norme vigenti nel teatro della sua epoca. Amò, cercò e ottenne grande consenso di pubblico, ma non si impose come innovatore di stili o creatore di forme nuove. Il secondo si contraddistinse per un fiuto degli affari che lo portò a mettere in piedi un repertorio efficace, di grande richiamo, ma poco coerente nelle scelte e in cui alternò autori italiani e stranieri, generi diversi e messe in scena poco curate, ma capaci di assicurare forti introiti alla sua compagnia.
Gli anni dal 1844 (o 1845) al 1859, in cui Pezzana diresse la sua compagnia, coincisero con l’apice del successo, in particolare a Firenze e Roma, dove, più che in ogni altra città, fu amato dal pubblico. Si affermò allora come un interprete di grande versatilità capace di passare con agio – a detta di alcuni persino eccessivo – dal registro comico a quello tragico.
Sua fu la prima messa in scena, nel 1852 a Firenze, della commedia di Paolo Ferrari Goldoni e le sue 16 commedie nuove, e sue furono le molte e celebri interpretazioni di personaggi comici del repertorio goldoniano. Nello stesso tempo, suoi cavalli di battaglia, amati dal pubblico e riconosciuti da buona parte della critica, furono parti di genere opposto: dal Saul di Alfieri allo Zambrino nel Galeotto Manfredi di Vincenzo Monti o, passando ai drammi francesi, Luigi XI (che fu nel 1839 una delle maggiori creazioni di Modena) o Il cittadino di Gand, rispettivamente di Delavigne e Hippolyte Romand.
Nell’arco cronologico che va dal 1859 fino al ritiro dalle scene, diviene ancora più difficile datare le tappe della sua biografia artistica: le fonti si fanno ancora più incerte, rivelando contraddizioni e fornendo notizie che non sembrano trovare corrispondenze nei documenti.
Emblematico è il caso del 1860, anno in cui (Costetti, 1886, p. 95) Pezzana sarebbe entrato nella Drammatica Compagnia italiana di Adelaide Ristori che lo avrebbe scritturato come caratterista e promiscuo e con la quale si sarebbe recato in tournée a Parigi, Londra e in America, senza ulteriori indicazioni. La notizia non trova riscontro entro l’amplissima e ordinata documentazione lasciata dalla Ristori (su cui si vedano gli accurati studi di Teresa Viziano, 2000 e 2013): fra l’altro nel 1860 la Drammatica Compagnia italiana non risulta essere stata in tournée né a Parigi, né a Londra, né in America.
Certo è che Pezzana si diede nuovamente al capocomicato e poi, per via degli scarsi risultati economici ottenuti, accettò di dirigere una delle tre compagnie fondate da Luigi Bellotti-Bon nel 1873. Le tre compagnie, anche a causa dei gravi oneri fiscali imposti ai teatri da una legge del 1875 e del progressivo allontanamento dalle platee del pubblico che non sembrò apprezzare le scelte di repertorio e di scritture operate da Bellotti-Bon, non ottennero il successo sperato e vennero chiuse una dopo l’altra.
Non si conosce l’anno in cui Pezzana lasciò la compagnia. Si unì comunque a Icilio Brunetti per fondare la sua ultima impresa teatrale, nota per essere stata la prima a scritturare per la stagione 1875-76, come seconda donna, un’allora sconosciuta Eleonora Duse. Lucio Ridenti (1966) narra di incomprensioni tra Pezzana e la giovane Duse che, giudicata dal primo sprovvista di «figura, voce ed intelligenza per recitare», lasciò la compagnia.
Sul ritiro dalle scene di Pezzana non si hanno date certe, ma soltanto voci riguardo la sua volontà, intorno al 1878, di abbandonare il teatro in ragione dell’ormai spietata concorrenza e del gravoso sistema di tassazione.
Trascorsi gli ultimi anni della vita a Firenze, Pezzana vi morì il 12 gennaio 1894.
Forse il ritratto più articolato e ricco di sfumature di Pezzana resta quello dedicatogli da Costetti nel 1886. Allineandolo in una galleria di cinque «dimenticati vivi» (Amalia Bettini, Antonio Colomberti, Fanny Sadowsky e Giuseppe Peracchi) della scena italiana ci restituisce, nella punta di contrasto logico cui il bel titolo sembra alludere, il profilo di un attore e di un capocomico la cui traccia sembra abitare la norma del teatro ottocentesco e non la vita delle sue essenziali e memorabili eccezioni.
Fonti e Bibl.: Gazzetta teatrale, in Il pirata. Giornale di letteratura, varietà e teatri, VI (1841), 6 aprile, p. 80; E. Montazio, Il proscenio e la platea, Firenze 1845, pp. 15-22, 26-39; F. Regli, Dizionario biografico dei più celebri poeti ed artisti melodrammatici, tragici e comici… che fiorirono in Italia dal 1800 al 1860, Torino 1860, p. 406; G. Costetti, I dimenticati vivi della scena italiana, Roma 1886, pp. 85-97; L. Rasi, I comici italiani…, II, Firenze 1905, pp. 267-269; Enciclopedia biografica e bibliografica “Italiana”, N. Leonelli, Attori tragici e attori comici, Roma 1946, I, pp. 103-106; II, pp. 206 s.; G. Pastina, P. L., in Enciclopedia dello spettacolo, Roma 1960, ad ind.; L. Ridenti, La Duse minore, Roma 1966, p. 5; C. Meldolesi, Profilo di Gustavo Modena. Teatro e rivoluzione democratica, Roma 1971, ad ind.; S. D’Amico, Tramonto del grande attore, Firenze 1985, ad ind.; C. Meldolesi - F. Taviani, Teatro e spettacolo nel primo Ottocento, Bari 1991, ad ind.; T. Viziano, Il palcoscenico di Adelaide Ristori. Repertorio…, Roma 2000; A. Colomberti, Memorie di un artista drammatico, a cura di A. Bentoglio, Roma 2004, pp. 637 s.; M. Schino, Racconti del grande attore. Tra la Rachel e la Duse, Città di Castello 2004, pp. 1-27; T. Viziano, La Ristori. Vita romanzesca di una primadonna dell’Ottocento, San Miniato 2013.