PAREYSON, Luigi
– Nacque a Piasco (Cuneo) il 4 febbraio 1918, da Leone, geometra che qui si era trasferito per dirigere lavori di elettrificazione, e da Leontina Coccoz, entrambi valdostani. Terzogenito, sopravvisse ai due fratelli maggiori che morirono prematuramente; una sorella, Marie, nacque nel 1920. Dal 1923 la famiglia Pareyson visse stabilmente a Torino, pur continuando a trascorrere le estati nella casa di Piasco.
Dopo il ginnasio e il liceo, Pareyson si iscrisse nel 1935 all’Università di Torino laureandosi in filosofia nel giugno 1939. La tesi, Carlo Jaspers e la filosofia dell’esistenza, divenne il suo primo libro (edito a Napoli da Loffredo nel 1940). Con Jaspers aveva già stretto una relazione personale facendogli visita a Heidelberg nelle estati del 1936 e del 1937. Nello stesso 1937 aveva anche conosciuto Martin Heidegger. Altri viaggi di studio lo avevano portato in Francia dove aveva potuto incontrare Gabriel Marcel, Louis Lavelle, René Le Senne.
Subito dopo la laurea iniziò a insegnare come supplente in varie scuole e, dall’ottobre 1940 al marzo 1944, fu professore di filosofia, storia ed economia politica al liceo classico Silvio Pellico di Cuneo. In questi anni maturò anche la sua prospettiva politica di antifascista militante: già appena laureato, era diventato amico di Norberto Bobbio ed era entrato nel clandestino Partito d’azione, con cui collaborò alla resistenza nel cuneese. Per la sua militanza antifascista, che si concretò in articoli usciti sui giornali clandestini e in varie attività di collegamento tra nuclei partigiani piemontesi, Pareyson nel marzo 1944 fu sospeso dall’insegnamento, arrestato, detenuto per alcuni giorni e poi rilasciato. Nel 1945, dopo la Liberazione, riprese l’insegnamento di storia e filosofia nel liceo Gioberti di Torino, tenendo contemporaneamente l’incarico di estetica presso l’ateneo torinese.
Negli anni 1948-49 insegnò per due semestri storia della filosofia moderna e contemporanea all’Universidad nacional de Cuyo, a Mendoza (Argentina), dove collaborò all’organizzazione del congresso nazionale di filosofia, tenutosi nell’aprile 1949.
Nel 1951 sposò Rosetta Schlesinger, divenuta poi nota psicoanalista. Nello stesso anno, lasciò il liceo divenendo professore straordinario e quindi ordinario di storia della filosofia all’Università di Pavia e nel 1952 si trasferì a Torino come ordinario di estetica. Sempre a Torino, dal 1964 fu professore di filosofia teoretica fino al 1984, quando tenne il suo ultimo corso ufficiale, divenendo emerito nel 1988.
La filosofia di Pareyson si può ricostruire a partire dagli interessi su cui si concentrarono i suoi primi lavori: le tematiche dell’esistenzialismo, che egli fu uno dei primi a introdurre nella cultura italiana, non solo con il già ricordato libro su Jaspers, ma con gli Studi sull’esistenzialismo (Firenze 1943); e i problemi dell’estetica, a cui dedicò saggi e interventi in congressi e convegni, e soprattutto i corsi tenuti come docente incaricato della disciplina all’Università di Torino a partire dal 1946, anno in cui il corso fu dedicato ad Arte e persona.
Alla riflessione sull’estetica e sull’esistenzialismo si affiancò una costante meditazione religiosa, che Pareyson svolse negli incontri periodici organizzati dal Centro di Gallarate, a cominciare dalla relazione del 1946 su L’affermazione cristiana del concetto di persona. Se l’estetica fu un tema imposto a Pareyson dalla situazione specifica della filosofia italiana, ancora profondamente segnata dalla egemonia culturale crociana, l’esistenzialismo e la problematica religiosa identificano una esigenza storica più vasta: Pareyson li affrontò come sintomi della crisi del mondo europeo seguita alla seconda guerra mondiale, in uno spirito non diverso da quello della sua militanza antifascista negli anni di Cuneo. Del resto, l’esigenza di affrontare i problemi dell’estetica fuori dall’orizzonte crociano si inserisce nello stesso interesse esistenzialistico che richiedeva una messa in questione della tradizione idealistica da un punto di vista più attento alla persona e al dramma della libertà, seguendo la via indicata da Kierkegaard. Questi temi furono affrontati nei saggi raccolti in Esistenza e persona (Torino 1950), che ripresero l’eredità dei classici dell’esistenzialismo declinandola nei termini di un originale personalismo cristiano.
La tematica religiosa rimase il filo conduttore costante di tutto il pensiero successivo di Pareyson, che non mancò di definire esplicitamente la filosofia stessa come «ermeneutica dell’esperienza religiosa».
A questo filo conduttore si possono ricondurre sia gli studi tesi a rileggere criticamente la storia dell’idealismo (Fichte, Torino 1950), sia i saggi di estetica che, come emerge dal costante interesse per Goethe nei vari corsi universitari torinesi, cercano nel fare artistico le tracce di un incontro con la trascendenza che si manifesta come confronto tra la creatività dell’artista e la natura, così sensibile nel pensiero di Goethe.
La prima grande opera sistematica di Pareyson, Estetica. Teoria della formatività (Torino 1954), benché concentrata su un’analisi fenomenologica molto minuziosa e attenta del fare artistico, della fruizione estetica e della critica, è anche una sintesi di tutti i motivi filosofici e religiosi che ispirarono Pareyson in quegli anni e anticipa gli sviluppi successivi fino all’esito della ontologia della libertà e di quello che egli chiamerà pensiero tragico. La nozione di ‘formatività’, che sta al centro dell’opera e ne costituisce la decisiva originalità, mostra come la forma che nasce dalla libera creatività dell’artista manifesti una presenza che va al di là del soggetto creatore e che è definibile come ontologica. L’artista produce l’opera, ma il suo agire, come si vede dal processo di correzioni, rifacimenti, trasformazioni radicali, è guidato da qualcosa che Pareyson chiama forma formante; è la legge stessa dell’opera, la quale è fatta ma anche ‘si fa’. La creazione artistica è un esempio eminente di ciò che avviene in ogni attività umana, che è sempre iniziativa iniziata. Ogni agire umano comporta un elemento d’inventività: si tratta sempre di trovare il modo di fare, anche nelle attività più banali. Nel caso dell’arte, l’inventività del formare si dispiega in modo esclusivo. L’artista inventa il modo di fare, ma anche il ‘da farsi’. L’arte, dice Pareyson, è formatività specificata. La legge interna dell’opera guida anche l’interpretazione. Il lettore esperisce l’opera come bella in quanto riuscita: la fruizione coglie la legge interna, ciò che l’opera voleva essere e alla luce di essa la valuta.
L’estetica diventa così in Pareyson un passo fondamentale per la costruzione di un’originale filosofia dell’interpretazione, che si colloca autorevolmente nel quadro dell’ermeneutica che il pensiero europeo andava sviluppando in quegli anni sulla base, soprattutto, della meditazione di Heidegger. Più ancora e prima dello stesso Hans Georg Gadamer (il cui testo classico, Wahrheit und Methode, Verità e metodo, uscì solo nel 1960), Pareyson offrì all’ermeneutica contemporanea una definizione della nozione di interpretazione che merita di essere considerata come canonica. Interpretazione – scrive Pareyson – è un tal conoscere in cui «l’oggetto si rivela nella misura in cui il soggetto si esprime» (Esistenza e persona, nuova ed. 1985, p. 211); perché essa è «conoscenza di forme da parte di persone» (ibid., p. 218): non sguardo distaccato su oggetti immobili, come nella tradizione che Heidegger aveva bollato come ‘metafisica’; ma incontro tra processi viventi, storicamente collocati e sorretti dalla comune appartenenza a un orizzonte ontologico. Sia la nozione di verità sia quella di conoscenza subiscono qui una trasformazione radicale: scompare la metafisica «adaequatio intellectus et rei», già radicalmente criticata da Heidegger in Essere e tempo.
La conoscenza, e lo stesso esistere umano, sono affare di interpretazione. Al posto di una verità come mondo di oggetti o di essenze da descrivere e contemplare, si colloca ora la verità come fonte inesauribile dell’infinito processo interpretativo che costituisce la stessa storia umana. La cui ‘oggettività’ è in qualche modo garantita dalla presenza di una ‘forma formante’ con la quale ogni soggettività deve fare i conti.
Le implicazioni teoretiche generali di queste tematiche furono oggetto dapprima di Verità e interpretazione (Milano 1971) e poi della grande Ontologia della libertà (uscita postuma, Torino 1995), dove Pareyson sviluppò quello che chiamava il suo ‘pensiero tragico’, al centro del quale risiede l’idea che l’esperienza della libertà, da cui muoveva il suo esistenzialismo personalistico dei primi anni, esiga una concezione dell’essere stesso come libertà originaria. La libertà umana non può che provenire da una libertà iniziale. La quale, proprio come libertà originaria, è anche scelta e superamento di una negatività, che sia pure come superata, segna l’essere stesso. È su questa base che, negli ultimi anni, Pareyson parlò del ‘male in Dio’, un’idea che, elaborata anche rileggendo Schelling e Dostoevskij, sta al centro del ‘pensiero tragico’. L’ontologia della libertà implica anche che dell’origine non c’è sapere razionale, dimostrativo, ma solo narrazione, o mito, nel senso del termine greco. L’ermeneutica dell’esperienza religiosa è dunque ermeneutica del mito. Per Pareyson non può esserci ovviamente una comparazione tra i miti e una scelta di quello ‘giusto’. Il mito alla cui interpretazione si dedicò è quello cristiano, e manca nella sua opera una giustificazione ‘razionale’ di questa, che non può essere una scelta arbitraria. Il punto è che, anche e soprattutto l’esperienza religiosa, non può essere sottoposta alla concezione metafisica, oggettivistica, della verità.
È del resto proprio dalla riflessione sulla validità di tale esperienza, che in Pareyson come in altri grandi autori (ad es., Heidegger, il quale proprio su basi simili liquida la metafisica fino ad allora dominante nella tradizione occidentale) parte l’esigenza di pensare l’essere e la verità in termini di storia e di evento, di dialogo di interpretazioni (entro cui si colloca anche la conoscenza scientifica, ovviamente) e non di progresso verso un rispecchiamento sempre più impersonale del dato. Ermeneutica del mito cristiano non significa in alcun modo decifrazione e riduzione del mito a un suo ‘vero’ senso.
Certo questa ermeneutica non ha niente a che fare con una teologia sistematica, può però promuovere una spiritualità, fino alla pratica della carità e della preghiera. Soprattutto oggi, in un mondo dove le pretese di universalismo di qualunque fede devono fare i conti con l’irriducibile pluralità delle culture. Benché Pareyson non abbia mai sviluppato queste implicazioni, non è azzardato riconoscere qui uno dei tratti di permanente attualità del suo pensiero.
Oltre a dedicarsi all’attività didattica e di ricerca, Pareyson fu anche promotore di importanti iniziative editoriali: direttore della Rivista di estetica dal 1956 al 1984; direttore della collana «Filosofi moderni» presso l’editore Zanichelli; condirettore, insieme a padre Carlo Giacon, della seconda edizione della Enciclopedia filosofica del Centro di studi filosofici di Gallarate, uscita nel 1967; direttore di collane di filosofia e di estetica presso l’editore Mursia di Milano, presso cui pubblicò, a partire dal 1985, un Annuario filosofico, che diresse insieme a Valerio Verra e Giuseppe Riconda.
Socio nazionale residente dell’Accademia delle scienze di Torino dal 1974, socio nazionale dell’Accademia dei Lincei dal 1987, socio corrispondente, dal 1990, della Bayerische Akademie der Wissenschaften di Monaco.
A partire dal 1980 soffrì di vari problemi di salute, aggravati negli anni anche dal dolore per la grave malattia e la prematura scomparsa della figlia Emanuela, all’età di trentasette anni, nel 1990. Furono questi gli anni tristi della vita di Pareyson, durante i quali meditò sempre più sul problema del male e della sofferenza: temi ritrovati soprattutto in Dostoevskij, cui dedicò vari saggi usciti nel volume postumo Dostoevskij. Filosofia, romanzo ed esperienza religiosa, a cura di G. Riconda - G. Vattimo (Torino 1993).
Assistito fino all’ultimo dalla moglie Rosetta, dal figlio Davide, medico, e dalla nuora Anna, morì l’8 settembre del 1991 all’ospedale San Raffaele di Milano.
Tra le sue opere: La filosofia dell’esistenza e Carlo Jaspers, Napoli 1940; L’estetica dell’idealismo tedesco, Torino 1950; I problemi dell’estetica, Milano 1966; Ontologia della libertà. Il male e la sofferenza, pref. di G. Riconda - G. Vattimo, a cura di A. Magris - G. Riconda - F. Tomatis, Torino 1995.
Iniziata nel 1998 è ancora in corso la pubblicazione delle Opere complete, a cura del Centro studi filosofico-religiosi Luigi Pareyson di Milano.
Fonti e Bibl.: A. Rosso, Ermeneutica della libertà. Studio sulla teoria dell’interpretazione di L. P., Milano 1980; F. Russo, Esistenza e libertà. Il pensiero di L. P., Roma 1993; F. Tomatis, Ontologia del male. L’ermeneutica di P., Roma 1995; Filosofia ed esperienza religiosa. A partire da L. P., a cura di G. Ferretti, Pisa 1995; A. Di Chiara, L’iniziativa. Il pensiero etico di L. P., Genova 1999; Il pensiero di L. P. nella filosofia contemporanea. Recenti interpretazioni, a cura di C. Ciancio - G. Riconda, Torino 2000; F. Tomatis, L. P. Vita, filosofia, bibliografia, Brescia 2003; P. Sgreccia, Il pensiero di L. P. Una filosofia della libertà e della sofferenza, Milano 2006; G. Bartoli, Filosofia del diritto come ontologia della libertà. Formatività giuridica e personalità della relazione. A partire dall’opera di L. P., Roma 2008.