MICHELACCI, Luigi
– Nacque a Meldola, nel Forlivese, il 23 luglio 1879 da Francesco, ufficiale del Regio Esercito, e da Caterina Erba, eccellente pianista, sorella di Carlo, uno dei primi protagonisti dell’industria farmaceutica italiana. La famiglia, colta e agiata, frequentava i salotti e i luoghi d’incontro degli artisti. Il M. infatti, fin da bambino, fu iniziato all’arte dal pittore e decoratore Cesare Camporesi (Simoncelli, pp. 13, 15).
Nel 1891 si trasferì a Firenze, dove frequentò il ginnasio presso il collegio dei padri barnabiti Alla Querce fino al 1896, quando abbandonò gli studi (ibid., p. 17). Nel 1900, grazie all’amicizia del padre con Giovanni Fattori, ne frequentò lo studio per un intero anno, divenendone allievo (ibid., p. 19).
Opere quali Lo sgombero e Canale a Venezia (entrambe collezione E. Gori; ripr. in Onoranze a L. M.) rivelano pienamente l’influenza del maestro e dei macchiaioli toscani, tanto che il M. fu definito l’ultimo dei macchiaioli. Nei suoi dipinti si riconosce inoltre la suggestione suscitata dalla pittura di A. Fontanesi (Tramonto, ibid.; ripr. in ibid.).
Nel 1901 risiedette per un periodo a Venezia, tornò poi a Firenze, per trasferirsi infine a Parigi, dove frequentò A. Soffici, fra il 1903 e il 1908, alternando soggiorni in Italia. Due sanguigne di quegli anni, intitolate Nudo di donna (1903 circa: ubicazione ignota; ripr. entrambe in Parronchi, figg. 13-14), sembrano influenzate dai tratti di E. Degas. In quegli stessi anni venne in contatto con A. Modigliani, che presentò al suo caro amico A. Soffici (Simoncelli, p. 20). In Francia studiò i paesaggisti, la scuola di Barbizon, T. Rousseau, C. Daubigny, e si entusiasmò per i decisi chiaro-scuri di H. Daumier e per le sue forti rappresentazioni di tematiche sociali (Parronchi, pp. 11, 45 s.).
Opere come Don Chisciotte con Sancho Panza (1935-40: Firenze, collezione privata; ripr. ibid., tav. LXXIV) derivano da una reinterpretazione delle linee più fluide di Daumier nell’omonima opera Don Chisciotte (Monaco, Neue Pinakothek). Il M. si dichiarava insoddisfatto delle proprie ombre, troppo cupe e non abbastanza trasparenti (Annigoni), pur avendo studiato molto le raffinate cromie delle ombre degli impressionisti e di C. Monet in particolare, come si evince da Sull’argine (collezione E. Gori; ripr. in Onoranze a L. M.) e Monache e bimbe sull’argine di un fiume (1927-28: Gallarate, raccolta Filiberti; ripr. in Parronchi, tav. XIX). Amava i contrasti cromatici violenti e una rappresentazione «solida» di ciò che dipingeva. Fu attratto dalla Parigi di C. Baudelaire, più che da quella contemporanea di P. Picasso e Modigliani.
Fra il 1908 e il 1915 viaggiò molto in Italia, soprattutto al Nord. Divenne allievo e amico del pittore bolognese Mario De Maria (Marius Pictor), di cui subì l’influenza in modo evidente nelle opere di quegli anni: lavori basati su tonalità molto scure, che attualmente risultano poco leggibili a causa dell’ossidazione cromatica.
Partecipò alla prima guerra mondiale, prestando servizio presso l’Istituto geografico militare di Firenze. Nel 1916 iniziò per il M. un periodo di difficoltà economiche e dei domestici della sua casa di Firenze restò solo Giuseppina Bugli (che poi avrebbe sposato). A queste difficoltà il M. reagì accrescendo la sua produzione, ma senza diminuire la qualità dei lavori. Nel 1924, al Concorso Ussi, espose I mendicanti (ubicazione ignota; ripr. ibid., p. 46), giudicato uno dei quadri migliori del concorso (Simoncelli, pp. 26 s.), poi ripresentato alla I Biennale romagnola d’arte nel 1926 (ibid., p. 34).
Negli anni Venti dipinse Bimbi con ciuco (Firenze, collezione privata; ripr. in Parronchi, tav. XXVII), opera nella quale il M. si ispirò al muro bianco di Sentinelle di Fattori. Nel 1927 realizzò Il chiasso delle misure (Firenze, collezione privata; ripr. ibid., tav. XVII), un vicolo dipinto in modo realistico con raffinatissimi effetti luminosi della luce solare e della materia scrostata degli intonaci, considerato dalla critica uno fra i suoi lavori migliori. Le opere fra il 1925 e il 1930 furono realizzate con una materia pittorica corposa stesa, in alcuni casi, attraverso l’uso di vernici trasparenti a base di coppale per creare effetti di rilievo (ibid., p. 18).
Nel 1929, trasferitosi temporaneamente a Milano, tenne la sua prima personale alla galleria Scopinich, esponendo 61 opere. L’interesse dei collezionisti privati e i prezzi dei suoi lavori aumentarono (ibid., pp. 16, 47). Sempre nel 1929 ricevette la nomina di accademico onorario dalla Reale Accademia delle arti e del disegno di Firenze, che l’anno seguente gli affidò l’incarico di professore corrispondente nella sezione pittura (ibid., pp. 17, 19). Negli anni Trenta-Quaranta partecipò come giurato a molti premi e durante il periodo della guerra riuscì comunque a viaggiare in Italia e a continuare a dipingere.
Dopo il 1945 il segno diventò più netto e sottile. In alcune opere, come I girovaghi e Cavallino bianco (entrambe in collezione privata; ripr. ibid., tavv. CI e CIII), il M. lascia intravedere, sotto lo strato del colore divenuto meno materico, la trama netta della tavola di faesite. Nel 1950 realizzò Le pazze (Firenze, collezione privata; ripr. ibid., tav. CIV), fortemente ispirato a La sala delle agitate di T. Signorini per il soggetto, lo scorcio, la stesura del colore e la scelta cromatica. Nel 1952 partecipò alla mostra «Mezzo secolo d’arte toscana 1901-1950» a palazzo Strozzi e nel 1958 espose 56 dipinti presso la galleria Cancelli di Firenze.
Di temperamento solitario, lavorava lungamente a ogni singola opera, anche quando si trattava di bozzetti di piccole dimensioni, non rispettando talvolta i tempi di consegna. I suoi paesaggi non bloccano la scena, ma creano una continuità narrativa, dando la sensazione del trascorrere del tempo e del movimento delle cose. Sebbene abbia realizzato anche ottimi ritratti e nature morte, fu soprattutto un pittore di paesaggio, «di mura scabre, di solidi selciati, di vecchio legno tormentato, d’alberi, di cielo e particolarmente di luci e ombre» (Annigoni). La figura umana, anche quando è presente, è sempre un elemento integrato nell’ambiente.
Il M. morì a Firenze il 19 febbr. 1959, dopo un intervento chirurgico.
Dopo la sua morte, Tonino Simoncelli trasse alcune incisioni dalle lastre di zinco originali in possesso del nipote, Mario Ricci. La prima serie fu donata a Giovanni Spadolini e un’altra serie, insieme con le lastre originali, venne donata dal nipote del M. alla Pinacoteca comunale di Forlì (Simoncelli, pp. 43 s.).
Fonti e Bibl.: Onoranze a L. M. Mostra commemorativa (catal., Meldola, galleria d’arte Luigi Michelacci), s.l. 1967, pp. n.n.; P. Annigoni, ibid.; Mostra antologica del pittore L. M. (catal., Meldola), s.l. 1980, pp. n.n.; A. Parronchi, L. M., Firenze 1980 (con bibl., documenti e note); T. Simoncelli, L. M., vita e opere del pittore meldolese-fiorentino, Meldola 2007 (con documenti e bibliografia).