MONTI, Luigi Maria
MONTI, Luigi Maria. – Nacque a Bovisio, nei pressi di Milano, il 24 luglio 1825, ottavo degli undici figli dei coniugi Angelo e Teresa Monti.
Abbandonati a dodici anni gli studi a causa della prematura morte del padre, fu costretto a cercare lavoro presso la bottega di un ebanista di Cesano Maderno per contribuire all’economia familiare. Ricordano le fonti che, bramoso di vivere una religiosità semplice ma radicale, ancora in tenera età si distingueva per le pratiche di pietà, specialmente mariane, condotte con i compagni di lavoro, a tal punto che ben presto la gente della zona aveva individuato il gruppo di amici come la «compagnia dei frati » e delle «frate».
Nel settembre 1843 conobbe don Luigi Dossi, allora giovane sacerdote di Cesano Maderno, che elesse come proprio padre spirituale. Nelle sue mani, appena tre anni dopo (8 dicembre 1846), pronunciò i voti perpetui di castità, povertà e obbedienza secondo il rito monastico, pur decidendo di continuare la vita nel mondo come laico consacrato.
Scoppiati i moti del 1848, la compagnia dei frati fu facilmente tacciata prima di filoaustriacantismo, per il distacco spirituale mostrato rispetto agli ideali risorgimentali, e poi, falliti i progetti del ’48, di piemontesismo. Monti e i suoi frati furono segnalati alle autorità austriache dal nuovo parroco di Bovisio, don Caldara, il quale non aveva nascosto la propria diffidenza per «tanto bigottismo nel popolo» affidatogli in cura (Giordani, 1963, p. 23). Nel settembre del 1851 i frati furono quindi arrestati, venendo però rilasciati dopo 72 giorni di prigionia trascorsi nel carcere di Desio a seguito dell’intervento dell’arcivescovo di Milano Carlo Bartolomeo Romilli.
Nel frattempo sotto la guida spirituale di don Dossi, Monti giunse alla netta consapevolezza di quella che, d’ora in poi, avrebbe sempre avvertito come la propria vocazione: dar vita a una famiglia religiosa di laici totalmente votati all’assistenza dei sofferenti e degli orfani. Trasferitosi a Brescia, nel 1852 si unì perciò a una congregazione religiosa di analogo carisma, i Figli di Maria Immacolata, da poco fondata da Lodovico Pavoni. Nella nuova comunità vennero ben presto valorizzate le doti di Monti che incominciò a formarsi come infermiere. Ebbe così modo di sperimentare l’urgenza e la modernità del progetto, fino ad allora solo abbozzato, volto a sostituire nell’assistenza ai malati gli infermieri laici, in quell’epoca pressoché dei mestieranti, con dei religiosi.
Spronato dall’esempio di Maria Crocifissa Di Rosa e dalla frequentazione di Cipriano Pezzini, un giovane infermiere cremonese, Monti maturò il proposito di dar vita insieme a quest’ultimo a una congregazione autonoma, che avrebbe assunto il nome di Figli dell’Immacolata Concezione, da cui quello di concettini attribuito ai suoi membri (1857). A tale scopo, sempre sempre su consiglio di don Dossi progettò di recarsi a Roma, dove nel frattempo l’amico Pezzini lo aveva preceduto dal 1856 per porre le basi del comune progetto.
Accolti favorevolmente dal commendatore dell’ospedale di S. Spirito in Roma (1858) – una delle più antiche istituzioni caritatevoli presenti nella capitale della cristianità – i giovani lombardi incominciarono a operarvi sotto la supervisione dell’Ordine cappuccino, dovendo tuttavia ben presto registrare la diffidenza dei confratelli e delle alte sfere ecclesiastiche, forse non ancora in grado di cogliere la novità di una simile proposta religiosa, scaturita dall’intuizione di un laico consacrato. Pezzini si trovò così obbligato a chiedere accoglienza presso l’Ordine degli ospitalieri, da cui venne però più tardi espulso, mentre Monti, a seguito di una malattia, nel 1860 dovette far ritorno in Lombardia, potendo riprendere il proprio servizio solo nel 1864.
Al suo rientro a Roma non trovò una situazione migliore rispetto a quella che aveva lasciata. Costretto a operare lontano da S. Spirito per evitare di accentuare con la propria presenza incomprensioni e rancori fra le diverse anime ormai in conflitto fra loro in seno ai concettini, nel 1868 assunse volentieri l’incarico di priore dell’ospedale di Orte che contribuì a rifondare.
Sebbene la comunità fosse cresciuta in numero e in prestigio, non aveva ancora ottenuto l’autonomia necessaria, rendendo così sempre più evidente l’esigenza di sottrarre la nuova congregazione all’influenza dell’Ordine cappuccino. Come scriveva il cardinale Aloisio Bilio per conto del papa a don Giovanni Bosco, i cappuccini non si erano infatti rivelati troppo adatti a tale direzione, inducendo così lo stesso pontefice a prendere in considerazione l’ipotesi di affidare proprio al noto sacerdote piemontese l’incarico di dare inizio a trattative ufficiali per aggregare, questa volta ai salesiani, il nuovo istituto (Giordani, 1963, p. 111). Pio IX trovò però la netta opposizione di Monti, deciso a difendere la specificità della propria famiglia.
Dopo non poche incomprensioni, nel marzo 1877 Monti riuscì finalmente a essere nominato superiore generale della congregazione che ormai vent’anni prima aveva fondato e ora trovava in lui la sola possibilità di rinascere con una struttura canonica stabile, smentendo così le voci di quanti parevano asserire che «l’Istituto dei Concettini non [potesse] camminare da solo, né fiorire senza la guida di religiosi di altro ordine» (lettera a Pio IX del 30 agosto 1877, Milano, Archivio storico diocesano, Causa Beatificationis et Canonizationis Servi Dei P. Aloysii M. Monti, cart. 77, Scripta Servi Dei, 4, Lettere a persone diverse, gruppo I, n. 90). A conferma dell’intimo rapporto ormai instauratosi con papa Mastai, solo un mese prima Monti ammetteva infatti che proprio al pontefice i concettini dovevano «la medesima esistenza », aggiungendo: «noi fummo per Voi sottratti da mille tempeste che si levarono contro di noi, e se noi riuscimmo vittoriosi in mezzo a tanti contrasti, ascriverlo dobbiamo alla potenza del vostro braccio e alla bontà del Vostro Cuore» (lettera a Pio IX del 15 luglio 1877, ibid.).
Se il «riconoscimento» ecclesiastico era finalmente giunto, con la fine del potere temporale la permanenza dei concettini a S. Spirito si era però fatta sempre più difficile. Monti e i suoi seguaci concentrarono quindi la loro attività in altre sedi, impegnandosi prima nel servizio dell’ospedale di Nepi nel Lazio (1881) e, successivamente, acquistando il castello di Saronno e collocandovi un orfanatrofio (1886).
Monti morì a Saronno il 1° ottobre 1900, lasciando al mondo cattolico un’eredità impegnativa e benemerita, come riconobbe il papa Pio X approvando nel 1904 le costituzioni del nuovo Istituto, la cui autonomia e originalità il futuro beato brianzolo si era prodigato a difendere durante tutta la vita.
Nel 1941 l’arcivescovo di Milano Ildefonso Schuster diede avvio alla causa di beatificazione di Monti indicendo il processo informativo che si protrasse fino al 1951. Conclusa la fase diocesana, gli atti vennero trasferiti a Roma, presso la Congregazione delle cause dei santi che nel 2001 promulgò il decreto sull’eroicità delle virtù del candidato. Venne proclamato beato da papa Giovanni Paolo II il 9 novembre 2003.
Fonti e Bibl.: Le carte della fase romana del processo di beatificazione sono ancora inaccessibili, mentre sono consultabili i tre faldoni relativi alla fase diocesana del processo: Milano, Arch. storico diocesano, Sacri Riti. Processi di canonizzazione, Causa Beatificationis et Canonizationis Servi Dei P. Aloysii M. Monti, cart. 75-77. Nelle cart. 75 e 76 si conservano gli atti istruttori del processo diocesano, le testimonianze dei conoscenti, di coloro che lo assistettero prima della morte, oltre che, ovviamente, dei presunti miracoli da lui compiuti. Più interessante per ricostruire il profilo di Monti è invece la cart. 77, in cui si segnalano i documenti sull’ultima fase della vita, utili a conoscerne l’intensa opera caritativa e di governo della Congregazione dei figli dell’Immacolata Concezione: Scripta Servi Dei, 1, Lettere ai Religiosi e altre persone, n. 25; 2, Lettere a fr. Stanislao Guglielmetti, n. 11; 3, 4 e 5, Lettere a persone diverse, nn. 80, 90, 127, 75 e 58; 6, Lettere alla famiglia religiosa, circolari, n. 27; 7, Trattative per aprire nuove case, n. 9; 10, Esposti e suppliche al s. Padre e s. Congregazione dei vescovi e regolari, n. 11; 11, Relazioni sui Consigli di famiglia, n. 6. Sono inoltre conservati i diari di Monti dal 1877 al 1894: Scripta Servi Dei, 13, Diarii. Presso la casa madre della congregazione a Roma si trova infine una raccolta di lettere e circolari lasciate a futura memoria per volere dello stesso Monti. Fra le fonti edite si ricorda: Lettere e memorie del servo di Dio padre L.M. M. fondatore, a cura di M. Giampetruzzi, Roma 2000. Su Monti si vedano F. Meda, La «Compagnia dei frati» in Brianza perseguitata come Società segreta, in La Lombardia nel Risorgimento italiano, XVIII (1933), 24, pp. 43- 69; E. Spreafico, Padre L.M. M. fondatore dei religiosi confezionisti, Roma 1940; Id., Il servo di Dio P. L.M. M. nella sua vita e nelle sue opere, Saronno 1947; I. Giordani, Un apostolo della carità. Padre L.M. M., Milano 1963; G. Cristofani, L.M. M.: l’amico e servo degli infermi. Uno stile di vita per servire i malati, Roma 1990; Atti dell’anno centenario della morte di padre M., Roma 2000; D. Del Rio, Anche questo succedeva ai tempi di Pio IX. Vita di L. M., Saronno 2000; E. Apeciti, «Cerchiamo di fare del bene e di perseverare». Appunti su padre L. M. (1825-1900), in La Fiaccola, LXXIV (2000), 12, pp. 28-31; Id., L.M. M. beato, Saronno 2003; G. Cristofani, L.M. M.: l’infermiere di Dio (1825-1900), Roma 2003; A. Paritanti, La farina della giara non si esaurirà: santità, miracoli, testimonianze beato L.M. M., Roma 2007; Id., La voglia di farsi santo: padre L. M. e Bovisio Masciago, Saronno 2008; D. Veneruso, Carisma e progettualità di L.M. M. e dell’Istituto dei figli dell’Immacolata Concezione, Soveria Mannelli 2009.
LUCA BARBAINI